Senegal Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/senegal/ geopolitica etc Sat, 02 Sep 2023 22:50:08 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 Il Sahelistan dall’Atlantico al Mar Rosso https://ogzero.org/il-sahelistan-dallatlantico-al-mar-rosso/ Mon, 21 Aug 2023 20:51:37 +0000 https://ogzero.org/?p=11453 La rapida fuga dei francesi cacciati dalla Françafrique, con i doverosi distinguo, richiama alla mente – soprattutto per la rapidità del dissolvimento di un potere coloniale – la precipitosa fuga americana da Kabul. La regione immediatamente subsahariana – che molto è intrecciata con i movimenti irredentisti del Maghreb, esplosi con la crisi libica (scatenata da […]

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La rapida fuga dei francesi cacciati dalla Françafrique, con i doverosi distinguo, richiama alla mente – soprattutto per la rapidità del dissolvimento di un potere coloniale – la precipitosa fuga americana da Kabul. La regione immediatamente subsahariana – che molto è intrecciata con i movimenti irredentisti del Maghreb, esplosi con la crisi libica (scatenata da Sarkozy) che furono alleati del jihad che imperversa nel territorio su cui sono segnati i confini tra Mali, Burkina e Niger – ha assistito alla penetrazione di nuove potenze (in particolare Russia con la presenza di Wagner e Cina che ha aperto una sede per manutenzione di veicoli della Norinco a Dakar – pronta a difendere i vasti interessi di Pechino nei tre paesi dei golpe, ma operativa anche in Senegal, Costa d’Avorio –, ma anche Turchia e paesi della penisola araba), che hanno sfruttato dispute interne, sentimenti antifrancesi, insorgere del jihad per piegare a loro favore lo sfruttamento delle risorse del territorio e la collocazione strategica di cerniera tra Africa centrale (e Corno d’Africa) e Mediterraneo da sud a nord; tra l’Oceano e l’importantissimo corridoio del Mar Rosso sul classico asse ovest/est. L’incendio si va estendendo ormai da quel Triangolo di paesi attualmente retti da giunte militari golpiste fino a legarsi al sanguinoso conflitto sudanese ormai impossibile da comporre (che sta causando nuovi esodi di massa, coinvolgendo in questo modo altri paesi in sofferenza, perché non più in grado di accogliere profughi, creando così nuovi motivi di tensione nell’area dopo quelli che hanno scosso l’Etiopia negli ultimi due anni).
A chi serve creare un’area a forte instabilità sul modello afgano di dimensioni così enormi? è tutto parte di un disegno globale di ridimensionamento del predominio dell’Occidente, oppure è un percorso senza alternative di decolonizzazione, che fa della Realpolitik l’accettazione di potenze alternative, pur di disfarsi del giogo classicamente coloniale? le reazioni interventiste dei paesi limitrofi sono ispirate dalla paura dell’epidemia; oppure dagli sponsor europei, come il solito Eliseo (Adamu Garba, esponente dell’Apc ha accusato Usa e Francia di aver voluto mandare avanti l’Ecowas per innescare una guerra regionale e recuperare posizioni “coloniali”, sfruttando l’instabilità e l’ennesima guerra per procura che finirebbe con il distruggere l’Africa occidentale)
?  Oppure nascono dalla consapevolezza che la regione è stata integralmente posta in un caos per cui nulla sarà più come prima? Sicuramente si sta spostando in campo africano lo scontro anche militare che contrappone gli interessi dei Brics allargati all’egemonia occidentale.
Angelo Ferrari ha cercato di fare il punto mettendo in relazione tutti gli elementi in campo per dipanare l’ingarbugliata matassa.


Il golpe nigerino sblocca definitivamente il modello afgano per l’intero Sahel?

A ovest del lago Ciad

Rulli di tamburi…

Tutti i riflettori della diplomazia internazionale sono puntati sul Niger, dopo il colpo di stato del 26 luglio. Mentre ciò accade il Sahel rischia di piombare in un caos senza precedenti che potrebbe coinvolgere tutta l’Africa occidentale e non solo: l’intera  striscia saheliana è attraversata da tensioni che vanno dal sentimento antifrancese e antioccidentale, che sta montando un po’ ovunque, a una crisi politica, umanitaria e di sicurezza senza precedenti. La decisione della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) di intervenire militarmente in Niger sta esacerbando ulteriormente le opinioni pubbliche di diversi stati della regione; non più, dunque, una minaccia, ma un piano militare messo a punto dopo due giorni di vertice ad Accra, capitale del Ghana. Non si conoscono i dettagli dell’operazione, si sa solo che dovrebbe essere “lampo” perché nel Sahel c’è stato “un colpo di stato militare di troppo”, a detta dei generali riuniti ad Accra. Intervento armato, tuttavia, che non avrebbe alcuna legittimità internazionale: l’Unione africana infatti ha già detto il suo no e le Nazioni Unite non hanno nessuna intenzione di autorizzarlo.

… timide mosse diplomatiche…

Mentre si parla di piani militari, la diplomazia è ancora al lavoro. Una delegazione dell’Ecowas è arrivata a Niamey dove ha potuto incontrare il presidente destituito, Mohamed Bazoum; non solo, a Niamey è arrivata anche la nuova ambasciatrice degli Stati Uniti, Kathleen FitzGibbon, anche se non presenterà le credenziali alla giunta militare – perché Washington non la riconosce – esprimendo tuttavia l’intenzione americana di perseguire la via diplomatica e «per sostenere gli sforzi che aiutino a risolvere la crisi politica in questo momento». Un segno, dunque, che la giunta militare non respinge del tutto il dialogo.
tanto che in un discorso alla televisione pubblica nigerina, Télé Sahel, il generale Abdourahamane Tchiani, a capo della giunta militare, ha annunciato l’istituzione di un «dialogo nazionale inclusivo» entro 30 giorni e ha annunciato una transizione che «non può durare oltre i tre anni». L’obiettivo è formulare «proposte concrete per porre le basi di una nuova vita costituzionale».
Un mantra, quest’ultimo, che ha precedenti in Mali, Burkina Faso e Guinea, paesi che sono stati teatro di colpi di stato negli ultimi due anni e dove le transizioni si prolungano senza che vengano convocate elezioni per un ritorno dei civili al governo di questi paesi. Il generale Tchiani, tuttavia, non accetta la minaccia dell’Ecowas di un intervento militare e rilancia: «L’Ecowas si prepara ad attaccare il Niger allestendo un esercito di occupazione in collaborazione con un esercito straniero», ha detto Tchiani senza citare il paese “straniero”, ma in molti pensano alla Francia.

… esibizione di muscoli

«Né il Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria né il popolo del Niger vogliono la guerra, ma se dovesse essere intrapresa un’aggressione, non sarà la svolta in cui alcuni credono» e ha ammonito: «Le forze di difesa del Niger non si tireranno indietro», sostenute da Burkina Faso, Mali e Guinea, ha detto. «La nostra ambizione non è quella di confiscare il potere», ha anche promesso.

A est del lago Ciad

Il conflitto tra al-Burhan e Hemedti si estende a tutti i Signori della guerra

Mentre ciò accade nell’estremo ovest della striscia saheliana, il Sudan è entrato nel quinto mese di guerra senza che si intraveda all’orizzonte una soluzione. Anzi, sembra proprio che i contendenti vogliano arrivare alle estreme conseguenze. Intanto il conflitto si è esteso, impantanato, aggravato provocando un dramma umanitario che nemmeno l’Onu è in grado di affrontare. La guerra contrappone l’esercito regolare del generale al-Burhan alle Forze di supporto rapido (Fsr) dei paramilitari guidati dal generale Hemedti. Il conflitto ha causato più di quattromila morti, anche se la cifra delle vittime è sottostimata, e milioni tra profughi e sfollati interni. Quando la guerra è scoppiata, il 15 aprile 2023, il generale al-Burhan ha detto che sarebbe finita in due settimane, mentre Hemedti prometteva la vittoria. Oggi nessuna delle due parti sembra prendere un vantaggio decisivo. I militari dominano ancora lo spazio aereo, mentre soffrono la debolezza della loro fanteria, un compito, ironia della sorte, che avevano affidato proprio alle Fsr. L’esercito ha subito battute d’arresto nel Sud Kordofan, nel Nilo Azzurro e nel Darfur, le Forze di supporto rapido sembrano avere nelle mani la maggior parte del territorio di Khartoum, la capitale.
Il conflitto dunque, anziché attenuarsi, si intensifica è sta coinvolgendo altri movimenti armati che partecipano ai combattimenti. Insomma, questo conflitto, iniziato tra due generali, rischia di trasformarsi in una vera e propria guerra civile, secondo l’Onu, volgendo verso una situazione di anarchia totale. I negoziati, inoltre, non sono mai decollati e sono in una fase di stallo e i cessate il fuoco non sono mai durati.

S’intrecciano le crisi umanitarie regionali

Profughi e sfollati, di nuovo sulle sponde del Nilo

Sul versante umanitario le cifre sono da capogiro con oltre 3 milioni di sfollati e quasi 1 milione di rifugiati. Inoltre, entro settembre si prevede che il 40% della popolazione soffrirà di insicurezza alimentare. Le organizzazioni umanitarie stanno affrontando una situazione a dir poco scoraggiante con una mancanza allarmante di fondi, all’appello mancano due miliardi di dollari per far fronte alla crisi. Le donne sono particolarmente colpite, sono vittime di violenze e stupri perpetrati dai combattenti e private di un’adeguata assistenza psicologica e medica, hanno spiegato i portavoce delle agenzie umanitarie durante una riunione a Ginevra. Le agenzie possono aiutare circa 19 milioni di persone in Sudan e nei paesi limitrofi, tuttavia gli interventi sono finanziati solo al 27%. Le Nazioni Unite hanno lanciato due appelli, uno per finanziare gli aiuti all’interno del paese per un totale di 2,57 miliardi di dollari e l’altro per i rifugiati fuggiti dal Sudan per un importo di 566,4 milioni di dollari. Ma dopo la crisi innescata dal colpo di stato in Niger, del Sudan sembra si siano dimenticati tutti e ciò rischia di aggiungere catastrofe a catastrofe.

Profughi e sfollati, di nuovo sulle sponde del Niger

Le conseguenze di un intervento militare dell’Ecowas a Niamey sarebbero devastanti sia sul piano umanitario sia sul piano della sicurezza dell’intera regione. Già si vedono spostamenti di persone sul fiume Niger nella parte che confina con il Benin, considerato, ancora, uno stato sicuro. Nel paese la crisi umanitaria si sta già manifestando. Le frontiere chiuse impediscono il passaggio di merci necessarie alla sopravvivenza della popolazione, così come l’elettricità scarseggia in più parti del paese per via delle interruzioni delle forniture che arrivano dall’estero. Una guerra, per quanto lampo sia, aggraverebbe ulteriormente la situazione umanitaria.

A Ovest (speriamo) niente di nuovo

Una guerra, che potrebbe estendersi a buona parte del Sahel – Mali e Burkina Faso hanno già assicurato il loro appoggio al Niger – avrebbe ripercussioni preoccupanti sul fronte della lotta al terrorismo e ai gruppi jihadisti che imperversano nell’area, in particolare nella regione dei tre confini – Niger (Tilaberi), Mali (Tessit) e Burkina Faso (Tamba), dove storicamente la pastorizia nomade si scontra con coltivatori stanziali – ma anche sulla capacità dei paesi del Golfo di Guinea, già colpiti dal terrorismo a nord dei loro confini – Costa d’Avorio, Benin e Togo – di farvi fronte. Una situazione, dunque, esplosiva.

Recrudescenza jihadista dopo Barkhane

Dal colpo di stato in Niger di fine luglio, infatti, sono stati registrati nove attacchi jihadisti. Una tendenza che preoccupa gli osservatori. Con la recrudescenza degli attacchi islamisti, il timore è di “un rapido deterioramento della situazione”, in primo luogo perché Parigi ha sospeso la sua cooperazione militare con il Niger. L’esercito nazionale quindi non beneficia più dell’appoggio dell’esercito francese. Non ci sono più operazioni congiunte, aerei e droni non danno più supporto e i terroristi approfittano del vuoto. Poi, le minacce di intervento armato dell’Ecowas hanno portato a una riduzione del sistema militare occidentale, che hanno sospeso le loro attività ai confini. Ciò potrebbe portare un calo della reattività dell’esercito nigerino e i gruppi jihadisti potrebbero approfittarne riconquistando la loro libertà di manovra con un radicamento dello Stato Islamico proprio nell’area dei tre confini. Le preoccupazioni vanno ancora oltre, con la possibile creazione di zone grigie, in parte controllate da gruppi armati, in Mali, Burkina, Niger, persino Sudan, che potrebbero destabilizzare il vicino Ciad. Il Ciad, pur non essendo membro dell’Ecowas, condivide con il Niger 1200 chilometri di confine e dispone, oltre ad avere solidi rapporti con la Francia, di un esercito tra i più potenti dell’area. Quindi il Niger ha necessità di assicurarsi rapporti di buon vicinato – il primo ministro nigerino, nominato dalla giunta militare, ha fatto visita al presidente ciadiano Mahamat Idriss Deby – anche se N’Djamena è alle prese con una crisi interna di legittimità del potere e con l’emergenza profughi che arrivano a decine di migliaia dal Sudan.

A rischio sconfinamenti i paesi del Golfo

Si teme, inoltre, che i gruppi jihadisti possano contagiare anche i paesi del Golfo di Guinea. Questa è la maggior preoccupazione della Costa d’Avorio che è già alle prese con sconfinamenti dal Burkina Faso e con centinaia di profughi burkinabé che cercano rifugio nel nord del Paese. Ciò, inoltre, potrebbe spiegare la ferma posizione del presidente ivoriano, Alassane Ouattara, che si è schierato con decisione per un intervento militare in Niger, dicendosi disponibile a fornire un battaglione del suo esercito al contingente dell’Ecowas. Occorre ricordare che Ouattara è uno dei pochi “fedeli” alla Francia rimasti nella regione. E il presidente ivoriano è preoccupato che anche nel suo paese possa montare un sentimento antifrancese alimentato, soprattutto, dal suo rivale di sempre l’ex presidente Laurent Gbagbo, 78 anni, che non nasconde le sue velleità di tornare alla presidenza della Costa d’Avorio, nel 2025, con il suo nuovo Partito dei popoli africani-Costa d’Avorio (Ppa-Ci), di ispirazione e orientamento socialista e panafricanista, nemmeno troppo velatamente antifrancese.

Scosso anche il gigante Senegal da sommovimenti interni

Non meno turbolenta appare la situazione nell’estremo ovest della striscia saheliana, in un Senegal che vive un periodo di forte crisi politica e di legittimità democratica, soprattutto dopo l’arresto dell’oppositore Ousmane Sonko, uno dei leader politici più amati dai giovani senegalesi. Arresto che ha provocato manifestazioni di piazza violente, che hanno lasciato sulle strade numerosi feriti ma anche morti. In conseguenza di queste proteste il ministro dell’interno senegalese, Antoine Diome, ha annunciato lo scioglimento proprio del partito di Sonko, il Pastef – Les patriotes. Il leader dei “giovani senegalesi” è stato condannato per diffamazione e per corruzione giovanile. Secondo le opposizioni queste condanne non hanno altro significato che escludere Sonko, che gode di un buon seguito, dalle elezioni presidenziali del 2024. Il Senegal è un altro paese in forte ebollizione e non è bastata la decisone di Macky Sall, attuale presidente, di non candidarsi per un terzo mandato alle presidenziali a inizio luglio per stemperare la tensione nel paese. In punta di diritto potrebbe farlo, anche se la Costituzione prevede solo due mandati, ma è stata riformata, con una rimodulazione della lunghezza del mandato, proprio sotto la presidenza Sall. Le opposizioni, infatti, si rammaricano del fatto che il presidente Sall e il suo governo rimangano sordi alle richieste di allentamento, pacificazione e fine delle restrizioni agli spazi di libertà. I mesi, dunque, che separano il Senegal alle presidenziali del febbraio 2024 saranno particolarmente difficili. Non è un caso, inoltre, che le opposizioni senegalesi si siano schierate contro l’intervento militare dell’Ecowas in Niger.
Sono molte le ragioni che dovrebbero dissuadere dal mettere in atto lo scenario peggiore per il Sahel e per l’intera Africa occidentale. Un conflitto armato su vasta scala potrebbe scatenare reazioni non proprio prevedibili e trasformare il Sahel in un “Sahelistan” di afgana memoria.

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Pax africana in Ucraina https://ogzero.org/pax-africana-in-ucraina/ Tue, 23 May 2023 22:27:47 +0000 https://ogzero.org/?p=11105 La reazione all’esplosione del conflitto ai confini europei da parte degli stati africani è stata differenziata, ma spesso attenta a mantenere una neutralità interessata e spesso legata al forte intreccio di interessi e presenze russe sul territorio. Questo pone alcuni paesi nella condizione di proporsi come potenziali mediatori credibili. Al punto che la diplomazia americana […]

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La reazione all’esplosione del conflitto ai confini europei da parte degli stati africani è stata differenziata, ma spesso attenta a mantenere una neutralità interessata e spesso legata al forte intreccio di interessi e presenze russe sul territorio. Questo pone alcuni paesi nella condizione di proporsi come potenziali mediatori credibili. Al punto che la diplomazia americana ha subito cercato di delegittimare il governo più rappresentativo dei sei: non appena si è avuto sentore dell’iniziativa dei Sei Paesi in procinto di recarsi dai due contendenti la Casa Bianca ha scatenato i suoi giornali, accusando Pretoria di vendere armi ai russi e di non essere neutrale. Nonostante queste polpette avvelenate procede il piano elaborato a gennaio in gran segreto, proprio perché è ovvio che gli interessi di chi non vuole si raggiunga una tregua in vista di trattati di pace rimuoveranno chiunque si frapponga all’escalation.
Dall’altro lato è sintomatico che il ministro degli esteri ucraino Kuleba  incontri i leader dell’Unione africana in Etiopia: evidentemente la mediazione dell’Africa è presa sul serio da entrambe le parti in conflitto… e come spiega Angelo Ferrari nel suo articolo, l’Unione africana sarebbe l’interlocutore istituzionalmente più adatto, ma le pastoie burocratiche e diplomatiche che la contraddistinguono richiedono strutture più snelle ed efficaci. Ma il suo coinvolgimento dalla mossa di Kuleba avvia anche al livello più alto istituzionalmente il ruolo che potrebbe diventare – se non viene boicottato dagli americani e dai loro alleati – centrale nella composizione del conflitto.
L’estensore ci racconta i retroscena e i risvolti di questa “missione africana”, che non foss’altro per le forniture di cibo ha senz’altro bisogno  che ritorni una condizione di non belligeranza in Ucraina.


Il piano africano ha delle possibilità?

Il presidente del Sudafrica, Cyril Ramaphosa, ha annunciato che Kyiv e Mosca hanno concordato di ospitare una delegazione guidata dai presidenti di Zambia, Senegal, Congo-Brazzaville, Uganda, Egitto e Sudafrica per discutere un piano di pace, preparato in gran segreto dai sei capi di stato. Un piano elaborato già a gennaio e che, ora, dovrebbe concretizzarsi con un incontro con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e quello russo, Vladimir Putin. Quale sarà il primo incontro non è stato ancora stabilito, e non sarà facile. Sulla missione, tuttavia, rimangono ancora dei dubbi sulla sua fattibilità e, in particolare, sui tempi. Di certo c’è che domenica 21 maggio è iniziata una visita interlocutoria del presidente della Fondazione Brazzaville, che sovrintende il progetto, Jean-Yves Olliver, accompagnato da due emissari, uno del Senegal e uno del Sudafrica, che li a portati in Russia e Ucraina, per “chiarire le posizioni” e soprattutto per parlare di logistica.
Muovere sei capi di Stato non è cosa da poco.

Attivismo americano di contrasto

Vi sono anche frizioni internazionali che rischiano di compromettere la missione. Su tutte i rapporti tesi tra il Sudafrica e gli Stati Uniti, dopo le dichiarazioni americane volte ad accusare Pretoria di aver fornito armi alla Russia, ma anche per il fatto che il comandante delle forze di terra del Sudafrica ha visitato ufficialmente Mosca.


Dopo queste accuse, mosse dall’ambasciatore americano a Pretoria, il governo sudafricano ha promesso di svolgere un’indagine su queste presunte consegne. L’esercito sudafricano non ha risposto immediatamente. Il presidente sudafricano Ramaphosa, dal canto suo, ha assicurato che il suo paese non sarebbe stato coinvolto in «una competizione tra potenze mondiali» sull’Ucraina e che è stato soggetto a «straordinarie pressioni» per scegliere da che parte stare.

«Non accettiamo che la nostra posizione di non allineamento favorisca la Russia rispetto ad altri paesi. Non accettiamo nemmeno che metta a repentaglio le nostre relazioni con altri paesi» – in particolare la Russia – si legge in una nota al bollettino presidenziale settimanale.

Abboccamenti con i russi e gli ucraini

Ramaphosa ha parlato al telefono la scorsa settimana con il presidente russo Putin, e i due leader hanno mostrato il desiderio di far crescere ulteriormente la loro cooperazione. È noto, inoltre, che gli Stati Uniti stiano facendo pressioni su numerosi paesi africani affinché scelgano da che parte stare, cioè abbandonino Mosca, e quindi sono siano più soggetti “neutrali” rispetto alla guerra ucraina.
Tornando al progetto di pace africano, in discussione ormai da settimane, questo ha avuto un impulso nell’ultimo fine settimana. Secondo Ramaphosa i due “campi”, Mosca e Kyiv, hanno accettato di ricevere la visita di questa missione di pace. Il presidente sudafricano, inoltre, si augura che questo viaggio possa avvenire “il prima possibile”, anche se le modalità sono ancora tutte da discutere, in particolare quale presidente, Zelensky o Putin, riceverà per primo la missione.

Criteri di scelta della delegazione

Secondo la Fondazione Brazzaville, questi sei paesi sono stati scelti per rappresentare le diverse visioni del continente africano sul conflitto, con paesi come il Sudafrica e l’Uganda che difendono i loro legami con la Russia, e altri come lo Zambia e l’Egitto, che hanno votato per il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina nell’ultima risoluzione delle Nazioni Unite.
La Fondazione Brazzaville, creata nel 2015 è presieduta dal francese Jean-Yves Ollivier, uomo d’affari che ha fatto fortuna commerciando materie prime in tutto il mondo, in particolare in Africa, dove ha stretto forti legami con numerosi presidenti africani: dall’ex presidente ivoriano, Félix Houphouët-Boigny, al presidente del Congo-Brazzaville, Denis Sassou-Nguesso, passando per l’antico uomo forte angolano, José dos Santos.

Jean-Yves Ollivier è un habitué dei palazzi presidenziali. «Mi sono dedicato agli affari e la politica mi ha raggiunto».

Dietro questa missione c’è anche un po’ di Francia.

La disposizione sudafricana al dialogo

Da parte sudafricana, non sorprende che in questo progetto, tanto ambizioso quanto difficile da concretizzare, sia stato coinvolto Cyril Ramaphosa. Il presidente sudafricano è sempre stato, fin dall’inizio del conflitto, colui che ha sempre invitato al dialogo per trovare una soluzione negoziata al conflitto e, quindi, cominciare a parlare di pace, piuttosto che schierarsi da una parte o dall’altra. Un atteggiamento di neutralità che, tuttavia, ha anche nascosto contraddizioni. La recente visita del comandante di terra dell’esercito sudafricano a Mosca, Lawerence Mbatha, è lì a dimostrarlo. Secondo Pretoria, tuttavia, il segretario generale delle Nazioni Unite e dell’Unione africana avrebbero accolto con favore questa iniziativa.

Il calendario “africano”?

Molte questioni organizzative, tuttavia, rimangono in sospeso. L’Africa non ha voluto rimanere inattiva su un tema che la riguarda direttamente, non fosse per le conseguenze economiche di questo conflitto su tutto il continente. È con questa volontà che questa missione di pace si è concretizzata a gennaio nella massima segretezza con discussioni solo tra capi di stato. Ora, la parte più complessa è il calendario dell’iniziativa di pace, tutto da discutere. Putin avrebbe proposto che si svolgesse a margine del vertice Russia-Africa di fine luglio, i sei presidenti vogliono che si tenga prima, in particolare entro la fine di giugno. La Fondazione Brazzaville, che è all’origine di questo progetto, sostiene che la composizione della delegazione ha senso con sei Stati che hanno posizioni politiche diverse sul tema della guerra in Ucraina: appoggio a uno dei due campi o neutralità. Non è un nodo da poco da sciogliere. Da questo punto di vista, nonostante l’Unione Africana abbia fatto sapere di sostenere questa missione, l’istituzione e il suo attuale presidente, il capo di stato delle Comore, Azali Assoumani, hanno preferito fare un passo indietro per non rallentare il processo diplomatico. Coinvolgere l’istituzione Unione africana avrebbe portato con sé un lavoro diplomatico di non poco conto per convincere gli stati membri della necessità di una missione di pace, un’opera di convincimento complessa che, tuttavia, poteva sfociare in un nulla di fatto.

La fase di preparazione di questa missione diplomatica a Sei è ormai cominciata, anche se gli ostacoli affinché l’iniziativa africana abbia successo sono numerosi.

 

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n. 22 – Il nuovo patto europeo sulla migrazione e l’asilo (I). Respingimenti, Sar, esternalizzazioni https://ogzero.org/il-nuovo-patto-europeo-sulla-migrazione-e-lasilo/ Mon, 14 Nov 2022 10:05:54 +0000 https://ogzero.org/?p=9459 L’ipocrisia europea evita di dare indicazioni precise e umanitarie, lasciando ai singoli stati la manipolazione dell’opinione pubblica più retriva e identitaria; e così i politici fanno, usando a scopo interno episodi singoli per dimostrazioni muscolari con l’ossessione per la presenza delle ong (il 12 per cento dei salvati provengono dalle loro imbarcazioni, ma sono soprattuto […]

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L’ipocrisia europea evita di dare indicazioni precise e umanitarie, lasciando ai singoli stati la manipolazione dell’opinione pubblica più retriva e identitaria; e così i politici fanno, usando a scopo interno episodi singoli per dimostrazioni muscolari con l’ossessione per la presenza delle ong (il 12 per cento dei salvati provengono dalle loro imbarcazioni, ma sono soprattuto un occhio su quello che avviene nel Mediterraneo), sia facendo leva sulla ferocia innata nella propria fazione di radice fascistoide, sia intervenendo internazionalmente per isolare la nazione rivale, restituendo però un modello che non si discosta molto per grado di accoglienza, per non esporre il fianco ai razzisti interni. I paesi già distintisi per la propensione ad adottare norme draconiane per rastrellare voti esasperati – quelli  esposti agli sbarchi (Cipro, Grecia, Malta e sovranisti italiani) – aggirano il diritto e spingono per creare hotspot (Lager); in Libia Minniti fu il primo, ora Piantedosi in Tunisia, con l’idea di creare un fortilizio contro i disperati resi tali dal neoliberismo, dalle politiche predatorie europee ed estrattiviste, da carestie nate dal cambiamento climatico provocato dall’Occidentalismo. Il governo di estrema destra italiano storna fondi della cooperazione per potenziare il controllo delle frontiere (tanto Shengen è sospeso da 9 anni). Addirittura in questi giorni l’abitudine allo squallore ha permesso l’impunità per un ministro che ha parlato di carico residuo, depositato sul fondo del setaccio per umani, schiuma ottenuta dalla valutazione del grado di vulnerabilità, che non considera come il concetto comprende non solo donne incinte, bambini e mutilati, ma anche le vittime di tortura, quelli resi deboli psichicamente dagli anni di umiliazioni, lavori in condizioni estreme, violenze, stenti, stupri, visioni apocalittiche per deserti e mari.

Il doppio articolo di Fabiana sembra fatto apposta sulle ultime idee di esternalizzazione, ma in realtà era in gestazione da un paio di mesi, perché approfondisce enormemente le dirimenti questioni giuridiche di Diritto internazionale, individuando nell’intento di questa pantomima una moltiplicazione degli accordi simili a quelli stipulati con Istanbul, fino a che il contorno delle frontiere saranno divenuti muri, cortine, filo spinato…


Premesse storiche e fallimenti

Consuetudini di confinamento e respingimenti

Il 23 settembre del 2020 la Commissione europea presentò la proposta per un nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo insieme a un pacchetto di nuove proposte di regolamenti europei alquanto preoccupanti come:

  • la Proposta di regolamento che introduce il procedimento di accertamento di preingresso ossia il cosiddetto “Regolamento screening”;
  • la Proposta che modifica la procedura in materia di riconoscimento e di revoca della protezione internazionale;
  • la Proposta di regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione;
  • la Proposta che istituisce procedure per affrontare situazioni di crisi e di forza maggiore in ambito migratorio;
  • la Proposta di regolamento che modifica il regolamento Eurodac.

Si precisa che tutte le proposte, essendo appunto “proposte di regolamento”, qualora venissero approvate dal parlamento Ue e dal Consiglio sarebbero immediatamente applicabili in ogni stato dell’Unione, non avendo il regolamento – come invece avviene per le direttive – necessità di alcuna legge di recepimento da parte degli stati membri per la propria vigenza. Ursula von der Leyen, nel corso della presidenza tedesca della Commissione UE, ha sottolineato come tale Patto mettesse d’accordo i vari stati membri e si ponesse in chiave di rottura rispetto al passato. Nulla di più falso. Non solo il nuovo Patto non introduce nulla di particolarmente innovativo ma viene meno – nella quasi totalità dei casi di richiesta di protezione internazionale – l’esame individuale della domanda; è invece affermata inequivocabilmente la logica dei campi di confinamento dei migranti; e soprattutto – ancora una volta – l’Unione fallisce nella modifica del regolamento di Dublino per l’individuazione dello stato Ue competente a trattare le richieste d’asilo.

Come primo criterio di individuazione della competenza continua infatti a essere applicato quello del paese di primo ingresso con il consueto ed evidente svantaggio per quei paesi che geograficamente sono maggiormente esposti agli arrivi dei cittadini dei paesi terzi.

Ricollocamento inesistente, rimpatri ed esternalizzazione delle frontiere

Nel nuovo Patto inoltre non vi è poi ancora alcuna previsione sul ricollocamento obbligatorio e automatico dei migranti nei paesi membri ma come vedremo solo su base volontaria e in casi eccezionali. Si persiste nell’ignorare la portata effettiva e incondizionata che dovrebbe avere il principio di solidarietà tra i paesi membri, indicata nell’art. 80 del trattato sul funzionamento dell’UE, anzi si potrebbe affermare che tale principio è stato quasi del tutto svuotato essendo prevista, come strumento di solidarietà, la cosiddetta Sponsorizzazione dei rimpatri dei cittadini dei paesi terzi ossia il finanziamento o il supporto di uno stato membro all’altro affinché i migranti possano essere espulsi più rapidamente dal territorio dell’Unione. Come noto già con l’Agenda europea del 2015, a fronte della crisi migratoria derivante dal conflitto siriano, e con il Summit della Valletta dello stesso anno, la Commissione europea aveva manifestato come la propria politica in materia di migrazione e asilo fosse volta – con la complicità di buona parte degli stati membri – al rafforzamento della dimensione esterna dell’Unione mediante il meccanismo comunemente definito “esternalizzazione delle frontiere”, ossia quelle azioni politiche, militari, diplomatiche e “giuridiche” che mirano a impedire che i cittadini dei paesi terzi arrivino nel territorio dell’Unione.

  (Elaborazione openpolis su dati Edjnet. ultimo aggiornamento: mercoledì 13 aprile 2022)

Il sotterfugio delle intese tecniche

La Commissione ben consapevole che non avrebbe potuto attuare tale sistema senza la collaborazione dei paesi terzi – perlopiù in via di sviluppo – ritenne necessario offrire loro “un incentivo” per la delega di tali attività illegittime stornando parte sostanziale dei fondi per lo sviluppo dalla lotta alla povertà alla gestione delle frontiere. È quanto avvenuto con il cosiddetto Fondo fiduciario per l’Africa – un insieme di vari piccoli fondi per lo sviluppo – istituito ad hoc con il Summit della Valletta nel corso del quale veniva rimarcato il ruolo centrale affidato ai paesi terzi nell’ambito delle politiche migratorie dell’Unione. Secondo le più consuete logiche coloniali tuttavia i paesi terzi non hanno assunto di fatto alcun ruolo nel processo decisionale di tali meccanismi ma sono stati semplicemente finanziati – facendo leva sulla loro condizione di indigenza – perché svolgessero tali attività in modo che l’Unione, i suoi organi, le sue Agenzie e gli stati dell’UE apparissero immacolati. La parvenza di legittimità giuridica di tale macchinoso impianto è stata affidata alle cosiddette intese tecniche dell’Unione o dei singoli stati membri con i paesi terzi e non invece con la sottoscrizione di accordi internazionali che non solo sarebbero dovuti passare per il parlamento per l’approvazione ma anche resi pubblici e accessibili alla società civile.

(Fonte Unione Europea 2022)

 

Criminalizzazione globalizzata dei processi migratori

Allora come oggi occorreva alla Commissione un sistema finanziario flessibile e immediato per raggiungere tali intenti. Secondo questi presupposti ideologici quindi si inserivano l’accordo Ue-Turchia del 2016 e il Memorandum Italia-Libia del 2017 già ampiamente analizzati negli articoli relativi alla rotta dell’Egeo e a quella del Mediterraneo centrale. Tale approccio non si è limitato al controllo dei confini ma si è audacemente spinto addirittura al controllo della mobilità umana come è avvenuto con il Niger e con il Gambia. In particolare, è nota la pressione che l’Unione ha esercitato nei confronti del Niger per l’emanazione di una legge – la n. 36 del 2015 – che criminalizzasse “il traffico dei migrantiper evitare lo snodo della mobilità migratoria da Agadez verso la Libia e soprattutto gli arrivi verso l’Unione mediante la rotta del Mediterraneo centrale.

Il ricatto dell’aiuto vincolato

Interessante è poi l’intesa tecnica che l’Unione nel 2018 ha sottoscritto con il governo gambiano perché si consentisse e si agevolasse la riammissione dei gambiani espulsi dal territorio europeo: più nello specifico a partire dal 2019 sulla base di tale intesa tecnica il governo gambiano si impegnava a rimpatriare i propri cittadini presenti nel territorio dell’Ue.
Da alcuni paesi dell’UE cominciavano così a partire voli charter con a bordo cittadini gambiani che nel corso del 2020 venivano sospesi in ragione della diffusione del virus da Covid-19. Il governo gambiano nel 2021 decideva però di interrompere tali flussi migratori di espulsione dall’Europa dei propri cittadini dichiarando di non avere più le capacità di sostenere un ingresso così numeroso di soggetti espulsi anche perché tale prassi stava creando disordini sociali nel paese.

A questo punto l’Unione decideva di sospendere il Codice visti nei confronti del Gambia: veniva messa in atto in tale modo una sorta di ricatto sulla base del quale

se un paese terzo contravviene all’impegno di riammissione dei propri concittadini o di altri migranti presenti nel territorio dell’Ue, non solo, non riceve l’incentivo ossia il denaro proveniente dai fondi per lo sviluppo – che si precisa sarebbe uno strumento di cooperazione e non di ritorsione – ma viene anche drasticamente ridotta la possibilità per tutti i cittadini di quel paese terzo di ottenere visti di ingresso nel territorio dell’Unione.

Proposta di regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione

La vicenda anticipa nella prassi quanto è attualmente disposto a livello normativo in una delle cinque proposte di regolamento che accompagnano il nuovo patto. In particolare, con la Proposta di regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione che verrà in seguito analizzata in modo più approfondito – si afferma il cosiddetto Principio di condizionalità nei rapporti tra paesi terzi e Unione europea. Infatti oltre all’art. 3 (“Approccio globale alla gestione dell’asilo e della migrazione”) e all’art. 4 (“Principio dell’elaborazione integrata delle politiche”) mediante i quali si regolamentano le politiche esterne dell’Unione per farle coincidere maggiormente con i suoi obiettivi interni,

all’art. 7 (“Cooperazione con i paesi terzi volta a facilitare il rimpatrio e la riammissione”) si richiama la modifica del Codice Visti del 2019 in particolare l’introduzione dell’art. 25 bis con il quale si prevede – nell’ipotesi in cui un paese terzo non sia particolarmente incisivo in termini di riammissione dei migranti irregolari – che la Commissione possa deliberatamente decidere di limitare i visti verso il territorio dell’Unione per tutti i cittadini di quel paese terzo.

Esternalizzazione a “paesi terzi sicuri” dell’iter per la concessione della protezione

La rotta libica

Comunque qualora le proposte di regolamento che accompagnano il patto venissero approvate ci si spingerebbe ben oltre. Più nello specifico la delega ai paesi terzi potrebbe non essere più circoscritta alle ipotesi già gravi del controllo delle frontiere o della mobilità umana – come nel caso del Niger – ma anche all’esternalizzazione della trattazione delle domande d’asilo. Al riguardo è interessante notare preliminarmente come le procedure di esternalizzazione si possono legare alle procedure di screening, previste da una delle proposte che accompagnano il patto e ad alcune nozioni contenute nella Proposta di modifica del regolamento sulle procedure in materia di riconoscimento e revoca della protezione internazionale che introduce – come vedremo – il concetto di protezione sufficiente con riferimento al cosiddetto “paese terzo sicuro”.

nuovo patto europeo

Al confine Tunisia-Libia

La rotta tunisina

Peraltro negli ultimi anni l’Unione europea nella prassi ha già reso moltissimi paesi di transito sufficientemente sicuri: per esempio la Tunisia che sebbene abbia sottoscritto la Convenzione di Ginevra non ha una legge interna sull’asilo. Infatti, nonostante sia presente nel suo territorio l’Unhcr che si occupa della registrazione della domanda e di tutta la procedura di protezione internazionale, di fatto il rifugiato riconosciuto tale in Tunisia non ha accesso poi ad alcun diritto, proprio per l’assenza di una normativa interna in materia (e la contingenza attuale vede una progressiva autocratizzazione del potere tunisino sotto la pressione della presidenza Saied e una delegittimazione delle istituzioni e quindi si vanno creando i potenziali prodromi – perciò proponiamo la considerazioni raccolte da Tunisi con Arianna Poletti – per accogliere un’“economia” e una filiera di strutture d’ispirazione “libica”: hotspot al di là del Canale di Sicilia).

“La periodica collera non è un rito di piazza in Tunisia”.

L’evidenza della rotta atlantica

Per comprendere meglio il rischio dell’esternalizzazione del diritto d‘asilo occorre analizzare alcune dinamiche che hanno interessato un’altra rotta ossia quella atlantica. Come noto questa rotta è stata caratterizzata negli ultimi anni da patti dell’Ue in particolare della Spagna con il Senegal, il Marocco e la Mauritania per l’intercettazione dei migranti nelle loro acque territoriali affinché venissero riammessi in tali paesi con il supporto di Frontex. L’ipotesi in cui però il migrante si trovasse già di fatto in acque internazionali rendeva illegittima tale prassi. Per tale ragione è stato previsto uno status Agreement con il Senegal che permetterà di superare la questione in merito al luogo in cui riportare i cittadini stranieri intercettati in acque extraterritoriali: più specificamente i migranti intercettati in esse si potranno riportare in Senegal in quanto definito di fatto nello status Agreement paese sicuro per i propri cittadini e soprattutto un paese sicuro per tutti i richiedenti asilo e rifugiati. Tale meccanismo è proprio quello che consente l’esternalizzazione del diritto d’asilo in paesi come il Senegal semplicemente per il fatto che è prevista una normativa interna sull’asilo, perché è presente l’Unhcr – anche se non all’interno delle Commissioni che si occupano dell’esame della domanda – e perché alla fine viene rispettato il principio di non refoulement!! Quindi l’individuo intercettato in acque internazionali dovrà fare tutta la procedura di riconoscimento della protezione internazionale in Senegal, in luogo della Spagna.

Search and Rescue

Le contestuali raccomandazioni sulle operazioni Sar e l’accresciuto ruolo delle Agenzie europee Frontex e Euaa

Ipocrita equidistanza tra ong e aguzzini libici

Rispetto alle operazioni Sar – Search and Rescue – la Commissione invece non ha ritenuto di avanzare una proposta di regolamento bensì di emanare semplicemente delle raccomandazioni che se da un lato possono essere valutate prima facie positivamente, in quanto in esse si dichiara espressamente che l’assistenza umanitaria anche svolta da ong – ossia da privati – nel corso di tali operazioni non può essere criminalizzata, in quanto conforme al diritto internazionale e al diritto di soccorso in mare, dall’altro però in esse si ribadisce che i flussi migratori in mare non si sono mai fermati e che occorre contrastare il traffico dei migranti. La Commissione deliberatamente ignora però la collaborazione con la cosiddetta “Guardia Costiera Libica” (la collaborazione con la quale è stata tacitamente rinnovata a inizio novembre 2022 per altri tre anni) che in cambio dell’addestramento e dei finanziamenti dell’Europa e dell’Italia continua a intercettare i migranti in mare per poi riportarli nei lager libici.

Tacito consenso a disattendere le regole umanitarie

Insidiosa diventa così l’altra affermazione della Commissione con la quale si ribadisce che le operazioni Sar devono essere gestite a livello normativo dagli stati come tema di politica pubblica, che finisce con consentire a un governo razzista di immaginare impunemente lo sbarco selettivo; riflettendo su tali affermazioni, da parte italiana non si può non pensare a quanto sia già stata molto grave invece la legislazione interna sul tema emanata con il cosiddettoDecreto Sicurezza bis”, ora persino peggiorato dai decreti di inizio legislatura.

Infine, appare chiaro come dalla lettura delle proposte di regolamento che accompagnano il Patto, il ruolo delle Agenzie Ue in particolare di Frontex– ossia l’Agenzia della guardia di Frontiera e costiera europea – e dell’Euaa (ex EASO) ossia l’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo – venga notevolmente accresciuto. Si precisa al riguardo che le due agenzie sono già state interessate dalle modifiche dei regolamenti che disciplinano l’ambito delle loro competenze rispettivamente nel 2019 con il Regolamento (UE) 2019/1896 del 13 novembre 2019 e nel 2021 con Regolamento (UE) 2021/2303 del 15 dicembre 2021.

Frontex manu militari nelle attività antimigratorie, congiuntamente

In particolare, ciò si evidenzia nella procedura di preingresso o screening – rispetto alla quale sarebbe stata più opportuna la previsione della presenza dell’“Agenzia Europea per i diritti fondamentali” – e nel corso dell’attivazione dei meccanismi di solidarietà visto che entrambe le agenzie sono disgregate per individuare le persone da ricollocare o da sottoporre a misure di sponsorship. Più nel dettaglio la dimensione operativa delle agenzie che prima si identificava in un’implementazione indiretta delle misure e dei provvedimenti messi in atto dagli stati in ambito migratorio ora può essere definita a tutti gli effetti un’implementazione congiunta e condivisa: ovverossia le autorità esecutive dei paesi membri implementano le azioni in ambito migratorio a fianco degli uomini delle due agenzie europee di cui sopra. Da qui addirittura anche il reclutamento da parte di Frontex di agenti di pubblica sicurezza dei singoli paesi membri per inserirli tra le proprie fila.

Euaa istruisce domande d’asilo, congiuntamente

Per quanto riguarda l’Euaa invece si può affermare che essa guadagna sempre maggiori margini per entrare nel merito delle decisioni delle domande d’asilo per cui diversamente dal passato l’istruzione della domanda d’asilo viene svolta dalle autorità nazionali degli stati membri congiuntamente a essa anche se poi la responsabilità delle decisioni rimane comunque in capo ai soli stati membri. Infatti si stabilisce con la modifica del regolamento interno dell’Agenzia Easo del 15 dicembre 2021 che essa debba assistere i paesi membri nel registrare le domande d’asilo, facilitare l’esame da parte delle competenti autorità nazionali all’esame della domanda e fornire a quelle autorità la necessaria assistenza alle domande di protezione internazionale. Viene poi accresciuta anche la dimensione di monitoraggio delle agenzie: entrambe oggi infatti hanno ampie prerogative sulla raccolta delle informazioni dei flussi migratori e sulla valutazione dello stato di “vulnerabilità” delle frontiere di ciascun paese membro nonché del suo sistema d’asilo e d’accoglienza fino al punto che – nell’ipotesi in cui si ravvisino rischi nei rispettivi settori di competenza – le due agenzie adottano raccomandazioni che gli stati membri sono chiamati a rispettare. Infine, aumenta anche la dimensione politica delle agenzie: esse sono divenute infatti importanti centri di raccolta informazioni in ambito migratorio sulla base delle quali vengono elaborate poi le decisioni politiche dell’Unione e dei singoli stati membri. Basti pensare che l’Euaa non solo può adottare indicatori per misurare l’efficacia del sistema d’asilo ai quali i paesi membri devono adeguarsi ma elabora anche le Country of Origin Information influendo non poco sulle decisioni delle singole Commissioni Territoriali.

nuovo patto europeo

(Fonte Osservatorio Diritti)

Fronte(x) disumanitario

Questo comporta la necessità, considerate le accresciute competenze anche con riferimento alla proposta del Nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo di aumentare anche la loro responsabilità (ossia la cosiddetta “accountability”), non semplicemente a livello giudiziario – per le violazioni dei diritti umani commesse dallo Staff delle agenzie nel loro operato (vedi Frontex) sulle quali ha già una funzione di monitoraggio il Parlamento UE – ma anche a livello politico, tenuto conto delle informazioni rilevanti che le due agenzie forniscono ai singoli stati sulla base delle quali spesso questi determinano il loro indirizzo politico in ambito migratorio (tanto che messo alle strette per i respingimenti operati direttamente da uomini in quel momento assunti da Frontex, Leggeri ha dovuto dimettersi dalla dirigenza dell’agenzia di stanza in Polonia).

Si aggiunge infine che, anche se è previsto un meccanismo di reclamo che ogni individuo può avanzare per la violazione dei propri diritti da parte delle due agenzie indirizzato al direttore esecutivo delle stesse, questo nei fatti continua a essere poco efficace soprattutto nei confronti degli agenti di Frontex che non fanno pienamente parte dello Staff ma che sono distaccati ossia reclutati dall’agenzia temporaneamente tra le forze di sicurezza dei singoli stati membri. Fin qui dunque il substrato sul quale sono state gettate le fondamenta per il così scarsamente coraggioso ma allarmante Patto del 2020 nonché le sue conseguenze altrettanto poco audaci rispetto alle raccomandazioni sulle operazioni di soccorso e salvataggio ma fin troppo temerarie nel già accresciuto ruolo delle Agenzie Frontex e Euaa rafforzato nelle già citate proposte di regolamento complementari a esso della cui analisi giuridica si rimanda al successivo approfondimento.

L'articolo n. 22 – Il nuovo patto europeo sulla migrazione e l’asilo (I). Respingimenti, Sar, esternalizzazioni proviene da OGzero.

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n. 4 – Senegal: Ousmane Sonko vs. Macky Sall. Esplode la rabbia https://ogzero.org/conflitti-e-instabilita-in-senegal-causa-di-migrazione-forzata/ Sun, 11 Apr 2021 08:21:19 +0000 https://ogzero.org/?p=3011 Questo saggio fa parte di una raccolta di articoli che fornisce una panoramica sulla questione migratoria: analizzeremo insieme a Fabiana Triburgo le varie rotte che si sono delineate nel tempo a causa di conflitti o e instabilità che provocano questo fenomeno per giungere infine a un’analisi della normativa europea e delle alternative che potrebbero emergere […]

L'articolo n. 4 – Senegal: Ousmane Sonko vs. Macky Sall. Esplode la rabbia proviene da OGzero.

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Questo saggio fa parte di una raccolta di articoli che fornisce una panoramica sulla questione migratoria: analizzeremo insieme a Fabiana Triburgo le varie rotte che si sono delineate nel tempo a causa di conflitti o e instabilità che provocano questo fenomeno per giungere infine a un’analisi della normativa europea e delle alternative che potrebbero emergere da politiche più coraggiose e lungimiranti. Qui il quarto contributo, focalizzato sul Senegal.


n. 4

I principali conflitti che attualmente interessano le migrazioni forzate e le prassi di esternalizzazione poste in essere dall’Unione Europea e dai singoli stati membri portano a una predeterminazione delle rotte dei migranti.

Quello che oggi è inevitabile chiedersi è se il nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo, proposto dalla Commissione UE, possa essere realmente considerato una soluzione della gestione del fenomeno migratorio o se invece vi siano soluzioni legali alternative maggiormente lungimiranti e coraggiose.  


L’instabilità politica e i recenti scontri in Senegal

Il Marzo senegalese

Il 4 marzo 2021, in Senegal, si è verificata un’ondata di proteste sollevate dalla popolazione civile, in particolare da parte dei giovani senegalesi, in conseguenza dell’arresto di mercoledì 3 marzo 2021 di Ousmane Sonko, leader del partito di opposizione Patriotes du Sénégal pour le travail, l’èthique et la fraternité (Pastef), e principale politico oppositore del governo del paese guidato dal presidente Macky Sall.

Il 3 marzo il deputato Sonko, dopo aver perso l’immunità parlamentare già il 26 febbraio, si stava recando in Tribunale, accompagnato da una folla di suoi sostenitori, poiché convocato per rispondere all’accusa di stupro e di minacce di morte nei confronti di una ragazza di vent’anni. Le accuse sono state avanzate contro di lui da parte di una dipendente di un salon de beautè, Salon che Sonko frequentava abitualmente per sottoporsi a dei massaggi per il mal di schiena. Sonko, arrivato terzo alle elezioni presidenziali del 2019, aveva precedentemente respinto ogni accusa professandosi innocente rispetto all’imputazione per stupro, e dichiarando che le «accuse infondate sono ormai lo strumento consolidato dall’attuale governo per rimuovere i candidati alle prossime elezioni». Le accuse a lui rivolte per stupro risultano, effettivamente, del tutto infondate e anche esponenti del partito Pastef dichiarano che i certificati medici smentiscono la violenza sulla donna e i suoi sostenitori parlano di un complotto finalizzato alla eliminazione di Sonko dalla scena politica.

In conseguenza delle manifestazioni popolari che lo hanno accompagnato mentre si recava in Tribunale, Sonko è stato poi arrestato immediatamente per i reati di “disturbo dell’ordine pubblico” e organizzazione di “manifestazione non autorizzata”. Da quel momento in poi per tre giorni a Dakar e nel sud del Senegal si sono accese forti proteste da parte della popolazione a sostegno di Sonko, soprattutto giovani, che hanno colto l’occasione anche per rivendicare diritti come quello della libertà di espressione, del rispetto della separazione dei poteri, in particolare quello giudiziario da quello esecutivo, e il divieto delle Forze di Polizia a compiere atti violenti contro manifestanti pacifici in opposizione al governo.

Più specificatamente gli attivisti hanno criticato: il licenziamento di Sonko dalla pubblica amministrazione senza possibilità di difesa solamente per aver parlato di un fascicolo contro il presidente Macky Sall – relativo al reato di appropriazione indebita (il cosiddetto 7 miliardi di Taiwan); la violenza usata dalle forze armate del governo contro una sostenitrice di Sonko e la sua uccisione; un seggio saccheggiato in esito alle votazioni del 2019 e la violazione del domicilio della madre di Sonko per recuperare fascicoli del Pastef che avevano causato l’arresto di un gendarme. Ancora, i manifestanti hanno sottolineato: la corruzione dilagante nell’affare milionario in mano al fratello dell’attuale presidente denunciato nel 2019; le accuse false su un presunto contributo della Tullow Oil rivolte a Sonko e la volontà espressa, tramite comunicato stampa del presidente, di sciogliere il partito Pastef con il fine di innovare le modalità di finanziamento delle sue attività.

Gli scontri e l’insurrezione antifrancese

Manifestazioni a Dakar per l’allontanamento di Macky Sall

Il Movimento per la difesa e per la democrazia M2D, considerata la forza di opposizione alla guida delle manifestazioni in seguito all’arresto di Sonko, aveva annunciato nella giornata di venerdì 5 marzo altri giorni di protesta. Tali proteste, tuttavia, sono sfociate in una vera e propria guerriglia urbana. I giovani urlando Liberate Sonko! hanno attaccato con lanci di pietre i poliziotti che hanno risposto con deflagrazioni e lanci di granate. Secondo la Croce Rossa senegalese 235 persone sono rimaste ferite nel corso delle proteste del 5 marzo a Dakar in centro durante le quali, secondo i media, sono state arrestate in modo arbitrario circa 100 persone. Otto invece sarebbero i morti secondo Amnesty International e in diversi quartieri a Dakar e in altre città del paese, nel quartiere di Medina così come nella regione di Casamance, ci sono stati altri scontri violentissimi.

Nella capitale si sono chiusi i negozi e si sono svuotate le strade lasciando spazio alla guerriglia urbana e il governo ha ordinato la chiusura delle scuole con “l’invito” contestuale ai genitori di tenere sotto controllo i propri figli manifestanti giovanissimi. Allo stesso tempo, il governo ha oscurato alcuni canali televisivi nazionali e ha limitato l’accesso alla rete internet durante i giorni degli scontri e ha controllato ossessivamente lo scambio di foto, messaggi e video su quanto stava accadendo.

OGzero aveva raccolto il 5 marzo la testimonianza di un intellettuale senegalese simpatizzante per l’opposizione a Macky Sall, che aveva potuto descrivere in diretta da Dakar gli eventi; questo il podcast:

“La rabbia di Dakar e la repressione di Sall”.

Inoltre, anche i senegalesi in Europa hanno organizzato delle manifestazioni e dei presidi, come è avvenuto con il presidio del 5 marzo di Milano al motto No alla dittatura. No alla violenza! e con un comunicato del Pastef a Napoli che ha dichiarato che in Senegal «sono riusciti a liquidare già due importanti leader di opposizione, di cui uno in esilio in Qatar e l’altro, appena uscito dal carcere, non ha più diritti civili. Ora stanno cercando di liquidare l’oppositore più forte Ousmane Sonko».

Le proteste in Senegal non hanno portato all’ascolto delle istanze sollevate dai manifestanti e il Ministero dell’interno senegalese le ha qualificate come atti di saccheggio e di vandalismo, nonché «atti di banditismo e di terrorismo» e ha promesso di utilizzare «tutti i mezzi necessari per un ritorno all’ordine», mentre il presidente Macky Sall, al potere da quasi dieci anni, si è trincerato inizialmente dietro un muro di silenzio.

Amnesty International ha invitato il governo senegalese a chiarire le circostanze che circondano la morte di un manifestante ed a spiegare le violazioni dei diritti umani dall’arresto di Sonko, il 3 marzo del 2021. I manifestanti sono stati infatti attaccati e arrestati dalle forze di sicurezza senegalesi, accompagnati da uomini in abiti civili e armati di mazze e, secondo la nota organizzazione umanitaria, la forza che hanno usato eccessivamente contro i manifestanti è una «chiara violazione del diritto internazionale e dei diritti umani» e ha invitato le autorità ad indagare sull’incidente e perseguire i responsabili delle violazioni.

In questa situazione è intervenuto il Mediatore della Repubblica, una carica istituzionale specifica del Senegal, Alioune Badara Cissè dicendo: «Abbiamo bisogno di compassione per la nostra gente. Finché restiamo al piano di sopra e pensiamo di non dover rendere conto a nessuno, gonfiamo il petto perché siamo stati criticati ma non faremo mai un lavoro utile». A tale intervento si è aggiunto quello dell’ex presidente Abdoulaye Wade che si è rivolto direttamente al presidente Macky Sall dicendo «alcuni magistrati cercano di indovinare cosa può piacere al presidente e lo fanno con zelo», riferendosi anche al caso del figlio che è stato liquidato giudizialmente alle ultime elezioni presidenziali. Il 7 marzo è stata anche diffusa una comunicazione congiunta dei paesi dell’Unione Europea e del Canada, della Corea del Sud, del Giappone, del Regno Unito, degli Stati uniti e della Svizzera che esprime preoccupazione per la vicenda politica in corso e che auspica una sua risoluzione pacifica. Del medesimo contenuto è stato anche il comunicato del 6 marzo del presidente dell’Unione Africana Moussa Faki Mahamat.

Liberazione di Sonko e seconda fase delle proteste

 L’ 8 marzo e per i tre giorni successivi è stata indetta, quindi, una mobilitazione pacifica per la liberazione del leader dell’opposizione Sonko proposta dalla piattaforma Aar Sunu democratie (Movimento per la difesa della democrazia) e organizzata da parte di un collettivo di oppositori anche sulla base dell’invito, del medesimo Sonko, che ha chiamato a partecipare alla manifestazione tutti i senegalesi “desiderosi di giustizia”.  Mobilitazione pacifica presentata come un’esortazione a comparire «in massa per le strade di Dakar e nelle regioni, dipartimenti, comuni e villaggi per 3 giorni da lunedì 8 marzo, giorno di lotta e affermazione dei diritti delle donne» che sono state invitate a uscire a fianco di figli e nipoti «per aiutarli nella loro ricerca di un futuro migliore».

 

Tuttavia, nella serata del 7 marzo, è intervenuta la revoca da parte del pubblico ministero del provvedimento di custodia cautelare a carico di Ousmane Sonko e delle sue guardie del corpo, con l’invito a Sonko di comparire il giorno seguente, ossia proprio l’8 marzo alle 11 di mattina davanti al decano dei giudici. A quel punto la manifestazione dell’8 marzo 2021 non c’è stata perché la popolazione civile, quando ha appreso la notizia della sua liberazione, è andata in massa verso Sonko e lo ha accompagnato per sostenerlo nel ritorno verso casa. Rimaneva un appuntamento alle ore 15 per un grande raduno pacifico dei manifestanti per celebrare tale liberazione, durante il quale, avrebbero parlato i leader dell’opposizione ma alcuni gruppi autonomi hanno ripreso gli scontri con la polizia ed è stato annullato.

L’8 marzo, le autorità hanno comunque rafforzato le misure di sicurezza e i controlli, hanno prolungato il divieto di circolazione di moto e motorini, e hanno comunicato la chiusura delle scuole. Dakar è stata blindata per diversi giorni durante i quali hanno sfilato i carri armati militari verso il quartiere nel quale sono ubicate la maggior parte delle istituzioni senegalesi.

Nonostante la revoca dell’arresto e la presentazione davanti al decano dei giudici, Sonko, leader del Pastef, è stato rilasciato su cauzione ma rimane sottoposto alle indagini giudiziarie, persistendo a suo carico ancora l’incriminazione per stupro e l’obbligo a presentarsi ogni quindici giorni dinanzi ai giudici. In seguito, il presidente Sall, una volta ascoltate soprattutto le autorità religiose senegalesi, che hanno sottolineato la gravità della situazione e la necessità di agire, lo stesso 8 marzo finalmente si è rivolto alla nazione, affermando di aver compreso le preoccupazioni dei giovani e ha strategicamente chiesto di far tacere il rancore ed evitare gli scontri come quelli verificatisi nei giorni precedenti, chiamando la popolazione civile al dialogo e alla collaborazione con il governo. Sall ha poi fissato per l’11 marzo la data di lutto nazionale per celebrare le vittime delle manifestazioni.

Sonko, pur libero per il momento, non ha risparmiato tuttavia accuse al presidente, in carica dal 2012, considerato «il responsabile degli accadimenti di questi giorni», ossia  di aver tradito il popolo senegalese e di perseguitare gli oppositori e ha reclamato la liberazione immediata di tutti i prigionieri politici chiedendogli altresì di dichiarare pubblicamente la propria volontà di non volersi più candidare, nel 2024, per un terzo mandato, mediante la modifica della costituzione vigente nel paese, consuetudine questa appartenente oramai a quasi tutti i leader degli Stati africani.

Mambaye, videomaker senegalese ha seguito la mobilitazione e il 9 marzo ha riassunto la situazione per Radio Blackout e OGzero, analizzando sia la composizione della piazza, sia l’evoluzione del Movimento di protesta, raccontando con passione e ironia ciò cui aveva potuto assistere e i possibili sviluppi dopo le dichiarazioni televisive dei due leader. Ecco il suo intervento in italiano da Dakar:

“Le Sénégal dit à la France: Dégage!”.

Brodo sociale in cui si cala il movimento senegalese

Gli accadimenti che si sono verificati, in Senegal, dopo l’arresto di Sonko, il 3 marzo, infatti, celano una gravissima situazione di instabilità politica nel paese – nonostante esso sia considerato erroneamente uno dei più solidi stati in Africa anche in ragione di essere l’unico a non aver mai subito un colpo di stato. Si può, quindi, onestamente affermare che tali eventi hanno costituito solo la scintilla che ha fatto esplodere una situazione sociale molto turbolenta, già presente e acuita dalla crisi pandemica per il Covid , in conseguenza della  quale nel paese si è registrato un notevole abbassamento del prodotto interno lordo. Le misure, infatti, che sono state adottate dal presidente Macky Sall per il contenimento della pandemia hanno ulteriormente mortificato un’economia informale che si fondava proprio sul principio della possibilità di muoversi liberamente per quanto riguarda soprattutto i giovani senegalesi. La maggior parte di loro sono scolarizzati ma non hanno nessuno sbocco occupazionale e, quindi, l’unica soluzione che rimane loro per condurre una vita dignitosa è rischiare la vita in mare per dirigersi verso le coste dei paesi dell’Unione Europea come è avvenuto durante la scorsa estate con l’attraversamento della rotta atlantica. La gioventù senegalese vede in Sonko un punto di riferimento, essendo a capo di un partito di patrioti che lotta per il lavoro, l’etica e la fraternità e che si rivolge in modo particolare alle classi urbane scolarizzate comprese quelle della diaspora.

Ousmane Sonko, ovvero i giovani scolarizzati disperati

I giovani senegalesi scolarizzati avevano accolto Ousmane Sonko all’Università di Dakar il 18 febbraio, prima degli scontri

Non sarebbe la prima volta che il presidente Macky Sall cerca, e riesce con successo, a liberarsi dei suoi oppositori politici attraverso il sistema giudiziario: è quanto è accaduto come abbiamo detto al figlio dell’ex presidente e anche al precedente sindaco di Dakar, entrambi al momento detenuti in prigione. Anche nel caso di Sonko l’incriminazione per stupro sembra essere totalmente montata: le prove, tra cui quelle mediche, come già accennato, non reggono assolutamente le accuse a lui rivolte e per di più sono state raccolte da forze di polizia che, come noto, non sono nient’altro che forze affiliate al presidente Macky Sall e definibili come milizie “al soldo” del presidente, una sorta di agenzia di contractor.

L’accanimento del governo senegalese, in particolare, da parte del presidente Sall nei confronti di Sonko è da ricercarsi nel fatto che egli rappresenta l’oppositore maggiormente credibile per sfidare l’attuale presidente in vista delle elezioni del 2024.  Sonko, arrivato già terzo alle elezioni del 2019, conquistando il 15% dei voti, oggi viene percepito come l’uomo del cambiamento e questo per diverse ragioni. La più rilevante è quella che Sonko si distingue per il fatto di non far parte dell’élite politica da anni presente in Senegal che tra le sue caratteristiche ha quella di non condividere le ricchezze del paese con la popolazione. Sonko, infatti, nasce non come politico ma come funzionario dell’erario e poiché durante il suo incarico ha denunciato attività economiche poco chiare, poste in essere dal governo in passato, è stato destituito dal suo incarico.

Macky Sall, ovvero il neocolonialismo francese e le sue multinazionali

Dietro le attività di Macky Sall, invece, si nasconde come per tanti altri leader africani il potere esercitato da Parigi. I giovani d’altra parte lo hanno ben compreso: non sono casuali, infatti, gli attacchi sferrati conto i simboli dell’ingombrante presenza politica ed economica della Francia in Senegal, come la distruzione o gli incendi che i manifestanti hanno commesso, nel corso delle proteste, a danno dei punti di rifornimento della compagnia petrolifera Total, della catena dei supermercati Auchan, contro i punti vendita della compagnia telefonica Orange e contro le autostrade a pedaggio Eiffage.

conflitti e instabilità

Servitude et soif de liberté

Il malcontento per l’ingerenza della politica francese nel paese in ogni caso non riguarda solo i giovani o i sostenitori di Sonko ma è comune a gran parte della popolazione senegalese : è ormai nota l’esistenza di accordi segreti – ma anche pubblici, di tipo economico – stipulati tra Macky Sall ed Emmanuel Macron, nonché la percezione di quanti benefici ottenga la Francia dallo sfruttamento delle risorse naturali senegalesi, come avvenuto con il recente ritrovamento di giacimenti petroliferi in mare a circa 100 km da Dakar.

Il petrolio

In particolare, anche in conseguenza di tale ritrovamento petrolifero, l’attuale presidente ha creduto, prima del propagarsi della pandemia, di poter dar vita a un progetto faraonico di rinascita del Senegal da attuarsi in un lungo periodo di sua reggenza politica, ossia potenzialmente fino al 2035. Come noto, invece, la crisi pandemica ha causato l’abbassamento del prezzo del petrolio e le corse delle compagnie verso i rifornimenti si sono ridotte notevolmente. È noto anche il fenomeno di corruzione nel quale è stato coinvolto il cognato del presidente Sall a cui è stata versata una tangente di 250.000 dollari da parte di una compagnia petrolifera interessata al recente ritrovamento di giacimenti nel paese.

Franc Cfa: il grimaldello francese

Non solo, la moneta senegalese il franco Cfa consente notevoli vantaggi monetari per la Francia nei rapporti commerciali con il Senegal. Nel potere della Francia di Emmanuel Macron, quindi, si trova la chiave di lettura del potere di Macky Sall, così come quello di tutti gli altri politici al potere, tranne Sonko il quale ha scritto un libro che denuncia proprio l’utilizzo sbagliato di alcuni fondi da parte dell’attuale presidente. Il deputato Sonko, infatti, in merito alla “questione francese” ha espresso un’opinione ben chiara: se nel 2024 riceverà il consenso da parte della popolazione senegalese rinegozierà tutti gli accordi economici con la Francia e svelerà quelli nascosti al fine di conseguire un maggior vantaggio per l’economia del Senegal. Sonko è l’espressione di una volontà politica di un partito, partigiano, anticolonialista, che si basa sul panafricanismo e che da anni mette in luce gli atti di chi controlla le risorse del paese e dei fenomeni di corruzione interna a essi collegati. Ciò nonostante, Sonko non ha chiesto, anche in conseguenza di tali accadimenti, le dimissioni immediate dell’attuale presidente che invece vuole gran parte della popolazione locale, ma che piuttosto non si candidi per un terzo mandato e che indica elezioni regionali nel paese che non si tengono da circa due anni. D’altra parte i manifestanti stessi, tra l’altro non tutti sostenitori del partito Pastef, sono giunti il giorno dell’arresto di Sonko da diverse zone del paese: non solo da Dakar ma anche da Casamance, da Saint-Louis e da Louga.

Ad aggravare una situazione già così tesa tra il presidente Sall e i partiti di opposizione sulla vicenda del presunto stupro è stata la pubblica apparizione in televisione, alla presenza del suo legale, della ragazza Adji Sarr durante la quale ha dichiarato l’inesistenza di un complotto a carico di Sonko e lo ha invitato pubblicamente a giurare sul Corano di non aver avuto rapporti sessuali con lei. Chiaramente il contenuto di tale comparizione ha riacceso i riflettori su una vicenda ancora in sospeso e sulla quale esistono tuttora indagini segretate. Al di là delle valutazioni etiche, religiose, psicologiche delle dichiarazioni, tale ulteriore sviluppo fa intendere che la ragazza abbia delle prove, non tanto in grado di dimostrare lo stupro, ma di attestare una relazione adulterina con Sonko e, non esprimersi in modo cristallino rispetto a una gravidanza riconducibile a Sonko, aumenta tali sospetti.

Adji Sarr è la massaggiatrice del Salon de Beautè che accusa Ousmane Sonko di stupro

Dopo questa frattura profonda tra dirigenti politici e i partiti di opposizione, primo tra tutti il Pastef, e Sonko in particolare, sostenuto in modo impressionante dalla popolazione civile, ma non dalle confraternite religiose – che rappresentano il livello più influente di potere nel paese – il cambiamento può dirsi ormai in atto, ma sarà in grado il presidente Sall di intercettare e soddisfare, a prescindere da Sonko, le istanze della popolazione e soprattutto dei giovani  o avrà la meglio su di lui la paura del cambiamento?

Per ora, all’inizio di aprile 2021, si direbbe che il presidente si giochi le classiche carte neocolonialiste della demonizzazione per opera dei religiosi marabutti che gettano acqua sul fuoco della rivolta e, anodina per il Senegal, l’invenzione di un’antagonismo tribale tra poular e wolof, mai esistito nella nazione, ma insinuato dal potere per dividere e poter ancora imperare al servizio del neocolonialismo francese. Questo il contributo di Mambaye registrato l’8 aprile su Radio Blackout

Ascolta “Marabutti e divisioni etniche: il repertorio neocoloniale di Macky Sall” su Spreaker.

Fonti:

L'articolo n. 4 – Senegal: Ousmane Sonko vs. Macky Sall. Esplode la rabbia proviene da OGzero.

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