Ghiacci polari Archivi - OGzero https://ogzero.org/temi/ambiente/ghiacci-polari/ geopolitica etc Sun, 01 May 2022 22:55:30 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 Risorse e rotte artiche in tempo di guerra https://ogzero.org/risorse-e-rotte-artiche-in-tempo-di-guerra/ Sun, 01 May 2022 21:58:15 +0000 https://ogzero.org/?p=7227 L’inviato speciale Ue per l’Artico, Michael Mann ha commentato il 30 aprile 2022 le decisioni del Consiglio artico rispetto alla collaborazione con la Russia, ritenendo che nonostante le tensioni, «grazie ai fondi europei l’Artico può diventare un laboratorio di sviluppo di tecnologie e risorse sostenibili con cui vincere la sfida della crisi energetica», però un […]

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L’inviato speciale Ue per l’Artico, Michael Mann ha commentato il 30 aprile 2022 le decisioni del Consiglio artico rispetto alla collaborazione con la Russia, ritenendo che nonostante le tensioni, «grazie ai fondi europei l’Artico può diventare un laboratorio di sviluppo di tecnologie e risorse sostenibili con cui vincere la sfida della crisi energetica», però un sempre maggior numero di navi russe navigano nell’Artico.

L’importanza delle risorse artiche a cui il riscaldamento globale consente di accedere (per le tecnologie e per la transizione energetica – che ridurrebbe la capacità di ricatto russo) e lo scontro per la Northern Sea Route che si va liberando dai ghiacci e che Mosca intende controllare considerandola parte integrante del proprio territorio, producono anche nel Grande Nord ribaltamenti geopolitici e costringono a trovare soluzioni alternative alla cooperazione sostenibile finora perseguita tra le potenze mondiali. Ciò che è destinato a patire di questa contingenza è l’ambiente, l’accesso a energia sostenibile… e gli interessi cinesi. Alessandra Colarizi fornisce qualche elemento per comprendere quali fossero i progetti e la pianificazione di Pechino riguardo al Mar Glaciale Artico e cosa ne rimane dopo la crisi ucraina.


L’“amicizia senza limiti” e le forniture di gas russo. È quanto le cronache internazionali ricordano dell’ultimo – ormai storico – incontro tra Vladimir Putin e il presidente cinese Xi Jinping. Ma, durante quelle ore trascorse insieme a ridisegnare l’ordine internazionale, i due leader si sono soffermati su un’altra questione centrale tanto per la stabilità energetica mondiale, quanto per i futuri assetti geostrategici: la necessità di promuovere una Cooperazione sostenibile e pratica nell’Artico, come recita il motto della presidenza moscovita iniziata nel maggio 2021.

L’estremo Nord rappresenta, insieme all’Asia centrale, lo scacchiere regionale in cui i due giganti collaborano più attivamente. È anche una delle aree più colpite dal colpo di coda della crisi ucraina. Compiendo un passo decisivo, il 24 marzo 2022 i membri del Consiglio Artico (Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia e Stati Uniti) hanno sospeso tutti i colloqui con Mosca. Non una cosa di poco conto: la Russia controlla oltre metà della costa bagnata dall’Oceano Artico ed è al centro delle principali iniziative multilaterali, dalla ricerca scientifica allo sviluppo economico passando per la collaborazione militare. Ora la sua estromissione rischia di paralizzare il funzionamento della principale organizzazione regionale.
Per Pechino, non è una buona notizia.

La Cina un “paese quasi artico”

Geograficamente parlando un outsider, la Cina si definisce un “paese quasi artico”.  Dal 2013 è membro osservatore del Consiglio (paradossalmente, dal punto di vista geografico, lo è anche l’Italia). Ma frequenta la zona addirittura dal 1925, ovvero da quando siglò il trattato delle Svalbard che disciplina le attività commerciali nelle isole a metà strada tra la Norvegia e il Polo Nord. Il perché è spiegato nel libro bianco sull’Artide pubblicato dal governo cinese quattro anni fa (dove si dispiega l’Operazione Dragone Bianco): nonostante la distanza, le «condizioni naturali dell’Artico e i loro cambiamenti hanno un impatto diretto sul sistema climatico e sull’ambiente ecologico della Cina e, a loro volta, sui suoi interessi economici nell’agricoltura, la silvicoltura, la pesca, l’industria marina e altri settori».

Non è quindi solo un fenomeno di interesse scientifico. ll riscaldamento ambientale sta causando un progressivo scioglimento dei ghiacci, rendendo sempre più navigabili acque un tempo impercorribili. Proprio alla creazione di nuove rotte commerciali tra l’Asia orientale, l’Europa e il Nordamerica passando attraverso l’Artide, guarda la cosiddetta “Via della seta polare”, declinazione artica della Belt and Road Initiative, la strategia di politica estera con cui Pechino sostiene la penetrazione internazionale delle aziende statali cinesi e dei suoi standard industriali attraverso la costruzione di grandi vie di comunicazione marittime e terrestri in Eurasia.

I nuovi corridoi settentrionali non solo permetteranno di aggirare “lo stretto di Malacca”, l’impervio passaggio (uno dei chokepoint mondiali) sotto il controllo degli Stati Uniti e dei suoi alleati asiatici. Contribuiranno anche ad accorciare i tempi di percorrenza delle merci tra i porti cinesi e gli scali europei. Passando per Suez oggi una nave che parte da Shanghai diretta a Rotterdam impiega circa 50 giorni; attraverso la rotta nordica e la Via della Seta Polare lo stesso viaggio durerebbe circa 33 giorni. Per il momento la tratta è ancora in fase di test: il colosso cinese China Ocean Shipping Company (Cosco) effettua circa nove spedizioni all’anno. Ma il numero è destinato a salire e alcune società sono già in trattative per garantire un volume di transazioni prestabilito ogni anno.

La Cina come player responsabile

Commercio a parte, gli interessi cinesi nel quadrante includono scopi scientifici, ambientali, e diplomatici. Inserita nell’ultimo “piano quinquennale” 2021-2025, la strategia polare cinese annovera tra gli obiettivi la realizzazione di esplorazioni in acque profonde, la pianificazione di missioni spaziali, e la tutela del diritto internazionale marittimo. Conscia del suo nuovo status internazionale, negli ultimi anni la Cina ha utilizzato il Consiglio Artico per presentare un’immagine di sé più responsabile, soprattutto alla luce delle accuse che dall’altra parte dell’Eurasia accompagnano l’espansionismo cinese nelle acque contese con i vicini rivieraschi.

Nel white paper Pechino spiega che il suo coinvolgimento nel quadrante è teso a «comprendere, proteggere, sviluppare e partecipare alla governance dell’Artico, in modo da salvaguardare gli interessi comuni di tutti i paesi e la comunità internazionale e promuovere lo sviluppo sostenibile» della regione. Ne consegue un’immagine rassicurante ma parziale della Polar Silk Road. A giudicare dai report comparsi sulla stampa cinese, infatti, gli aspetti militari, sebbene mai espliciti, sono altrettanto fondamentali per comprendere la crescente assertività di Pechino nell’area.

La marina cinese vede nel passaggio a Nordest una scorciatoia per spostare truppe dal Pacifico all’Atlantico, in mancanza di basi militari (la più vicina è a Gibuti, nel Corno d’Africa) da cui tenere a tiro la costa americana con i propri bombardieri e missili balistici intercontinentali. Un sogno vagheggiato da Mao nel 1959 e che l’Unione sovietica di Chruščëv congelò per decenni. Secondo il tabloid nazionalista “Huanqiu Shibao”, se i sottomarini cinesi dotati di armi nucleari riuscissero ad accedere indisturbati al Mar Glaciale Artico, i rapporti di forza con gli States e gli alleati Nato cambierebbero radicalmente rendendo la Cina una “potenza militare mondiale”.

Se la Cina perde la Russia

Consapevole dei suoi limiti geografici, fino a oggi la Cina ha puntato a cementare la propria presenza nello scacchiere polare in partnership con Mosca. Passando dentro la zona economica esclusiva russa, la Rotta del Mare del Nord è in balia delle decisioni del Cremlino in termini di tariffe e accesso alle infrastrutture marittime lungocosta. Soprattutto dopo l’occupazione della Crimea e il crescente isolamento internazionale di Mosca, la Cina è riuscita a sfruttare il proprio ascendente su Mosca per ottenere importanti quote di partecipazione nei principali progetti energetici in Siberia. A partire dal 2016 la statale China National Petroleum Corporation (Sinopec) e il Silk Road Fund hanno affiancato la russa Novatek e l’azienda francese Total nello sviluppo di un giacimento di gas naturale liquefatto nella penisola di Yamal. Società petrolifere statali cinesi stanno lavorando all’ultimazione di Arctic LNG-2 e del giacimento di Payakha, mentre Pechino ha già messo gli occhi sulle infrastrutture di trasporto, vero fiore all’occhiello della Silk Road: secondo un accordo del 2016, la costruzione di un porto d’altura vicino ad Arkhangelsk, sul Mar Bianco, doterà Cosco di un’importante base logistica lungo la rotta a Nordest. E, nonostante sia in fase di stallo da circa vent’anni, la Cina ha espresso interesse anche per la ferrovia di Belkomur, con cui le autorità locali puntano a creare un sistema di trasporto unificato nei territori settentrionali.

Non è solo una questione di business. L’allineamento con la Russia è servito, come in altri frangenti, a sostanziare la postura cinese con una visione strategica di più ampio respiro. Senza Mosca la Cina nell’estremo Nord rimane un intruso, anche piuttosto sgradito. In tempi recenti, nel resto dell’Artide, la Via della Seta Polare ha incontrato notevoli ostacoli, spesso a causa delle preoccupazioni di paesi, come Canada e Svezia, con cui Pechino ha rapporti politici tesi. Gli Stati Uniti non hanno nascosto il proprio disagio per le mire del gigante asiatico sull’industria mineraria in Groenlandia – prima che la vittoria nel 2021 della sinistra ambientalista di Inuit Ataqatigiit sospendesse le attività estrattive.

Cosa succederà adesso? 

C’è chi, guardando al passato recente, pronostica un attivismo anche maggiore del gigante asiatico nel quadrante artico. Secondo gli ottimisti, senza alternative, la Russia sarà costretta a darsi mani e piedi alla Cina: gli yuan sostituiranno i capitali sborsati delle multinazionali europee e giapponesi, continuando a foraggiare i piani artici di Mosca. Non tutti concordano, però. Non solo perché, aldilà della sbandierata pseudo-alleanza, dall’introduzione delle misure punitive le aziende cinesi hanno mostrato una maggiore cautela nel fare affari con l’Orso. Lo dimostra il rallentamento delle attività di Sinopec in Russia, nonché il calo delle importazioni di carbone russo nei primi mesi dell’anno.

Mentre, per alcuni esperti cinesi, la rottura tra gli otto stati membri del Consiglio Artico non comprometterà automaticamente la strategia cinese nella regione, le sanzioni internazionali contro Mosca potrebbero eccome. Soprattutto considerati i divieti (diretti e indiretti) sull’export di tecnologia americana, da cui il progetto di Yamal dipende enormemente.

I risvolti politici non sono meno insidiosi. Per l’Artic Institute Pechino pagherà il prezzo di quella che i vertici Ue hanno definito una “neutralità filorussa”: secondo il think tank con base a Washington, infatti, «è difficile immaginare che gli Stati Uniti, il Canada o i cinque paesi nordici del Consiglio acconsentiranno ad approfondire la cooperazione economica o a integrare la Cina nei forum regionali se [Pechino] continuerà a schierarsi con la Russia». Fattore che potrebbe inficiare di riflesso la “diplomazia omnidirezionale” condotta dal governo comunista con Svezia, Finlandia e Norvegia nei settori aerospaziale, dei cambiamenti climatici e dell’esplorazione scientifica. Ora che – contrariamente alle intenzioni di Putin – la crisi ucraina ha intensificato la cooperazione tra la Nato, Helsinki e Stoccolma, separare la ricerca pacifica dalla sicurezza armata risulta sempre più difficile. Collaborando con Mosca nella regione polare, Pechino rischia di dover rispondere ad accuse che trascendono il presunto supporto militare in Ucraina.

C’è poi un problema più profondo, che riguarda la natura stessa della cooperazione sino-russa. Mosca non ha mai visto di buon occhio lo sconfinamento cinese nel proprio cortile di casa. Anche dopo l’ingresso della Cina nel Consiglio Artico, la partnership polare tra i due giganti ha continuato a risentire della diffidenza che storicamente contraddistingue le relazioni sino-russe. Nel 2020 il direttore dell’Arctic Civic Academy di San Pietroburgo è finito agli arresti per aver passato a Pechino informazioni classificate sulla ricerca idroacustica e il rilevamento di sottomarini. L’invasione russa dell’Ucraina irrompe in una crisi di fiducia che il mancato coordinamento dei rispettivi vertici sul fronte europeo rischia persino di esacerbare.

Le considerazioni economiche aggiungono ulteriori incognite all’equazione polare. Perché se è vero che gli investitori cinesi potrebbero trarre benefici dal ripiegamento dei competitor occidentali dai giacimenti russi, la sostenibilità dei finanziamenti nei combustibili fossili è tutt’altro che scontata. Da quando Pechino ha annunciato l’obiettivo emissioni zero entro il 2060, i prestiti cinesi destinati al comparto energetico lungo la Belt and Road sono crollati verticalmente. Nelle terre dei ghiacci prevarranno i calcoli politici o le valutazioni ambientali?

La politica estera o l’agenda interna?

Cambiano gli equilibri mondiali, ma cambiano soprattutto le priorità cinesi. È il grande limite dell’“amicizia senza limiti” tra Cina e Russia.

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Materia della rete – rete della Materia https://ogzero.org/la-perenne-trasformazione-della-terra/ Tue, 30 Mar 2021 22:48:19 +0000 https://ogzero.org/?p=2764 Geopolitica materialistica Preludio Intelligenza artificiale, Commercio Elettronico, Smart City, Deep Learning, Clouds… sono tra le più diffuse metafore impiegate nel sistema tecnologico. Impalpabili, eteree, quasi spirituali. Come tutte le metafore un po’ illuminano, un po’ nascondono. Come nella lingua del marketing, sottolineano aspettative e oscurano realtà. È più la nebbia che la trasparenza. Se si […]

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Geopolitica materialistica

Preludio

Intelligenza artificiale, Commercio Elettronico, Smart City, Deep Learning, Clouds… sono tra le più diffuse metafore impiegate nel sistema tecnologico. Impalpabili, eteree, quasi spirituali. Come tutte le metafore un po’ illuminano, un po’ nascondono. Come nella lingua del marketing, sottolineano aspettative e oscurano realtà. È più la nebbia che la trasparenza. Se si scende dalla metafora per approssimare una definizione attendibile di ciascuna si precipita in un marasma semantico. Se dico tecnologie digitali, mi viene un’immagine che si smaterializza seduta stante. Un mondo virtuale mi appare alla mente, non il potenziale, il possibile, da secoli suggerito dal greco Aristotele, ma l’incorporeo, l’immateriale, ciò che è sconnesso dalla materia (bruta).

Contribuiscono alla dematerializzazione almeno due processi:

1] la miniaturizzazione incalzante dei dispositivi ha cambiato la nostra percezione in modo tale che la materialità o, se vogliamo, la fisicità, è diventa spettrale e i suoi rapporti col potere si sono eclissati. Questo lo sosteneva già trent’anni fa Donna Haraway [pag. 153].

2] mentre noi siamo sempre più tracciati, osservati, analizzati, resi visibili, visitabili e mercanteggiabili, si va esponenzialmente oscurando la tangibile durezza della nascita, vita e morte dei congegni digitali, degli apparati e delle reti.

È un’operazione quasi magica, meraviglia numinosa, che avvicina la tecnica alla religione o, almeno, al vangelo del nostro tempo.

 

Si può rendere riconoscibile il complesso industrial-digitale in cui siamo immersi?

Materie prime e seconde, forza lavoro (corpi, esistenze), produzione, conflitti, politica, economia.

Nelle righe che seguono, qualche spiraglio.

Dalla Terra

Una cosa buona | è che la roccia | può accucciarsi nel palmo | della mano, e sentire | i segni precari | dell’incisione nettissima, |
taglio, abisso, o quel che | costò anche alla roccia la sua | esistenza, come massa, anelante | concentrazione
Douglas Messerli, 1998 [trad. Federica Santini]

È un ciclo dalle molte ramificazioni.

La tecnologia in genere e quella digitale in modo speciale – Internet e web – praticano una dieta onnivora. Si nutrono di molti tipi di minerali, faticano a farsi bastare la tavola periodica degli elementi.

Qui le metafore scarseggiano. La lingua si fa meno evanescente e allusiva:

3TG [Tin/stagno, Tantalio, Tungsteno, Gold/oro], Conflict resources / Strategic minerals,
CRW [Critical Raw Minerals / Materials-Materie Prime critiche], Terre Rare / REE.

Queste ultime non sono per niente rare, soprattutto in Cina, che ne detiene i due terzi mondiali. Si chiamano così perché in passato si pensava fossero presenti solo in pochissimi minerali. Non ci sono però giacimenti di terre r. perché sono “incastonate” in altri minerali a bassissime concentrazioni. A leggere sulla tavola periodica le canoniche 17 terre r. le diresti battezzate dal principe De Curtis alias Totò: Europio, Gadolinio, Promezio, Tulio, Lutezio, Disprosio, Neodimio, Praseodimio

La perenne trasformazione della Terra

La geopolitica degli elementi: Terre rare

I minerali catalogati come conflict/ strategic/ critical vengono affannosamente ricercati per mezzo dell’esplorazione dei territori, che è il primo passo del ciclo. Spesso si traduce nell’esproprio/acquisto di terre e nell’allontanamento di popolazioni. Non semplice perlustrazione. Scavi, sbancamenti, perforazioni, prospezioni, trivellazioni, deforestazioni. Geologia e imperialismo sono sempre andati a braccetto.

Il secondo passo è l’estrazione, impresa molto più complessa di quanto dica la parola. Si tratta di separare gli elementi tra di loro, che mai si presentano allo stadio puro, ma solo come sottoprodotti. E poi raffinarli. Per farlo si richiedono macchinari ad alta tecnologia o il palmo della mano, oltre a solventi di grande potenza che si trasformano in grandi inquinatori dei suoli e delle falde acquifere. I minerali in questione non sono rinnovabili.

Tutta la Terra è una silicon valley, essendo il silicio l’elemento più diffuso, dopo l’ossigeno, ma in sregolata e inquietante riduzione. Prima di diventare il centro operativo di un computer in forma di chip o di cella solare di un pannello fotovoltaico deve tuttavia subire trattamenti molto diversi fra di loro, impegnativi industrialmente ed economicamente.

Dietro al silicio, alla columbite/tantalite nota come coltan, dietro allo stagno, al litio e alle altre sono incastrate:

  • aziende piccole e multinazionali, che raffinano, producono, assemblano, forniscono, distribuiscono;
  • mercati legali, illegali e così così;
  • persone vive, cioè forza lavoro formale, informale, manageriale, a lavoro coatto, indentured dicono gli anglosassoni, a servitù e paraschiavistica;
  • sfruttamenti estremi e ricchezze smisurate;
  • listini di borsa, banche, criptomonete e fondi finanziari;
  • organizzazioni paramilitari di controllo e organismi di tutela;
  • geopolitica spicciola e altolocata, alleanze insospettabili e venti di guerra, supremazia e sudditanza.

Trump voleva comprarsela la Groenlandia.

Tutte le fasi storiche del capitalismo pressate come un sandwich in mala convivenza.

Materia prima indispensabile

1] Materialità a vista del complesso industrial digitale

 

Cava di silicio

Cava di silicio in Australia

 

La perenne trasformazione della Terra

Minatori indiani esposti alla polvere di silicio a Jamshedpur

 

La perenne trasformazione della Terra

Miniera di terre rare a Bayan Obo, nella Mongolia interna

 

La perenne trasformazione della Terra

Evaporazione litio a Salar de Uyuni, Bolivia

 

Con la Terra

Ho ingoiato una luna fatta d’acciaio | ne parlano come se fosse un’unghia
Ho ingoiato queste acque di scolo industriali, | queste carte di disoccupazione
La gioventù chinata sulle macchine muore prima del suo tempo
Ho ingoiato il trambusto e l’indigenza | ingoiato ponti pedonali, vita coperta di ruggine
Non posso ingoiare altro | E tutto ciò che ho ingoiato | ora rigurgita | dalla mia gola
spandendosi sulla terra dei miei avi | in un ignominioso poema
Xu Lizhi, operaio Foxconn, 2013

Il silicio diventa principe dei semiconduttori (e signore della silicosi), il litio re delle batterie, il tantalio il califfo dei condensatori…

È la perenne trasformazione della Terra. Una alchimia materialistica detta anche hardware- dura materia, alla cui realizzazione partecipa una moltitudine di esseri umani, corpi e vite variamente inquadrate in strutture inventate qualche secolo fa durante la rivoluzione industriale: fabbriche e macchine, che via via si sono adeguate ai tempi.

 

Mercato spasmodico. Ragguardevole conflittualità, presente e soprattutto futura, tra Grandi Potenze e Potenze Intermedie. Servitù delle Potenze Nonpotenze.

Dopo il trattamento, dopo l’assemblaggio dei componenti i dispositivi digitali entrano nella supply chaine – la catena distributiva che impiega tutti i mezzi di trasporto immaginabili, terrestri, aerei, marittimi, che si muovono lungo una rete worldwide/mondiale che arriva puntualmente ovunque, addirittura anche a me. Tutto il trasportato e tutti i trasportanti sono composti da peso, massa, spessore, densità, volume, inclusi i numerosi umani che vi si affaccendano allegri o malinconici.

Materia seconda indispensabile.

2] Materialità a vista del complesso industrial-digitale

 

La perenne trasformazione della Terra

Stabilimenti Foxconn in Cina: assemblaggio apparecchi Apple

 

Intel in Hillsboro (Oregon)

Lavoratori impegnati presso Intel di Hillsboro alla produzione del chip D1D/D1X

 

Cargo Charter Transport

 

Il corriere Arvato, Bertelsmann, Duren

Informazione satellitare della disposizione delle imbarcazioni tra il Mediterraneo orientale, il Mar Rosso, il golfo di Oman e il Golfo Persico il 25 marzo 2021, quando la portacontainer Ever Given bloccava il Canale di Suez

Sulla Terra

Soft è soft perché è malleabile. Un programma, un codice, si può correggere e riscrivere. Come qualsiasi cosa nel nostro universo, è limitato dalle condizioni materiali, cioè dall’hard.

In questa fase del ciclo la materia si esprime soprattutto come materia cerebrale. Nugoli di uomini e donne informaticƏ, ingegnerƏ elettronicƏ, programmatorƏ, hackers … costruiscono, inventano, elaborano, aggiornano i programmi che permettono ai dispositivi digitali di funzionare. Procedimento di scrittura logica, l’algoritmo, fatto di istruzioni e comandi che nel gioco input/output consente a me, che sono un mortivo digitale, di scrivere qui sopra, di cercare un’immagine e tutte le altre cose complicate che non so fare. Grazie alle notti in bianco che programmatorƏ hanno passato per montare il codice. Spesso appartenenti al proletariato cognitivo.

Anche in questa fase, apparentemente del tutto virtuale, c’è invece una miriade di esseri umani, qualche milione, che addestrano gli algoritmi per migliorarne la “intelligenza”. Una manovalanza globale di lavoratrici e lavoratori parcellizzati che svezzano le macchine, cioè i programmi di machine learning, di “intelligenza artificiale” e sue applicazioni. A nutrirli ci pensiamo noi attraverso le nostre quotidiane interazioni con le “piattaforme sociali” oppure le vere e proprie fabbriche di click.

Megaziende, come Amazon Mechanical Turk, materialisticamente ci sguazzano.

Viene chiamato digital labor questo lavoro invisibile in cui la manodopera dispiega la sua energia fisica e mentale. È inutile che intraprenda una lunga variazione quasi una fantasia sul tema, dal momento che sta in libreria il testo imprescindibile per chi abbia interesse a questa articolazione del capitalismo contemporaneo: Schiavi del clic. Perché lavoriamo tutti per il nuovo capitalismo? di Antonio Casilli, Feltrinelli, 2020 [ho presentato, si fa per dire, l’edizione originale in francese qui. Qualche osservazione sparsa qui]

Materia evanescente indispensabile.

3] Materialità a vista del complesso industrial-digitale

 

Click Farms. Centinaia di mobile che scaricano applicazioni per migliorare i loro rankings

 

Click Farms. Virtual Stacks System

Microworkers

 

Microlavori

 

Sopra e sotto la Terra

Siete tutti così intelligenti, così attivi. | Qui è scena muta, è scena | da poco. Si depongono |
le attitudini come chi preferisce | mancare lo scopo e ama solo | i tempi morti.
Nicoletta Bidoia, Scena muta, Dueville, Ronzani, 2020

Internet e il web sono una rete di reti con punti nodali di incrocio, di scambio e di immagazzinamento. Reti locali e transcontinentali. Non esistono solo – ontologicamente, si direbbe in filosofia – nella loro architettura logica e informatica. Esistono materialisticamente come ambienti fisici e fasci di cavi. Per la connettività sono fondamentali gli Internet Exchange Point (IXP), o punti di interscambio, che sono ospitati in una struttura edilizia, con personale, hardware, manutenzione, sono sottoposti a logiche di mercato e strategiche, finanziarie e politiche. Così empiricamente esistenti che si possono individuare su una mappa.

Idem per il Content Delivery Network-CND, rete per la distribuzione dei contenuti, ancora più sottoposta al mercato. Qui la mappa della Akamai Technologies, potente società globale tra le tante.

Eccetera eccetera eccetera…

Per fare un cavo ci vuole la fibra di vetro, tra l’altro, per fare la fibra di vetro ci vuole la silice, per la silice il silicio, ognuno lavorato come si deve, così posso connettermi con ogni luogo del pianeta e godermi film e conoscenze. Se esistono è perché qualcuno li costruisce, i cavi. Un comparto industriale di grandissimo rilievo. Cavocrazia è stata definita: 750.000 chilometri di cavi sottomarini, vulnerabili, sabotabili, spiabili, manipolabili, appetibili, guerreggiabili. Cosa ne pensano i pesci non si sa. Cavo rotto, ciao Internet, come dimostra la solita densa mappa.

Il content che trasmettono sono i dati, che poi toccano terra nei Data Centers depositandosi, megacapannoni industriali che consumano più energia di molte città e più acqua di diverse piscine olimpiche, emissioni di C02 che non so dire. Si conosce invece la smisurata produzione che ne fa la blockchain per gestire le criptovalute.

Attraversando terre e oceani i dati riferiscono che cosa ho scritto su questa pagina, con quali caratteri, i siti consultati, le immagini e i video, da quale luogo scrivo, con che aggeggio, a che ora – si scopre che sono un tiratardi, se leggo l’inglese, quanto tempo impiego ad approfondire un sito, con quale sistema operativo, se ho cliccato o respinto qualche pubblicità, se scrivendo ascolto Brahms o Willie Peyote (l’uno e l’altro)…

Miliardi di dati ogni minuto secondo. Sistema di magazzini sempre sull’orlo della saturazione. Occorre costruirne altri. Ma tutto si surriscalda, non basta l’acqua, mettiamoli al fresco sott’acqua, dice Microsoft, facciamoli al Circolo Polare Artico, dice un altro. Detto fatto.

Nuove Frontiere da raggiungere di corsa e valicare con impeto, come ai bei tempi. La Terra è al servizio dello sviluppo a briglia sciolta del genere umano.

Ed ecco tornare imperativa e bugiarda la metafora con M maiuscola. I dati vivono tra le nuvole, clouds, là dove svolazzano cherubini e serafini, non sulla Terra, sporca e materiale, tanto meno sott’acqua, buia e misteriosa.

In base alla millenaria e ferrea accoppiata Cielo e Terra, Spirito e Materia.

 

Immancabile Mappa dei Data Centers.

Materia cablata indispensabile.

4] Materialità a vista del complesso industrial-digitale

 

Milan internet eXchange – Centro elaborazione dati interno al campus di via Caldera (zona Nordovest – Milano)

 

Prysmian’s HD Power Cable plough (built by Soil Machine Dynamics) on Normandy Beach

 

La perenne trasformazione della Terra

Project Natick (7 luglio 2020), Microsoft riporta in superficie il proprio datacenter subacqueo posato a 35 metri nei fondali di Stromness, Orkney nel 2018.

 

Luleå. Data Center di Facebook in Lapponia

Alla Terra

La discarica gli mostrava senza mezzi termini come finiva il torrente dei rifiuti,
dove sfociavano tutti gli appetiti e le brame, i grevi ripensamenti,
le cose che si desideravano ardentemente e poi non si volevano più
Don DeLillo, Underworld, Torino, Einaudi, 1997 [trad. Delfina Vezzoli]

Come ogni sistema industriale anche quello digitale genera scarti e rifiuti, non c’è da stupirsi, sono parte integrante del ciclo produttivo: dalla Terra alla Terra. Molti autorevoli reports dichiarano che all’anno produciamo globalmente quasi 50 milioni di tonnellate di rifiuti “elettronici”, e-waste. Non so come ricavino questa spaventosa cifra. La prendo provvisoriamente per buona. Da questa più che materialistica realtà si sviluppa un consistente e complesso subsistema industriale molto gerarchico: in cima, tecnologiche aziende del riciclo tirate a lucido, da basso, tecnologie corporee fatte di occhi, mani, braccia, respiro. Come già i minerali all’origine, entrambe in lotta con una materia sempre più amalgamata, difficile da disassemblare e scomporre.

Si progetta un prodotto e lo si pensa già come rifiuto. Non succede solo nel comparto industrial-digitale. I dispositivi appena fanno capolino sul mercato risultano ormai “vecchi”, incalzati dal nuovo prototipo che riscalda i muscoli negli stessi ambienti che hanno partorito il precedente. In gergo si dice obsolescenza programmata che, tradotto, significa che devono guastarsi il più presto possibile, che la riparazione sia antieconomica, che vengano sottoposti all’implacabile ciclo della moda / fashion circle, che subiscano un precoce invecchiamento a causa di una incombente “novità” tecnologica, spesso marginale e superflua. La sostituzione è garantita, lo scarto/scoria anche e il mercato sempre su di giri. Ne parlava già Vance Packard ne I persuasori occulti più di sessant’anni fa.

Come ci insegna la storia della medicina, l’analisi delle feci e delle urine è uno strumento diagnostico autorevole per conoscere lo stato di salute di un organismo. L’analisi dei rifiuti, scorie deriva dal greco skṓr/escrementi, non è tanto benevola e rassicurante verso il nostro sistema produttivo e di vita, presente e futuro.

Materia riciclata fatalmente indispensabile.

5] Materialità a vista del complesso industrial-digitale

Il ricondizionamento di apparecchi elettronici anima il mercato del riciclaggio

 

La perenne trasformazione della Terra

Il piano Dell per il recupero di 900 mila tonnellate di scarti tecnologici

 

A Terra

E non soltanto si pretendeva che la terra, nella sua ricchezza, desse messi e alimenti,
ma si discese nelle sue viscere, e ci si mise a scavare i tesori, stimoli al male

 

Ovidio, Metamorfosi, I, 136/38, [trad. Piero Bernardini Mazzolla]

Estrazione non è un simbolo e capitalismo estrattivo non è una metafora. Estrazione dalla Terra, estrazione dai Dati, estrazione dai Corpi. Materia, Conoscenza, Valore. Il Capitalismo è animista, estrae valore da qualsiasi entità, viva o morta.

Riuscire a pensare assieme risorse, dati, lavoro, soft e hard, non è una perdita di tempo, è una conquista. Si guadagna in profondità e in lungimiranza, in senso del limite e della vulnerabilità. Digitale e Media come estensione della Terra e non del soggetto umano (McLuhan).

Questo è il materialismo che mi ha proposto Jussi Parikka [A Geology of Media, Minneapolis, University of Minnesota Press, 2015].

Pacchetto di documentazione:

Per approfondire, qualche suggerimento bibliografico minimale:

in generale

-L. Parks, N. Starosielski [ed.], Signal Traffic. Critical Studies of Media Infrastructures, Illinois Un. Press, 2015

sull’uso delle metafore:

M. Lindh,and J.M.Nolin, GAFA speaks: metaphors in the promotion of cloud technology, “Journal of Documentation”, 2017

geologia e imperialismo:

A (Partial) Reading List of Papers & Perspectives Relevant to Geology & Colonialism, 2020

S. Popperl, Terra Infirma – Dead Sea Sinkholes – A Photo Essay, “Middle East Research and Information Project”, n. 26 (autunno 2020)

minerali critici, Terre Rare…:

Terre rare. Il “nuovo oro” onnipresente e insostituibile;

– G. Pitron, La guerra dei metalli rari. Il lato oscuro della transizione energetica e digitale, Luiss Un. Press, 2019

– D. S. Abraham, The Elements of Power. Gadgets, Guns, and the Struggle for a Sustainable Future in the Rare Metal Age, Yale Un. Press, 2015

– S. Kalantzakos, The Race for Critical Minerals in an Era of Geopolitical Realignments, 2020;
– J. M. Klinger, Rare Earth Frontiers. From Terrestrial Subsoils to Lunar Landscapes,  Ithaca, Cornell Un.Press, 2017

– M. Hall, A new Cold War: mining geopolitics in the Arctic Circle, “Mine”, November 2020
The Geopolitics of Semiconductors, Eurasia Group, September 2020

digital labor:

Oltre al fondamentale testo di A. Casilli citato nel testo:

– U. Huws, Labor in the Global Digital Economy. The Cybertariat Comes of Age, New York Un., 2014;

L’enigma del valore. Il digital Labour e la nuova rivoluzione tecnologica, Effimera, 2019

– M. Gregg and R. Andrijasevic, Virtually Absent: the gendered histories and economies of digital labour, “Feminist Review”, 2019

– A. Gillwald, O. Mothobi, A. Schoentgen, What is the state of microwork in Africa? A view from seven countries, 2017

IXP, cavi, clouds:

– Joerg Bonarius, Internet Exchange Point (IXP) Traffic Continues to Grow, “Extreme”, 2020

Best Content Delivery Network (CDN) Software, 2021

– Nicole Starosielski, The Undersea Network, Duke Un. Press, 2015

– Adam Satariano, How the Internet Travels Across Oceans, “New York Times“, 2019

Doug Brake, Submarine Cables: Critical Infrastructure for Global Communications, 11 marzo, 2019

I cavi sottomarini: infrastruttura chiave per internet e la sicurezza dei dati, “BizDigital”, gennaio 2021

– Jianyin Roachell, Cloud Colonialism: How the U.S. and China are “dual-using” the Cloud for Geopolitical Competition, “China&US Focus”, 20 novembre 2020

rifiuti, e-waste:

The Global E-Waste Monitor, 2020,

Electronic Waste and the Circular Economy Contents, Parliament UK, 2020

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