Yuri Andropov Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/yuri-andropov/ geopolitica etc Mon, 16 Aug 2021 08:51:28 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 1991, allarme a Mosca: da nomenklatura sovietica a oligarchia russa https://ogzero.org/30-anni-fa-in-unione-sovietica-il-putsch-agostano/ Mon, 16 Aug 2021 08:51:28 +0000 https://ogzero.org/?p=4462 Il 13 agosto 1961 a Berlino veniva eretto un muro 60 anni fa il cui crollo avrebbe frantumato l’impero sovietico 30 anni dopo, il 19 agosto 1991. Attorno a quel muro costruito in un giorno si crearono i più appassionanti plot spionistici (Checkpoint Charlie era un luogo topico, abitato da spie nei film e nella […]

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Il 13 agosto 1961 a Berlino veniva eretto un muro 60 anni fa il cui crollo avrebbe frantumato l’impero sovietico 30 anni dopo, il 19 agosto 1991. Attorno a quel muro costruito in un giorno si crearono i più appassionanti plot spionistici (Checkpoint Charlie era un luogo topico, abitato da spie nei film e nella realtà); la contrapposizione del 1961 non lasciava certo presagire la fine dell’Unione Sovietica, sancita 30 anni fa da un Putsch agostano non del tutto trasparente allora, in epoca di perestrojka, negli intenti, nell’abilità e nella scarsa determinazione dei protagonisti.

In appendice dello studio che vede impegnato Yurii Colombo ad analizzare la storia dei servizi segreti russi, ci propone questa ricostruzione senza dare spazio a dietrologie complottiste: è sufficiente riandare all’atmosfera della primavera 1991 per trovare le spiegazioni e i prodromi di quello Stato di emergenza che pose fine all’era di Gorbaciov. Ma alla fine della rievocazione nell’anniversario troviamo immarcescibile la stessa oligarchia che esercita il potere in Russia da sempre, il medesimo blocco sociale cementato anche nel putinismo.


Il Kgb nel 1985 e i primi malumori antigorbacioviani

Quando Michail Gorbaciov fu eletto segretario generale del Partito comunista dell’Urss nel 1985, il Kgb era una struttura imponente. Secondo i dati forniti da Vladimir Krjuckov, l’ultimo suo presidente prima del crollo dell’Urss, si trattava di un apparato di spionaggio che contava circa 490.000 membri (220.000 guardie di frontiera e 60.000 agenti effettivi). A dar fede ai dati ufficiali della Cia sui propri agenti (senza considerare quelli dell’Fbi), tre volte tanti gli agenti americani.

Se il nuovo leader sovietico inizialmente fu accettato supinamente e senza tanti problemi dalle strutture della “forza” del paese (anche se il complesso militar-industriale avrebbe preferito l’elezione di Grigory Romanov, il potente segretario del partito di Leningrado) via via che la sua strategia di smantellamento dell’Urss e il suo atteggiamento conciliante con l’Occidente presero forma, crebbero i malumori sia nella gerarchia del partito, sia nella struttura degli organi di sicurezza. Questi erano dirigenti non solo formati all’idea di un’Unione Sovietica potente e temuta, ma soprattutto si trattava di uomini cresciuti all’ombra di Yuri Andropov, il quale aveva promosso ai vertici della struttura della sicurezza uomini della provincia, lontani dal clima di corruzione e lassismo che si era iniziato a respirare a Mosca sin dalla seconda metà degli anni Sessanta quando la burocrazia iniziava ad assaporare, senza più vergognarsene, i propri privilegi.

Domande in sospeso

Di questa filiera faceva parte anche Kravcjuk, classe 1924 e nato nella mitica Stalingrado; si era formato negli anni della riforma kruscioviana ed era stato portato al vertice del Kgb proprio da Gorbaciov nel 1988. Sarà proprio lui una delle pedine chiave dell’organizzazione del famoso “Putsch d’agosto” che terrà con il fiato sospeso tutto il mondo tra il 18 e il 21 agosto 1991.

Il goffo e per certi versi comico tentativo di porre fine al regime gorbacioviano, ha provocato nei decenni molte perplessità e provocato illazioni. Ci si è posti soprattutto molti interrogativi sulle effettive capacità del «Comitato statale per lo stato di emergenza» (così si definì ufficialmente il gruppo che si mise alla testa del fallito golpe): perché i “congiurati” si decisero a un passo così drammatico? Perché Eltsin non fu arrestato, lasciandogli la possibilità di organizzare la resistenza a Mosca? Perché i reparti speciali “Alfa” dei servizi segreti non entrarono in azione per stroncare le manifestazioni di protesta? Sono domande a cui oggi, a 30 anni di distanza, è possibile dare una risposta senza ricorrere a dietrologie “cospirazioniste”. Ma per far ciò sarà necessario tornare alla primavera del 1991.

L’atmosfera dell’epoca

Dualismo e misure emergenziali

Il 17 marzo 1991 con il referendum per il mantenimento di un’“Urss riformata” Gorbaciov aveva messo a segno forse l’unico vero successo della sua breve carriera politica. Oltre il 70% degli elettori sovietici delle repubbliche dove si tenne il plebiscito (non vi parteciparono i paesi baltici, Armenia, Georgia e Moldavia perché già sulla via della secessione) si dichiararono d’accordo a mantenere l’Unione. Divenne però presto evidente che si trattava solo di una mezza vittoria per il presidente dell’Urss, perché Boris Eltsin si stava preparando a vincere le elezioni della presidenza della Federazione russa della primavera e a svuotare dall’interno il governo centrale, avocando a sé il potere della Banca centrale di Mosca e avviando lo smembramento del sistema fiscale federale.

Eltsin durante la campagna elettorale del 1991

Fu in quel momento che quella serie di dirigenti sovietici rimasti fino ad allora, seppur con qualche mal di pancia, fedeli servitori della perestrojka iniziarono ad accarezzare l’idea di introdurre lo stato di emergenza e mettere fine al dualismo di poteri Gorbaciov/Eltsin. I documenti e la memorialistica pubblicate in Russia in questi ultimi 20 anni sono pressoché unanimi nel sostenere che una tale eventualità era stata valutata anche dallo stesso segretario generale. Proprio Vladimir Krjuckov, uno dei principali “congiurati dei Torbidi”, ha dichiarato in seguito che Gorbaciov giunse a dirgli qualche mese prima e senza mezzi termini:

«Prepara i documenti per l’introduzione dello stato di emergenza. Lo introdurremo, perché tutto questo non è più sopportabile!»

Vladimir Krjuckov

Che questi umori circolassero al Cremlino è stato confermato anche dall’allora premier Valentin Pavlov:

«Nel 1991 dopo gli scioperi dei minatori… divennero un’urgente necessità le misure di emergenza. La loro introduzione fu studiata da tre gruppi di specialisti sotto la supervisione generale e la direzione di Gorbaciov».

Voci premonitrici

In realtà anche in quel frangente, l’ultimo segretario del Pcus, come spesso gli era successo nei suoi 6 anni di governo, era incerto sul da farsi.  

Fu in questo quadro che nella prima settimana del luglio del 1991 Krjuckov ricevette nella sua dacia fuori Mosca l’ex capo dei servizi segreti militari italiani, l’ammiraglio Fulvio Martini, e in una conversazione riservata sostenne che l’istituzione di un governo forte in Urss, non importa se guidato da Gorbaciov o meno, stesse diventando inevitabile. Martini immediatamente informò il proprio governo di quanto bolliva in pentola a Mosca e quindi quanto poi avvenne non fu un fulmine al cielo sereno come – poi si volle far credere – per i governi occidentali e per la Nato.

Gran parte dell’entourage di Gorbaciov già allora era giunto alla conclusione che l’idea del Segretario generale di poter diventare l’ago della bilancia tra le Repubbliche nella nuova “Urss riformata” fosse un’illusione e si mise decisamente sulla strada del golpe, una strada che si rivelò però ancora più disastrosa della resistenza passiva del loro capo, facilitando così il compito di Eltsin.

Protagonisti: i vertici delle istituzioni e loro reali intenti

Oltre che sul Kgb il comitato golpista poteva contare su centri di potere estesi: dalla sua parte erano schierati il ministro degli Interni Boris Pugo e quello della difesa il maresciallo Dmitrij Jazov, e last but not least il capo del complesso militar-industriale Oleg Baklanov. L’obiettivo del “Comitato” non era “neostalinista”, come un certo giornalismo internazionale sostenne allora. I suoi protagonisti avevano digerito ben bene il XX Congresso e Krjuckov nella sua autobiografia si è dichiarato perfino sostenitore, seppur tiepido, della Primavera di Praga. Il loro obiettivo era piuttosto quello di realizzare una “Tienanmen russa” per poter poi rilanciare le riforme di mercato sotto la direzione del partito e dello stato centrale. Si trattava in primo luogo di un tentativo di formare un “blocco d’ordine”: sempre nelle sue memorie Krjuckov ha ricordato che egli stesso in quanto capo dei servizi segreti insieme a vari membri del Comitato centrale del partito avevano stretto relazioni, già da qualche mese prima del putsch, con il leader dell’ascendente partito nazionalista e di estrema destra Vladimir Zirinovskij che si era dimostrato interessato all’idea di “stabilizzare” il paese.

I veri registi politici dell’operazione erano il vicepresidente dell’Urss, Gennady Janaev e soprattutto il primo ministro Valentin Pavlov che lavorava a costruire un asse con l’Europa. L’allora capo del Kgb ha anche ricordate che:

«Pavlov ci aveva relazionato sul suo viaggio in un certo numero di paesi dell’Europa occidentale. A suo parere, i paesi europei erano pronti a sviluppare un’ampia cooperazione commerciale ed economica con l’Unione Sovietica… Gorbaciov, tuttavia, aderì ostinatamente a un percorso di sviluppo prioritario delle relazioni con gli Stati Uniti. Si nutriva chiaramente di illusioni sugli Stati Uniti e credeva (in realtà solo lo sosteneva) che solo la direzione americana avrebbe potuto risolvere la maggior parte dei nostri problemi economici…».

Gennady Janaev

Valentin Pavlov

Dilettanti apicali allo sbaraglio

I golpisti quindi si illudevano persino di poter trovare se non sostegno almeno indulgenza nel Vecchio Continente in chiave antiamericana.

Non è un caso che nella conferenza stampa in cui venne annunciata la rimozione del Segretario generale e l’introduzione del coprifuoco, il comitato di “salute pubblica” promise di sostenere anche nel futuro l’iniziativa economica privata in Urss e chiese perfino comprensione da parte dell’Onu.

Quel grado di dilettantismo che dimostrarono non arrestando Eltsin appena rientrato da Alma Ata la sera del 18 agosto, fu un’ulteriore conferma di quanto il loro non fosse un progetto razionale ma una confusa avventura destinata al fallimento. Invece di volerlo arrestare in realtà il gruppo dei “congiurati” era interessato paradossalmente a trattare con Eltsin e il premier Pavlov proprio il 18 agosto iniziò ad avere febbre e pressione alta, una malattia diplomatica che tolse quel poco di testa politica al gruppo dei golpisti.

Ecco come riassunse Krjuckov quello che avvenne: «Non appena Eltsin lasciò Arkhangelskoye e divenne chiaro che a causa della malattia di Pavlov, l’incontro tra noi e lui non avrebbe avuto luogo, l’intera guardia del comitato che lo controllava, incluso il gruppo “Alpha”, fu rimossa. Questo è quanto avvenne. Certo, non sarebbe stato un problema trattenere Eltsin, accompagnarlo, come alcuni sostenevano, in un altro luogo, impedire il suo trasferimento a Mosca e in generale fare qualsiasi cosa. Ma non c’erano tali intenzioni, e qualsiasi ipotesi da questo punto di vista fu pura illazione al fine di presentare il Comitato di emergenza statale come una sorta di mostro, pronto a commettere qualsiasi atrocità».

Il “Comitato di salute pubblica” quindi non era neppure pronto a mettere agli arresti domiciliari il principale capo dell’opposizione del paese! E tanto meno era pronto al massacro di chi tra il 19 e il 21 agosto andò sulle barricate; tanto è vero che i pochi morti degli scontri di piazza furono più frutto del caso che della volontà repressiva dei reparti dell’esercito mobilitati nella capitale.

La completa afasia del Kgb e dell’esercito è dimostrata dal fatto che la situazione era completamente fluida e per certi versi meno complicata di quella che i dirigenti cinesi avevano dovuto affrontare a Pechino l’anno prima. La descrizione che Krjuckov fa della situazione delle “forze in campo” in quei 3 giorni è sufficientemente realistica:

«Le informazioni provenienti dalle regioni in quel momento erano incoraggianti. L’appello a scioperare e organizzare manifestazioni non trovava sostegno. Durante il 19 e 20 agosto, in tutta l’Unione Sovietica su una popolazione di quasi 300 milioni di persone, non più di 150-160.000 presero parte a scioperi e manifestazioni… Il 20 agosto si svolse a Leningrado la manifestazione più grande, a cui parteciparono circa 50.000 persone… Il giorno prima, il 19 agosto, Eltsin aveva pronunciato il famoso discorso che fu pubblicizzato in tutto il mondo da un carro armato vicino alla Casa Bianca [sede del governo russo N. d. R.]. Egli condannò il “Comitato di emergenza”, chiamò alla resistenza per la difesa della Casa Bianca anche se nessuno lo avrebbe attaccato. In momenti diversi si riunirono per difendere la Casa Bianca dalle 3-4000 alle 30-35.000 persone, ma non tutte erano persone che sostenevano attivamente la leadership russa, c’era tanta gente che si era recata lì solo per curiosità».

Krjuckov ammette anche che pure i sostenitori del colpo di stato si dimostrarono passivi, mentre la stragrande maggioranza dei sovietici restava incollata davanti alla Tv in attesa di capire come sarebbe finita.

«Indipendentemente da ciò che è stato detto in seguito – ricorda ancora l’allora capo del Kgb – il Comitato di emergenza statale non esortò i suoi sostenitori a scendere in piazza e, se necessario, a difendere con la forza il regime sovietico. Le organizzazioni locali del Pcus erano in generale confuse, la maggior parte dei comunisti era in uno stato di completa e schiacciante inerzia».

Barricate nell’agosto 1991

Il golpe andò così sgonfiandosi da solo mentre parte dell’esercito decideva di passare con Eltsin, oppure semplicemente restò chiuso nelle caserme in attesa che la situazione si chiarisse. Kravjuck mentre il “Comitato” si sfasciava, tentò persino la carta della mediazione con Eltsin:

«La notte del 21 agosto – testimoniò in seguito Kravcjuk – ebbi due o tre conversazioni con Eltsin. Gli dissi che non prevedevo di dare l’assalto alla Casa Bianca. Le conversazioni erano abbastanza tranquille. Non sentivo in lui alcuna irritazione. Inoltre, Eltsin mi disse che dovevamo cercare una via d’uscita dalla situazione che si era creata, e sarebbe stato bene per lui, poter volare con me a Foros per vedere Gorbaciov».

La resa

La mattina del 21 i golpisti ormai completamente demoralizzati volarono da Gorbaciov in Crimea e si arresero. Il vice di Gorbaciov, Janaev, al momento di essere arrestato nel suo ufficio a Mosca, fu trovato completamente ubriaco.

In realtà Krujckov al momento di entrare a far parte del “Comitato” si era consultato solo con un ristretto gruppo di collaboratori pensando che la catena di comando avrebbe comunque funzionato, in caso di necessità.

«Il “Gruppo “Alpha” – ha testimoniato un funzionario del Kgb di allora a cui era stato assegnato il compito di intraprendere una qualsiasi azione di forza nel caso fosse stato necessario – era pronto per l’operazione di internamento di Eltsin. Mio Dio, però non si sarebbe trattato di ucciderlo, come per esempio Salvador Allende in Cile. Tuttavia Krjuckov non diede neppure l’ordine al comandante del gruppo “Alpha” Karpuchin di agire, e i soldati delle forze speciali restarono sedute lì al loro posto, senza far nulla».

Il corpo delle forze speciali “Alpha”.

Il solito blocco sociale di potere: oligarchia putiniana

Ciò che i putschisti desideravano difendere più di ogni altra cosa, era la posizione economica dei gruppi di interesse che rappresentavano, i servizi di sicurezza, le industrie e l’agricoltura pubblica; ma quel blocco di interessi non poteva che essere sconfitto perché buona parte della nomenklatura aveva da tempo smesso di sostenere le strutture di partito e dello stato: pretendeva a questo punto di diventare proprietaria delle ricchezze del paese grazie alle privatizzazioni, osservando con neutralità come sarebbe finita la contesa politica interna. Ci vorrà un decennio e l’ascesa di Putin perché quel grumo di interessi rappresentato dai golpisti tornasse in auge e riuscisse a cementare un nuovo blocco sociale di potere. Krjuckov e gli altri congiurati, verranno arrestati e resteranno alcuni anni in galera mentre il Kgb, in quanto agenzia ormai solo russa, negli anni Novanta passerà attraverso un doloroso periodo di ristrutturazione e ridefinizione dei propri compiti.

 

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Lotte armate: il rapporto (freddo) tra il Kgb e gli “anni di piombo” https://ogzero.org/lotte-armate-e-kgb-negli-anni-di-piombo/ Mon, 07 Jun 2021 21:07:03 +0000 https://ogzero.org/?p=3773 La quarta puntata della serie dedicata da Yurii Colombo ai servizi di intelligence russi si incentra sul rapporto tra le lotte armate nel mondo e il Kgb nei cosiddetti “anni di piombo”. Anche per questo contributo è prevista una diretta streaming di approfondimento dei contenuti; in autunno, una pubblicazione in cui confluiranno testi inediti a […]

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La quarta puntata della serie dedicata da Yurii Colombo ai servizi di intelligence russi si incentra sul rapporto tra le lotte armate nel mondo e il Kgb nei cosiddetti “anni di piombo”. Anche per questo contributo è prevista una diretta streaming di approfondimento dei contenuti; in autunno, una pubblicazione in cui confluiranno testi inediti a cura dell’autore a completamento delle analisi proposte nel nostro sito in questi mesi. Presto tutti i dettagli.


Raf, Ira, Fplp

In molti si sono esercitati nel compito di verificare se tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta ci furono delle relazioni tra organizzazioni europee dell’estrema sinistra che praticavano la lotta armata e il Kgb; o addirittura potessero essere state eterodirette o controllate. Il materiale su cui tentare di capire cosa sia successo realmente resta però assai limitato se si vuole evitare ogni tipo di dietrologia o di operare solo su ipotesi fantasiose. Credibili, in buona parte, sono i materiali raccolti nel cosiddetto Archivio Mitrokhin, gli archivi della Stasi che sono stati resi disponibili da qualche anno e ben poco altro. Per quanto riguarda gli archivi sovietici, invece, questi restano ancora oggi in buona parte non disponibili ai ricercatori.

Su queste basi e su parte della memorialistica in circolazione è possibile sicuramente sostenere che per quanto riguarda la Raf tedesca (Rote Armee Fraktion, ai più conosciuta come banda Baader-Meinhof), il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (Fplp) di George Habash (sostanzialmente l’ala marxista dell’Olp negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso) e varie organizzazioni rivoluzionarie irlandesi che praticavano il terrorismo in Gran Bretagna ci furono rapporti con i servizi sovietici – per certi significativi – ma non furono comunque mai eterodirette o controllate dal Kgb.

Né col Sessantotto, né con le BR

Per quanto riguarda le Brigate Rosse o altri gruppi italiani che praticarono la guerriglia allo stato dell’arte non si può che confermare le tesi del principale dirigente delle BR nella fase di più ampio sviluppo dell’organizzazione, Mario Moretti, che ha sempre negato qualsiasi relazione con il Kgb o comunque con servizi dei paesi dell’Est Europa.

I limitati o inesistenti rapporti tra Urss e formazioni di estrema sinistra italiana che praticavano la lotta armata avevano del resto prima di tutto un fondamento politico. Gruppi come le Brigate rosse e affini in Europa erano sorti sul mito del “foco” guerrigliero latinoamericano che era stato contrastato nettamente dai partiti comunisti sudamericani legati a Mosca da sempre su posizioni moderate (al punto di giungere in Argentina perfino a sostenere la Giunta Videla). La simpatia dei gruppi della lotta armata europea andava in primo luogo piuttosto verso il maoismo, malgrado la freddezza di Pechino per qualsiasi ipotesi di lotta armata. Tale diffidenza era condivisa da Mosca che vedeva oltretutto questi gruppi come un ricettacolo di ribelli, omosessuali e tossicodipendenti sorti sostanzialmente sull’onda della controcultura e in seguito al Sessantotto.

Tuttavia soprattutto nella fase in cui alla testa del Kgb si trovò Yuri Andropov, dei rapporti effettivamente ci furono in particolar modo con i palestinesi e gli irlandesi e, in misura minore, con i tedeschi.

Palestina libera, Palestina rosso-bruna

Il principale agente operativo sovietico nel movimento palestinese a partire dal 1968-1969 fu Wadi Haddad, che era il vice di Habash e si occupava in primo luogo di azioni di diversione in Europa. Tutti i tre dirottamenti aerei organizzati dal Fplp nel 1970 furono realizzati sotto la direzione del Kgb secondo l’ex agente Mitrokhin, una rivelazione confermata anche dal dissidente Vladimir Bukovskij, nel suo documentatissimo Gli archivi segreti di Mosca. L’autorizzazione a sostenere Haddad, documentata da una serie di minute, fu data ad Andropov direttamente dal segretario del Pcus Leonid Breznev, che diede persino l’approvazione a realizzare per mezzo del Fplp il rapimento del vice ambasciatore americano in Libano dell’epoca. Furono consegnate all’uopo dal Kgb ai palestinesi 5 lanciagranate anticarro portatili Rpg-7, 50 pistole di produzione tedesco occidentale e 5000 munizioni; 50 mitragliatrici MG-21, 5 mitragliatori automatici Sterling di fabbricazione britannica, 50 fucili automatici americani AR-16 e 5 mine oltre che una limitata quantità di danaro.

L’operazione non andò poi in porto, ma ovviamente i palestinesi si tennero armi e soldi.

 

Tripoli 1977: Yasser Arafat, Muammar Gaddafi, Nayef Hawatmeh e George Habash.

You may bill the revolutionary, but never the Revolution

Andropov si dimostrò disponibile anche a dare una mano al movimento irlandese nell’Ulster. Il 6 novembre 1969 il segretario generale del Partito comunista irlandese, Michael O’Riordan, si fece latore all’allora capo del Kgb di una richiesta diretta di armi proveniente da Seamus Costello che dirigeva l’ala marxista dell’Irish Republican Army (Ira) che poi darà vita all’Ira Officials. L’operazione aveva un aspetto politico di lotta interna all’Ira dove i marxisti ortodossi sostenevano che i futuri e più celebri Provisionals non sarebbero stati in grado di condurre la lotta armata e la ribellione dell’Irlanda del Nord in modo coerente e alle sue estreme conseguenze rivoluzionarie. Dopo molti tentennamenti, nel 1972, Andropov decise di iniziare a consegnare agli Officials partite di armi. Secondo quanto riportato da Mitrokhin, «il 21 agosto 1972, Andropov presentò i dettagli del piano Splash al Comitato Centrale del Pcus, ovvero il piano per l’operazione di una spedizione di armi agli amici irlandesi», che prevedeva la consegna da parte dei servizi russi di armi all’Ira Officials, che Mosca considerava ancora sufficientemente marxista, nella prospettiva di una scissione dell’Ira che avverrà alla fine di quell’anno. Dopo l’approvazione del Partito, i cosiddetti “specialisti tecnici” del Kgb assemblarono una spedizione composta da due mitragliatrici, 70 fucili automatici, 10 pistole Walther, 41.600 cartucce, tutte di fabbricazione non sovietica. Inoltre, le pistole Walther sono state lubrificate con olio della Germania occidentale mentre gli imballaggi sono stati raccolti da diversi punti del mondo dagli agenti del Kgb.

«Mosca non voleva che le armi venissero rintracciate come proprie nel caso fossero cadute nelle mani delle forze di sicurezza britanniche», ha raccontato Mitrokhin.

Diverse ulteriori spedizioni di armi sovietiche all’Ira Official vennero fatte via mare, probabilmente fino alla fine degli anni Settanta quando i Provisionals ebbero infine la meglio nella lotta per l’egemonia nel movimento nordirlandese.

Della Stasi era il proiettile

Il rapporto tra Kgb e Raf fu invece assai più indiretto e si realizzò essenzialmente attraverso la Stasi. Sicuramente i vertici “benedirono” le relazioni dei servizi tedesco-orientali con la Raf, e avendo dei database informativi comuni con tutti gli altri servizi del Patto di Varsavia i russi erano sicuramente a conoscenza di quanto succedeva in Germania, tuttavia restarono comunque “freddi” con la guerriglia tedesca di estrema sinistra. Alla base c’era una riluttanza dei sovietici a sviluppare relazioni con un gruppo che comunque era sorto a partire da tesi vagamente marcusiane della Raf che consideravano la classe operaia tradizionale occidentale “imborghesita” e incapace di giocare un ruolo politico rivoluzionario, una tesi che per cultura politica era estremamente lontana dall’approccio del Cremlino.

I rapporti tra Stasi e Raf si svilupparono essenzialmente dopo la catastrofe del 1977 quando tutto il gruppo dirigente del gruppo armato trovò la morte nel carcere di Stammheim e in seguito varie azioni armate non andarono a buon fine.

Grazie ai servizi tedeschi di Berlino Est negli anni Ottanta la Raf fu in grado di avere una certa ripresa organizzativa anche se in un quadro politico per possibilità di reclutamento e sviluppo dell’attività armata ormai ridotto al lumicino dopo il riflusso dei movimenti giovanili degli anni precedenti in Europa.

Come ha riportato Mitrokhin comunque la Raf fu in grado prima di spegnersi di realizzare «nell’agosto 1981 un attentato con un’autobomba al quartier generale europeo dell’aviazione americana a Ramstein, nella Germania occidentale in cui restarono ferite diciassette persone; un mese dopo, i terroristi della Raf effettuarono un attacco missilistico senza successo a Heidelberg contro l’auto del generale Frederick Kroesen».

L’attentato a Ramstein nel 1981.

Durante il biennio 1984-85, la Raf tentò anche di far saltare in aria la scuola della Nato a Oberammergau, bombardò la base aerea americana di Francoforte e attaccò i soldati americani a Wiesbaden. La Stasi fu complice nell’attentato dei rivoluzionari tedesco-occidentali alla discoteca La Belle di Berlino Ovest, favorendo il trasporto degli esplosivi che uccisero un sergente americano e una donna turca e ferirono 230 persone, tra cui una cinquantina di militari statunitensi.

La dietrologia del Pci rivoltata contro se stessa

Per quanto riguarda le Brigate rosse, non sono mai state portate prove o indizi significativi di loro rapporti né con i servizi cecoslovacchi (di cui tanto si parlò a un certo punto) né con la Stasi né tanto meno con il Kgb. Durante la commissione parlamentare di inchiesta ad hoc che si formò non emerse di fatto nulla. La commissione lavorò essenzialmente sull’archivio Mitrokhin nella sua interezza (circa 6 casse di materiali) e sulla base di audizioni, ma le informazioni che riuscì a produrre furono assai scarse: non venne alla luce più di quanto si sapesse e cioè che probabilmente tra gruppi armati europei si parlò e si era a conoscenza di alcune relazioni di alcuni di essi con i sovietici; ma per quanto si è potuto appurare fino a oggi, le BR non ebbero alcun rapporto con servizi orientali. Recentemente l’ex presidente di quella commissione Paolo Guzzanti ha sostenuto che in Ungheria ci sarebbero le prove dei rapporti tra Urss e Brigate rosse ma l’ex deputato berlusconiano non è riuscito a produrre o a farsi consegnare alcun documento a Budapest che provasse le “relazioni pericolose”.

Inoltre Antonio Selvatici ha pubblicato un libro (Chi spiava i terroristi. KGB, STASI – BR, RAF. I documenti negli archivi dei servizi segreti dell’Europa «comunista») che prometteva molto dal titolo ma è risultato assai deludente. Anzi ciò che emerge dal libro è tutto il contrario di quello che si vorrebbe provare, ovvero lo stretto legame politico ed economico che il Pci mantenne con Mosca fino al 1991, il quale a tutto era interessato meno che allo sviluppo delle formazioni armate in Italia.

Berlinguer incontra Breznev nel 1973.

Che l’approccio del Pci fosse del resto ben poco accondiscendente verso la lotta armata anche sotterraneamente lo intendevano anche i brigatisti stessi. In un ampio documento di bilancio storico della loro attività, appena pubblicato da alcuni militanti delle BR, si afferma che «già alla metà degli anni Settanta il “nucleo storico” era giunto alla conclusione che “l’intera area socialimperialista”, cioè l’Urss e i suoi alleati – e i paesi non allineati –, fosse contraria allo sviluppo sul teatro europeo di un processo rivoluzionario armato che mettesse in discussione l’equilibrio tra i due blocchi» ed evidentemente non potesse aspettarsi aiuti particolari dall’Est europeo. Ciò è confermato dall’atteggiamento completamente passivo che il Kgb ebbe durante il periodo del rapimento Moro nel 1978. Sembra che Giorgio Amendola fosse preoccupato in quel periodo che potessero emergere relazioni tra BR e servizi cecoslovacchi ma anche qui non emerse mai niente di consistente.

Ciò che era noto a tutti invece è che esisteva una fronda “filosovietica” nel Pci guidata da Armando Cossutta e sostenuta in parte dal quotidiano “Paese Sera” che come emerge dall’archivio Mitrokhin, anche attraverso il Kgb, riceveva del denaro da Mosca.

All’atto pratico però si trattò sempre di “spiccioli”: 700.000 dollari nel 1985, 600.000 dollari nel 1986 e 630.000 dollari nel 1987. La corrente berlingueriana malgrado si lamentasse di possibili interferenze del Kgb e di altri servizi segreti orientali nella sua attività (come per quanto riguarda il caso del presunto attentato a Enrico Berlinguer a Sofia nel 1973 da parte dei servizi bulgari), in realtà anche dopo la propria adesione alla Nato e la denuncia del golpe in Polonia del 1981 mantenne stretti legami con Mosca, ben più importanti di quelli che poteva vantare la corrente Cossutta.

Nel 1983 in uno dei pochi documenti affiorati dagli archivi sovietici nei primissimi anni Novanta emerge che il Pci, malgrado le divergenze con Mosca, continuava a ricevere soldi dai russi a profusione: «Richiesta degli amici italiani. Incaricare il Ministero per il commercio estero (compagno [Nikolaj] Patolicev) di vendere alla ditta Interexpo (presidente, compagno L.[uigi] Remigio), sulla base commerciale abituale, 600mila tonnellate di petrolio e 150mila tonnellate di carburante diesel a condizioni di favore tali che, abbassando il prezzo dell’1% circa e dilazionando il pagamento di tre-quattro mesi, i nostri amici possano ricavare da questa operazione commerciale attorno ai 4 milioni di dollari», è scritto in un documento del Comitato centrale del Pcus reso pubblico una ventina di anni fa. Insomma se qualcuno fu aiutato in Italia dall’Urss fu chi, come il Pci, combatté strenuamente il brigatismo e non il contrario. A volte la dietrologia può fare veramente brutti scherzi.

Se interesse ci fu in Italia da parte del Kgb, fu soprattutto in relazione al ruolo che avrebbe potuto giocare – e che giocò – la Chiesa cattolica dopo l’elezione di Giovanni Paolo II a papa nel tentare di destabilizzare la situazione nei paesi socialisti e non solo in Polonia ma anche nelle zone sovietiche a maggior insediamento cattolico come l’Ucraina, la Bielorussia e la Lituania.

Giovanni Paolo II in visita in Lituania, sulla Collina delle Croci, nel 1993.

 

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