Senkaku Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/senkaku/ geopolitica etc Fri, 24 Feb 2023 18:09:57 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 La guerra viene con le armi lo spaccio ad agosto https://ogzero.org/studium/la-guerra-viene-con-le-armi-lo-spaccio-ad-agosto/ Mon, 19 Sep 2022 09:46:18 +0000 https://ogzero.org/?post_type=portfolio&p=8943 L'articolo La guerra viene con le armi lo spaccio ad agosto proviene da OGzero.

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Fiera dell’usato, basi e magazzini

Anche questo mese va rubricata una fiera tenutasi dal 14 al 20 agosto ad Armiya, significativa perché, come scrive l’“Atlante delle Guerre”, pur se emblema del degrado del complesso militare-industriale della Federazione russa e disorganizzata come l’esercito russo, avrebbe realizzato ricavi per 7 miliardi e 1500 espositori, riprendendo i numeri di “Kommersant”. Certo che anche il sito ufficiale non riporta immagini, video, articoli, articoli esibiti… la splash page usa immagini del 2021 e per il resto si lancia l’edizione 2023. Una fiera fantasma, da cui però sono trapelate alcune agghiaccianti particolarità nella stringata cronaca di “Diritti Globali”: i numerosi ospiti in arrivo da trentadue paesi sono seguiti da un sofisticato dispositivo di sorveglianza e possono osservare i tremendi progressi raggiunti attraverso il conflitto. La Russia è il secondo produttore di armi del pianeta dietro agli Stati uniti. L’export vale quindici miliardi di dollari all’anno. Dopo il discorso di Putin, Shoigu ha “rassicurato” i presenti sulla possibilità di usare in Ucraina armi nucleari: «Da un punto di vista strategico non è necessario farlo per raggiungere i nostro obiettivi». Infatti la reginetta di questa fiera, in base alle illustrazioni e agli articoli dedicati è un “nuovo” carrarmato ottenuto con un restyling di un blindato di epoca brezneviana: il T-62M, nuovamente modernizzato; “Defense Express” ipotizza un impiego adatto nei contesti siriani e libici: proxy war d’altri tempi.

A latere di Armiya si registrano gli interessi per il gas del Mediterraneo orientale con gli schieramenti contrapposti, le cui ripercussioni si avvertono in ambito militare con moltiplicazione di fronti: cioè da un lato la nuova fornitura di S-400 schierati dalla Turchia “a difesa” del fronte mediterraneo del gas – contesto in cui è esplicitamente alleata di Mosca (pur confinante con la Mesopotamia che vede i due alleati di Astana in reciproca tensione); i russi in cambio dell’operazione di intelligence attraverso gli S-400 (che i turchi schierano contro i greci, alleati nella Nato) pagano con Rosatom la nuova centrale atomica di Akkuyu, versando altri 15 miliardi che, insieme ai 20 promessi dai sauditi nell’inedita convergenza di interessi con Mbs, faranno vincere le elezioni a Erdogan, per continuare a fare affari, anche e soprattutto nel traffico di armi e infrastrutture. “Formiche” dà conto di questa fornitura russa per il secondo esercito della Nato, mettendola in relazione appunto con la corsa al riarmo greco.
Infatti dall’altro lato si assiste alla conseguente ulteriore spirale di armamenti greci con l’aereo spia EMB-145H AEW&C, ma anche e soprattutto con pressioni per il potenziamento di basi a Creta (Souda bay verrà raddoppiata per incrementare il numero di sommergibili) e a Cipro (Akrotiri); a questo proposito gli Usa hanno persino tolto l’embargo sulle armi per Nicosia, imposto nel 1987 per facilitare l’unificazione dell’isola, innescando così la corsa agli armamenti tra le due amministrazioni dell’isola; come se si perseguisse l’accensione di ogni minimo focolaio di guerra che contrappone gli schieramenti.
Questo ci ha spinto a dedicare l’attenzione dell’editoriale di agosto alla profusione e proliferazione di basi, una vera rincorsa in questo periodo in ogni quadrante, in preparazione di probabili interventi repentini in zone di improvvisa crisi. Il “New York Times” dà notizia sempre nell’Ellade di un ripristino dell’hub finora in sonno ad Alexandroupoli, riattivazione che ha scatenato le reazioni di Turchia e Russia.
Ma anche nel braccio di ferro Indopacifico spicca l’annuncio formulato su “Nikkei” dall’ambasciatore filippino di una nuova serie di basi americane nell’arcipelago di Manila, perché è evidente che si inserisce nelle tensioni relative alle esercitazioni del Pla attorno a Taiwan; da quando le forze armate statunitensi cercano di distribuire le forze lungo la cosiddetta prima catena di isole che si estende dal Giappone al Sudest asiatico, l’importanza geopolitica delle Filippine va crescendo e la prospettiva è che entro i prossimi 3 anni gli Usa possano contare su 8 nuove basi nelle Filippine, secondo “Stars and Stripes”.
Ma con la guerra scatenata in Europa orientale le basi assumono il ruolo di deposito e smistamento armi, oltre che di posizionamento al fronte come per i bombardieri Eurofighter italiani dislocati il 29 luglio a Malbork in Polonia a meno di 130 chilometri da Kaliningrad (come informa Antonio Mazzeo). E allora vanno ricordati i campi di smistamento di armi stoccate in Germania, Polonia e in Ucraina stessa, dove il 60 per cento delle forniture non sono arrivate in prima linea perché bloccate – o più spesso – scomparse, come denuncia “Armi e Tiro”. Questo perché la Germania intende mantenere il controllo diretto su sufficienti materiali bellici e non esacerbare ancora di più i rapporti con la Russia.
Ma è soprattutto il territorio polacco che si va trasformando in un magazzino di armi provenienti da tutti i 40 paesi che partecipano al rifornimento antirusso: il 3 agosto i russi hanno distrutto un magazzino di armi destinate all’Ucraina, stoccati a Radejiv nella regione di Lviv; la cellula nevralgica della distribuzione delle armi è il Centro di coordinamento internazionale dei donatori descritta dal “NYT”. Le spedizioni iniziali di armi, tra cui missili antiaerei Stinger e anticarro Javelin, sono arrivate in Polonia e sono state trasportate rapidamente oltre il confine. Ma man mano che vengono donate armi più grandi, pesanti e complesse, i pianificatori militari inviano le spedizioni anche via mare, ferrovia e camion.
A fine luglio il centro aveva spostato più di 78.000 tonnellate di armi, munizioni e attrezzature per un valore di oltre 10 miliardi di dollari, secondo i funzionari militari statunitensi e occidentali. Il centro organizza anche l’addestramento dei soldati ucraini all’uso e alla manutenzione delle armi, come l’HIMARS, che richiede almeno due settimane di addestramento.
Intanto Kiyv ha ricevuto 230 tank da Polonia e Repubblica ceca, provenienti dal Patto di Varsavia, dunque non necessitano di addestramento per ufficiali ucraini, e questo chiude il cerchio con la fiera di Armiya, che dimostra come quella in corso sia una guerra fatta con armi obsolete. Infatti i 250 carri armati Abrams in gran spolvero nel loro ultimissimo modello rimarranno all’esercito di Varsavia in cambio di 1,2 miliardi di dollari versati alla General Dynamics Land Systems (“DefenseNews”); ma sono in consegna per il 2025 – per la prossima guerra, più moderna dopo lo svuotamento degli arsenali.


General Dynamics M1A2 SEPv3 Abrams tank

Siti consultati:

  • Armiya: sito ufficiale della fiera russa delle armi
  • Atlante delle Guerre: Fiera delle armi russe: impantanata nel web (17 agosto)
  • Diritti Globali”: A Mosca la fiera delle armi, Putin fa affari: «Così libero il Donbass» (17 agosto)
  • Defense Express”: Armiya-2022: russia’s T-62M Tank Latest Modernization (18 agosto)
  • Breaking Defense”: A second S-400 deal with Turkey? Not so fast, insiders say (12 settembre)
  • Formiche”: Le conseguenze (serie) dell’arrivo di altri S-400 russi alla Turchia  (17 agosto)
  • Formiche”: Cipro, perché la decisione Usa sull’embargo fa indignare la Turchia (17 settembre)
  • New York Times”: Sleepy Greek Port Becomes U.S. Arms Hub, as Ukraine War Reshapes Region (18 agosto)
  • Nikkei”: Philippines may allow U.S. military access during Taiwan crisis (5 settembre)
  • Taiwan News”: Philippines could allow US troops access to military bases during Taiwan conflict (5 settembre)
  • Armi e Tiro”: Usa: il 70 per cento delle armi non ha raggiunto l’Ucraina? (14 agosto)
  • New York Times”: Special Military Cell Flows Weapons and Equipment Into Ukraine (27 luglio)
  • DefenseNews”: Abrams-maker GDLS announces $1.1 billion tank deal for Poland (25 agosto)

GENNAIO FEBBRAIO MARZO APRILE MAGGIO GIUGNO LUGLIO SETTEMBRE OTTOBRE NOVEMBRE Traffico 2022

100 %

Avanzamento



La Top Ten dei contratti del Dipartimento americano della Difesa in agosto

La rivista “ClearanceJobs” ogni mese elenca in ordine per importo i contratti di fornitura per il Dipartimento della Difesa americano con la distinzione del corpo dell’esercito e specifica dell’azienda produttrice che incassa cifre da capogiro; è una lettura interessante che vi sintetizziamo per avere un ordine di idee dell’enorme giro di affari, di produzione legata al comparto difensivo e di soggetti coinvolti (Agenzie, enti, aziende e poi logistica e magazzini, stoccaggio… ma soprattutto Università e laboratori di ricerca).

  1. US Navy il 12 agosto ha stipulato un contratto del valore di 7.630.940.571 con Lockhheed Martin Corp. di Fort Worth, Texas;
    l’accordo riguarda l’acquisto di 129 aerei del Lotto 15, come segue: 49 velivoli F-35A per l’Aeronautica; tre velivoli F-35B e 10 velivoli F-35C per il Corpo dei Marines; 15 velivoli F-35C per la Marina; 32 velivoli F-35A e quattro velivoli F-35B per i partecipanti non appartenenti al Dipartimento della Difesa (DOD) degli Stati Uniti; e sedici velivoli F-35A per i clienti delle Vendite militari estere, oltre a 69 kit di hardware tecnico.
  2. US Air Force il 30 agosto ha stipulato un contratto del valore di 5.712.635.494 con CACI NSS LLC, Chantilly, Virginia;
    l’Enterprise Information Technology fornisce servizi IT aziendali che dovranno essere conclusi entro il 2032.
  3. Missile Defense Agency il 30 agosto ha stipulato un contratto del valore di 5,021.000.000 con Boeing Co., Huntsville, Alabama;
    per l’integrazione, il collaudo e la preparazione del sistema (SITR), dell’ingegneria complessiva dell’elemento GMD (Ground-Based Midcourse Defense) e dell’integrazione del GMD con il sistema di difesa missilistica.
  4. US Navy il 22 agosto ha stipulato un contratto del valore di 4.396.000.000 con Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory, Laurel, Maryland;
    per la ricerca, lo sviluppo, l’ingegneria, il collaudo e la valutazione per i programmi del Dipartimento della Difesa nell’ambito delle sue aree di competenza principali, tra cui il collaudo e la valutazione dei sistemi strategici; sicurezza e sopravvivenza dei sottomarini; scienza e ingegneria spaziale; sistemi di combattimento e missili guidati; difesa aerea e missilistica e proiezione di potenza; tecnologia dell’informazione, simulazione, modellazione e analisi delle operazioni; ricerca, sviluppo, test e valutazione relativi alle missioni. Questo contratto include opzioni che, se esercitate, porterebbero il valore cumulativo del contratto a 10.600.000.000 di dollari. Il lavoro sarà svolto a Laurel, nel Maryland, e dovrebbe essere completato entro agosto 2027.
  5. US Special Operation Command il 1° agosto ha stipulato un contratto del valore di 3.000.000.000 con L3 Communications Integrated Systems, Greenville, Texas;
    la consociata Armed Overwatch fornirà alle Forze per le Operazioni Speciali sistemi di velivoli che soddisfino i requisiti di supporto aereo ravvicinato, attacco di precisione e intelligence armata, sorveglianza e ricognizione, per l’uso in operazioni di guerra irregolare a sostegno della Strategia di Difesa Nazionale
  6. US Air Force il 31 agosto ha stipulato un contratto del valore di 2.214.952.163 con Boeing Co., Defense, Space & Security, Seattle, Washington;
    per gli abbonamenti e licenze relativi agli aerei KC-46A Air Force Production Lot 8,. Il contratto prevede l’esercizio di un’opzione per un’ulteriore quantità di 15 aerei KC-46A. Il lavoro sarà svolto a Seattle, Washington, e si prevede che sarà completato entro il 30 novembre 2025
  7. US Transportation Command il 22 agosto ha stipulato un contratto del valore di 1.630.630.000 con Federal Express Team, Memphis, Tennessee;
    per la continuazione dei servizi di trasporto aereo charter internazionali a lungo e corto raggio per il Dipartimento della Difesa. Il periodo di opzione va dal 1° ottobre 2022 al 30 settembre 2024.
  8. La Disa il 2 agosto ha stipulato un contratto del valore di 1.500.000.000 con Lumen Technologies Government Solutions Inc., Herndon, Virginia;
    per fornire servizi e capacità di trasmissione end-to-end essenziali per la Defense Information System Network (DISN) Indo-Pacific, l’infrastruttura di telecomunicazioni consolidata a livello aziendale del Dipartimento della Difesa per l’area di responsabilità del Comando indopacifico degli Stati Uniti, che include l’Alaska. Il contratto prevede un periodo di esecuzione di 10 anni.
  9. US Transportation Command il 2 agosto ha stipulato un contratto del valore di 1.447.524.000 con Patriot Team, Tulsa, Oklahoma;
    per la continuazione dei servizi di trasporto aereo charter internazionali a lungo e corto raggio per il Dipartimento della Difesa. Il periodo di opzione va dal 1° ottobre 2022 al 30 settembre 2024. Il lavoro sarà svolto a livello globale.
  10. US Navy il 12 agosto ha stipulato un contratto del valore di 1.013.571.576 con Rolls-Royce Corp., Indianapolis, Indiana;
    Il contratto prevede la manutenzione intermedia a livello di deposito e il relativo supporto logistico per circa 210 motori T-45 F405-RR-401 Adour in servizio a supporto della Marina.

Agosto

31 agosto

  • Il risveglio del più militarista degli imperi

  • Budget e ipersonici

  • Oltre alla cifra record richiesta per il budget della Difesa di Taiwan, nell’Indopacifico l’altro budget di spesa militare con incrementi stellari è quello giapponese: «Il Giappone rafforzerà drasticamente le proprie capacità di difesa grazie a un forte aumento delle spese destinate al settore per fronteggiare il contesto di sicurezza globale deteriorato a partire dall’invasione russa dell’Ucraina», ha spiegato il premier Fumio Kishida. Si tratta dell’undicesimo aumento di seguito delle spese militari nipponiche richiesto dal partito liberal democratico al potere dettagliando un centinaio di voci di spesa, secondo “The Diplomat”, che aggiunge alla cifra diffusa durante il G7 dal primo ministro altri 10,3 miliardi richiesti dall’Atla, l’agenzia ministeriale per l’acquisizione tecnologica, per procedere nel suo programma di caccia di prossima generazione in collaborazione con il Regno Unito. Questo progetto non prevede la rinuncia all’acquisto di altri 6 Lockheed Martin F-35A Lightning II, su cui montare i missili norvegesi Joint Strike della Kongsberg (un’integrazione che proviene dal contratto stipulato da Kongsberg con Lockheed Martin che ha ricevuto 57,3 milioni per la certificazione, da quanto trapelato su “AreaDifesa” di un anno fa).

    La lista della spesa

    Ma le aggiunte non si fermano qui, perché la marina pretende come stanziamento a parte 3,6 miliardi per continuare a trasformare le sue due portaelicotteri di classe Izumo – JS Izumo e JS Kaga – in portaerei in grado di operare con i caccia F-35B Lightning multirole fighter, il cui numero dovrebbe essere incrementato (sempre fuori budget) di 6 apparecchi.

    A questi si aggiungerebbero 6 elicotteri da pattugliamento antisommergibile SH-60L, una variante aggiornata dell’elicottero navale multiruolo SH-60K sviluppato dall’ATLA e dalla società giapponese Mitsubishi Heavy Industries e 6 pattugliatori d’altura (OPV) di nuova generazione da 1920 tonnellate, che prevedono un equipaggio ridotto a un terzo delle vecchie fregate della classe Mogami. Una vera e propria lista della spesa che procede di mezza dozzina in mezza dozzina spizzando tra i banchetti del mercato delle armi, mossi dalla ossessione di difendere le isole agli estremi dell’arcipelago: le Nansei nel profondo sud e le contrastate Senkaku/Diaoyu, rivendicate da Pechino.

  • Anche “Formiche.net” ha ripreso la notizia, focalizzandosi sul fatto che a fronte di una richiesta di bilancio per il prossimo anno che ha raggiunto la cifra record – per l’undicesimo anno consecutivo – di oltre 788 miliardi di euro, per il ministero della Difesa sono stati preventivati più di 40 miliardi di euro. I fondi verrebbero destinati al riarmo e all’implementazione di misure di sicurezza per fronteggiare le minacce crescenti del panorama geopolitico, in particolare sarebbero possibili acquisti di missili terra-nave a lungo raggio, o Ssm, dotati di un raggio di tiro di circa mille chilometri ottimo deterrente verso le minacce esterne. “Stars&Stripes” è più dettagliato nella notizia, sommando al plafond alcuni spiccioli (circa 4 miliardi) che si vanno ad aggiungere al totale: «Tra questi, la produzione massiva di missili terra-nave e di bombe plananti ad alta velocità da utilizzare per la difesa delle isole e la costruzione di nuovi cacciatorpediniere dotati di una migliore capacità di intercettazione dei missili e del sistema di intercettazione missilistica Aegis con una maggiore capacità di abbattere i veicoli plananti ipersonici». Si arriverebbe a 43,2 miliardi, dal calcolo di “Mainichi Shinbun”, secondo il quale in risposta all’aumento delle spese per la difesa e le attività militari cinesi, il ministero avrebbe così elaborato questa dispendiosa strategia per garantire la “superiorità asimmetrica”, ossia impedire l’invasione sfruttando ed esaurendo le debolezze di un nemico temibile; a tale scopo il ministero stanzierà fondi per estendere il raggio d’azione dei missili guidati terra-nave Type-12 della Forza di autodifesa terrestre, mirando a difendersi dalla flotta di navi in affiancamento al sistema Aegis, che ha nel mirino i droni ipersonici.
  • I veicoli ipersonici sono la nuova ossessione occidentale nel Pacifico: “The Diplomat” riportava la richiesta di fondi giapponesi per continuare a condurre ricerche sia sul proiettile planante iperveloce, per la difesa di isole remote, sia sui missili ipersonici, che possono raggiungere velocità ipersoniche, oltre cinque volte la velocità del suono, come quelli cinesi, che tanto hanno impaurito il Giappone.
  • XAC X-20 al plasma, invisibile e ipersonico

  • Gli scienziati cinesi hanno utilizzato una galleria del vento per testare un dispositivo al plasma: una striscia di membrana gialla e luminosa che copre la parte anteriore dell’aereo. Secondo “Scmp” il dispositivo è in grado di stimolare il flusso d’aria e di aumentare il coefficiente di portanza di un aereo di quasi un terzo, impedendogli di stallare. Un bombardiere Stealth utilizza una cellula piatta senza coda per ridurre le possibilità di rilevamento radar. Tuttavia, questa configurazione del corpo alare rende più difficile il controllo del volo, soprattutto a bassa velocità.
  • Ma, riporta “NewsTrackLive.com” la Cina sta sviluppando la tecnologia al plasma proprio per il controllo dell’assetto degli aerei ipersonici e per migliorare l’invisibilità ai radar. Il dispositivo è una sottile striscia di membrana che copre la parte anteriore di un aereo con un’ala volante. La membrana rileva il pericolo in anticipo e ionizza le molecole d’aria con l’elettricità ad alto voltaggio, provocando una pioggia di plasma – o particelle elettricamente cariche – sulle ali quando la velocità del vento che soffia sopra le ali raggiunge un punto. Le docce al plasma possono aumentare il flusso d’aria e il coefficiente di portanza dell’aereo di circa un terzo. Secondo i ricercatori, questo potrebbe evitare uno stallo anche se l’aereo cadesse con il muso inclinato a una velocità insolitamente bassa (108 km/h), come è avvenuto nel 2008 a un B2 Stealth della base di Guam. Gli esperimenti nella galleria del vento del professor Niu Zhongguo paiono soddisfacenti; la Cina compete sugli stessi temi con la ricerca che si svolge nelle gallerie degli Usa, in Europa (secondo fonti di “DefenseNews” riguardante il progetto da 110 milioni European Hypersonic Defence Interceptor – EU HYDEF) e… in Giappone. Ma i loro dispositivi devono essere accesi o spenti manualmente: di qui il bisogno di correre ai ripari con affanno, visto che secondo alcuni esperti militari, lo XAC H-20 – che indiscrezioni (“GlobalTimes”) danno in procinto di essere collaudato – consentirà alla Cina di sfidare il dominio militare degli Stati Uniti in molte aree del mondo, poiché può percorrere lunghe distanze trasportando testate nucleari e missili ipersonici. Gli aerei ipersonici possono viaggiare a cinque volte la velocità del suono; un “mantello plasmatico” sarebbe in grado di migliorare l’invisibilità dei radar e un'”antenna al plasma” di formato più piccolo potrebbe captare segnali anche deboli.
  • Anche dallo Xinjiang fa capolino il pericolo che preoccupa americani e loro alleati del Pacifico: il Comando militare dello Xinjiang dell’esercito popolare ha testato un missile di difesa terra-aria di ultima generazione nell’altopiano della regione, come riferito dall’emittente statale CCTV, mentre gli Stati Uniti e l’India si preparano per le esercitazioni militari congiunte sull’Himalaya in ottobre.
  • Gli osservatori militari sentiti da “Scmp” hanno detto che dalle riprese sembravano essere missili di difesa aerea HQ-17A, parte di un sistema integrato che può stare in un singolo veicolo ed è considerato molto mobile e preciso. Uno di loro ha detto che i test nello Xinjiang erano una dimostrazione di deterrenza nel conto alla rovescia per le esercitazioni India-USA vicino al confine conteso tra India e Cina.
  • Esercitazioni

  • Preludio all’enorme stanziamento di miliardi da parte di Tokyo per le spese militari dei prossimi mesi è stato il primo lancio di un missile da parte dell’esercito americano sul territorio giapponese; la descrizione delle richieste di spesa del governo vedranno voci esclusivamente dedicate all’aeronautica e marina giapponese. Forse non si prevede alcuna possibilità di una possibile invasione da affrontare con truppe di terra, ma comincia a serpeggiare il bisogno di esercitazioni per la difesa di terra.

Infatti “Stars&Stripes” il giorno prima dell’annuncio di Kishida sulla richiesta di budget per la Difesa 2023 ha dato conto di una messinscena molto fotografata dalla stampa specializzata durante esercitazioni insieme all’esercito giapponese a Kumamoto a documentare il primo lancio di Javelin, che richiama potentemente i successi della difesa ucraina. Oltre ai Javelin sparati dalla 11ª Divisione aviotrasportata di Fort Wainwright, la Forza di autodifesa terrestre nipponica ha lanciato quattro dei suoi missili anticarro portatili, i Type 01 LMAT 01, durante le esercitazioni congiunte. Orient Shield è un’operazione speciale che ha preso il via quest’anno quando le tensioni nella regione hanno raggiunto i livelli più alti degli ultimi anni dopo la visita di Nancy Pelosi al parlamento di Taipei.

Le esercitazioni occupano in questo stadio di tensione e di misurazione tra contendenti ogni quadrante, ogni miglio marino e soprattutto i territori di frontiera sono i più ambiti per addestramenti congiunti e prove di invasione realizzate da eserciti che sanciscono o promuovono così alleanze, che nell’ondivago schieramento delle strategie geopolitiche attuali ritagliano i campi contrapposti nel presente prossimo.

Izumo

28 agosto

  • Italian early warning. Gli acquisti esclusivi presso Israel Aerospace Industry

    IAI ha venduto all’esercito italiano due altri CAEW G550 Gulfstream, velivoli ad allerta precoce (eufemismo per aerei spia) che l’Italia possiede in esclusiva all’interno delle forze armate europee, per 550 milioni di dollari. La notizia diffusa da “Haaretz” è sorprendente soprattutto perché è ufficializzata da Israele, mentre era stata mantenuta segreta da mesi; forse perché i due altri aerei-spia della stessa fattura in dotazione all’esercito italiano hanno sorvolato lo spazio romeno in funzione antirussa già l’8 marzo:

  • L’Aeronautica militare italiana schiera due G550 Caew, acquisiti da Israel Aerospace Industries, in linea ed operativi dal 2016/17. L’ordine fa parte di un accordo militare tra Italia e Israele del 2003. Quest’ultimo prevedeva due velivoli G550 Caew e un satellite di osservazione e controllo OPSAT 3000 a fronte della fornitura di 30 velivoli d’addestramento avanzato Leonardo M-346 alla Israeli Air Force (“StartMag”, 18 marzo).

  • G550

    La traccia che il satellite Perseo71 ha rilevato l’8 marzo del volo del CAEW G550 italiano partito dall’aeroporto di Pratica di Mare

  • I Gulfstream hanno poi partecipato ufficialmente all’esercitazione “Mare Aperto” sempre a marzo e poi alla sua seconda edizione di ottobre (come attestato da “Analisi Difesa”).

    Vocazione italiana all’intelligence militare nel Mediterraneo

    Proprio il 7 marzo l’Aeronautica ha ricevuto presso la base aerea di Pratica di Mare il primo degli 8 velivoli Gulfstream G550 versione green Jamms, ordinati dal governo Conte.
    A luglio di quest’anno IAI aveva annunciato di essersi aggiudicata un contratto di oltre 200 milioni di dollari per quella che descriveva come la fornitura di aerei da missione speciale a un paese europeo membro della Nato, senza però rivelare quale fosse, ma un’indagine di Haaretz ha rivelato che si tratta dell’Italia – e che l’aeronautica militare italiana è anche il cliente di un altro enorme accordo annunciato da IAI nel 2020

  • Il velivolo italiano G550 a missione speciale si aggiunge a una squadra di mezzi Nato – scrive “The Aviationist” –, tra cui gli E-8 JSTARS e gli RC-135V/W statunitensi e gli Airseeker ISR (Intelligence Surveillance Reconnaissance) britannici, che monitorano quasi costantemente la situazione a terra e in aria in Ucraina e lungo i confini con Bielorussia e Moldavia. Il 7 marzo 2022, inoltre, un’aerocisterna KC-767A dell’Aeronautica Militare Italiana ha effettuato la prima missione del tipo sull’Europa dell’Est a supporto dei jet da combattimento impegnati nella missione Nato di Air Policing rafforzata.
  • Intorno al 2005 l’aeronautica israeliana ha acquistato cinque velivoli Eitam basati su Gulfstream G550 per fungere da nuova piattaforma IDF per la nuova generazione di sistemi AEW. I nuovi velivoli utilizzano la suite di sensori a doppia banda EL/W-2085 e sono più capaci e meno costosi da utilizzare rispetto ai vecchi Boeing 707 basati su EL/M-2075. IAI ha apportato ampie modifiche alla fusoliera del Gulfstream, come l’aggiunta di radome sporgenti in materiale composito, per alloggiare le antenne radar in modifiche conformi al corpo. Basato presso la base aerea di Nevatim.
    Nel 2007, quattro velivoli simili al G550-EL/W-2085 sono stati acquistati dalla Republic of Singapore Air Force per sostituire i suoi E-2C Hawkeyes aggiornati. I nuovi G550 sono entrati in servizio il 13 aprile 2012, l’altro acquirente dell’articolo  di IAI, secondo “Thai Military and Asian Region”.

24 agosto

  • Medio Oriente. L’impiego di determinate armi a sostegno di strategie di accordi

    Una scheda difficile da strutturare sui movimenti di armi in Mena, perché deve raccogliere e far dialogare dati, schede tecniche, strategie e alleanze attorno a Jcpoa, nuove tecnologie di sperimentazione per droni iraniani, embrionali scudi protettivi ebraico-statunitensi… macchine belliche e diplomatiche, collegate tra loro perché in preparazione di rivolgimenti; attive – e anche un po’ a “fine vita” – invece le armi occidentali inviate in Ucraina e ritrovate in Palestina, più piccole e adatte per i conflitti a bassa intensità nella continuità tradizionale della proxy war locale. E sempre tra quelle sperimentati vanno annoverati i sistemi in uso nuovamente in Siria, dove va in scena una nuova tensione fatta di classici mortai e jet.

    Il campo siro-libanese

    E proprio da un paio di fronti mesopotamici traiamo alcuni spunti per mostrare come il conflitto in corso richieda quel tipo di armi in uso – per una volta non ordinato, o messo a bilancio in previsione di future battaglie.

  • Forse è utile cominciare inquadrando l’inspiegabile scontro armato tra Usa/Iran in Siria, se non collocato nella – appunto – più ampia trattativa che tenta di sottrarre Tehran all’abbraccio di Astana: gli accordi Jcpoa furono gestiti da Biden già da vicepresidente e ora silenziosamente, attraverso una raffinata diplomazia – che rassicura Israele con i miliardi per IronBeam –, concede e consente ai turbanti di spacciare per successo un accordo win-win. Forse ci sono le condizioni perché le parti si accordino sulla cancellazione di sanzioni all’Iran se disponibile a consentire le ispezioni Aiea.
    Questo avviene confrontandosi con prove di forza prima dei tavoli di trattativa in tutti quei panorami esterni al territorio iraniano ma controllati da Tehran. In particolare quella Siria su cui preme a Nord Erdoğan e a Sud si registrano bombardamenti di Tel Aviv («Il generale iraniano Abul-Fadhel ‘Yejeilan è stato ucciso all’alba del 22 agosto da bombardamenti israeliani») in risposta agli attacchi di droni delle milizie sciite su piattaforme di gas israeliane di Karish, , in una area di 860 chilometri quadrati del Mediterraneo disputata tra Israele e Libano: Omer Dostri, stratega militare del Jerusalem Post valuta le dotazioni di Hezbollah in 45.000 razzi a corto raggio che possono percorrere distanze fino a 40 km, escluse le bombe da mortaio, oltre a circa 80.000 razzi a medio e lungo raggio, decine dei quali sono precisi e circa 1500 sono i razzi lanciati ogni giorno. Quali droni sta adottando hezbollah verso le piattaforme israeliane? Il più efficace è Ayub, basato sull’iraniano Shahed 129, un modello “ispirato” al modello israeliano “Hermes 450” caduto a Beirut durante la Seconda guerra del Libano nell’estate del 2006; poi il Mirsad 1, basato sul Mohajer 2 iraniano, tranne che per alcune differenze esterne; ma soprattutto il Ma’arab, sul modello del Yasser iraniano. Inoltre Hezbollah può contare su droni di fabbricazione cinese
  • Israele contrappone sensori speciali per proteggere da azioni ostili non meglio definiti da Idf, probabilmente alternativi e meno costosi dei più sofisticati sistemi dell’IronDome e IronBeam: infatti già il 7 marzo 2022 riportando le reazioni per l’incursione dimostrativa di 3 droni sciiti proprio verso le piattaforme di Karish si poteva leggere su “Ynetnews”:
  • ««Con sede in Israele, Skylock Systems è specializzata nella progettazione e produzione di tecnologie per il rilevamento, la verifica e la neutralizzazione di droni non autorizzati. La tecnologia dell’azienda è stata impiegata in 31 paesi». Secondo Itzik Huber (Ceo della Skylock), «Israele deve adattare i sistemi di difesa missilistica esistenti per contrastare efficacemente i droni, anziché affidarsi ai costosi intercettori Iron Dome. Poiché questi piccoli velivoli sono diventati così facilmente disponibili, il problema diventerà sempre più pressante con il passare del tempo»

    • I sistemi speciali orientati ai droni sono dotati di sensori ottici in grado di identificare il tipo di veicolo aereo senza pilota in volo, il tipo di carico utile trasportato e altro ancora.

    «I droni richiedono attrezzature speciali e soluzioni speciali perché sono piccoli e i normali sistemi radar non li vedono; non sono un classico bersaglio aereo. Si possono disturbare le comunicazioni; si può sparare a un drone attivo per attaccare l’altro drone».

    Ma ci son anche altri leader del settore della rilevazione di incursioni dei droni. Per esempio Lior Segal, Ceo di ThirdEye Systems, ha affermato che un sistema di difesa laser come quello che l’Idf sta attualmente sviluppando potrebbe essere un buon modo per difendersi da un piccolo drone, ma ha notato che la tecnologia è ancora lontana da applicazioni pratiche. Per questo motivo, ritiene che l’Idf debba ricorrere a metodi antiaerei più tradizionali. Il mercato dei radar per il rilevamento dei droni sarà in costante espansione spiega “Jeunesexpress”, pubblicando un rapporto sul periodo 2022-2028.


  • Scontri che non inficiano la tendenza a ridimensionare le tensioni nell’area, che farebbero solo il gioco di Erdoğan?
    Il traffico di armi vede addirittura, come riporta Matrioska di Yurii Colombo, la cooperazione tra Mossad e Cremlino dove i servizi israeliani confermano la consegna di armi di provenienza occidentale da Kyiv a Gaza e la distruzione di 22 tonnellate di armi da parte dell’Idf; ma anche in questo caso è evidente che il traffico nell’area è quello di armi leggere, munizioni e giubbotti antiproiettile, che viaggiano in parallelo con i traffici di droga. Tanto che le consegne sarebbero passate attraverso il territorio giordano e le armi sarebbero arrivate dalla Romania; il presidente israeliano e russo hanno discusso le possibili opzioni di cooperazione per eliminare il contrabbando di droga e armi dall’Ucraina verso il Medio Oriente e il Sudest asiatico e hanno deciso di rafforzare la cooperazione tra i servizi speciali e l’intelligence militare

  • La Russia non ha poi mancato di rimarcare la sua presenza in Siria, schierandosi contro le provocazioni israelo-americane nel Sud controllato da hezbollah. Infatti anche gli Usa hanno “risposto” ad attacchi, come scrive “Anbamed”; la difficoltà a comporre un quadro attraverso la lente dello studio dei movimenti di armi proviene dal bisogno delle parti in campo di mostrare sistemi di difesa per cui Biden ha intrapreso il viaggio del 14 luglio a Tel Aviv
  • La potenza di fuoco israeliana
  • Questi muscoli van mostrati in schermaglie, che sono di preparazione per arrivare agli accordi da posizioni di forza; in quest’ottica vanno inseriti gli scontri tra Usa e Hezbollah nel sud della Siria e in questo caso gli ordigni usati sono diversi dagli Ayub che nella stessa area vedono contrapposti israeliani e Hezbollah. Gli americani hanno sfoderato elicotteri Apache, cannoniere volanti AC-130 e obici M777 – armi non propriamente tecnologicamente avanzate, ma utili per quella guerriglia di provocazione innescata da americani e milizie a metà agosto, per innescare la reazione e quindi alzare il costo delle trattative e evidenziare schieramenti.

«Gli Stati Uniti hanno iniziato a colpire il 24 agosto postazioni di milizie nella provincia di Deir Azzour, al confine con l’Iraq: una rappresaglia dopo l’attacco con razzi subito dalla base Usa. In risposta le milizie sciite hanno colpito con due razzi la base Usa all’interno del campo petrolifero di Coneco, di conseguenza caccia e elicotteri statunitensi hanno preso a sorvolare la zona, colpendo le basi delle milizie sciite per tre giorni consecutivamente, uccidendo 3 miliziani che stavano caricando un lanciarazzi mobile. Fajr-3 di produzione iraniana, la gittata di questo razzo terra-terra è di 45 chilometri e il peso della testata è di 45 chili. La Casa Bianca sostiene di aver colpito milizie filo iraniane, mentre il ministero degli esteri di Teheran ha negato qualsiasi legame con le milizie colpite» (“Anbamed”, 26 agosto 2022).

Negli stessi tre giorni si registrano i bombardamenti quotidiani israeliani nella zona Nordoccidentale della Siria, presso Hama e Tartous

A Sud anche hezbollah contro la base americana di At-Tanf con 900 truppe schierate a difesa dei campi petroliferi orientali del paese, adotta UAV diversi dagli Ayub che li contrappongono a Israele sulla costa: altri droni iraniani – che sono quelli adoperati come disturbo per la presenza americana nell’Oriente siriano.

L’Iran ha una flotta tra le più tecnologicamente avanzate e diversificate al mondo nella categoria MALE (European Council on Foreign Relations fornisce un completo elenco di medium altitude long endurance di produzione iraniana) e sembra in procinto di fornire anche l’esercito russo proprio con quei droni testati in Siria: i  Mohajer-6 e i Shahed-129, basati sul modello americano UAV RQ-170 catturato nel 2011. La base sotterranea sui monti Zagros al confine con l’Iraq è la più dotata di velivoli senza pilota, comprendente anche i nuovi Ababil 2, costruiti da Tehran in Tajikistan. L’Iran si aggiunge con forza alle altre forze regionali che fanno sempre più affidamento sui droni in diversi teatri, tra cui lo Yemen, l’Iraq, la Siria e lo Stretto di Hormuz. In questi ultimi giorni di agosto 2022 l’industria bellica iraniana sta testando le capacità di ricognizione e combattimento di 150 droni di sua produzione dal Golfo Persico a quello di Oman, come riporta “Formiche.net”.

Tutte strategie della tensione per preparare il terreno a quell’accordo per il nucleare iraniano che potrebbe spostare il mondo sciita se non sull’altro lato dello scacchiere, almeno non consegnarlo allo schieramento autocratico sino-russo; pur mantenendo una presenza nella regione a difesa del petrolio (o gas), caratterizzata da questo tipo di armi sul campo?

13 agosto

  • Ucraina. Metodi di intermediazione e sostegno bellico governativo

  • «Impossibile sapere quante e quali armi abbiamo inviato alle forze armate ucraine dopo l’invasione russa del 24 febbraio; è certo però che nel sanguinoso conflitto nell’Europa orientale Mosca e Kiev impiegano sistemi bellici prodotti in Italia»

      • Antonio Mazzeo aveva già ripetutamente rintracciato le innumerevoli vie (secretate dal Copasir presieduto dalla fiamma tricolore di D’Urso) di forniture belliche all’Ucraina da parte italiana – d’altra parte (come da modello turco) il rifornimento di armi non è negato nemmeno all’altro belligerante moscovita. Spesso si perdono in sentieri poco tracciati e rivoli infiniti, triangolazioni e consegne 🚛 🚚 fumose, per evitare tracciamenti e supervisione democratica da parte dei sudditi.
      • Oltre alla spedizione direttamente alle ong di Poroshenko documentate dal tweet, i mezzi corazzati di tipo LAV con cui alimentare la guerra di Zelensky seguono la via della triangolazione con la Norvegia, che inoltra verso Kiyv le abbondanti forniture degli anni scorsi (non tutti gli aiuti agli ucraini sono previsti dall’Agenda Draghi: fin dallo scoppio della guerra in Donbass Renzi si era premunito di rifornire con 90 blindati e corazzati Iveco italiani l’allora belligerante premier ucraino Poroshenko, lo stesso delle ong oggetto dell’elargizione odierna).
      • La via seguita da Poroshenko è molto battuta, quella del fondo su cui piovono soldi raccolti con lo scopo di rifornire le truppe antirusse: su “TopWar” si legge che il suo fondo ha raccolto 50 milioni di grivna e altri 45 si sono materializzati per l’acquisto di 11 veicoli blindati MLS SHIELD di fabbricazione italiana, l’ex presidente si vanta di aver ottenuto
        • «una licenza per l’acquisto di equipaggiamento militare della NATO a spese private. Secondo lui, questa è la prima volta che accade. Risultato: questi nuovissimi veicoli blindati MLS SHIELD di fabbricazione italiana imbottiti con le ultime tecnologie andranno presto in prima linea»

          • Corazzati Iveco made in Russia vs corazzati Iveco made in Italy via Norge

          • Tra i sistemi bellici più noti ci sono i carri Ariete e Centauro, i blindati Puma e Lince, i veicoli da combattimento della fanteria Dardo e diverse versioni di camion pesanti a quattro, sei e otto ruote motrici per il trasporto truppe e il supporto logistico alle unità. Recentemente sono stati prodotti camion Trakker dotati di “protezione balistica e antimine permanente”, mentre degli Eurocargo viene fornita una versione “militarizzata” a trazione integrale da 15 tonnellate con motore sino a 300 cavalli.
          • I mezzi corazzati LMV come quelli donati dalla Norvegia all’Ucraina sono stati esportati anche ad Albania, Austria, Belgio, Croazia, Repubblica ceca, Libano, Slovacchia, Spagna, Tunisia e Stati Uniti d’America. Dal 2012 ben 358 LMV sono in dotazione dell’esercito della Federazione Russa e alcuni di essi sono stati impiegati in Siria dopo il 2015 e in Ucraina dopo l’invasione del febbraio 2022. Secondo quanto aveva riportato “Analisi Difesa” nel 2014, la fornitura dei corazzati seguiva il contratto siglato nel giugno 2011 tra Iveco Defence Vehicles e Oboronservis, la controllata del ministero della Difesa russo responsabile per gli approvvigionamenti.

        • I fondi di investimento in grande stile

  • Ben altre cifre sono state stanziate in un solo incontro tra la Nato del Pacifico riunita straordinariamente a Copenhagen con i partner dell’Europa settentrionale. Un miliardo e mezzo per l’Ucraina è la cifra che secondo “EuroNews” è stata collocata su un fondo dai 26 paesi occidentali (tra cui Ue, Usa, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Giappone) aperto per dare supporto militare all’Ucraina; il ministro della Difesa danese, Morten Bodskov ha poi annunciato. La creazione in Gran Bretagna del fondo International Fund for Ukraine (IFU) con la missione di aumentare la produzione di armi destinate a Kiyv; in quello stesso Regno unito che ha già donato all’Ucraina sistemi di armamento avanzati si è impegnata contestualmente a stanziare altri 300 milioni di euro in armi, tra cui sistemi missilistici a lancio multiplo e missili M31A1 a guida di precisione che possono colpire bersagli distanti fino a 80 km.E poi si stanno ammassando specialisti per addestrare truppe di questa che è sempre più evidentemente una proxy war come tante altre disseminate nel mondo. La produzione di armi innescherà una spirale “virtuosa” per i paesi che forniranno le nuove produzioni, spartendosi gli investimenti: Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca hanno segnalato la volontà di espandere la produzione di sistemi di artiglieria, munizioni e altre attrezzature.
  • «Da febbraio abbiamo fornito all’Ucraina oltre 600 milioni di dollari in aiuti militari completi, compreso il dispiegamento questa settimana di personale delle forze armate canadesi nel Regno Unito nell’ambito dell’operazione UNIFIER, e 39 veicoli corazzati di supporto al combattimento costruiti dall’industria canadese che inizieranno ad arrivare in Ucraina nelle prossime settimane» (Anita Anand, ministro della Difesa canadese – “Army Technology“)


11 agosto

    • Myanmar. Metodi di intermediazione e aggiramento degli embarghi

        • Justice For Myanmar ha identificato 116 società del Myanmar e di Singapore amministrate da 262 dirigenti e azionisti che hanno fatto da intermediari nella fornitura di armi e attrezzature militari per un valore di molti milioni di dollari all’esercito del Myanmar, anche dopo il colpo di stato del 1° febbraio 2021.Tra gli intermediari risultano 31 società gestite da 77 amministratori e azionisti che intrattengono rapporti commerciali con l’esercito dal tentativo di colpo di stato; a queste si aggiungono 27 società e i loro 51 amministratori e azionisti che hanno intermediato armi ed equipaggiamenti all’esercito del Myanmar dal 2017, anno del genocidio dei Rohingya, prima del colpo di stato. Dal colpo di stato, l’esercito ha effettuato bombardamenti e attacchi aerei indiscriminati, ha ucciso gli abitanti dei villaggi, ha commesso stupri, ha distrutto case e coltivazioni e ha sfollato con la forza circa 866.400 persone.Secondo il Trattato sul commercio delle armi, di cui fanno parte 111 Stati, è vietato trasferire armi sapendo che verrebbero usate per commettere genocidi, crimini contro l’umanità o crimini di guerra. L’Accordo di Wassenaar sul controllo delle esportazioni di armi convenzionali e di beni e tecnologie “dual” (cioè applicabili a duplice uso, civile e militare) mira a prevenirne il trasferimento a paesi sospettati di genocidio. Gli stati aderenti all’Accordo di Wassenaar sono 42, tuttavia tra questi non si annovera Singapore e nemmeno fa parte del Trattato sul commercio delle armi e quindi viene utilizzato come collettore dei prodotti sotto embargo.

          Il sistema di intermediazione

          • Per avere un’idea del sistema diffuso globalmente si può pescare a caso dal report e vedere come funziona il meccanismo di fornitura di elicotteri Mi-17, che coinvolge molti soggetti nel mondo:
            • «Dynasty Group of Companies ha svolto attività commerciali nell’Unione Europea (UE), fornendo aerei e pezzi di ricambio prodotti dall’azienda tedesca Grob all’aeronautica militare di Myanmar. Dynasty International Company Limited, è un’azienda sussidiaria di Dynasty Group e anche un importante fornitore di armi all’esercito del Myanmar, con legami con aziende in Russia, Bielorussia e Germania. Questa ha importato parti per gli elicotteri Mi-17 dopo il colpo di stato, secondo i dati del database commerciale ImportGenius; il direttore del gruppo, il dottor Aung Moe Myint, è il console onorario bielorusso in Myanmar. È molto probabile che la sua unità commerciale registrata a Singapore, Dynasty Excellency Pte Ltd, sia stata utilizzata per facilitare le transazioni di armi verso il Myanmar» (ulteriori dettagli si trovano qui).

              Oppure, per avere un’idea del sistema di intermediazione si può accedere alla documentazione di Justice for Myanmar riguardo al ruolo di Miya Win International, che ha acquistato droni di fabbricazione austriaca Schiebel Camcopter S-100 per l’esercito del Myanmar, in violazione dell’embargo sulle armi imposto dall’UE. E poi l’Asia Golden Phoenix Consultancy ha acquistato un simulatore di volo ATR dall’azienda austriaca Axis Simulation e lo ha registrato presso l’Autorità europea per la sicurezza aerea.


              Particolarmente significativo il caso della Myanmar Chemical & Machinery Company Ltd (MCM), di di proprietà del trafficante di armi Aung Hlaing Oo. Le filiali dell’azienda sono fornitori di armi e materiale correlato alle forze armate del Myanmar e sono anche coinvolte nella produzione di armi e in un progetto di trasferimento tecnico per la produzione di jet addestratori K-8 in Myanmar con l’azienda statale cinese CATIC, apparsi durante le celebrazioni per l’anniversario dell’aeronautica militare della giunta nel dicembre 2021.

          • MCM ha fatto parte di un progetto con il produttore statale ucraino di armi Ukroboronprom e la Direzione delle Industrie della Difesa dell’esercito per la produzione di veicoli corazzati BTR-4, carri armati leggeri MMT-40 e obici semoventi 2SIU. MCM ha fornito parti di ricambio, strumenti e accessori per i carri armati T-72 al Comandante in Capo della Direzione dell’Artiglieria e dei Corpi Armati dell’esercito di Myanmar.MCM ha anche acquistato armi dalla Serbia per l’esercito di Myanmar. Una proposta di MCM del 2019 per l’aeronautica militare di Myanmar descrive dettagliatamente lanciarazzi montati su aerei, razzi, bombe a caduta libera, un lanciatore di bombe multiple da usare “su grandi superfici” e spolette. Una filiale di Singapore della MCM Pacific Pte Ltd ha fornito parti di ricambio per elicotteri Mi-2, Mi-17 e Bell 206 alla Myanmar Air Force.L’azienda ha anche importato parti di ricambio per un motore diesel marino MTU12V 331TC 92, oltre a un’unità di visualizzazione del motore, un sistema di propulsione, un’attrezzatura di salvataggio e una sistemazione di poppa per un valore di milioni di dollari USA per la Marina Militare del Myanmar.MCM Pacific Pte Ltd ha fornito parti di veicoli blindati BTR-3U alla Direzione dell’artiglieria e dei corpi corazzati dell’esercito di Myanmar per un valore di milioni di euro
            • Insomma tutti sono coinvolti nell’ausilio alla repressione della giunta golpista di Naypyidaw

              Justice for Myanmar mette a disposizione una lista degli intermediari di armi verso Tatmadaw aggiornata all’11 agosto 2022, scaricabile qui.

              Il rapporto si basa su documenti trapelati dal dipartimento acquisti del Ministero della Difesa, oltre che su fonti industriali e su altre informazioni disponibili online e lo ha ripreso “The Diplomat”, che sottolinea come l’esercito abbia una lunga esperienza nel resistere all’isolamento internazionale e possa contare su vicini accomodanti, come Cina, India e Thailandia, per non parlare di Singapore, che ha a lungo resistito alle richieste degli attivisti di sequestrare il denaro sporco del Myanmar parcheggiato nel suo sistema bancario.

MI-17

4 agosto

    • Strategie e affari dietro a esibizioni muscolari e bluff a Taiwan

        • Oggi Nancy Pelosi arriva a Seul, da Taipei. Le famose rotte commerciali nel Mar Cinese, motivo essenziale della battaglia di Taiwan nella guerra dell’Indopacifico per l’egemonia commerciale e del controllo dei microchip e dei semiconduttori.
        • La missione che – un po’ superficialmente – secondo “Formiche” avrebbe mostrato il bluff di Xi, la cui “mancata” reazione alla visita dello speaker della Camera statunitense al parlamento della Cina nazionalista a ridosso del Congresso del partito comunista lo porrebbe nell’angolo, prosegue indomita toccando le capitali che contrastano il controllo cinese sull’area. Invece gli analisti dell’“Ispi” temono che se la visita di Pelosi non provocherà uno scontro diretto (e in ogni caso l’embargo della sabbia colpisce proprio l’industria dei microchip per cui Formosa è contesa) potrebbe comunque innescare un’escalation militare, potenzialmente distruttiva (“The Guardian”).
        • Va comunque registrata una ritorsione anche militare non così lasca come si è cercato di raccontare forse troppo precocemente dai media americani: secondo quanto riportato da “The Guardian” il Pla ha lanciato 11 missili DongFeng nelle acque di Taiwan tutt’intorno all’isola da nord-est a sud-ovest, intensificando le “esercitazioni” in un gioco di guerra che fa uso di proiettili e missili “veri” e non a salve, in modo che il blocco dell’isola è totale.

    • Il coinvolgimento coreano

      • Allora diamo uno sguardo agli ammodernamenti degli arsenali della Corea del Sud in funzione anticinese:
    • DefenseNews” riferisce che il 15 luglio il comitato di promozione del Defense Acquisition Program Administration, guidato dal Ministro della Difesa Jong-sup Lee, ha deciso formalmente di acquistare altri 20 F-35A per 3900 miliardi di won (quasi 3 miliardi di dollari) arrivando così a contare su 60 velivoli. La Corea del Sud prevede di acquistarli a cominciare da ora fino al 2028.
    • A questo il “South China Morning News” aggiunge il prototipo di un KF-21 “Boramae” o “Hawk” che avrebbe completato un volo di prova di 30 minuti dalla città meridionale di Sacheon, ma gli osservatori militari ritengono che questo nuovo caccia sia ben lungi dall’essere paragonabile ai caccia avanzati di quinta generazione come il Chengdu J-20 cinese. Tuttavia, se venisse impiegato in massa, il KF-21 potrebbe comunque alterare l’equilibrio di potenza delle forze aeree regionali, oltre ad avere il potenziale per diventare un forte concorrente nel mercato globale, ha affermato un analista di Macao.
        • «Durante il recente incontro trilaterale, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden si è detto “profondamente preoccupato” per i continui test di missili balistici della Corea del Nord e per l’apparente intenzione di condurre un test nucleare. Il presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol ha dichiarato che l’importanza della cooperazione trilaterale è cresciuta di fronte al programma nucleare avanzato della Corea del Nord, mentre il primo ministro giapponese Fumio Kishida ha affermato che le esercitazioni antimissile congiunte sarebbero importanti per scoraggiare le minacce nordcoreane» (“MilitaryTimes”).

          Il coinvolgimento giapponese

        • Infatti il rivale di Seul è Pyongyang, ma è soprattutto il Giappone l’alleato che sembra incaricato di guidare il fronte liberaldemocratico anticinese nel Pacifico e Tokyo sta bruciando le tappe per ammodernare l’esercito, cambiare la Costituzione pacifista e rafforzare la partnershiip con gli europei, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.
      • Come ha ricordato “DefenseNews”, il Giappone prevede inoltre di acquisire 147 F-35, di cui 42 nella variante F-35B. Certo, come ha sottolineato il “Telegraph”, proseguire con il progetto di un caccia di prossima generazione a guida nazionale rafforzerebbe il settore della difesa del Giappone e ridurrebbe la dipendenza da altri paesi, dando a Tokyo la libertà di azione.

        Ma lavorare insieme potrebbe ridurre i costi

      • L’adesione della giapponese F-X (Mitsubishi) al progetto per il caccia stealth di sesta generazione Tempest, che vede coinvolte Rolls-Royce, il consorzio europeo MBDA e Leonardo, è, secondo “Formiche”, un tassello nel puzzle che internazionalizza il programma del caccia di sesta generazione che così permette agli europei di accedere a un mercato, quello giapponese, in piena crescita per l’aumento delle spese militari voluto da Abe Shinzo. La spinta a combinare i due programmi sarebbe guidata da Mitsubishi Heavy Industries, responsabile dell’F-X, e la britannica BAE Systems. Anche la Svezia e il produttore di caccia Gripen Saab AB rimangono coinvolti nel programma Tempest, in cui Londra ha già stanziato un budget di 2 miliardi di sterline.
        L’autorevolezza del progetto emerge anche dalla presentazione effettuata alla apertura – inaugurata da Boris Johnson in persona – del Farnborough International Airshow, come descritto da “Startmag”: «Si tratterà di un velivolo supersonico pilotato che testerà una serie di nuove tecnologie, tra cui l’integrazione di caratteristiche compatibili con lo stealth», ha aggiunto Bae Sistems durante la fiera. L’elemento comune tra UK, Giappone e Italia è l’uso degli F-35, in dotazione a tutt’e tre gli eserciti.

        «Sempre durante la prima giornata della fiera di Farnborough, Leonardo UK e Mitsubishi Electric hanno annunciato di aver raggiunto un accordo sul concept per il dimostratore di tecnologia radar Jaguar, presentato per la prima volta a febbraio scorso. Come sottolinea la nota del gruppo guidato da Alessandro Profumo: “Jaguar rappresenta il primo grande elemento di un programma radar internazionale che soddisfa gli ambiziosi requisiti espressi da Giappone e Regno Unito nell’ambito dei programmi F-X/Fcas”».




3 agosto

    • I bombardamenti sono dovunque terrorismo di stato

        • Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov è arrivato a Naypyidaw per una visita in cui ha affrontato con il suo omologo Wunna Maung Lwin temi relativi a sicurezza e scambi economici. La nota della Tass aggiunge che successivamente sarebbe ancora andato in Cambogia per partecipare al vertice Russia-Asean ed era reduce da un lungo tour volto a intessere una fitta rete di legami in funzione antioccidentale

      • Riportando la medesima notizia Associated Press sottolinea come la Russia sia il partner principale della giunta militare golpista e che nonostante l’embargo imposto dopo il golpe i rapporti tra i due governi non siano mutati.
        • «Abbiamo una base molto solida per sviluppare la cooperazione in un’ampia gamma di settori. Apprezziamo la natura tradizionalmente amichevole del nostro partenariato, che non è influenzato da alcun processo opportunistico», ha detto Lavrov (Associated Press).

      • Gli esperti delle Nazioni Unite hanno descritto il paese infitto in una guerra civile. E proprio 3 giorni prima dell’arrivo di Lavrov in Myanmar al-Jazeera aveva accusato Tatmadaw, l’esercito birmano, di usare gli Yak 130 di fabbricazione russa contro la popolazione civile, come documentato da un collettivo che monitora gli abusi in Myanmar:
      • «Myanmar Witness ha verificato il ripetuto impiego dello Yak-130 – un sofisticato jet da addestramento biposto di fabbricazione russa con una documentata capacità di attacco al suolo – in Myanmar. Durante questa indagine, rapporti credibili e la geolocalizzazione hanno rivelato l’uso dello Yak-130 all’interno di aree civili popolate».

        Un video condiviso su Facebook di Myanmar Witness il mese scorso ha mostrato uno Yak-130 eseguire due passaggi e lanciare diverse salve di razzi non guidati verso il suolo; un altro video ha mostrato uno Yak-130 eseguire cinque passaggi e sparare 18 salve di razzi non guidati. Myanmar Witness ha geolocalizzato i due video a 200 metri dal confine tra Thailandia e Myanmar, a sud di Myawaddy, nel Karen, dove i gruppi armati etnici da tempo combattono per l’autonomia e forniscono addestramento e sostegno alle milizie civili costituite per contrastare il colpo di stato del febbraio 2021.

Gli Yak 130 sono il risultato di una collaborazione tra Yakovlev e Aermacchi per la realizzazione di un addestratore avanzato, che è stato inaugurato nel 2009. In realtà è spesso usato come jet d’attacco leggero: quella forma light adatta a intimorire popolazioni riottose. Il velivolo è in dotazione degli eserciti di Russia, Algeria, Bangladesh, Bielorussia, Laos, Libia, Siria, Vietnam e… ovviamente Myanmar.

Yak-130

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]]> Collane di atolli, rotte commerciali e cavi sottomarini https://ogzero.org/collane-di-atolli-rotte-commerciali-e-cavi-sottomarini/ Tue, 14 Jul 2020 13:17:36 +0000 http://ogzero.org/?p=574 Lattuga, cavolo cinese, bok choi e molto altro. Non siamo in un mercato di Shanghai, bensì a Woody Island, una delle isole artificiali costruite da Pechino nell’arcipelago delle Paracel, nel Mar cinese meridionale, dove la marina militare cinese ha raccolto 750 chili di vegetali dopo aver reso coltivabili 2000 metri quadrati di spiaggia mescolando alla […]

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Lattuga, cavolo cinese, bok choi e molto altro. Non siamo in un mercato di Shanghai, bensì a Woody Island, una delle isole artificiali costruite da Pechino nell’arcipelago delle Paracel, nel Mar cinese meridionale, dove la marina militare cinese ha raccolto 750 chili di vegetali dopo aver reso coltivabili 2000 metri quadrati di spiaggia mescolando alla sabbia una soluzione a base di cellulosa. Una tecnica messa a punto dagli scienziati della Chongqing Jiaotong University nella Mongolia Interna che permetterà di tenere stabili le forniture alimentari dei soldati dislocati in questo strategico tratto di mare.

Controllata dalla Cina fin dal 1956, Woody Island è uno degli atolli al centro delle dispute territoriali che da decenni coinvolgono le Paracel, la catena delle Spratly, le isole Pratas e altri scogli semisommersi contesi con Vietnam, Filippine, Malaysia, Taiwan e Brunei. A partire dal 2013, il gigante asiatico ha trasformato sette barriere coralline in vere e proprie postazioni insulari protette da missili, di cui tre dotate di piste d’atterraggio “dual use”. Si tratta di un’area che si estende per 3,6 milioni di chilometri quadrati, dalla Cina all’Indonesia, e di cui Pechino rivendica come proprio oltre l’80 per cento sulla base di “diritti storici”.

Undici antichi documenti, presentati in sede di disputa internazionale, proverebbero che già intorno al 210 a.C. la dinastia Han aveva costruito un avamposto amministrativo sull’isola di Hainan, estendendo la propria sfera d’influenza fino agli arcipelaghi menzionati. Le vecchie mappe ingiallite non hanno convinto il Tribunale Permanente di Arbitrato dell’Aia che, chiamato in causa da Manila, nel 2016 ha dichiarato illegittime le rivendicazioni cinesi. Ma la sentenza non è bastata a scoraggiare le pretese di Pechino. Da allora, l’avanzata tentacolare del gigante asiatico nella regione ha continuato a inglobare territori disabitati seguendo la cosiddetta tattica salami-slicing: un pezzetto per volta.

Lo scorso maggio, mentre l’emergenza Covid-19 distraeva i vicini rivieraschi, la situazione nel Mar cinese meridionale è tornata d’attualità dopo che la Repubblica Popolare ha annunciato la creazione di due nuove unità amministrative – il distretto di Xisha, che include le Paracel e il Macclesfield Bank (rivendicato da Taiwan e Filippine), e il distretto di Nansha, concentrato sulle isole Spratly (contese con Vietnam, Filippine, Malaysia, Taiwan e Brunei) – che cadranno sotto l’autorità di Sansha, la città-prefettura istituita nel 2012 su Woody Island e parte della provincia di Hainan. La decisione ha coinciso con l’assegnazione di un nome a un’ottantina di formazioni naturali per la prima volta dal 1983. Secondo indiscrezioni del “South China Morning Post”, la prossima mossa potrebbe prevedere l’istituzione di una “zona di identificazione aerea” (Adiz), come già avvenuto nel Mar cinese orientale, dove Pechino contesta la sovranità del Giappone sulle isole Diaoyu/Senkaku.

Per la Cina, ancora ferita dalle umiliazioni ottocentesche, il Mar cinese è soprattutto una questione di sovranità. Ma, come spesso accade nelle dispute territoriali, all’afflato nazionalistico si intrecciano importanti interessi economici. Secondo dati del 2016 raccolti dal Center for Strategic and International Studies, il Mar cinese meridionale ospita circa il 10 per cento del pescato a livello mondiale e risorse energetiche per un valore di 2500 miliardi di dollari. Un terzo del commercio marittimo globale, il 30 per cento delle forniture di greggio e il 64 per cento degli scambi tra la Cina e il resto del mondo solca le sue turbolente acque. E, con il recente sorpasso dell’Asean sull’Unione Europea come prima destinazione dell’export cinese, il traffico regionale è destinato presumibilmente ad aumentare.

Le manovre cinesi nel cortile di casa potrebbero presto raggiungere le acque dell’Oceano più grande del mondo. L’area contesa lambisce la cosiddetta “prima catena di isole”, un termine preso in prestito dagli Stati uniti che negli anni Cinquanta individuarono nella cintura insulare dalle Curili – tra l’estremità nordorientale dell’isola giapponese di Hokkaidō e la penisola russa della Kamčatka – fino al Borneo, un avamposto per circondare l’Unione Sovietica e la Cina. Il piano non decollò mai, ma la minaccia è ancora presente. Sigillare il tratto di mare tra la costa cinese e il Pacifico è diventata una priorità assoluta per Pechino, specialmente da quando Washington ha incrementato le proprie incursioni nel quadrante in supporto alle rivendicazioni marittime degli alleati asiatici. Una posizione ufficializzata per la prima volta il 13 luglio dal dipartimento di Stato con il comunicato “U.S Position on Maritime Claims in the South China Sea”.

Questo spiega la sempre più frequente presenza di aerei e sottomarini cinesi nel canale di Bashi e nello stretto di Miyako, cerniera naturale tra il Mar cinese e il Pacifico occidentale. Stando alle indiscrezioni della stampa nipponica, il Dragone avrebbe già individuato la prossima preda: il piccolo arcipelago delle Pratas controllato da Taiwan, l’isola “ribelle” che la Repubblica popolare vuole riannettere ai propri territori e che Washington, in assenza di relazioni ufficiali, sostiene militarmente.

Pechino giustifica il proprio attivismo regionale in ottica “difensiva”. Ma lo sfoggio di muscoli soverchia i toni rassicuranti del diplomatichese. Con oltre 330 navi da guerra (ma solo due portaerei), la marina cinese ha superato numericamente quella statunitense (285 alla fine del 2019). E se al vantaggio quantitativo non corrisponde una superiorità in termini di efficienza, vero è che l’epidemia da coronavirus – messa ko la marina a stelle e strisce – ha scoperchiato l’evanescenza della supremazia delle undici portaerei americane in situazioni di crisi. Secondo un rapporto del Congressional Research Service, think tank del Congresso statunitense, l’espansionismo cinese costituisce una minaccia per «il controllo [americano] sulle acque profonde del Pacifico occidentale in stato di guerra».

Più a sud il livello d’allarme non è inferiore. «Is China using its South China Sea strategy in the South Pacific?»: è quanto si chiede il think tank governativo Australian Strategic Policy Institute (Aspi), che in un rapporto spiega come il Pacifico meridionale condivida con il Mar cinese meridionale quattro caratteristiche particolarmente attraenti: è ricco di risorse naturali; ospita atolli disabitati e cavi sottomarini; racchiude snodi strategici per le merci globali; dipende economicamente dalla Cina. Queste somiglianze, conclude l’istituto, potrebbero consentire a Pechino di sfruttare canali scientifici e commerciali come pretesto per migliorare la propria conoscenza del territorio in chiave militare.

Con un pil complessivo di appena 33,7 miliardi di dollari e 10 milioni di abitanti – meno della popolazione della Svezia – le isole del Pacifico sono da sempre stati-satellite di Canberra, che con fare paternalistico ne ha supportato economicamente la sopravvivenza investendo a fondo perduto nei servizi di base – sanità e istruzione in primis –, e difeso la stabilità sociale come previsto da accordi stretti con Stati Uniti e Nuova Zelanda negli anni Cinquanta. È stato così fino a quando, nei primi anni Duemila, la “diplomazia dei dollari” perseguita da Pechino in Africa non ha raggiunto questo remoto angolo di mondo. La svolta ha coinciso con la storica visita di Wen Jiabao, nel 2006, la prima di un premier cinese nelle isole del Pacifico. Da allora, il gigante asiatico ha speso almeno 6 miliardi di dollari nelle repubbliche insulari, per lo più in progetti estrattivi e infrastrutturali. La fetta più consistente risulta concentrata nei sette anni di Belt and Road, il progetto con cui Pechino punta a cementare i rapporti economici e diplomatici strappando assegni nei paesi emergenti. C’è chi le definisce vere e proprie delazioni prezzolate quando si prendono in esame le acque del Pacifico. Qui, infatti, si consuma lo scontro più acceso con Taiwan, “l’isola che non c’è” riconosciuta formalmente ormai da appena quindici paesi, di cui quattro (Palau, Nauru, Tuvalu e Isole Marshall) situati proprio nel “nuovissimo continente”. Le numerose defezioni dell’ultimo anno non sembrano aver alterato la strategia regionale di Taipei, che giorni fa ha annunciato la riapertura della sede consolare di Guam con lo scopo conclamato di «facilitare gli scambi con gli alleati del Pacifico».

La resistenza taiwanese ha implicazioni che trascendono il braccio di ferro tra le “due Cine”. Da anni si teme che l’operosità di Pechino negli arcipelaghi a cavallo tra i due emisferi possa assumere connotazioni militaresche, come avvenuto nel Mar cinese meridionale. Basta pensare alle declinazioni strategiche della stazione spaziale cinesi di Kiribati, le isole sottratte a Taiwan lo scorso settembre. Secondo un rapporto della US-China Review Commission, fortificazioni cinesi nel Pacifico meridionale potrebbero bloccare l’accesso americano alla regione e compromettere la stabilità di Australia e Nuova Zelanda. In tempi di “American First” e crisi epidemica, potrebbero essere proprio i player regionali “minori” a dover dettare una linea comune per arginare l’avanzata di Pechino, prescindendo dalle zoppicanti piattaforme multilaterali istituite da Washington nel cosiddetto “Indo-Pacifico”. Come membro del Quadrilateral Security Dialogue (Quad), Canberra è un frequentatore assiduo del Mar cinese meridionale, sebbene non abbia ancora accolto l’invito americano a condurre “operazioni di libera navigazione”, il provocatorio passaggio entro le 12 miglia nautiche dalle isole contese.

Certo, serviranno capacità funamboliche per tutelare gli interessi nazionali senza sfilacciare le relazioni economiche già pregiudicate dalle polemiche sul 5G e la paternità del coronavirus. Tanto più che il peso cinese nelle dinamiche commerciali del quadrante potrebbe aumentare esponenzialmente se, come ventilato dal primo ministro Li Keqiang, il gigante asiatico – già promotore della Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep) – dovesse entrare anche nella Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (Cptpp), il mega accordo fortemente voluto da Obama quando ancora si chiamava Tpp e da cui Trump ha annunciato il ritiro tre giorni dopo l’inizio del suo mandato. Così, mentre Canberra si prepara a rafforzare i propri sistemi difensivi con un piano decennale da 270 miliardi di dollari, non tutti approvano un coinvolgimento australiano nel braccio di ferro tra le due superpotenze. Almeno non quando implica missioni in acque più lontane.

In uno studio dal titolo eloquente (Australia and the US: great allies but different agendas in the South China Sea), il think tank di Sydney Lowy Institue, ricordando come solo il 20 per cento dei commerci con l’Australia passa per il Mar cinese meridionale, nel 2015 concludeva che, se «lo spirito materno impone di difendere la libertà di navigazione», in realtà «solo gli Stati Uniti hanno veramente interesse a condurre attività militari» nelle acque contese.

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