tigrini Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/tigrini/ geopolitica etc Sun, 15 Jan 2023 22:37:03 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 Le nubi etiopi si sono spostate in Oromia https://ogzero.org/le-nubi-etiopi-si-sono-spostate-in-oromia/ Sun, 08 Jan 2023 21:23:35 +0000 https://ogzero.org/?p=10048 Abbiamo ritenuto opportuno riprendere un articolo pubblicato dai complici di “Atlante delle Guerre” che richiama l’interesse sulla area di guerra più micidiale del mondo, dove i conflitti tra comunità diverse non sono mai sopite e quando – dopo centinaia di migliaia di morti – si raggiunge una tregua in un’area come il Tigray nel Nord […]

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Abbiamo ritenuto opportuno riprendere un articolo pubblicato dai complici di “Atlante delle Guerre” che richiama l’interesse sulla area di guerra più micidiale del mondo, dove i conflitti tra comunità diverse non sono mai sopite e quando – dopo centinaia di migliaia di morti – si raggiunge una tregua in un’area come il Tigray nel Nord della Federazione etiope, si riaccende un conflitto nella centrale regione dell’Oromia, dove si scatenano rivalità e contenziosi tra ahmara e oromo, spostando schieramenti (Ola e Tplf) già contrapposti nel distretto tigrino, come potete sentire nel podcast in cui Matteo Palamidesse (@PalaMatteo) spiega con la consueta prudente cognizione di causa cosa muove le istanze dei singoli attori.


Le truppe eritree stanno lentamente abbandonando le principali città del Tigray centrale e occidentale. Una presenza, quella di Asmara, che, nonostante non sia mai stata ufficializzata ha creato non poche complicazioni nel conflitto. Il ritiro arriva in seguito all’accordo di pace mediato dall’Unione Africana e firmato il 2 novembre 2022 a Pretoria dal governo federale dell’Etiopia e dal Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf).

Nei due anni di guerra in Tigray, l’esercito eritreo è stato accusato di aver commesso atrocità su larga scala, tra cui aggressioni sessuali, uccisioni sommarie, stupri, saccheggi di città e distruzione di infrastrutture. L’Eritrea è infatti entrata a più riprese in Etiopia per reprimere i tigrini ed è stata in prima linea nelle stragi e nelle pulizie etniche. Gli eritrei hanno preso di mira anche i campi profughi presenti nel Tigrai che ospitano esuli del regime eritreo. Nonostante questo, mancando un coinvolgimento ufficiale, l’Eritrea non ha preso parte al processo di pacificazione in atto.

Il ritiro delle truppe di Asmara era però una delle principali condizioni definite dall’incontro di Nairobi (Kenya) del 12 novembre. Dopo l’accordo di pace di Pretoria, le autorità del Tigray avevano infatti accusato il governo eritreo di ostacolare il processo di pace e hanno esortato il governo etiope a rispettare i termini dell’accordo del 2 novembre ritirando le forze straniere e non federali. Un altro punto dell’accordo prevedeva il dispiegamento della polizia federale, che dovrà sostituire quella regionale. Le forze di polizia dovranno infatti garantire la sicurezza nella Regione e lavorare insieme all’Unione africana per garantire il rispetto dei termini stabiliti nell’accordo. Intanto altri obiettivi sono quelli di ripristinare i servizi di base nella regione e consentire l’accesso umanitario incondizionato a tutta la regione, il disarmo delle milizie e il ritiro completo delle truppe eritree e delle milizie ahmara ancora presenti nel Tigray. Il conflitto nel Tigray, scoppiato nel novembre 2020, tra le forze del governo federale etiope e il Tplf ha causato la morte di oltre mezzo milione di persone e migliaia di sfollati.

Ma la strada è tutt’altro che in discesa. Kibrom G/Selassie, amministratore delegato dell’ospedale comprensivo di Ayde, il più grande nella regione del Tigray, ha infatti denunciato, come riportato da “Africa Rivista”, di stare ancora aspettando i medicinali per le cure mediche salvavita.

«Nulla è cambiato anche dopo l’accordo di pace; il governo federale non sta fornendo all’ospedale le medicine tanto necessarie, inclusi i reagenti di laboratorio», ha segnalato Kibrom.

Già nel mese di ottobre, Kibrom aveva dichiarato ad Addis Standard che l’ospedale era sull’orlo del collasso a causa dell’esaurimento dei farmaci essenziali, della mancanza di reagenti di laboratorio e di macchinari difettosi. Dall’altro lato il ministero federale della Salute ha affermato, in una relazione resa nota a dicembre, che i medicinali e le forniture mediche essenziali sono stati distribuiti nella regione del Tigray attraverso l’Organizzazione mondiale della sanità e il Comitato internazionale della Croce Rossa.

Oltre ai delicati passi per la risoluzione del conflitto in Tigray, un’altra ondata di violenza preoccupa l’Etiopia. Le due comunità più numerose del paese, infatti, Oromo e Amhara, denunciano da settimane omicidi e si incolpano l’un l’altro. Le forze di sicurezza etiopi, gli insorti oromo e la milizia amhara si stanno infatti combattendo nella Regione di Oromia, la più grande dell’Etiopia. Le forze di sicurezza federali etiopi combattono contro l’Esercito di liberazione dell’Oromo (Ola), che il governo ritiene un gruppo terroristico e pare che anche i residenti di Oromo e Amhara e i loro alleati armati si stiano scontrando.


A questo proposito Matteo Palamidesse a fine dicembre era intervenuto su Radio Blackout nella trasmissione Bastioni di Orione per approfondire come si è venuta sviluppando la situazione in Oromia:
“In Oromia la tensione non si vede, si colgono narrazioni di guerra”.

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Mosaico etiope: a Nord guerra, a Sud referendum autonomista https://ogzero.org/mosaico-etiope-a-nord-guerra-a-sud-referendum-autonomista/ Mon, 19 Dec 2022 00:48:32 +0000 https://ogzero.org/?p=9822 Decenni di lotte postcoloniali hanno portato il Corno d’Africa e in particolare l’Etiopia alla condizione attuale di frammentazione di etnie, divergenze di interessi, rivendicazioni di territori e… autonomia. Appunto: a questo snodo si finisce con l’arrivare laddove si innescano guerre sanguinosissime, cambi al vertice di Addis Abeba con il ridimensionamento tigrino all’avvento di Abiy Ahmed […]

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Decenni di lotte postcoloniali hanno portato il Corno d’Africa e in particolare l’Etiopia alla condizione attuale di frammentazione di etnie, divergenze di interessi, rivendicazioni di territori e… autonomia. Appunto: a questo snodo si finisce con l’arrivare laddove si innescano guerre sanguinosissime, cambi al vertice di Addis Abeba con il ridimensionamento tigrino all’avvento di Abiy Ahmed che ha condotto alla guerra scatenata dal premio Nobel per la Pace appoggiato dal despota eritreo Afewerki, da sempre avversario del confinante Tigray; il risultato è stato un conflitto feroce di tutti contro tutti. Le alleanze e le divisioni tra comunità di ceppi diversi od omologhi hanno esacerbato ulteriormente una condizione che era negativamente fluida già quando cercammo di farne il punto all’inizio del conflitto. Per arrivare ai preoccupati interventi su Radio Blackout di Palamidessa.
Ora Gianni Sartori allarga un po’ il grandangolo e dunque vengono comprese anche le comunità del Sud dell’Etiopia, scoperchiando il vaso delle rivendicazioni di autonomia che cominceranno a sfociare in referendum nei primi mesi del 2023, quando il governo centrale vedrà di rafforzare il federalismo; peccato che le spinte centrifughe si moltiplicano anche a Ovest del paese…


A quanto pare in Etiopia va rinforzandosi il federalismo e si opera per il superamento di antichi conflitti etnici attraverso una maggiore autonomia di ciascun gruppo. Soluzione forse inevitabile in un paese costituito da un mosaico di etnie conviventi con quelle dei tre gruppi principali (amhara, oromo e sidama).

Abyi Ahmed

Un primo segnale era giunto nel 2018 con la nomina a primo ministro di Abiy Ahmed di origini miste oromo-amhara e per questo inizialmente ben accetto da entrambi i gruppi etnici (anche se poi gli Oromo lo hanno accusato di “tradimento”).
Abiy Ahmed aveva intrapreso alcune riforme a favore delle storiche rivendicazioni identitarie e territoriali della frammentazione di etnie (in parte conseguenza di non opportune precedenti divisioni amministrative) rimaste irrisolte.

Eterna stagione referendaria

Gli ultimi referendum di questo genere erano stati quelli del 20 novembre 2019 e del 23 novembre 2021 (“Nigrizia”). Avevano rispettivamente sancito la nascita di due nuovi stati federali, Sidama (dove il 99,7% per cento degli aventi diritto si era recato alle urne e il 98,5% aveva votato per l’autonomia) e South West. Separandosi entrambi dal Snnrr (Stato regionale delle nazioni, nazionalità e popoli del sud) già teatro di scontri e conflitti etnici.

Ultima tappa della frammentazione di etnie

Previsto per il 6 febbraio 2023, il nuovo referendum si terrà nella prospettiva della creazione di un dodicesimo stato regionale. Dovrebbe svolgersi in sei zone amministrative (Wolayita, Gamo, Gofa, South Omo, Gedeo e Konso) e cinque distretti speciali (Amaro, Burji, Basketo, Derashe e Alle). Attualmente integrati nel Snnpr.

Federalismo etnico

Risale al 1995 la Costituzione basata sul “federalismo etnico” che formalmente garantiva una relativa autonomia agli oltre 80 ceppi della frammentazione di etnie che comporrebbe il  paese (uno dei più popolati dell’Africa con quasi 120 milioni di abitanti). Possibilità non sempre adeguatamente accolta dagli interessati o rispettata dai governi.
Si consideri a titolo di esempio il conflitto armato nel Nord del paese tra il governo centrale e l’Eprdf, la coalizione guidata dal Fronte di liberazione popolare del Tigray (Tplf).
Anche recentemente, in settembre, si era nuovamente interrotta la tregua durata alcuni mesi nella prospettiva di una adeguata soluzione politica.

“Il genocidio atroce e diffuso nel Corno d’Africa” è un’intervento di Matteo Palamidessa trasmesso su Radio Blackout il 1° ottobre 2022.

Altri conflitti ricorrenti sono quello con l’Esercito di liberazione Oromo e la ribellione del Benishangul (Ovest dell’Etiopia).

Ribellismo e milizie

Ma i problemi dell’Etiopia non riguardano soltanto le questioni etniche. Altre emergenze coinvolgono trasversalmente ogni regione del paese, in particolare le ultime generazioni. Con il 70 per cento della popolazione sotto ai 35 anni (in buona parte disoccupata, emarginata nonostante il notevole incremento della scolarizzazione), manifestazioni, scioperi, rivolte e disordini sono fenomeni ricorrenti (e in genere repressi duramente).

Ma contemporaneamente al contenimento del ribellismo, i governi hanno sviluppato un altro modo per controllare, incanalare le istanze della gioventù etiope: quello di integrarli in formazioni giovanili strutturate su base regionale. Come i Fano per gli Amhara (una delle più consistenti numericamente e ben armata, talora qualificati come “vigilantes”) e i Qerro (sinonimo di “scapoli”, molti legati al sistema tradizionale di autogoverno, democratico e inclusivo) per gli Oromo. In passato alleati dei Fano, erano poi sorti contrasti a causa dell’ideologia panetiopica, egemonica e antifederale, caratteristica degli Amhara.
Consistenti numericamente anche altre organizzazioni giovanili come gli Yelega in Wolayta, gli Ejeetto Sidamo…a cui si sono aggiunti Nebro, Zarma, Aeigo, Dhhaaldiim.

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Non di soli contrasti tribali vive lo scontro etiope… https://ogzero.org/dispute-etniche-e-svolte-liberiste-dietro-la-guerra-in-corno-dafrica/ Wed, 18 Nov 2020 01:55:38 +0000 http://ogzero.org/?p=1775 … anzi, il sottile velo delle dispute etniche non riesce a nascondere gli interessi internazionali, il neocolonialismo che muove i protagonisti locali, la spartizione di risorse, territori, infrastrutture. I ribaltamenti dei sistemi politico-economici non possono che passare attraverso crisi apertamente belliche e quindi dal 4 novembre è scoppiata una guerra civile che può estendersi all’intera […]

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… anzi, il sottile velo delle dispute etniche non riesce a nascondere gli interessi internazionali, il neocolonialismo che muove i protagonisti locali, la spartizione di risorse, territori, infrastrutture. I ribaltamenti dei sistemi politico-economici non possono che passare attraverso crisi apertamente belliche e quindi dal 4 novembre è scoppiata una guerra civile che può estendersi all’intera area della Rift Valley.

Redde rationem trentennale nel superamento dell’etnofederalismo

Abiy Ahmed, oromo giunto rocambolescamente al potere etiope in sostituzione del “controllo” trentennale tigrino e al nobel in premio per un accordo storico con l’Eritrea, utile al primo ministro etiope per contare su naturali alleati storicamente interessati a contenere i vicini tigrini di Macallè (fin dai tempi coloniali, agevolando il compito di quelle potenze occidentali), ma indispensabile anche ad Isaias Afewerki, dittatore eritreo, per mantenere il potere concentrato nelle sue mani – ma forse la guerra può aver creato un’alleanza tra tigrini e oppositori eritrei, tanto che pare che alcuni guerriglieri siano penetrati nel territorio eritreo e dal Tigray è stato bombardato l’aeroporto di Asmara. Già due anni fa, al momento dell’accordo fortemente ricercato dai sauditi di Bin Salman, si scaricarono transfughi eritrei al confine tigrino (minato e costellato da campi profughi), folle corrispondenti a quelle che ora premono sulla frontiera che divide Etiopia e Sudan (forse 100.000).

A completare il quadro del rinnovato sciovinismo del Corno d’Africa (una scena che ha come sfondo il controllo del Mar Rosso) c’è il rischio che venga coinvolta la variegata galassia delle Somalie e il Sudan, ancora in procinto di uscire dalla transizione dopo la cacciata di al-Bashir, teatro nella provincia orientale di Cassala al confine con Eritrea ed Etiopia di scontri proprio per rivendicazioni di maggiore rappresentanza tra tribù Juba.

L’economia detta l’agenda nazional-federale

L’etnia oromo è maggioritaria nel paese ma è rimasta marginalizzata per lo strapotere del Nord, che possedendo la maggioranza delle risorse e infrastrutture del paese ed essendo al centro di vie di comunicazione, controllando l’esercito fino all’epurazione del 2018 effettuata da Abiy Ahmed, aveva potuto mantenere un sistema etnofederalista che salvaguardava non solo le componenti minoritarie, ma impediva svolte neoliberiste che invece si sono imposte nel momento in cui Abiy Ahmed ha preso il potere, cominciando a configurarsi come un regime e il timore ha preso a serpeggiare tra i cittadini etiopi.

Il premio Nobel ha ammantato l’archiviazione del sistema economico con la spinta alla riconciliazione nazionale, che vede solo la resistenza del Tigray, un’etnia con una forte percezione di sé (e della sua storia di contrapposizione al saccheggio delle proprie risorse e all’occupazione militare del proprio territorio, fin dai tempi coloniali) che individua nel cambiamento il conseguente ridimensionamento dell’autonomia regionale. Ovviamente le altre etnie, che rappresentano il 94 per cento della popolazione, mal tollerano la resistenza tigrina, perciò le milizie ahmara hanno appoggiato l’esercito di Addis Abeba intervenuto in risposta a una reazione alla provocazione dello stato centrale che ha inviato ingenti truppe in Tigray.

La percezione del momento nella società etiope

Perciò il 10 novembre 2020 durante la trasmissione “I Bastioni di Orione” sulle frequenze di Radio Blackout si è potuta sentire questa ricostruzione degli eventi fatta da un giovane emigrato etiope, evidentemente non tigrino, che sostanzialmente attribuisce alla minoranza la responsabilità della deriva violenta di queste settimane:

Ascolta “Rivolta tigrina contro il superamento dell’etno-nazionalismo di Ahmed” su Spreaker.

La testimonianza, per quanto pacata, palesa la posizione fortemente critica della maggioranza degli etiopi, probabilmente non tanto per lo strappo attuale, ma per i 30 anni di oppressione tigrina, una reazione che ha fatto parlare di rwandizzazione per descrivere la reazione antitigrina. Difficile valutare se si tratta di esagerazioni, perché Abiy Ahmed ha fatto tesoro della esperienza da ministro delle comunicazioni, quando ha imparato a gestire e controllare i flussi di informazioni telematici: infatti trapelano pochissime notizie.

Il primo tassello da cui partire per descrivere la situazione è dunque l’ancora forte determinazione della minoranza tigrina a contrastare il nazionalismo identitario di Abiy – che dapprima ha dovuto fronteggiare per lo stesso motivo le rimostranze della sua stessa etnia oromo, portato a interpretare la propensione a diluire le differenze tribali nella comune “identità” etiope come un tradimento della propria gente; in realtà la scelta è essenzialmente un cambio di orientamento del modello di sviluppo su istanza cinese, che vede nel Corno d’Africa e nel presidio dello stretto di Bab al Mandab (ovvero di Gibuti) uno snodo essenziale per la Belt Road Inititive. Per fare ciò Abiy ha bisogno di poter gestire centralmente le ingenti risorse del Tigray, di abbracciare il neoliberismo e di indicare simboli che possano rappresentare la nazione etiope, stretta attorno a lui e al suo nuovo corso: a questo scopo si presta perfettamente la Diga della Rinascita sul Nilo azzurro.

Neocolonialismo Corno d'Africa 2020

Infrastrutture, basi militari, territori contesi, vie di comunicazione nella Rift Valley

Qualche snodo storico, ma i fattori divisivi sono infiniti

La crisi del Tigray nasce dallo scontro politico con il Tpfl, che è stato a lungo il partito egemone in seno all’Ersdf: i tigrini avevano sconfitto trent’anni fa il regime comunista e deposto Menghistu (l’ultimo a lanciare un escalation militare in Tigray), gestendo il potere da allora in avanti, senza abbracciare pienamente il neoliberismo. Il Fronte tigrino si è sentito più volte preso di mira dalle riforme del nuovo premier, che intanto ha creato una propria formazione politica, il Partito della prosperità.  Nel Tigray le autorità locali hanno deciso di tenere elezioni indipendenti a settembre, quelle che erano state rinviate ad agosto con la scusa della epidemia di SarsCov2 e il Tpfl è stato riconfermato al governo regionale. Ora lo scontro è diventato militare, con il rischio che la rivalità politica si trasformi in conflitto interetnico. Mulu Nega è stato nominato da Ahmed nuovo governatore ad interim per la regione settentrionale del Tigray. Poco prima il parlamento aveva preso la risoluzione di stabilire un’amministrazione provvisoria.

Per dipanare questo groviglio ne abbiamo discusso con Angelo Ferrari all’interno della stessa trasmissione diffusa da Radio Blackout in cui avevamo proposto la ricostruzione del giovane etiope.

Ascolta “Chi sta sabotando la convivenza e l’integrazione etnica?” su Spreaker.

L’apertura liberista al capitale privato crea attriti nell’intera società; nel Tigray ancora di più; la penetrazione di militari nazionali nella regione settentrionale è quindi vista come intrusione e ha fatto esplodere gli attacchi di Macallè. Si rischia l’esatto opposto del tentativo di unificare: la frammentazione perché ciascuno non si sente rappresentato a sufficienza e la repressione di Addis Abeba può incendiare l’intera area. Intanto sono già 25.000 gli sfollati e innumerevoli i morti (si parla di 500 solo nel massacro del 10 novembre a Mai-Kadra, in Tigray).

Ancora uno scambio di opinioni tra i redattori dei “Bastioni di Orione” di Radio Blackout e l’analista di eventi africani Angelo Ferrari

Ascolta “Nazionalismo e svolta liberista di Ahmed” su Spreaker.

Traffici d’armi e colonialismo

Nel 2019 il governo giallo-verde aveva stipulato attraverso la ministra Trenta accordi militari con il presidente-nobel_per_la_pace_Ahmed: «Difesa e sicurezza, formazione e addestramento, assistenza tecnica, operazioni di supporto alla pace… trasferimento di struttura d’arma e apparecchiatura bellica… è auspicata la promozione di iniziative finalizzate a razionalizzare il controllo sui prodotti a uso militare»; lo smercio di armamenti è comune ai precedenti governi italiani, soprattutto di centrosinistra, che avevano appoggiato la parte eritrea, ora già coinvolta con esplosioni all’Asmara perché Macallè accusa il regime di Afewerki di appoggiare Ahmed, inoltre le milizie ahmara si sono schierate subito con Addis Abeba. Duecento ufficiali tigrini inquadrati nell’African Union Mission in Somalia sono stati disarmati; l’isolamento è totale, probabilmente perché tutte le forze che agiscono in quello scacchiere temono si estenda l’incendio e scommettono sul ridimensionamento del peso del Tigray sull’area.

Colonialismo novecentesco in Corno d'Africa

Etnie e date fondamentali nella corsa novecentesca al Posto al sole

Il mai realmente sopito colonialismo italiano sta cercando di tornare a essere protagonista nel Corno d’Africa, perché gli interessi energetici e di appalti per infrastrutture (la Diga della Rinascita vede allignare ditte italiane nella costruzione progetta a Pechino) fanno gola come il Posto al sole di memoria mussoliniana… e quindi soffierà sul fuoco della guerra in un’area popolata dagli apparati militari di tutte le potenze mondiali (a Gibuti sono presenti compound militari di tutte le potenze globali), che si stanno accaparrando fette di un territorio che controlla traffici, merci, risorse. Una vera operazione neocoloniale nascosta sotto la cooperazione allo sviluppo.

Ascolta “Etiopia meta del complesso militar-industriale italiano” su Spreaker.

Le nazioni sono al soldo di potenze straniere per ridisegnare la geopolitica internazionale come avvenne nel periodo coloniale classico: tutte le potenze sono intente a controllare il passaggio del Mar Rosso da Aden a Suez (infatti a Gibuti, snodo essenziale del Belt Road Initiative, sono presenti tutti i contingenti militari) e ogni mossa è un riposizionamento strategico

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Tutti i nodi irrisolti tra Etiopia, Egitto e Sudan riaffiorano sulle acque del Nilo https://ogzero.org/tutti-i-nodi-irrisolti-tra-etiopia-egitto-e-sudan-riaffiorano-sulle-acque-del-nilo/ Fri, 24 Jul 2020 11:35:20 +0000 http://ogzero.org/?p=803 Il premio più ambito per un leader, il premio dei premi, il Nobel per la pace nel 2019 lo ha ricevuto il primo ministro etiope Abiy Ahmed. Un Nobel che premia un processo politico, non solo l’uomo che lo ha avviato. Un processo di riforme che sembrava impossibile e che invece, in appena due anni […]

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Il premio più ambito per un leader, il premio dei premi, il Nobel per la pace nel 2019 lo ha ricevuto il primo ministro etiope Abiy Ahmed. Un Nobel che premia un processo politico, non solo l’uomo che lo ha avviato. Un processo di riforme che sembrava impossibile e che invece, in appena due anni – dal 2 aprile 2018 – ha praticamente rivoltato l’Etiopia, trasformandola dal profondo. Un premio, tuttavia, che non nasconde le difficoltà e le contraddizioni che vive il paese. I nodi da sciogliere, ancora, sono enormi. Scontri etnici, problemi economici, la Grande Diga della Rinascita Etiope. Tutte questioni che rimangono ancora sul tavolo. Ma vi sono questioni politiche che devono essere affrontate, e a breve, per evitare un vuoto di potere, a ottobre, quando il parlamento scadrà. Le elezioni, previste per il 29 agosto, sono state cancellate causa coronavirus. Un appuntamento che, nelle intenzioni del premier, avrebbe dovuto rafforzare e consolidare la sua leadership e dare nuovo impulso alle riforme di cui l’Etiopia ha estremamente bisogno. Ma andiamo per ordine.

Sembrava impossibile che in Etiopia l’etnia minoritaria, ma egemone da sempre sul piano politico – i tigrini –, potesse cedere alcuni cruciali posti di potere, eppure è avvenuto. Sembrava impossibile che il mal sopportato cessate il fuoco con l’Eritrea si potesse trasformare in una vera pace, eppure è avvenuto. Sembrava impossibile che l’economia chiusa dell’Etiopia potesse aprire le porte a veri investitori esterni, eppure è avvenuto. Sembrava impossibile che migliaia di prigionieri potessero essere liberati, eppure è avvenuto. Tutto ciò è merito del premier Ahmed, del suo coraggio e della sua determinazione. Che sia stata un’impresa, che ci siano stati tentativi di resistenza lo testimoniano tre falliti colpi di stato con relativi attentati alla sua persona. Il Nobel è un modo per rafforzarlo, un modo per rendere più difficili e ardui i tentativi di fermarlo. Rimane, però, il fatto che negli ultimi due anni in Etiopia ci sono stati durissimi scontri tra tigrini, oromo, ahmara per la gestione della terra. Abiy Ahmed – un oromo – dovrà trovare un equilibrio e delle leggi democratiche che lo sanciscano. Il Nobel, inoltre, parla a tutta l’Africa, dice che si può cambiare, che ciò che appare impossibile può essere realizzato.

La strada, tuttavia, è ancora in salita. All’indomani dell’assegnazione del premio, si sono verificate rivolte degli oromo, con decine di morti e feriti, frutto dei combattimenti tra membri di vari gruppi etnici nella regione di Oromia. Le rivolte sono scoppiate dopo che l’oppositore Jawar Mohammed ha accusato le forze di sicurezza di aver pianificato un attentato ai suoi danni. Nonostante Abiy e Jawar appartengano alla stessa etnia e siano anche stati alleati prima dell’ascesa al potere dell’attuale premier, tra i due si è aperta una “guerra” molto virulenta. Jawar accusa Abiy di aver sviluppato tendenze autoritarie. Il premier, a detta di Jawar, sta cercando di intimidire i suoi detrattori, compresi gli alleati molto stretti che lo hanno portato al potere. Jawar, tuttavia, non ha mai nascosto l’aspirazione a candidarsi alle elezioni proprio contro il premier. Progetto svanito visto il rinvio delle elezioni a data da “destinarsi” e del tutto sepolto dopo il suo arresto per le rivolte dopo l’uccisione del musicista oromo.

Non si comprende, tuttavia, questa guerra etnica interna al gruppo degli oromo. Una scintilla banale o un omicidio eccellente scatenano una violenza inaudita, come l’uccisione del cantante oromo Hachalu Hundessa. Una rivolta che ha provocato più di 200 morti e oltre 5000 arresti. Il cantante molto popolare tra la popolazione oromo – l’etnia maggioritaria in Etiopia – e che, grazie alle sue canzoni di denuncia contro la presunta emarginazione del gruppo etnico dalla vita politica ed economica del paese, è diventato negli anni uno dei leader delle rivendicazioni. Rivendicazioni che, paradossalmente, si sono intensificate dopo l’entrata in carica del premier Abiy Ahmed: molti nazionalisti lo accusano infatti di non aver fatto abbastanza per difendere gli interessi della sua comunità. Il primo ministro, del resto, ha più volte promesso maggiori libertà politiche e che le prossime elezioni dovranno essere “libere ed eque”, tuttavia il suo nuovo Partito della prosperità (Pp) – nato nel novembre scorso dalla fusione dei partiti che formavano il Fronte democratico rivoluzionario dei popoli etiopi (Eprdf), la coalizione al potere in Etiopia dal 1991, con il preciso obiettivo di superare le divisioni in nome di uno sviluppo condiviso – si basa su una visione “panetiope” che si trova a dover fare i conti con una forte concorrenza da parte di nuovi partiti regionali determinati a sostenere le rivendicazioni delle rispettive etnie di appartenenza dopo decenni di repressione e a inasprire lo scontro interetnico. È proprio alle tensioni settarie e ai ripetuti tentativi di far “deragliare” il percorso di riforme avviato dal suo governo che lo stesso Ahmed ha fatto riferimento nel suo discorso trasmesso in diretta televisiva subito dopo la morte di Hundessa. Ahmed ha infatti sottolineato come la storia recente del paese sia stata minacciata per tre anni consecutivi da tre “inquietanti” episodi avvenuti sempre nel mese di giugno: l’esplosione di una bomba durante un suo comizio ad Addis Abeba il 24 giugno 2018; il tentato golpe del 22 giugno 2019 che causò l’uccisione del capo dell’esercito Seare Mekonnen e del governatore dello stato di Amhara, Ambachew Mekonnen; e ora l’assassinio di Hundessa. In un vago riferimento a un “tentativo organizzato” di ostacolare la sua agenda di riforme, il primo ministro ha quindi puntato il dito contro «agenti interni e stranieri» responsabili di «un atto malvagio» al fine di «destabilizzare la nostra pace e impedirci di conseguire le riforme che abbiamo intrapreso». Ahmed ha quindi accusato non meglio precisati “gruppi” di aver preso di mira non solo Hundessa, ma anche altre personalità di spicco di etnia oromo con l’obiettivo di «istigare ulteriori violenze per far deragliare ciò che abbiamo costruito per il paese», e ha inoltre assicurato che il governo intensificherà le misure per garantire la prevalenza dello stato di diritto in tutto il paese, invitando i cittadini a stare dalla parte del governo. Il premier ha spiegato che questo omicidio verrà “utilizzato” per unificare il paese, «coloro che hanno pianificato il crimine sono gli stessi che non sono contenti dell’attuale cambiamento in atto nel paese. Il loro obiettivo non è uccidere il nostro fratello – ha spiegato Ahmed – ma uccidere l’Etiopia uccidendo Hachalu. Tuttavia, ciò non accadrà e il loro piano non avrà successo». Il rinvio delle elezioni, tuttavia, può logorare il governo e la sua tenuta democratica.

Tutto ciò accade in un paese che, nonostante una rapida crescita economica, rimane una delle nazioni più povere al mondo. Negli anni la violenza etnica in Etiopia, oltre a centinaia di morti, ha costretto oltre due milioni di persone a lasciare le loro case e trovare rifugio altrove.

E poi c’è la Diga della Rinascita a inquietare la scena politica sia interna che esterna dell’Etiopia. E più che una diga della rinascita rischia di diventare, non solo della discordia – quella è un dato di fatto – ma il detonatore di una crisi regionale dagli effetti imprevedibili. I negoziati, fino a ora, tra Etiopia, Egitto e Sudan, non hanno ancora sciolto i nodi. Tutt’e tre i paesi rimangono sulle loro posizioni, senza che vi siano segnali, concreti, che si possa arrivare a un accordo in tempi brevi e condiviso da tutti. Ai nulla di fatto del negoziato si aggiungono dichiarazioni – che probabilmente hanno il solo scopo di irritare i protagonisti del negoziato – come quelle del ministro delle Risorse idriche, dell’irrigazione e dell’energia, Sileshi Bekele, a cui nei giorni scorsi l’emittente di stato etiope Ebc ha attribuito affermazioni circa l’avvio delle operazioni di riempimento del bacino idrico della diga. Lo stesso ministro, poi, ha parzialmente rettificato l’informazione, limitandosi ad affermare che il riempimento è in corso «in conformità con il normale processo di costruzione» della diga.

Gli ultimi colloqui trilaterali che si sono tenuti in videoconferenza dal 3 luglio al 13 alla presenza di undici osservatori – tra cui Unione europea, Stati uniti e Unione africana – si sono conclusi con un nulla di fatto. Colloqui che si ripeteranno nei prossimi giorni. «Le posizioni invariate e le richieste aggiuntive ed eccessive dell’Egitto e del Sudan hanno impedito che questo ciclo di negoziati si concludesse con un accordo», ha dichiarato lo stesso Seleshi, ribadendo al contempo la convinzione che un accordo negoziato sia «l’unica via d’uscita». Nel frattempo nuove immagini satellitari sembrano mostrare un aumento dei livelli delle acque nel bacino idrico della diga costruita sul fiume Nilo. Il governo etiope ha negato di aver deliberatamente iniziato a riempire la diga, anche se il riempimento è il nodo sul quale si arenano i negoziati. Non si capisce se tutto ciò sia tattica o confusione.

La partita è dunque delicatissima e sia l’Egitto sia l’Etiopia hanno tutti i motivi per difendere le loro posizioni. Dall’acqua del Nilo dipende tutto. Il Nilo è l’Egitto. Il paese delle piramidi potrebbe perdere fino a 300 milioni di dollari di elettricità e un miliardo e mezzo di dollari in agricoltura. Il Cairo, inoltre, dovrebbe aumentare le sue importazioni alimentari fino a poco meno di 600 milioni di dollari, con una perdita di circa un milione di posti di lavoro. L’Egitto consuma circa 80 miliardi di metri cubi di acqua all’anno, di cui 50 provengono dal Nilo. L’Etiopia, invece, potrebbe perdere lo slancio economico che sta mettendo in campo il primo ministro Abyi Ahmed. Il balzo del Pil – attualmente la crescita sfiora le due cifre, ma occorre fare i conti con la pandemia di coronavirus – potrebbe rimane una chimera e deludere l’opinione pubblica interna, con conseguenze imprevedibili, vista l’attuale fragilità del tessuto sociale, spesso squassato da rivalità etniche e religiose. Un Pil, tuttavia, che non si riflette sull’economia reale, sul benessere della popolazione. Addis Abeba ha un gran bisogno di questa diga che, non a caso è stata definita “Diga della Rinascita etiope”. I lavori sono iniziati nel 2011 e affidati all’italiana Salini. L’invaso, inoltre, potrà immagazzinare fino a 74 miliardi di metri cubi di acqua e il riempimento dovrebbe cominciare o è già iniziato, almeno secondo le intenzioni di Addis Abeba, proprio in questo mese. L’oggetto del contendere è, infatti, sui tempi del riempimento che l’Egitto vorrebbe avvenisse in cinque anni mentre l’Etiopia in tre.

Sulla vicenda, inoltre, ci sono contratti milionari. La Cina, infatti, ha annunciato una megapartecipazione proprio in questa infrastruttura. La compagnia Ethiopian Electric Power (Eep) ha firmato un contratto del valore di 40 milioni di dollari con la China Gezhouba Group per la gestione delle attività relative alla diga. Tutto ciò spiega, inoltre, il fatto che l’Egitto boicotti l’iniziativa del bacino del Nilo, istituito con l’accordo di Entebbe firmato da sei paesi: Etiopia, Kenya, Ruanda, Tanzania, Uganda e Burundi. All’accordo non hanno aderito l’Egitto e il Sudan, a causa della riassegnazione delle quote d’acqua del Nilo che sfavorirebbe questi due paesi. Si spiega, dunque, l’asprezza del negoziato che, tutti si augurano, non sfoci nella Prima guerra dell’Acqua del terzo millennio.

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