Tplf Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/tplf/ geopolitica etc Fri, 31 Mar 2023 14:29:30 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 Etiopia: crimini di guerra, un inciampo per una pace compiuta https://ogzero.org/etiopia-crimini-di-guerra-un-inciampo-per-una-pace-compiuta/ Thu, 30 Mar 2023 16:00:33 +0000 https://ogzero.org/?p=10637 Il Fronte di liberazione del popolo del Tigray (Tplf) non è più una “formazione” terroristica e il governo di Addis Abeba ha nominato un anziano capo ribelle alla guida della regione del Nord dell’Etiopia, il Tigray. Una svolta conseguenza degli accordi di pace che hanno messo fine a una guerra fratricida. Ma rimangono sul tavolo […]

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Il Fronte di liberazione del popolo del Tigray (Tplf) non è più una “formazione” terroristica e il governo di Addis Abeba ha nominato un anziano capo ribelle alla guida della regione del Nord dell’Etiopia, il Tigray. Una svolta conseguenza degli accordi di pace che hanno messo fine a una guerra fratricida. Ma rimangono sul tavolo questioni molto importanti come la violazione dei diritti umani e le responsabilità per i crimini di guerra.

In una recente visita nella capitale etiope del segretario di stato americano Antony Blinken, il nodo è stato messo sul tavolo con il disappunto sia dell’Etiopia sia dell’Eritrea, che ha combattuto a fianco di Addis Abeba in questa guerra.

Tplf, non più terroristi

Le decisioni del governo di Addis Abeba, comunque, segnano passi importanti verso l’attuazione dell’accordo di pace che il movimento ribelle ha firmato con il governo etiope lo scorso novembre a Pretoria in Sudafrica. «Il primo ministro Abiy Ahmed ha nominato Getachew Reda presidente ad interim dell’amministrazione regionale del Tigray», ha fatto sapere l’ufficio del primo ministro attraverso Twitter. Gatechew Reda, consigliere del leader del Tplf, Debretsion Gebremichael, era in precedenza il portavoce del movimento. Il dato importante, tuttavia, è la cancellazione del Tplf dalla lista delle formazioni terroristiche, decisione che ha aperto la strada all’istituzione di un’amministrazione ad interim nel Tigray a guida Tplf, come previsto dall’accordo di pace. I tigrini, pur essendo un’etnia minoritaria in Etiopia, hanno governato il paese per tre decenni prima di essere gradualmente emarginati proprio dall’arrivo alla guida del paese dal primo ministro Abiy Ahmed nel 2018. Un fatto mal digerito dal Tplf che è stato inserito nella lista delle formazioni terroristiche dalle autorità etiopi il 6 maggio 2021 a seguito del conflitto armato, iniziato nel novembre del 2020 e terminato oggi con un accordo di pace scaturito dai colloqui di Pretoria. La rimozione dalla “lista nera” del Tplf era la precondizione per l’attuazione degli accordi di pace.
La firma dell’accordo, inoltre, ha consentito di ripristinare i servizi di base – elettricità, telecomunicazioni, banche – ed è stato riaperto l’accesso alla regione, fondamentale per far arrivare gli aiuti a una regione devastata dalla guerra e che ha bisogno di tutto.

 

Sul tavolo rimane da risolvere la violazione dei diritti umani e dei crimini di guerra

Un nodo non da poco per il governo di Addis Abeba. Il segretario di stato americano, Blinken, di ritorno dal suo viaggio in Etiopia, ha accusato tutti i belligeranti – forze filogovernative e ribelli – di aver commesso crimini di guerra, considerando che questi atti non sono stati né «casuali» né «una conseguenza indiretta della guerra» ma «erano calcolati e deliberati». Blinken ha accusato, in particolare, l’esercito federale etiope e i suoi alleati – esercito eritreo e forze e milizie della regione Amhara – di crimini contro l’umanità, tra cui «assassini, stupri e altre forme di violenza sessuale e persecuzione». Accuse molto pesanti – Blinken non ha mai nominato il Tplf – che hanno provocato l’immediata reazione del ministero degli Esteri etiope: «Il governo dell’Etiopia non accetta le condanne generali contenute in questa dichiarazione americana e denuncia un approccio unilaterale e antagonista». La dichiarazione Usa, prosegue il ministero, «è selettiva perché distribuisce le responsabilità in modo iniquo tra le parti. Senza motivo apparente», gli Stati Uniti «sembrano esonerare una delle parti da alcune accuse di violazione dei diritti umani, come lo stupro o la violenza sessuale nonostante le chiare e schiaccianti prove della sua colpevolezza», ha proseguito il ministero, riferendosi alle forze delle autorità ribelli nel Tigray.

EtiopiaIl Tplf e Asmara

Il governo dell’Eritrea, un paese isolato a livello internazionale e governato con il pugno di ferro sin dalla sua indipendenza de facto nel 1991 da Issaias Afeworki, ha ritenuto che queste accuse «non nuove», non siano basate «su alcuna prova fattuale e incontrovertibile» e riflette la continua «ostilità e demonizzazione ingiustificate» di Washington nei confronti di Asmara. Il Tplf è stato il nemico giurato di Asmara sin dalla guerra tra Etiopia ed Eritrea tra il 1998 e il 2000, quando il Tplf governava ad Addis Abeba. Il primo ministro Abiy Ahmed ha ricevuto il premio Nobel per la pace nel 2019 per aver posto fine a 20 anni di guerra aperta o nascosta con l’Eritrea. Ma dopo il conflitto nel Tigray, è passato agli occhi di Washington dallo status di simbolo di una nuova generazione di leader africani moderni a quello di un quasi paria.

Washington influenza l’accordo di pace

L’accordo di pace, firmato il 2 novembre 2022 a Pretoria, ha posto fine al brutale conflitto nel Tigray, ma Asmara non ha partecipato alle discussioni e non è firmataria. La pace è stata negoziata e firmata sotto l’egida dell’Unione Africana, ma nelle trattative, rilevano gli analisti, vi è stata una significativa e cruciale influenza di Washington.
Secondo Addis Abeba le accuse di Washington rivelano una «ingiustificata distribuzione delle responsabilità» che «mina il sostegno degli Stati Uniti a un processo di pace inclusivo in Etiopia» e una «dichiarazione incendiaria» suscettibile di «sollevare le comunità le une contro le altre» in Etiopia. Visitando l’Etiopia il 15 marzo sorso, Blinken ha collegato la ripresa della collaborazione economica con Addis Abeba – interrotta dall’inizio del conflitto nel Tigray – alla «riconciliazione e alla presa di responsabilità» nelle atrocità che vi sono state commesse.

Le relazioni tra Washington e Addis Abeba sono state sempre “privilegiate” in funzione anche della stabilità della regione del Corno d’Africa e quindi arrivare a definire le responsabilità dei crimini di guerra è un passaggio cruciale per la ripresa, a pieno regime, dei rapporti tra le due capitali. Ma non solo, per impedire che anche in Etiopia, così come avvenuto in Eritrea, attecchisca l’influenza russa.

L’Etiopia, dopo aver espresso lo sdegno per le accuse americane, ha assicurato che «continuerà a mettere in atto tutte le misure volte a tenere conto dei responsabili e garantire che sia fatta giustizia per tutte le vittime». Il bilancio esatto delle vittime della guerra è difficile da fare – negli anni è stato impedito a istituzioni terze e indipendenti di entrare nella regione del Tigray – ma gli Stati Uniti stimano che circa 500.000 persone siano morte durante il conflitto.

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Le nubi etiopi si sono spostate in Oromia https://ogzero.org/le-nubi-etiopi-si-sono-spostate-in-oromia/ Sun, 08 Jan 2023 21:23:35 +0000 https://ogzero.org/?p=10048 Abbiamo ritenuto opportuno riprendere un articolo pubblicato dai complici di “Atlante delle Guerre” che richiama l’interesse sulla area di guerra più micidiale del mondo, dove i conflitti tra comunità diverse non sono mai sopite e quando – dopo centinaia di migliaia di morti – si raggiunge una tregua in un’area come il Tigray nel Nord […]

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Abbiamo ritenuto opportuno riprendere un articolo pubblicato dai complici di “Atlante delle Guerre” che richiama l’interesse sulla area di guerra più micidiale del mondo, dove i conflitti tra comunità diverse non sono mai sopite e quando – dopo centinaia di migliaia di morti – si raggiunge una tregua in un’area come il Tigray nel Nord della Federazione etiope, si riaccende un conflitto nella centrale regione dell’Oromia, dove si scatenano rivalità e contenziosi tra ahmara e oromo, spostando schieramenti (Ola e Tplf) già contrapposti nel distretto tigrino, come potete sentire nel podcast in cui Matteo Palamidesse (@PalaMatteo) spiega con la consueta prudente cognizione di causa cosa muove le istanze dei singoli attori.


Le truppe eritree stanno lentamente abbandonando le principali città del Tigray centrale e occidentale. Una presenza, quella di Asmara, che, nonostante non sia mai stata ufficializzata ha creato non poche complicazioni nel conflitto. Il ritiro arriva in seguito all’accordo di pace mediato dall’Unione Africana e firmato il 2 novembre 2022 a Pretoria dal governo federale dell’Etiopia e dal Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf).

Nei due anni di guerra in Tigray, l’esercito eritreo è stato accusato di aver commesso atrocità su larga scala, tra cui aggressioni sessuali, uccisioni sommarie, stupri, saccheggi di città e distruzione di infrastrutture. L’Eritrea è infatti entrata a più riprese in Etiopia per reprimere i tigrini ed è stata in prima linea nelle stragi e nelle pulizie etniche. Gli eritrei hanno preso di mira anche i campi profughi presenti nel Tigrai che ospitano esuli del regime eritreo. Nonostante questo, mancando un coinvolgimento ufficiale, l’Eritrea non ha preso parte al processo di pacificazione in atto.

Il ritiro delle truppe di Asmara era però una delle principali condizioni definite dall’incontro di Nairobi (Kenya) del 12 novembre. Dopo l’accordo di pace di Pretoria, le autorità del Tigray avevano infatti accusato il governo eritreo di ostacolare il processo di pace e hanno esortato il governo etiope a rispettare i termini dell’accordo del 2 novembre ritirando le forze straniere e non federali. Un altro punto dell’accordo prevedeva il dispiegamento della polizia federale, che dovrà sostituire quella regionale. Le forze di polizia dovranno infatti garantire la sicurezza nella Regione e lavorare insieme all’Unione africana per garantire il rispetto dei termini stabiliti nell’accordo. Intanto altri obiettivi sono quelli di ripristinare i servizi di base nella regione e consentire l’accesso umanitario incondizionato a tutta la regione, il disarmo delle milizie e il ritiro completo delle truppe eritree e delle milizie ahmara ancora presenti nel Tigray. Il conflitto nel Tigray, scoppiato nel novembre 2020, tra le forze del governo federale etiope e il Tplf ha causato la morte di oltre mezzo milione di persone e migliaia di sfollati.

Ma la strada è tutt’altro che in discesa. Kibrom G/Selassie, amministratore delegato dell’ospedale comprensivo di Ayde, il più grande nella regione del Tigray, ha infatti denunciato, come riportato da “Africa Rivista”, di stare ancora aspettando i medicinali per le cure mediche salvavita.

«Nulla è cambiato anche dopo l’accordo di pace; il governo federale non sta fornendo all’ospedale le medicine tanto necessarie, inclusi i reagenti di laboratorio», ha segnalato Kibrom.

Già nel mese di ottobre, Kibrom aveva dichiarato ad Addis Standard che l’ospedale era sull’orlo del collasso a causa dell’esaurimento dei farmaci essenziali, della mancanza di reagenti di laboratorio e di macchinari difettosi. Dall’altro lato il ministero federale della Salute ha affermato, in una relazione resa nota a dicembre, che i medicinali e le forniture mediche essenziali sono stati distribuiti nella regione del Tigray attraverso l’Organizzazione mondiale della sanità e il Comitato internazionale della Croce Rossa.

Oltre ai delicati passi per la risoluzione del conflitto in Tigray, un’altra ondata di violenza preoccupa l’Etiopia. Le due comunità più numerose del paese, infatti, Oromo e Amhara, denunciano da settimane omicidi e si incolpano l’un l’altro. Le forze di sicurezza etiopi, gli insorti oromo e la milizia amhara si stanno infatti combattendo nella Regione di Oromia, la più grande dell’Etiopia. Le forze di sicurezza federali etiopi combattono contro l’Esercito di liberazione dell’Oromo (Ola), che il governo ritiene un gruppo terroristico e pare che anche i residenti di Oromo e Amhara e i loro alleati armati si stiano scontrando.


A questo proposito Matteo Palamidesse a fine dicembre era intervenuto su Radio Blackout nella trasmissione Bastioni di Orione per approfondire come si è venuta sviluppando la situazione in Oromia:
“In Oromia la tensione non si vede, si colgono narrazioni di guerra”.

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Mosaico etiope: a Nord guerra, a Sud referendum autonomista https://ogzero.org/mosaico-etiope-a-nord-guerra-a-sud-referendum-autonomista/ Mon, 19 Dec 2022 00:48:32 +0000 https://ogzero.org/?p=9822 Decenni di lotte postcoloniali hanno portato il Corno d’Africa e in particolare l’Etiopia alla condizione attuale di frammentazione di etnie, divergenze di interessi, rivendicazioni di territori e… autonomia. Appunto: a questo snodo si finisce con l’arrivare laddove si innescano guerre sanguinosissime, cambi al vertice di Addis Abeba con il ridimensionamento tigrino all’avvento di Abiy Ahmed […]

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Decenni di lotte postcoloniali hanno portato il Corno d’Africa e in particolare l’Etiopia alla condizione attuale di frammentazione di etnie, divergenze di interessi, rivendicazioni di territori e… autonomia. Appunto: a questo snodo si finisce con l’arrivare laddove si innescano guerre sanguinosissime, cambi al vertice di Addis Abeba con il ridimensionamento tigrino all’avvento di Abiy Ahmed che ha condotto alla guerra scatenata dal premio Nobel per la Pace appoggiato dal despota eritreo Afewerki, da sempre avversario del confinante Tigray; il risultato è stato un conflitto feroce di tutti contro tutti. Le alleanze e le divisioni tra comunità di ceppi diversi od omologhi hanno esacerbato ulteriormente una condizione che era negativamente fluida già quando cercammo di farne il punto all’inizio del conflitto. Per arrivare ai preoccupati interventi su Radio Blackout di Palamidessa.
Ora Gianni Sartori allarga un po’ il grandangolo e dunque vengono comprese anche le comunità del Sud dell’Etiopia, scoperchiando il vaso delle rivendicazioni di autonomia che cominceranno a sfociare in referendum nei primi mesi del 2023, quando il governo centrale vedrà di rafforzare il federalismo; peccato che le spinte centrifughe si moltiplicano anche a Ovest del paese…


A quanto pare in Etiopia va rinforzandosi il federalismo e si opera per il superamento di antichi conflitti etnici attraverso una maggiore autonomia di ciascun gruppo. Soluzione forse inevitabile in un paese costituito da un mosaico di etnie conviventi con quelle dei tre gruppi principali (amhara, oromo e sidama).

Abyi Ahmed

Un primo segnale era giunto nel 2018 con la nomina a primo ministro di Abiy Ahmed di origini miste oromo-amhara e per questo inizialmente ben accetto da entrambi i gruppi etnici (anche se poi gli Oromo lo hanno accusato di “tradimento”).
Abiy Ahmed aveva intrapreso alcune riforme a favore delle storiche rivendicazioni identitarie e territoriali della frammentazione di etnie (in parte conseguenza di non opportune precedenti divisioni amministrative) rimaste irrisolte.

Eterna stagione referendaria

Gli ultimi referendum di questo genere erano stati quelli del 20 novembre 2019 e del 23 novembre 2021 (“Nigrizia”). Avevano rispettivamente sancito la nascita di due nuovi stati federali, Sidama (dove il 99,7% per cento degli aventi diritto si era recato alle urne e il 98,5% aveva votato per l’autonomia) e South West. Separandosi entrambi dal Snnrr (Stato regionale delle nazioni, nazionalità e popoli del sud) già teatro di scontri e conflitti etnici.

Ultima tappa della frammentazione di etnie

Previsto per il 6 febbraio 2023, il nuovo referendum si terrà nella prospettiva della creazione di un dodicesimo stato regionale. Dovrebbe svolgersi in sei zone amministrative (Wolayita, Gamo, Gofa, South Omo, Gedeo e Konso) e cinque distretti speciali (Amaro, Burji, Basketo, Derashe e Alle). Attualmente integrati nel Snnpr.

Federalismo etnico

Risale al 1995 la Costituzione basata sul “federalismo etnico” che formalmente garantiva una relativa autonomia agli oltre 80 ceppi della frammentazione di etnie che comporrebbe il  paese (uno dei più popolati dell’Africa con quasi 120 milioni di abitanti). Possibilità non sempre adeguatamente accolta dagli interessati o rispettata dai governi.
Si consideri a titolo di esempio il conflitto armato nel Nord del paese tra il governo centrale e l’Eprdf, la coalizione guidata dal Fronte di liberazione popolare del Tigray (Tplf).
Anche recentemente, in settembre, si era nuovamente interrotta la tregua durata alcuni mesi nella prospettiva di una adeguata soluzione politica.

“Il genocidio atroce e diffuso nel Corno d’Africa” è un’intervento di Matteo Palamidessa trasmesso su Radio Blackout il 1° ottobre 2022.

Altri conflitti ricorrenti sono quello con l’Esercito di liberazione Oromo e la ribellione del Benishangul (Ovest dell’Etiopia).

Ribellismo e milizie

Ma i problemi dell’Etiopia non riguardano soltanto le questioni etniche. Altre emergenze coinvolgono trasversalmente ogni regione del paese, in particolare le ultime generazioni. Con il 70 per cento della popolazione sotto ai 35 anni (in buona parte disoccupata, emarginata nonostante il notevole incremento della scolarizzazione), manifestazioni, scioperi, rivolte e disordini sono fenomeni ricorrenti (e in genere repressi duramente).

Ma contemporaneamente al contenimento del ribellismo, i governi hanno sviluppato un altro modo per controllare, incanalare le istanze della gioventù etiope: quello di integrarli in formazioni giovanili strutturate su base regionale. Come i Fano per gli Amhara (una delle più consistenti numericamente e ben armata, talora qualificati come “vigilantes”) e i Qerro (sinonimo di “scapoli”, molti legati al sistema tradizionale di autogoverno, democratico e inclusivo) per gli Oromo. In passato alleati dei Fano, erano poi sorti contrasti a causa dell’ideologia panetiopica, egemonica e antifederale, caratteristica degli Amhara.
Consistenti numericamente anche altre organizzazioni giovanili come gli Yelega in Wolayta, gli Ejeetto Sidamo…a cui si sono aggiunti Nebro, Zarma, Aeigo, Dhhaaldiim.

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E il fiume mormorava in tigrino e amarico https://ogzero.org/tigray-2021-e-il-fiume-mormorava-in-tigrino-e-amarico/ Sun, 29 Aug 2021 07:47:14 +0000 https://ogzero.org/?p=4672 1985, la siccità strema il Corno d’Africa, il fotografo dipinge con quello che ha, i fasci di luce inquadrano un sottobosco di umanità disperata in fuga da fame e guerra. La regione era il Tigray, il fotografo Sebastião Salgado. Allora il celeberrimo scatto del fotografo brasiliano squarciò il velo che nascondeva il quadro dove all’aridità […]

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1985, la siccità strema il Corno d’Africa, il fotografo dipinge con quello che ha, i fasci di luce inquadrano un sottobosco di umanità disperata in fuga da fame e guerra. La regione era il Tigray, il fotografo Sebastião Salgado. Allora il celeberrimo scatto del fotografo brasiliano squarciò il velo che nascondeva il quadro dove all’aridità dei campi tigrini si sommava la guerra portata dagli eritrei filoamericani contro il regime filosovietico di Menghistu, impedendo il transito di aiuti. Si contò un milione di morti alla fine della carestia.

Sebastião Salgado, Kalema Camp – West Tigray, 1985 – mostra di Nice, agosto 2021. Un servizio della Bbc lo definì “la cosa più vicina all’inferno sulla terra”

2021, di nuovo guerra. Anzi, non è mai finita. Di nuovo truppe eritree protagoniste di atrocità in Tigray; ancora deportazioni e campi di concentramento per profughi eritrei fuggiti dal regime di Isaias Afewerki e per tigrini nel mirino della pulizia etnica oromo e ahmara, che vuole vendicare 30 anni di potere tigrino in Etiopia. La differenza sta nell’alleanza inaudita tra Addis Abeba e Asmara, che ha prodotto il consueto corollario di massacri, saccheggi, stupri, torture, esecuzioni e sparatorie; e nell’alleanza stipulata tra Fronti di liberazione tigrino e oromo, che promettono di allargare il conflitto, facendolo diventare Guerra civile di tutta la nazione.

E corpi portati dal Tekezé a valle, in Sudan, dove si chiama Setit.

Tigray 2021

Sponde del Tekezé a Wad el-Hiliou – Kassala, 4 agosto 2021

In questo agosto distratto da conflitti in altre aree strategiche truppe eritree attraversano nuovamente il fiume Tekezé che fa da confine e che ha visto migliaia di morti e 2 milioni di sfollati dall’inizio dell’operazione militare scatenata a novembre da Abiy Ahmed, il presidente etiope. A giugno il Fronte di liberazione del popolo tigrino (Tplf) aveva riconquistato l’intera regione, entrando a Mekallé e costringendo gli etiopi al cessate il fuoco.

Claudio Canal si sofferma brevemente ma efficacemente sugli aspetti che coinvolgono l’umanità oppressa dalla guerra e in particolare le violenze di genere correlate.


Il fiume scorre serafico come sempre.  Il Tekezé è un fiume geopolitico, segna il confine tra l’Etiopia e l’Eritrea e tra Etiopia e Sudan dove cambia nome e diventa Setit. Separa anche l’area delle lingue amarica e tigrina.  Come tutti i torrenti e i fiumi del pianeta trasporta ciò che cade in acqua o vi è gettato. In questi giorni scorrono corpi umani martoriati che dal Tigray [più noto come Tigré nella versione italiana], vasta regione settentrionale dell’Etiopia, galleggiano senza una meta verso il Sudan.

Una guerra la si può vincere o perdere, ma, essendo una macchina di produzione, lascia dietro di sé deiezioni in forma di corpi esanimi. Qualche volta raccolti e sepolti, altre volte lasciati lì a tornare polvere. Salvo che un fiume o un mare li accolga e li smuova secondo le proprie leggi. Fino a questo momento una cinquantina o più. Il fiume racconta che nel suo medio-alto corso è in atto una tragica inimicizia tra esseri umani.

Tigray 2021

Una geopolitica bizzarra ci dice che ex nemici accaniti, che si scontravano da decenni non badando ai morti, Etiopia ed Eritrea, adesso si sono scoperti alleati. Una, con un primo ministro, Abiy Ahmed Ali, laureato Nobel per la pace 2019 e dottorando in guerra; l’altra, con un presidente che si può classicamente definire tiranno. Un ossimoro istituzionale che la realtà però sopporta bene. Un pizzico di accortezza in più ai giurati del Nobel ne consoliderebbe la fama. Ci dice anche, questa geopolitica stravagante, che l’Etiopia è entrata in guerra con se stessa tramite una meno eccentrica e più consolidata forma di guerra civile, iniziata nel novembre scorso. L’obiettivo era ridurre a più miti consigli la leadership del Tigray, che nei decenni passati aveva governato l’Etiopia. Uno scontro di poteri abbastanza tradizionale in cui si è inserita bellicosamente l’Eritrea, in attesa che altri attori dell’area dicano la loro con i propri eserciti. Accendere i motori di una guerra è facilissimo. Difficilissimo anche solo metterla in folle.

Non riassumo i nove mesi di guerra ora in accelerata ripresa. Una aggiornata cronaca si può trovare nella sempre documentata “Nigrizia  e telegraficamente tramite la sintesi della penna di Dave Lawler.

“Tigray nascosto: silenzioso annientamento di una comunità”.

 

Due temi vorrei sottolineare:

  1. se ti arriva la guerra sotto casa o direttamente dentro cosa fai? Cerchi di scappare. È quello che sta massivamente succedendo. Non bastasse, c’era chi già era fuggito dalla confinante Eritrea e stazionava in campi profughi abbastanza improvvisati. Fuggiva dalla, chiamiamola così, antidemocrazia dell’Eritrea, dai suoi soprusi e dalla povertà, e nella tappa in Tigray ritrovava anche una lingua comune, il tigrino [lingua del ceppo semitico come l’amarico, lingua ufficiale dell’Etiopia, preceduta in quanto a numero di parlanti dall’oromonico della nazionalità oromo]. La partecipazione diretta dell’Eritrea alla guerra a fianco dell’Etiopia ha significato per i rifugiati eritrei dover fare i conti, di nuovo, con l’esercito eritreo che non è noto per il rispetto di alcunché. Non è difficile immaginare il disastro della guerra sui loro volti. I superstiti stanno forse sognando un barcone che attraversi il Mediterraneo e li porti in salvo chissà dove.

È il cinismo della geopolitica, che descrive, ma non può render conto dei moti sotterranei delle vite singole e collettive.

        2. «Non so se si sono accorti che ero una persona»

È la dichiarazione di una donna stuprata dai soldati nel Tigray. È anche il titolo del rapporto di Amnesty International e il contenuto di numerose altre inchieste curate dalla Reuters e del Georgetown Institute for Women, Peace and Security e del Kujenga Amani e nuovamente “Nigrizia” e…

Siamo in tempi di turismo, d’arte e d’altro. Passeggiando per Firenze in piazza san Lorenzo è possibile ammirare il monumento che Baccio Bandinelli scolpì nel 1540 per celebrare il condottiero Giovanni della Bande Nere che oggi verrebbe definito contractor e in tempi meno eleganti mercenario.

Le guide descrivono il bassorilievo del basamento come scene di guerra.  Effettivamente. Si vede la cattura di una donna, preludio al suo uso sessuale, come da sempre le regole belliche hanno decretato e che il Novecento ha visto intensificarsi e proliferare fino a oggi. Una terribile ed efficace forma di deterrenza e di intimidazione che si rivolge alle altre donne e ai loro uomini.

Le donne del Tigray gridano che questa storia non è per niente finita, ma dicono anche che da certe orecchie non ci sentiamo. La loro solitudine continua.

Postilla: Eritrea ed Etiopia sono state due colonie italiane. Una, la primigenia, l’altra, l’ultima a essere aggredita dalle truppe del Regio Esercito. Silenzio desertico dalle nostre parti, orfane anche della memoria storica di Angelo Del Boca.


Il Sudan ha convocato l’ambasciatore etiope a Khartoum per informarlo che i 29 cadaveri trovati sulle rive del fiume Setit, al confine con l’Etiopia, tra il 26 luglio e l’8 agosto, erano cittadini di etnia Tigray; i cadaveri sono stati identificati da cittadini etiopi residenti nella zona di Wad al Hulaywah, nel Sudan orientale. Il 5 settembre un reportage della Cnn ha riacceso i riflettori sul Tekezé e sui corpi mutilati che sussurrano nel suo alveo.

Questo scontro diplomatico avviene dopo il ritrovamento e il sequestro, da parte delle autorità sudanesi, di 72 scatole, contenenti armi e binocoli per la visione notturna, arrivate via aereo dall’Etiopia il 4 settembre. Nella serata del 6 settembre, il Ministero degli Interni sudanese ha affermato che la spedizione, che includeva 290 fucili, apparteneva ad un commerciante autorizzato, Wael Shams Eldin, ed era stata controllata e ritenuta in regola. Anche la compagnia aerea etiope ha confermato che le armi erano pistole da caccia che facevano parte di una spedizione verificata. Le armi erano giunte dalla Russia all’Etiopia nel maggio 2019. Le autorità etiopi le avevano tenute ad Addis Abeba negli ultimi due anni, ma, senza preavviso, il 4 settembre, avevano autorizzato il loro trasporto a Khartoum su un aereo civile. I primi sospetti delle autorità sudanesi si erano indirizzati contro i lealisti del governo dell’ex presidente Omar al-Bashir, accusati dai funzionari del Consiglio di transizione di voler minare la svolta democratica del Paese. Le tensioni tra il Sudan e l’Etiopia sono aumentate da quando il conflitto nella regione settentrionale etiope del Tigray si è intensificato e la disputa sulla costruzione della diga Grand Ethiopian Renaissance Dam (Gerd) non si è ancora risolta.

La guerra si estende e comprende nuovi motivi di astio…

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