Trattato di Le Touquet Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/trattato-di-le-touquet/ geopolitica etc Tue, 12 Apr 2022 21:58:18 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 n. 18 – Tra monti e boschi alpini. La frontiera che uccide (I) https://ogzero.org/la-frontiera-che-uccide-tra-monti-e-boschi-alpini/ Wed, 16 Mar 2022 12:40:27 +0000 https://ogzero.org/?p=6761 Movimenti secondari dei flussi migratori si riscontrano, oltre che tra Francia e Inghilterra, anche in prossimità dei confini italo-francesi, più specificatamente in Alta Val di Susa e a Ventimiglia. Nella frontiera Nordovest dell’Italia con la Francia si registra un’importante corrente migratoria che ogni anno nell’ultimo triennio ha visto il transito di circa 100.000 persone e […]

L'articolo n. 18 – Tra monti e boschi alpini. La frontiera che uccide (I) proviene da OGzero.

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Movimenti secondari dei flussi migratori si riscontrano, oltre che tra Francia e Inghilterra, anche in prossimità dei confini italo-francesi, più specificatamente in Alta Val di Susa e a Ventimiglia. Nella frontiera Nordovest dell’Italia con la Francia si registra un’importante corrente migratoria che ogni anno nell’ultimo triennio ha visto il transito di circa 100.000 persone e che si intensifica proprio in questo periodo dell’anno quando le temperature cominciano a essere meno rigide. All’atmosfera turistica incantata di chi ama sciare si sostituisce a partire dal tardo pomeriggio e per tutta la notte, la contrapposta quotidiana sofferenza e la fatica di migliaia di migranti – soprattutto famiglie – che percorrono gli stessi luoghi a piedi, sfiancati da temperature che in inverno toccano circa i 15 gradi sotto lo zero; privi d’equipaggiamento da montagna con abiti logori e indossati da giorni se non da mesi. Fabiana Triburgo e Matthias Canapini uniscono le loro competenze e i loro materiali in questo articolo, corredato dalle testimonianze raccolte da Matthias nella sua esperienza lungo il confine italo-francese.


 The Milky Way, per pochi

È il tentativo disperato di chi prova a raggiungere la Francia attraverso le località sciistiche italiane per evitare di essere intercettato e rimandato indietro dalla polizia italiana e francese. I due stati infatti, anche in questo caso – come già visto nei precedenti articoli riguardanti le attuali rotte migratorie – nel 1997 hanno siglato un importante accordo di cooperazione bilaterale, l’accordo di Chambery, sul quale ci soffermeremo in seguito, al fine di agevolare le riammissioni dalla Francia all’Italia. I migranti che attraversano tale rotta sono prevalentemente afgani, iraniani, pachistani e in piccola percentuale migranti provenienti dall’Africa subsahariana e arrivano, nella quasi totalità dei casi, dalla rotta balcanica: questo vuol dire che prima di raggiungere l’Alta Val di Susa i migranti possono aver attraversato circa otto diverse nazioni quasi esclusivamente a piedi.


Luigi D’Alife, regista di The Milky Way, lavoro che documenta e racconta
il passaggio della rotta migrante dalla Valsusa; Luigi ha fornito preziose
informazioni per l’estensione di questo saggio.

Spesso gli stessi nuclei familiari dei profughi si sono generati durante il transito di tali paesi essendo il loro precedente viaggio durato – nella migliore dell’ipotesi – almeno quattro anni, come narrano le testimonianze e le immagini del freelance Matthias Canapini che pubblichiamo in questo articolo.

Il principale snodo della cosiddetta “rotta alpina” si individua nella città di Oulx in provincia di Torino – raggiunta dai migranti per lo più con il treno – dalla quale poi si sviluppa un ulteriore bivio di transito per raggiungere la città francese di Briançon dalla quale dista circa 30 km. I profughi, infatti, dalla città di Oulx si dirigono a piedi o verso Bardonecchia, per poi attraversare il traforo del Frejus con filobus o con il treno – soprattutto quanti possiedono documenti di riconoscimento – oppure si dirigono verso Claviere sempre in provincia di Torino, a oggi il tratto maggiormente praticato dai migranti su tale rotta – per poi attraversare il Colle del Monginevro. Se dunque la destinazione di entrambi i percorsi è la città di Briançon è altrettanto vero che anche questa non è altro che una prima tappa, pur se finalmente in territorio francese, per raggiungere principalmente Lione o Calais con l’obiettivo rispetto a quest’ultima (come già riscontrato) di raggiungere la Gran Bretagna.

La casa cantoniera occupata e sgomberata più volte dagli sbirri italiani

Chez JesOulx era la casa cantoniera occupata (e poi sgomberata) dopo che l’accoglienza del rifugio autogestito era stata scacciata dai locali della curia occupata nel comune di Oulx

Va specificato che solo una parte dei migranti che transitano per Oulx ha come fine ultimo quello di stabilirsi in Francia perché nella maggior parte dei casi la meta finale è la Germania nella quale vivono stabilmente molti dei familiari dei profughi da diversi anni.

Il Colle dell’Agnello

Non è tuttavia da ignorare un altro percorso quello del Colle dell’Agnello, poco battuto per la sua elevata impraticabilità, ma in prossimità del quale le intercettazioni da parte della polizia francese, data proprio l’ostilità del territorio, sono molto sporadiche. La rotta nasce ufficialmente nel 2017, due anni dopo quella, sempre al confine italo-francese, che interessa la città di Ventimiglia. In realtà già nel 2016 alcuni migranti erano stati intercettati in prossimità del monte Chaberton in Francia e scambiati per turisti. Se dunque la rotta si delinea nel 2017 e nel 2018 raggiunge il suo apice – quando si “apre” la rotta balcanica e anche attraverso Trieste si arriva in Italia – in essa è altrettanto importante delineare una rilevante mutazione del suo originario tratto di percorrenza che a oggi non segue più l’originario pericoloso percorso di montagna del Colle della Scala (in prossimità della città di Bardonecchia) – in quanto soggetto a slavine e interamente  in salita – ma, come già detto, quello del Colle del Monginevro.

Rifugi e marauders

Nella rotta vi sono a ogni modo due importanti centri di accoglienza per i migranti in transito: nella città di Oulx il rifugio Fraternità Massi – Talita’ Kum aperto dalle 16 alle 10 del mattino con a disposizione circa 40 posti, e a Briançon, il Refuge Solidaire, rispetto al quale più volte è stato richiesto dalla municipalità lo sgombero. Invece è chiusa la casa cantoniera abbandonata e autogestita da volontari sempre nella città di Oulx che ospitava dai 30 agli 80 profughi al giorno e che da settembre a dicembre del 2020 ha accolto 3500 persone. Interessante capire come sia nato il Refuge Solidaire essendo il presente articolo immediatamente successivo a quello relativo alla rotta della Manica. I primi interventi di accoglienza dei migranti a Briançon sono infatti stati attivati nel 2015 proprio per i migranti di Calais quando il governo francese chiese alle altre città del paese di farsi carico della accoglienza in seguito allo smantellamento della Jungle. A Briançon quindi fino al 2017 stazionavano pochi profughi provenienti da Calais ma nello stesso anno con lo strutturarsi della rotta alpina nasce il Refuge Solidaire grazie anche all’intervento di Médicins du Monde che ancora oggi opera in loco insieme ad altre associazioni tra cui Rainbow for Africa. L’attività che si affianca all’accoglienza del Refuge Solidaire e che non può essere ignorata è quella svolta dai marauders: circa 200 volontari provenienti da tutta Europa che quotidianamente si occupano di prestare soccorso ai migranti che si perdono nei sentieri in montagna o riportano ferite gravi agli arti in seguito a cadute dovute al territorio impervio e che chiaramente non consentono loro di proseguire il viaggio rimanendo intrappolati nella rotta. Spesso i marauders, agevolando il transito dei migranti e soccorrendoli, sono sottoposti a comportamenti vessatori subendo multe, accuse e convocazioni a comparire davanti alle autorità francesi.

la frontiera che uccide

Claviere, protesta per Blessing, la giovane donna scomparsa dal 7 maggio nelle acque del fiume (foto Matthias Canapini).

Occorre, inoltre segnalare il lavoro della rete del progetto Cafi “Coordination d’actions aux frontièrs intérieures”, del quale fa parte anche Amnesty International e Médecin Sans Frontieres che da diversi anni svolge attività di osservatorio quotidiano permanente sul rispetto dei diritti dei migranti alle frontiere interne all’Unione in questo caso specifico in prossimità degli snodi Oulx-Monginevro-Briançon.

Accordi Italia-Francia

Tale attività risulta particolarmente importante perché documenta i respingimenti ossia il “Refus d’entrée” che viene notificato ai profughi dalla polizia francese (Paf) alla frontiera, sotto la direzione del ministero degli Interni. Risulta necessario quindi procedere all’analisi giuridica relativa ai motivi che sottendono alla cooperazione delle forze di polizia dei due paesi alla frontiera, alla militarizzazione della frontiera francese e alla sospensione dell’applicazione di alcuni articoli del Codice frontiere Shenghen – ossia del regolamento 2016/399 da parte della Francia. Come già accennato l’Italia e la Francia il 3 ottobre del 1997 hanno concluso l’Accordo bilaterale di Chambery, al fine di intensificare la cooperazione degli uffici di polizia e di dogana nelle rispettive zone di frontiera, garantendo comunque la libertà di circolazione sancita dal Codice Shengen ma non certamente per i cittadini dei paesi terzi anche nelle ipotesi in cui siano dotati di documenti.

Tale principio invece – è bene ricordarlo – ha valenza tanto per i cittadini europei che per i cittadini di paesi terzi dell’Unione ma comunque presenti sul territorio europeo.

Conformemente a tale intento sia da parte italiana che da quella francese sono stati costituiti dei Centri comuni di Cooperazione di polizia di frontiera e di dogana che realizzano la propria attività di diretta collaborazione mediante appositi uffici dislocati in prossimità dei luoghi di frontiera tra i due paesi e all’interno dei quali può essere chiesto da ciascuno dei due stati contraenti, l’ausilio delle forze di polizia dell’altro paese sul proprio territorio. È importante fin da subito precisare che la creazione di tali Centri di Cooperazione è prevista nel testo dell’accordo in due luoghi specifici: nella città di Ventimiglia e nella città francese di Modane vicina allo snodo migratorio proveniente da Bardonecchia.

Migranti risalgono i boschi al confine tra Francia e Italia (foto Matthias Canapini)

Uno dei punti maggiormente preoccupante del presente accordo è quello “nascosto” in modo subdolo nella lettera a) dell’art. 8

ossia che nei Centri di Cooperazione gli agenti di polizia di entrambi i paesi si impegnano «al compimento degli atti precari e alla consegna delle persone in situazione irregolare nel rispetto degli accordi vigenti». È evidente infatti come in questo passaggio si possa scorgere il “fondamento giuridico” (?!) sulla base del quale i due stati realizzano le cosiddette riammissioni con respingimenti dei migranti dalla Francia all’Italia che come noto si determinano a catena fino al confinamento dei migranti in stati terzi dell’Unione. Come al solito dietro l’enunciato «situazione irregolare» si è consapevoli che si nasconda la posizione dei richiedenti asilo che sono irregolari per definizione dovendo essere messi nella condizione – in base alle Convenzioni Internazionali come quella di Ginevra – di poter fare ingresso nel paese di destinazione per formalizzare la domanda di protezione internazionale mediante la quale quindi possono eventualmente ottenere un permesso che sancirebbe la propria regolarità di soggiorno, in questo caso uno stato membro dell’Unione. Come evidente, tale accordo riproduce quello che già è stato analizzato per l’accordo di cooperazione franco-britannico di Le Touquet in relazione alla rotta della Manica: anche in questo caso infatti si sancisce che la vigenza dell’accordo debba considerarsi a tempo indeterminato.

Controllo e sicurezza (!?)

L’art. 10 dell’Accordo di Chambery inoltre specifica che per la Repubblica Italiana sono considerate zone di frontiera le province di Aosta, Cuneo, Imperia e Torino mentre per la Repubblica francese le Alpi Marittime, dell’Alta Provenza, le Alpi Alte, quella della Savoia e dell’Alta Savoia. Ciò che è altrettanto destabilizzante è il binomio continuo nel testo tra le frasi “controllo delle frontiere” da parte delle due forze di Polizia e il termine “sicurezza”, come al solito. Non solo, nell’art. 8 lettera c) dell’Accordo di Chambery si fa puntualmente riferimento al «coordinamento delle misure congiunte di sorveglianza nelle rispettive zone di frontiera»: un enunciato che inevitabilmente si pone in contrasto con il Codice delle frontiere Shengen.

la frontiera che uccide

Claviere, posto di controllo della polizia italiana (foto Matthias Canapini).

Le frontiere interne infatti sono disciplinate al Titolo III – Capitolo I del Codice Shengen che secondo l’art. 22 «possono essere attraversate in qualsiasi punto senza che sia effettuata una verifica di frontiera sulle persone indipendentemente dalla loro nazionalità». Infatti, l’esercizio dei poteri di polizia da parte delle autorità competenti degli stati membri non viene considerato equivalente all’esercizio dei controlli di frontiera, solo ad alcune condizioni in particolare per esempio se «sono concepiti ed eseguiti in modo chiaramente distinto dai controlli sistematici sulle persone alle frontiere esterne» secondo l’art. 23 (iii). Nello specifico la reintroduzione temporanea del controllo di frontiera alle frontiere interne è disciplinata dagli artt. 25-35 contenuti nel Titolo III, Capitolo II del Codice Shengen. La Francia dal 2015 si è appellata alle «gravi minacce alla sicurezza interna» – citate nell’art. 25 – che hanno consentito il ripristino temporaneo dei controlli alle frontiere interne, dopo l’attentato terroristico al Bataclan nel 2015, e in seguito nel 2017 per lo choc di quello sulla Promenade des Anglais di Nizza e da ultimo per la diffusione del virus da Covid-19. Tuttavia, il Codice Shengen sancisce chiaramente all’art. 25, paragrafi 1, 2, 3, 4 che i controlli relativi alla libertà di movimento delle persone all’interno del territorio dell’Unione, debbano essere considerati un’extrema ratio ossia aventi caratteri di eccezionalità e pertanto devono essere attuati per un periodo iniziale di trenta giorni o della durata della minaccia, rinnovabile – «tenuto conto di eventuali novità» – per periodi di ulteriori 30 giorni ma per un periodo complessivo non superiore ai 6 mesi. Solo in circostanze di eccezionale gravità caratterizzate da una procedura specifica di cui all’art. 29 del Codice Shengen il ripristino dei controlli alle frontiere può arrivare a due anni. Tuttavia, come detto, la Francia ha ripristinato il controllo alle frontiere interne in particolare per quel che ci riguarda al confine italo-francese, da oltre 6 anni! È bene ricordare inoltre che l’adozione da parte di uno stato membro del ripristino del controllo alle frontiere interne debba essere notificato ai sensi dell’art. 27 del Codice Shengen agli altri stati membri e alla Commissione UE.

Tuttavia, come noto anche per altre questioni in ambito migratorio non solo le cattive prassi adottate superano le disposizioni legislative europee (e i trattati internazionali) senza che vi sia alcun richiamo di un organo istituzionale ufficiale dell’Unione al rispetto delle medesime, ma costituiscono addirittura “fonte di ispirazione” per nuove proposte di legislazione europea da parte della Commissione che hanno come obiettivo quello di rendere legittimo ciò che oggi è ancora illegittimo in modo da potere aggirare gli ostacoli dei ricorsi giurisdizionali dinanzi alle corti competenti.

Tutto ciò purtroppo è già realtà, considerato non solo il più volte citato nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo, ma anche lo stesso Codice Shengen, dato che a dicembre del 2021 la Commissione Europea ha presentato una proposta di riforma del medesimo, adeguandosi alle pratiche illegittime (e se possibile, anche peggiorandole) adottate dagli stati membri per contrastare i flussi migratori attraverso i controlli ai confini.

la frontiera che uccide

«La frontiera uccide» (foto Matthias Canapini).

L’appello per la modifica delle politiche migratorie

Dell’analisi di tale proposta di riforma ci si soffermerà nel successivo articolo sulla rotta migratoria al confine italo-francese con la città di Ventimiglia; tuttavia va precisato che il fine di tali analisi giuridiche è soprattutto quello di non dimenticare le tragiche morti riportate anche su questa rotta come quella di Ullah Rezwan Sheyzad un ragazzo afghano di 15 anni trovato morto nei pressi dei binari della ferrovia di Oulx nel giugno del 2021 e di Fathallah Balafhail  un marocchino di 31 anni trovato senza vita non lontano da Modane, entrambi mentre tentavano di raggiungere Briançon.  La speranza è che la cieca politica della Commissione e degli stati membri non sia più complice di tali accadimenti: è necessario pertanto ribadire l’appello di diverse associazioni tra le quali AsgiMédicins du MondeDiaconia Valdese e Melting Pot Europa rivolto alle autorità italiane e francesi per la modifica delle politiche relative alla gestione delle frontiere interne e alle autorità locali dei due paesi affinché rispondano alle esigenze e ai bisogni dei migranti che transitano lungo i loro confini.

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n. 17 – Francia e Gran Bretagna: tra i due litiganti, il migrante muore https://ogzero.org/francia-e-gran-bretagna-tra-i-due-litiganti-il-migrante-muore/ Sun, 30 Jan 2022 18:08:12 +0000 https://ogzero.org/?p=6031 Prosegue la serie dedicata alle rotte dei migranti a cura di Fabiana Triburgo. Questo saggio evidenzia la natura fluida dei percorsi delle persone in movimento ed esamina una delle diramazioni battute, il Canale della Manica, dopo che hanno percorso le rotte principalmente attraversate, in arrivo da lontano, su una rete che si dipanerà sotto i […]

L'articolo n. 17 – Francia e Gran Bretagna: tra i due litiganti, il migrante muore proviene da OGzero.

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Prosegue la serie dedicata alle rotte dei migranti a cura di Fabiana Triburgo. Questo saggio evidenzia la natura fluida dei percorsi delle persone in movimento ed esamina una delle diramazioni battute, il Canale della Manica, dopo che hanno percorso le rotte principalmente attraversate, in arrivo da lontano, su una rete che si dipanerà sotto i nostri occhi e che dimostra quanto le politiche europee siano miopi rispetto ai meccanismi innescati da blocchi e respingimenti, e quanto siano pesanti le conseguenze, soprattutto tenendo conto – come sottolinea l’autrice – che questi eventi non si registrano nell’ambito di rapporti bilaterali tra una potenza occidentale europea e un paese terzo nel quale non viene di fatto assicurato il rispetto dei diritti fondamentali della persona, come la Libia o la Turchia, ma tra due potenze internazionali quali Francia e Gran Bretagna che da secoli si ergono a paladine della tutela dei diritti della persona, principio che hanno posto oltretutto come uno dei pilastri fondanti dei propri sistemi costituzionali.


La rotta migratoria, avente quale punto di partenza alcune città della Francia settentrionale, quali – per citare le più rilevanti – le aree intorno alla città di Calais, Boulogne e Dunkerque e come punto di arrivo la città di Dover nel Regno Unito è caratterizzata dalla presenza del canale della Manica che si frappone tra le località francesi e quella inglese che distano circa 40 chilometri tra loro o – se si considera la tratta marittima – circa 20 miglia. La rotta quindi se può essere indubbiamente definita “breve”, allo stesso tempo deve essere considerata altamente mortifera, non solo nell’ipotesi in cui venga percorsa mediante l’attraversamento marittimo, a causa delle forti correnti che contraddistinguono il canale della Manica, ma anche nel caso in cui i migranti optino per la percorrenza della via terrestre attraverso l’Eurotunnel. Molti infatti sono i migranti rimasti uccisi nel corso degli ultimi trent’anni nel tratto di autostrada che unisce Francia e Gran Bretagna, sia per asfissia nei tir, nei quali erano nascosti, sia per essere stati investiti dagli automobilisti nel disperato tentativo di chiedere un passaggio fino alla Gran Bretagna (come si legge su questo approfondimento di InfoMigrants).

È necessario pertanto soffermarsi su tale fenomeno per il dato – di non poco rilievo – secondo il quale lo scorso anno sono stati circa 28.000 i migranti arrivati nel Regno Unito percorrendo tale rotta, con un altrettanto elevato numero di dispersi al quale è doveroso aggiungere quello delle persone decedute durante l’attraversamento del canale.

Francia e Gran Breatagna

I resti di un naufragio nelle acque della Manica (fonte Notizie.it).

Francia e Gran Bretagna: la difesa di quali diritti?

Gli sbarchi nel solo 2021 sono triplicati rispetto all’anno precedente e pertanto occorre analizzare le ragioni sottese a tale mutamento. Ciò su cui occorre preliminarmente riflettere, con riferimento alla questione migratoria, è che in tale rotta – come vedremo – gli accordi, i milioni spesi per i finanziamenti per la “gestione” dei flussi migratori, i controlli alle frontiere, le violentissime repressioni perpetrate dalle forze di polizia e i respingimenti non si registrano nell’ambito di rapporti bilaterali tra una potenza occidentale europea e un paese terzo nel quale non viene di fatto assicurato il rispetto dei diritti fondamentali della persona, come la Libia o la Turchia, ma tra due potenze internazionali quali Francia e Gran Bretagna che da secoli si ergono a paladine della tutela dei diritti della persona, principio che hanno posto oltretutto come uno dei pilastri fondanti dei propri sistemi costituzionali.

La rotta per di più – è bene ricordarlo – non è da annoverarsi tra quelle di recente determinazione: essa nasce intorno agli anni ’90, più specificatamente durante la guerra nell’ex Jugoslavia.

Fino al 2015 Calais, la città francese contraddistinta ancora oggi da un basso tasso demografico e da un’alta percentuale di povertà tra i residenti, era l’unica città nella quale stazionava la quasi totalità dei migranti – centinaia ogni anno – che tentavano di raggiungere il Regno Unito e che venivano chiamati dalla popolazione locale “i kosovari”. Erano i tempi della cosiddetta Jungle di Calais, nella quale i migranti, stipati prevalentemente nei containers o nelle tende, “beneficiavano” comunque dell’accoglienza francese in attesa di compiere il tanto agognato viaggio verso la Gran Bretagna. Tra il 2015 e il 2016 la situazione cambiò repentinamente per cui, in esito allo scoppio della guerra in Siria e con la crescente instabilità politica di alcuni paesi del Medio Oriente e in ragione del peggioramento di alcuni scenari legati a perduranti conflitti in Africa, i migranti a Calais raggiunsero le oltre 10.000 unità. Per dirla secondo le parole del noto regista cinematografico e scrittore francese Emmanuel Carrère, autore del libro A Calais, uscito a seguito del reportage che realizzò recandosi personalmente nella cittadina francese nel 2016, la popolazione locale si preoccupò per l’ingente arrivo di quelli che definivano i “siberiani” – ossia, per dirlo in modo corretto, i siriani. Non è difficile immaginare la reazione di ostilità della popolazione locale rispetto a tale aumento dei migranti nella città che già versava in uno stato di sofferenza per la situazione economica e che– è giusto il caso di dirlo visto il richiamo a Carrère “come da copione”, cominciò a manifestare comportamenti fortemente razzisti e xenofobi, percependo l’aumento della presenza dei migranti come simbolo di un ormai precipitato dramma sociale locale.

 

È questo il periodo in cui la Jungle cominciò a essere smantellata attraverso gli sgombri violenti dei migranti da parte dei CRS, gli agenti antisommossa francesi, mediante la distruzione dei containers e delle tende (come riportato anche dai quotidiani italiani e da Amnesty International).

Vi è da questo momento in poi infatti una svolta tragica di questa rotta che finora non si è mai arrestata e rispetto alla quale si rimanda al recente rapporto di Human Rights Watch che analizza le condizioni in cui versano i migranti che stazionano nel nord della Francia e i trattamenti disumani ai quali sono sottoposti.

La Manica, la rotta secondaria

Gli agenti della polizia francese cominciarono dunque in questo periodo a impegnarsi costantemente nella distruzione degli accampamenti informali dei migranti, nella confisca delle tende, in retate notturne che li costringono ancora oggi a scappare più volte all’alba con le tende “sotto braccio”, al lancio di gas lacrimogeni e al disboscamento delle aree intorno a Dunkerque per impedire ai migranti di nascondersi, sottoponendoli così a una tortura psicologica assimilabile a quella già analizzata nell’articolo relativo alla rotta balcanica. Non è casuale tale richiamo poiché la rotta della Manica si contraddistingue per un altro aspetto ovverosia quello di essere una “rotta secondaria”. Infatti, prima di giungere nel Nord della Francia – essendo difficilmente la Francia un paese di primo arrivo – i migranti hanno già percorso altre rotte, prevalentemente quella del Mediterraneo centrale – recentemente analizzata su questo sito – e appunto quella balcanica, per cui arrivano in territorio francese in esito a viaggi estenuanti protratti per molti mesi, se non per anni, e molto tempo dopo aver lasciato il proprio paese di origine. In particolare, se la Francia, come visto, nel 2016 cominciò lo smantellamento dei campi governativi a Calais, dall’altra parte la Gran Bretagna nel 2018 – stanziando circa 2,7 milioni di euro – ha concluso la costruzione di un muro di cemento alto 4 metri e lungo 1 chilometro in prossimità dell’autostrada che unisce i due paesi (si occupò dell’argomento l’Atlante delle Guerre).

Francia e Gran Bretagna

Demolizione della Jungle di Calais nell’ottobre 2016 (foto Edward Crawford / Shutterstock).

Il Trattato di Le Touquet: durata illimitata

Come si registrò in molti altri paesi europei gli accordi per il contenimento dei flussi proliferarono dal 2015 e ciò avvenne anche per la corrente migratoria lungo la Manica ma in questo caso la sottoscrizione di un atto internazionale tra il paese di partenza, comunemente la Francia, e quello di arrivo, la Gran Bretagna, fu siglato già nel 2003 con il Trattato di Le Touquet (il testo, qui), a oggi ancora in vigore.

Prima di analizzare il trattato e gli effetti che su di esso ha avuto l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea mediante la Brexit, entrata in vigore il primo gennaio del 2021, è naturale interrogarsi su quale sia la ragione per la quale i migranti presenti in questa rotta, a oggi prevalentemente curdi iracheni, sudanesi ed eritrei, decidano in modo ostinato di rimanere sulle coste del Nord della Francia per giungere nel Regno Unito. I migranti invero prediligono tale destinazione poiché lì si trovano i familiari di precedenti generazioni a loro volta emigrate diversi anni fa: questo avviene soprattutto nel caso di migranti minori stranieri non accompagnati provenienti da paesi di origine interessati da conflitti di vecchia data. In altri casi la ragione è da rinvenirsi nel fatto che il migrante che risiede stabilmente in Gran Bretagna non ha comunque il reddito sufficiente per avanzare la domanda di ricongiungimento familiare, per cui l’unico modo per raggiungere il familiare è quello di tentare l’impresa lungo la Manica. Inoltre, non è da sottovalutare la conoscenza della lingua inglese che i migranti che transitano in tale rotta possiedono più di quella francese e infine la maggiore coesione tra i gruppi etnici nel Regno Unito rispetto alla Francia.

Il Trattato di Le Toquet del 4 febbraio 2003 tra Francia e Gran Bretagna costituisce la base normativa in conformità della quale sono state istituite strutture nazionali di controllo delle frontiere comuni ai due paesi nei porti marittimi della Manica e nel Mare del Nord destinate al transito delle persone oltre a quello dei veicoli e delle merci. Sono stati autorizzati pertanto gli agenti di polizia dei rispettivi paesi a svolgere le proprie funzioni in modo reciproco, ossia non solo nel territorio di propria appartenenza, ma anche sul territorio dell’altro stato. Il trattato è a favore prevalentemente del Regno Unito: più specificatamente con riferimento ai flussi migratori le norme dello stato di arrivo – principalmente la Gran Bretagna – relative ai controlli di frontiera, sono applicabili oltre che nel proprio territorio anche nelle zone di controllo di frontiera dell’altro stato. Ne discende che le violazioni delle medesime norme, pur se rilevate nel paese di partenza, vengono sanzionate ai sensi della legge dello stato di arrivo come se fossero commesse su tale territorio. È chiaro dunque che lo scopo del Trattato è quello di scoraggiare le partenze verso la Gran Bretagna. Oggetto delle verifiche effettuate da parte dello stato di arrivo nelle zone di frontiera istituite in Francia è la sussistenza, relativamente alle persone che vi transitano, delle condizioni e del rispetto degli obblighi previsti dallo stato di arrivo per il controllo delle frontiere. Gli agenti dello stato di arrivo infatti possono arrestare, trattenere e interrogare le persone che transitano nelle zone comuni debitamente preposte nello stato di partenza, prevalentemente la Francia, per effettuare controlli sull’immigrazione o nell’ipotesi in cui vi siano fondati motivi per ritenere che il migrante abbia violato una norma relativa ai controlli di frontiera.

La gestione del controllo

Nessun individuo tuttavia può essere trattenuto in tale aeree di controllo per un periodo superiore alle 24 ore prorogabile solo eccezionalmente per ulteriori 24. Tutti i controlli alla frontiera da parte dello stato di partenza normalmente devono essere effettuati sempre prima di quelli dello stato di arrivo. Per quanto attiene alla domanda di asilo o di altra forma di protezione internazionale il trattato stabilisce che, qualora venga presentata nel corso dei controlli effettuati dallo stato di arrivo ma nei luoghi di controllo delle frontiere dello stato di partenza, dovrà essere esaminata comunque dalle autorità di quest’ultimo, al quale oltretutto viene attribuita la responsabilità dell’allestimento delle strutture, degli alloggi di servizio e delle attrezzature per l’attuazione delle zone di controllo. Infine, è necessario sottolineare che il presente Trattato ha una durata illimitata con la facoltà per ciascuna delle parti di recedervi con notifica scritta all’altra parte in qualsiasi momento: in tal caso gli effetti del recesso decorreranno due anni dopo dalla data della notifica.

Dal 2021 con l’entrata in vigore del Brexit, in seguito al referendum del 2016 – a sua volta diretta conseguenza del referendum consultivo della Scozia del 2014 relativamente all’indipendenza dal Regno Unito – la maggiore preoccupazione del governo francese è che la dogana relativa all’attraversamento della Manica ritorni esclusivamente in territorio inglese lasciandolo da solo nella gestione dei controlli dei migranti presenti nel Nord del paese.

Allo stesso tempo la Gran Bretagna però, essendo uscita dall’Unione europea, non può più ricorrere al Regolamento Dublino (n. 604 del 2013). Il Regolamento – che come già detto fissa i criteri di individuazione dello stato membro competente a trattare le domande di protezione internazionale – è, secondo la gerarchia delle fonti (qui informazioni sull’ordinamento giuridico), norma di rango superiore rispetto alla legge interna di ratifica di un trattato internazionale, per cui fino al primo gennaio del 2021 le norme del Regolamento Dublino prevalevano su quelle del Trattato di Le Touquet, in special modo in merito alle richieste d’asilo. Sulla base di ciò la Gran Bretagna spesso ricorreva al Regolamento Dublino per rimandare indietro i migranti in Francia in virtù del presupposto che questi, prima di arrivare nel Regno Unito, avessero transitato sul territorio di un altro stato membro, ossia quello francese. Per questo motivo, sulla base del Trattato di Le Touquet, il Regno Unito nel 2021 una volta uscito dall’Unione ha promesso circa 62 milioni di euro alla Francia per il controllo dei flussi migratori lungo la Manica che tuttavia alla del fine 2021 non risultavano ancora versati. Quindi ad ottobre dello scorso anno il ministro degli Interni francese Darmanin ha invitato il Regno Unito a stanziare i fondi promessi e a negoziare con l’UE un trattato sull’immigrazione, appello che non ha avuto alcun seguito da ambo le parti (come si legge qui).

Infatti con la Brexit, oltre a essere aumentato notevolmente il costo del viaggio per i migranti, si sono inaspriti i rapporti tra i due paesi che si sono accusati reciprocamente: per quanto riguarda Il Regno Unito di non adempiere ai controlli dovuti e per quanto riguarda la Francia di procedere con i respingimenti senza valutare nel merito le domande d’asilo.

Fonte: Ispi.

Asilo impossibile

A peggiorare tale situazione è intervenuto il Sovereign Borders Bill, la proposta di legge sulla cittadinanza e sul diritto d’asilo nel Regno Unito, in conseguenza della Brexit, presentata dal ministro degli Interni britannico Priti Patel a luglio del 2021 dopo la concessione da parte di Westminster, nel novembre del 2020, di poteri legislativi eccezionalmente ampi al ministro degli Interni. Secondo tale proposta non solo l’ingresso nel territorio del Regno Unito – sprovvisti di documenti – integrerebbe una fattispecie di reato punita con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, ma è previsto il maggior conferimento di poteri alla polizia di frontiera che potrà bloccare i migranti in mare e forzare i respingimenti – intensificando proprio quelli verso la Francia, qualora i migranti arrivino con barconi provenienti dalla Manica, nonché il rimpatrio per chi più genericamente arriva nel Regno Unito  transitando per paesi definiti “sicuri”. A tutto ciò va aggiunta la previsione del confinamento per i richiedenti asilo sprovvisti di documenti di ingresso nel Regno Unito su isole lontanissime come Ascension Island, a ben 6000 miglia da Londra o su piattaforme petrolifere fuori uso, in attesa che si decida in merito alla loro domanda d’asilo o sul loro respingimento. È chiaro quindi che se tale proposta di riforma venisse approvata dal Parlamento inglese diverrebbe quasi impossibile presentare la domanda d’asilo nel Regno Unito. Inoltre, la ministra degli Interni paradossalmente figlia di immigrati ma autrice di questo agghiacciante quadro normativo, si è spinta oltre prevedendo altresì la possibilità di creare centri di detenzione – sul modello australiano – in Papa Nuova Guinea, Marocco o Moldavia, ipotesi fortunatamente respinta dal ministro degli Esteri poiché ritenuta eccessivamente onerosa. Ciò che risulta oltremodo allarmante in ogni caso, anche se non stupisce particolarmente, è che tali politiche – pur essendo la Gran Bretagna uscita dall’Unione Europea – siano perfettamente in linea con quelle esplicitate nel nuovo patto europeo sulla migrazione e l’asilo proposto della Commissione europea e con quelle di buona parte degli stati membri: in particolare vale la pena citare la Danimarca che, come noto, recentemente ha approvato una nuova legge che le consente di trattare le domande d’asilo fuori dal territorio dell’Unione (un approfondimento qui).

Benvenuti al Nord

Si arriva dunque al drammatico naufragio del 24 novembre 2021 che ha avuto un’eco internazionale (qui il report di Ispi) non soltanto per il numero dei migranti morti nella traversata nella Manica, 27 per la precisione con tre superstiti – tra le vittime sette donne, un adolescente e un bambino di sette anni – ma per le modalità del naufragio, essendo stati ritrovati i migranti a bordo di una piscina gonfiabile distrutta (dopo la lungimirante decisione di Decathlon, probabilmente su pressione del governo francese, di non vendere più le proprie canoe ai migranti) e per il comportamento probabilmente adottato dalle autorità di Francia e Gran Bretagna anche in questa circostanza come in passato che – quando contattate dai migranti nel Canale – hanno portato avanti un ridicolo e deplorevole teatrino di rimpallo di responsabilità.

Una volta arrivati al punto di non ritorno ossia alla strage di vite umane hanno dunque messo in atto la solita pantomima di cordoglio per quanto accaduto senza mancare anche in questa circostanza di sottolineare le responsabilità dell’altro stato. Francia e Gran Bretagna sono state prontamente richiamate per iscritto dal commissario del Consiglio d’Europa Mijatovic ma anche questo non ha impedito loro di continuare a battibeccare sulla questione migratoria.

Per cui dalle dichiarazioni sconcertanti del ministro degli Interni francese che ha sostenuto – rispetto a quanti hanno lamentato la presenza immobile dei soccorritori francesi mentre i migranti naufragavano – che i funzionari francesi in quel momento erano minacciati dagli stessi migranti di lanciare i bambini in mare se li avessero riportati indietro, si arriva alla “seria” comunicazione diplomatica su Twitter (?!) di rimprovero del presidente Boris Johnson – attualmente del tutto in panne a livello politico – rivolta al presidente Macron in merito all’accaduto.

Grazie a tale lettera “istituzionale” è stato ritirato dalla Francia l’invito alla ministra Patel al vertice con le istituzioni europee organizzato con alcuni paesi membri quali Belgio, Olanda e Germania per affrontare la questione dei flussi migratori nel canale della Manica e nel corso del quale c’è stata un’evidente sensibilizzazione sul tema, dato che è stata raggiunta la proposta “rivoluzionaria” di mandare quotidianamente dal 1 dicembre un aereo di Frontex a pattugliare giorno e notte il canale!

Inoltre, Londra a quel punto ha cercato e ottenuto un’intesa con il Belgio con il quale a fine novembre 2021 ha siglato un accordo di cooperazione con riferimento ai flussi migratori.

Quindi pur distaccandosi la Gran Bretagna dall’Unione ha portato comunque con sé la peggiore delle eredità delle sue politiche e qualora Westminster approvi il famigerato Bill di luglio si porrà in una posizione xenofoba in materia alla pari di alcuni dei paesi membri dell’UE appartenenti al gruppo di Visegrad. E la Francia? Purtroppo, nonostante i suoi ancestrali principi di libertà, fraternità, e uguaglianza difficilmente taglierà qualsiasi rapporto diplomatico con il Regno Unito per via della questione migratoria, rappresentando questo l’unico modo per controbilanciare nell’UE la posizione della Germania divenuta ancora maggiormente “ingombrante” dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea.

L'articolo n. 17 – Francia e Gran Bretagna: tra i due litiganti, il migrante muore proviene da OGzero.

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