Muhammadu Buhari Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/muhammadu-buhari/ geopolitica etc Fri, 24 Feb 2023 15:31:57 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 Incertezza e violenza al centro delle elezioni presidenziali nigeriane https://ogzero.org/incertezza-e-violenza-al-centro-delle-elezioni-presidenziali-nigeriane/ Fri, 24 Feb 2023 15:06:17 +0000 https://ogzero.org/?p=10346 Una delle elezioni più combattute, dove il risultato è in forse e potrebbe anche venire meno la tradizionale alternanza tra presidenti provenienti dal Nord musulmano con quelli cristiani del Sud a causa della forte candidatura di Peter Obi, laico laburista che trova il suo consenso tra i giovani; e in Nigeria, il paese più popoloso […]

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Una delle elezioni più combattute, dove il risultato è in forse e potrebbe anche venire meno la tradizionale alternanza tra presidenti provenienti dal Nord musulmano con quelli cristiani del Sud a causa della forte candidatura di Peter Obi, laico laburista che trova il suo consenso tra i giovani; e in Nigeria, il paese più popoloso dell’Africa, il 40 per cento dei votanti ha meno di 35 anni. Obi potrebbe essere percepito come il più accreditato a raccogliere quello che rimane della protesta #EndSars contro le violenze della polizia; un movimento che si è ridimensionato, ma che potrebbe essere paradigma e focolaio di un pacifico rivolgimento del sistema. Angelo Ferrari ha scritto un articolo per inquadrare la situazione e ci ha segnalato anche un contributo comparso su “AfricaRivista” dedicato all’inaspettata “astensione” delle star dell’afrobeats, la musica onnipresente e in grado di trascinare nugoli di fan; i candidati attingono alla loro musica senza pagarne i diritti, proprio perché i cantanti hanno preferito non schierarsi, dando così un segnale di timore rispetto al mondo politico: ci si può schierare contro la potente e feroce polizia delel Sars, ma è meglio non sbilanciarsi sulle elezioni


Ballot or Bullet

Eleggere un presidente capace di arginare la violenza in Nigeria, durante un’elezione minacciata dalla stessa violenza è la difficile sfida che deve affrontare il paese più popoloso dell’Africa, che andrà alle urne il 25 febbraio per scegliere il suo prossimo capo dello stato. Non passa settimana – non passa giorno! – senza che vi siano attacchi, azioni da parte di gruppi criminali, jihadisti o separatisti che siano e che tentano di piegare e gettare nel caos il gigante dell’Africa occidentale, uno dei paesi più dinamici del continente. L’ex generale golpista Muhammadu Buhari, eletto democraticamente nel 2015 e nel 2019 per porre fine all’insicurezza, non si ripresenta alle presidenziali dopo due mandati segnati da un aumento della violenza, in particolare nella sua regione natale, il Nordovest.

«I politici ci hanno abbandonato al nostro destino», accusa Dahiru Yusuf, che vive a Birnin Gwari, un distretto dello Stato di Kaduna, dove gruppi criminali, chiamati “banditi”, stanno aumentando gli attacchi ai villaggi e praticando rapimenti di massa a scopo di riscatto. «Non sono riusciti a proteggerci dai criminali che ci terrorizzano, quindi non hanno motivo di venire a chiederci voti», lamenta Yusuf.

Nel Nord del paese la situazione è terribile: se il presidente Muhammadu Buhari e il suo esercito sono riusciti a riconquistare alcuni territori in mano ai jihadisti di Boko Haram e dello Stato islamico (Iswap), questo conflitto – dura da 13 anni e ha provocato più di 40.000 morti e 2 milioni di sfollati – è tutt’altro che finito. La situazione si è ulteriormente aggravata e negli ultimi anni si è aperto un nuovo fronte: nel Nordovest e nel Centro bande criminali, che usano ad arte un conflitto mai sopito tra pastori e contadini, operano impunemente nelle zone rurali, attaccando villaggi, ma anche cittadini che transitano sulle strade di queste regioni. Gruppi “criminali”, inoltre, pesantemente armati, hanno effettuato attacchi su larga scala contro le scuole nel 2021, sequestrando più di mille studenti. Molti dei rapiti sono stati rilasciati dietro pagamento di un riscatto – ma alcuni di loro rimangono ancora nelle mani dei criminali nelle foreste, i luoghi dove si nascondono i banditi.

La sicurezza è uno dei temi principali della campagna elettorale di queste elezioni, che si preannunciano molto serrate tra i tre candidati: Bola Tinubu del partito al governo (Apc), Atiku Abubakar del principale partito di opposizione (Pdp) e Peter Obi, l’outsider visto come il candidato dei giovani, laburista (Lp), accreditato dagli ultimi sondaggi di un 40%. I tre promettono di farla finita con la violenza e il terrorismo, lo stesso mantra del presidente uscente Buhari, obiettivo, però, che non è riuscito a raggiungere. Ma la minaccia di violenze diffuse pesa anche sullo svolgimento dello scrutinio del 25 febbraio, durante il quale sono chiamati alle urne circa 94 milioni di elettori, per eleggere il presidente, i deputati e i senatori. Gli analisti, inoltre, pongono molta attenzione sul dopo voto:

«i gruppi criminali fanno crescere il rischio di proteste postelettorali che potrebbero anche intensificarsi», secondo il think tank International Crisis Group (Icg).

Dimensioni della scheda elettorale

Alcuni seggi sono inagibili

Il presidente della Commissione elettorale nazionale indipendente (Ceni), Mahmood Yakubu, ha recentemente rassicurato che le elezioni si svolgeranno senza problemi. Le autorità affermano di avere in programma lo schieramento di più di 400.000 uomini delle forze di sicurezza sul territorio. Nonostante ciò, secondo il gruppo di osservazione elettorale Yiaga Africa, lo svolgimento delle urne è compromesso in sei stati e 14 distretti locali, a causa dell’insicurezza o della presenza di gruppi armati. Nel Sudest, afflitto dai disordini separatisti ereditati dalla guerra del Biafra, negli ultimi anni sono stati presi di mira più di 50 uffici delle commissioni elettorali e centinaia di agenti di polizia. Questa violenza è spesso attribuita al Movimento per l’indipendenza dei popoli indigeni del Biafra (Ipob). Ma Ipob, che chiede la rinascita di uno stato separato per l’etnia Igbo, ha più volte negato ogni responsabilità.

Da quando il paese è tornato alla democrazia nel 1999, dopo anni di dittature militari, le elezioni sono state spesso segnate da violenze politiche, scontri etnici, voti “comprati”, frodi elettorali e problemi logistici.

Incontro degli ex presidenti della Nigeria

La maggior parte degli analisti ritiene che la commissione elettorale sia meglio preparata di prima, in particolare grazie all’introduzione di software biometrici destinati a prevenire le frodi e al trasferimento elettronico dei risultati. Ma i suoi funzionari hanno avvertito che le recenti gravi carenze di carburante e banconote in tutto il paese potrebbero avere un impatto sulla logistica e sul trasporto del materiale elettorale. I nigeriani – la maggior parte dei quali vive in condizioni di povertà – a queste carenze strutturali di uno stato che non riesce a far fronte ai bisogni della popolazione, non sono indifferenti. Anzi, da due settimane sono scoppiate sporadiche rivolte in diverse città del Nord e del Sud, con manifestanti che hanno bloccato strade o attaccato banche. Molti analisti temono una deflagrazione alla vigilia delle elezioni presidenziali.

Per il think tank Icg, «le prospettive postelettorali sono ancora più fosche».

In Nigeria i risultati sono quasi sempre stati contestati, e il rischio di violenze, in questa occasione, è ancora più grande perché il paese potrebbe essere chiamato, per la prima volta nella sua storia, a un secondo turno per il ballottaggio se nessuno dei candidati dovesse essere eletto al primo turno, allungando, così, il periodo elettorale e con esso il rischio di violenze e disordini.

“Qual è l’affare migliore per gli africani?”.


Come accennato nel podcast dell’intervento di Angelo Ferrari su Radio Blackout, sono mancate nella campagna elettorale le intenzioni di voto, gli endorsement… i concerti a sostegno di un qualunque candidato da parte dei divi dell’Afrobeat, che invece si erano mobilitati nel movimento EndSars, che è sopito o rimane sotto traccia, probabilmente perché quel mondo è avulso dalle beghe politiche lontane dai problemi di lavoro, sicurezza, di interessi giovanili e di persecuzione poliziesca. Perciò riprendiamo l’articolo comparso su “Africa Rivista” a completamento delle considerazioni sull’elezione più controversa, ma anche forse considerata distante dal sentimento dei giovani elettori; magari invece scopriremo che – a prescindere dal passaggio elettorale – questa congiunzione astrale avrà permesso a chi rappresenterà la Nigeria di incarnare la trasformazione del paese in una comunità enorme affrancata dalla protezione straniera… a sessant’anni dall spinta indipendentista di liberazione dal controllo coloniale.


Nigeria: la patria dell’afrobeats va alle presidenziali senza le star della musica

La Nigeria è la patria dell’afrobeats e i suoi ritmi risuonano ovunque in Africa e ora anche in Occidente, dove i giovani ondeggiano al ritmo orecchiabile di Burna Boy, Wizkid e Tems.

 

Ma con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali nigeriane, le pop star sono “tranquille”, non “cantano”, stanno defilate, quasi a dire che è meglio non inimicarsi il potere. La nazione più popolosa dell’Africa, che il 25 febbraio eleggerà un nuovo presidente, è spesso teatro delle rappresaglie dei terroristi di Boko Haram e dei gruppi jihadisti che imperversano nel Nordest, ma la Nigeria è anche la più grande economia del continente e la culla di un genere musicale che, senza esagerare, ha incendiando il pianeta intero. Le star dell’afrobeats vincono Grammy (Burna Boy, Tems), riempiono le più grandi sale da concerto del mondo (Wizkid, Davido), fanno milioni di visualizzazioni su Tik Tok (Rema, CKay) e collaborano con celebrità nordamericane, come Chris Brown, Justin Bieber o Drake. Queste celebrità sono adorate tanto quanto l’anziana élite politica nigeriana è odiata. I politici, la cui corruzione è quasi endemica, sono visti come responsabili delle disfunzioni del paese: mancanza di scuole, elettricità, medici, adesso anche carta moneta. Per queste elezioni presidenziali, dove il 40% degli elettori registrati ha meno di 35 anni, i candidati dei due principali partiti sono espressione della vecchia guardia: Bola Tinubu, del partito al governo (Apc) ha 70 anni, e Atiku Abubakar, del principale partito di opposizione (Pdp), ne ha 76 anni.

«I cantanti hanno un potere enorme sui giovani, che i candidati non hanno», sottolinea Oris Aigbokhaevbolo, giornalista musicale. Ma «fanno di tutto per evitare ogni legame con la politica, soprattutto durante le elezioni presidenziali».

L’afrobeats nasce negli anni 2000, da una commistione, tra gli altri stili, dell’afrobeat (senza s) del leggendario Fela Kuti, musicista che ha lottato per tutta la vita contro la corruzione, e l’influenza hip-hop proveniente dagli Stati Uniti. I primi artisti producevano anche testi politici, ma quando il genere ha iniziato ad avere successo, a dare i suoi frutti anche in termine di denaro, i testi sono diventati più “fluidi”, meno impegnati. Fino a poco tempo fa le canzoni erano per lo più odi al capitalismo in versione Naija, celebravano successi, macchine di lusso e conquiste femminili, o dichiarazioni d’amore un po’ mielose. Ma uno storico movimento di protesta giovanile, scoppiato nell’ottobre 2020, ha dato una nuova dimensione al genere, come se ci fosse stato un risveglio politico.

Mentre migliaia di giovani scendevano in piazza per protestare contro la brutalità della polizia e il malgoverno, le star dell’afrobeats sono improvvisamente uscite dal loro silenzio, mostrando il loro sostegno sui social media. Burna Boy aveva acquistato giganteschi spazi pubblicitari per mostrare gli slogan di questo movimento (“EndSARS”). Davido ha guidato una protesta nella capitale Abuja, dove si è inginocchiato davanti alla polizia, e Wizkid ha arringato una folla di nigeriani della diaspora a Londra. Dopo la sanguinosa repressione del movimento, molti artisti avevano reso omaggio alle vittime, come Burna Boy con la sua canzone 20.10.2020, data in cui l’esercito ha sparato sui manifestanti a Lagos. Ma da allora il silenzio è tornato ad essere la regola.

«Non li sentiamo», aggiunge Osikhena Dirisu, direttore della radio The Beat. Né quando si tratta di sostenere le campagne di registrazione degli elettori o di sostenere un particolare candidato.

«Mi delude, ci hanno mobilitato durante EndSARS e oggi nessuno chiede ai giovani di votare o di sostenere Peter Obi, il candidato dei giovani», dice Ifiy, 30 anni, che sostiene l’outsider di queste elezioni presidenziali.

A 61 anni, questo ex governatore, sostenuto da parte dei giovani e dal movimento EndSARS, si è affermato come uno sfidante credibile contro Tinubu e Atiku. Ma a parte P-Square, gli autori gemelli di successi del 2020 come Alingo, le superstar che mostrano il loro sostegno a Obi sono rari, secondo Dirisu. Le celebrità investono poco in politica, «perché in Nigeria è meglio non essere nemici del potere».

Al contrario, i politici hanno bisogno dell’afrobeats: una campagna elettorale senza musica è semplicemente inimmaginabile.

Così, nelle adunate elettorali, gli altoparlanti rimbombano dei successi del momento, il più delle volte usati senza pagare alcun diritto. I cori orecchiabili possono scaldare i militanti di questo o quel partito o le folle di poveri pagati per riempire gli stadi prima dell’arrivo dei candidati. La musica permette anche di umanizzare, persino ringiovanire, i candidati, come Tinubu che ha fatto scalpore durante la sua campagna elettorale abbozzando passi di danza del successo Buga di Kizz Daniel.


Infine, artisti sconosciuti a livello internazionale e che faticano a monetizzare la propria musica vengono spesso pagati dai partiti per cantare durante questi incontri, come Portable per il partito al governo o Timi Dakolo per l’opposizione. Cantanti, tuttavia, criticati sui social media, ma i due artisti si giustificano sostenendo che il denaro non ha alcun odore, insomma si vendono al miglior offerente.

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n. 3 – Nigeria: la natura ibrida delle minacce https://ogzero.org/n-3-nigeria-la-natura-ibrida-delle-minacce/ Sun, 11 Apr 2021 08:21:46 +0000 https://ogzero.org/?p=2918 Questo saggio fa parte di una raccolta di articoli che fornisce una panoramica sulla questione migratoria: analizzeremo insieme a Fabiana Triburgo le varie rotte che si sono delineate nel tempo a causa di conflitti o e instabilità che provocano questo fenomeno per giungere infine a un’analisi della normativa europea e delle alternative che potrebbero emergere […]

L'articolo n. 3 – Nigeria: la natura ibrida delle minacce proviene da OGzero.

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Questo saggio fa parte di una raccolta di articoli che fornisce una panoramica sulla questione migratoria: analizzeremo insieme a Fabiana Triburgo le varie rotte che si sono delineate nel tempo a causa di conflitti o e instabilità che provocano questo fenomeno per giungere infine a un’analisi della normativa europea e delle alternative che potrebbero emergere da politiche più coraggiose e lungimiranti. Qui il terzo contributo, focalizzato sulla Nigeria.


n. 3

I principali conflitti che attualmente interessano le migrazioni forzate e le prassi di esternalizzazione poste in essere dall’Unione Europea e dai singoli stati membri portano a una predeterminazione delle rotte dei migranti.

Quello che oggi è inevitabile chiedersi è se il nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo, proposto dalla Commissione UE, possa essere realmente considerato una soluzione della gestione del fenomeno migratorio o se invece vi siano soluzioni legali alternative maggiormente lungimiranti e coraggiose.  


L’importanza degli attori non statali

La proliferazione di attori non statali in grado di acquisire sempre un ruolo di maggior potere rispetto alle istituzioni, ossia le propagazioni del governo centrale democraticamente eletto, riscontrata nella zona del Sahel, è altresì presente in Nigeria, in particolare, per quanto riguarda i gruppi jihadisti, nell’area nordest del paese, ossia negli stati di Adamawa, Bauchi, Borno, Gombe, Taraba e Yobe e in tutto il territorio nazionale per quanto riguarda le bande criminali.

La causa di tale fenomeno si può individuare, come nel caso del Sahel, nell’assenza di un potere del governo centrale incapace di intercettare i bisogni socio-economici della nazione e che mostra un deficit dal punto di vista securitario. Questo pone la Nigeria nella difficile e drammatica condizione, visti i recenti e i meno recenti episodi di rapimenti e uccisioni ai danni di civili, di dover ricorrere a banditi locali e vigilantes per poter assicurare il pieno soddisfacimento delle istanze securitarie in alcune realtà rurali periferiche e di sottomettersi alla presenza dei movimenti estremisti jihadisti ai quali non riesce più a far fronte.

Infatti, nonostante gli aiuti anche da parte della comunità internazionale per la lotta al terrorismo jihadista, il sistema militare e quello delle forze di sicurezza speciali si dimostrano da anni fallimentari fino ad arrivare essi stessi a costituire un pericolo per la sicurezza e la vita della popolazione civile che è la prima vittima di questa condizione.

Corruzione e insicurezza alimentare

A ciò si aggiungono i problemi di corruzione che interessano il paese, soprattutto per quanto riguarda il sistema giudiziario, per cui è vana la perseguibilità giuridica di alcuni atti contro i civili da parte delle forze armate e di polizia, e la vendita illecita di armi che sta divenendo sempre più esponenziale, data la permanente situazione di belligeranza all’interno del paese, così come quella dell’insicurezza alimentare.

Makoko (foto Dan Ikpoyi)

Per quanto riguarda l’aumento della presenza e del ruolo degli attori non statali in Nigeria, rispetto all’attuale potere del governo di Abuja, occorre soffermarsi in primo luogo sul ruolo delle “milizie popolari di autodifesa”.  Il 17 febbraio 2021, infatti, il ministro della Difesa nigeriano Bashir Salihi Magashi ha dichiarato che è necessaria la mobilitazione dei cittadini per fronteggiare con successo le attività di contrabbando, estorsione, saccheggio, rapimenti, furti, sfruttamento della prostituzione, nonché di traffico di migranti che stanno coinvolgendo tutte le aree della Nigeria.

Il ministro in questa circostanza si riferiva particolarmente al fenomeno del banditismo e della criminalità organizzata, più che a quello del terrorismo jihadista, anche se entrambi i fenomeni sono fonte di seria preoccupazione da parte del governo guidato del presidente Muhammadu Buhari.

Criminalità di stato e “milizie di autodifesa popolare”

Lo scenario in cui si trova infatti il paese è altamente complesso: da una parte vi sono tali gruppi di banditi criminali, dall’altra si riscontra, ormai da anni, la presenza di jihadisti legati all’islam dell’area mediorientale e del Maghreb con lotte interne e separatismi come è avvenuto nel caso dell’Iswap.

Da un altro lato ancora, vi sono gli atti criminali compiuti dagli stessi militari e dalle forze speciali di polizia, le Sars, contro i civili proprio nella lotta al banditismo e al terrorismo di stampo jihadista. Il Tribunale penale internazionale permanente ha confermato, infatti, a conclusione delle indagini preliminari avviate nel 2010, che sia Boko Haram sia le forze armate nigeriane hanno commesso gravi crimini di diritto internazionale contro la popolazione civile.

È chiaro, quindi, che lo stato nigeriano al momento si trovi in una situazione di difficoltà e che, almeno per quanto riguarda le bande criminali, ha lasciato intendere che non è in grado di fronteggiare il problema attraverso le proprie forze militari, di sicurezza e di polizia e sta chiamando sorprendentemente lo stesso popolo in suo aiuto. Le mancanze strutturali di uomini e di mezzi nell’esercito e nelle forze di polizia è ormai noto e per questo spesso il ministero della Difesa e dell’Interno affidano i servizi di sicurezza a organizzazioni locali, ossia ad altre bande armate reclutate su base geografica o etnico-tribale, chiamate appunto “milizie di autodifesa popolare”.

Nelle regioni meridionali la criminalità si contraddistingue per la presenza di confraternite pari alle cosiddette mafie internazionali e, sempre a sud, nella regione del Delta del Niger vi sono elementi armati indipendentisti, bande di pirati, contrabbandieri di carburanti e ladri di petrolio. Nella fascia centrale invece si rilevano molteplici scontri tra le comunità nomadi pastorali e quelle sedentarie rurali sempre per l’accesso alle risorse del suolo.

Il jihadismo e le differenze etniche

A ciò si aggiunge, come già accennato, a nord della Nigeria, il fenomeno dei jihadisti, primi fra tutti Boko Haram e lo Stato Islamico in Africa Occidentale. Il problema, quindi, è che non è di facile individuazione la provenienza di determinati atti criminali, come stiamo vedendo per i recenti rapimenti nel paese, non essendoci una linea netta in grado di dividere criminalità, insorgenza etnica e terrorismo a livello locale.

Per questo il governo nigeriano, date le aree di promiscuità di tali gruppi e la natura ibrida delle minacce, ha deciso di delegare le funzioni di sicurezza alle milizie popolari di autodifesa dei villaggi che già combattono da tempo in prima linea.

Tuttavia, tale fenomeno, lungi dall’essere risolutore del problema securitario nel paese, può costituire esso stesso un’ulteriore condizione di instabilità come è avvenuto, nella zona centrale della Nigeria, con i gruppi di autodifesa Ya sa kai di etnia hausa, muniti di rudimentali armi di difesa e dei gruppi armati di autodifesa di etnia fulani, muniti di armi maggiormente sofisticate, sovvenzionate con attività criminali come i rapimenti.

Inoltre, data la presenza dell’etnia fulani, anche nel Nord del paese all’interno delle organizzazioni terroristiche jihadiste, queste milizie di autodifesa spesso sono state sfruttate dagli stessi jihadisti beneficiando del loro supporto logistico e di addestramento. In questo modo lo stato, che in questa circostanza già era in difficoltà proprio per la creazione di milizie di autodifesa, si è trovato ancora più incapace di gestire lo scontro tra l’etnia hausa e quella fulani.

Negli ultimi dieci anni le violenze dei gruppi di autodifesa hanno creato più di 15.000 vittime, numero più elevato di quello dei movimenti terroristi; quasi ogni tentativo di dialogo con questi gruppi armati è stato fallimentare in quanto questi sono privi di una struttura unitaria e divisi al loro interno a seconda del capo villaggio o il capo tribù.

La “protezione” delle milizie di autodifesa

Inoltre, deve essere sottolineata la proliferazione di armi di cui questi gruppi si sono nel tempo dotati ossia soprattutto fucili d’assalto. Chiaramente, rileggendo le dichiarazioni del ministro della Difesa nigeriano, alla luce di quanto finora esposto, è legittimo chiedersi se questa tattica politica, nell’ipotesi in cui le milizie di difesa fossero percepite dal governo come efficaci a proteggere le popolazioni locali, sarebbe realmente opportuna in uno stato, come quello nigeriano, nel quale  le istituzioni statali sono già al collasso o se invece creerebbe uno scontro ancora maggiore tra esso  e le singole comunità locali.

La soluzione migliore sarebbe quella di integrarle in strutture nazionali ufficiali che ne possano facilitare l’addestramento e soprattutto il loro controllo, senza venir meno all’impegno primario del governo a implementare e migliorare le proprie forze armate e quelle di polizia nel paese.

“End Sars”

A conferma della necessità di migliorare le forze armate e di polizia occorre ricordare l’ondata di proteste avvenute lo scorso 7 ottobre 2020, contro le Sars (Special Anti Robbery Squad), ossia le forze speciali di polizia, che ha interessato la Nigeria con una nuova eco anche fuori dal territorio nazionale e con una forza propulsiva che ha investito profondamente  il paese al suo interno.

L’evento scatenante si è verificato il 4 ottobre 2020: è stato divulgato in rete un video di un uomo innocente ucciso dalle Unità speciali della polizia nigeriana. Le proteste sono state portate avanti spontaneamente soprattutto da ragazzi con un’età compresa tra i 20 e i 30 anni con grande eterogeneità della classe di appartenenza, di religione e di provenienza. I giovani, in tale occasione, hanno chiesto una vera riforma delle forze di polizia in Nigeria in modo particolare il riconoscimento delle responsabilità delle azioni da queste compiute mediante una riforma del sistema giudiziario che possa essere in grado di promuovere e sostenere un’azione legale nei confronti degli appartenenti alle Sars che hanno compiuto atti violenti senza ragione a danno di civili.

Le Sars, infatti, costituite nel 1992 con l’intento di creare un corpo specializzato per il contrasto delle rapine e di crimini nel paese, sono oggi accusate di abusi, di prevaricazioni, di esecuzioni extragiudiziarie. Amnesty International ha stimato che dal 2017 al 2020 sono state 82 le vittime di esecuzioni extragiudiziali da loro commesse.

La reazione del governo in seguito alle proteste è stata considerata insoddisfacente dai manifestanti. Il presidente Muhammadu Buhari ha ordinato infatti lo scioglimento delle Sars, ma a buona parte della popolazione è sembrata un’operazione fittizia in quanto anche in passato era stato promesso il loro scioglimento senza mai realizzarlo. Poiché le proteste si sono esacerbate con il passare dei giorni, il governo ha optato per una forte repressione popolare tanto che Amnesty International ha stimato che siano circa 50 le vittime in conseguenza di tali manifestazioni anti-Sars. Anche per questo l’attuale presidente viene considerato da molti nigeriani incapace di governare, pur se non considerato “corruttibile” come altri politici, un paese così complesso e dinamico come la Nigeria.

Pressioni al governo di Abuja sono state rivolte anche da attori internazionali come Joe Biden, Clinton, il segretario generale delle Nazioni Unite Guterres e da parte dell’Unione Europea. Infine, rispetto a quanto detto sinora va segnalato il rapporto di Amnesty International My heart is in pain, in cui la nota organizzazione internazionale accusa i militari nigeriani di violazioni dei diritti umani a danno dei civili proprio nel combattere il pericoloso gruppo jihadista presente da diversi anni in Nigeria.

Boko Haram: la trasformazione

Infatti, l’altro attore non statale, autore di molteplici atti criminali e di conflitti armati in Nigeria, è il gruppo terroristico jihadista Boko Haram. Come accennato in principio la zona del Nord della Nigeria e gli stati che ne fanno parte hanno subito principalmente le attività del gruppo jihadista con un conseguente peggioramento della situazione di insicurezza e di arresto di ogni potenziale attività di sviluppo nell’area.

Il termine Boko Haram significa “proibizione dell’educazione occidentale”. In particolare, la parola del dialetto hausa “Boko” sta per libro o educazione occidentale, mentre “Haram” sta per proibita o per peccato. Questa infatti era l’idea della setta (cui nome tradotto è “persone impegnate nella diffusione degli insegnamenti della jihad del profeta”) che ha dato origine al gruppo terroristico nel 2002 a Maiduguri nello stato di Borno, nella parte nordoccidentale del paese, non lontano dai confini con il Niger, il Ciad e il Camerun.

Il gruppo viene costituito in ragione di una delusione percepita da parte di alcuni nigeriani delle forme occidentali di governo, responsabili di ingiustizie, corruzioni, malversazioni. L’imam Mohamed Youssuf che fondò Boko Haram nel 2002, anche per costruire la sua moschea, ottenne finanziamenti dal governatore dello stato di Kano e da quello dello stato di Borno. All’epoca la creazione del gruppo non fece notizia neanche in Nigeria e il gruppo tra il 2002 e il 2009 aveva adottato modalità d’azione pacifiche. Nel 2009, invece, l’imam Mohamed Youssuf fu arrestato e ucciso in carcere dopo una presunta insurrezione da lui guidata nella città di Maiduguri, capitale dello stato di Borno. Sia l’arresto sia l’uccisione del predicatore hanno determinato un punto di svolta per il gruppo: fino allora, infatti, Boko Haram era stato un gruppo di integralisti che protestavano pubblicamente in modo minaccioso con bastoni e machete, contro le scuole di tipo occidentale a causa, a loro dire, del progressivo allentamento dei costumi, contro la polizia che non puniva malavitosi e commercianti di alcol e, infine contro la dilagante corruzione dei politici e dei militari. Nel 2009, però, dopo l’uccisione, Mohammed Youssuf è stato sostituito da Abubakar Shekau e Boko Haram ha cambiato strategia provocando morti, sia avvalendosi progressivamente di un uso più indistinto della violenza per perseguire i suoi obiettivi, sia impiegando armi pericolose, come missili, granate, ordigni esplosivi improvvisati, carri armati, machete e pugnali. Gli obiettivi del gruppo erano semplici individui, istituzioni statali e religiose, polizia, esercito, scuole non solo nel nord-est della Nigeria ma anche in Camerun, Ciad e Niger. Il gruppo si è reso autore anche di incendi di case, di mercati, di attentati suicidi, e di rapimenti ed uccisioni di operatori umanitari, predicatori, viaggiatori, scolari e donne nonché di stupri.  Quindi già nel 2014, Boko Haram aveva acquisito all’interno del gruppo oltre ad armi più sofisticate, un buon numero di combattenti esperti, una buona capacità logistica, enormi riserve di esplosivo e militanti in grado di utilizzarlo con estrema perizia.

Le pressioni jihadiste esterne

Infatti, era intuibile che interessi locali, sia politici che economici, traevano profitto dall’esistenza del gruppo jihadista e in particolare su Boko Haram si avvertirono anche pressioni esterne provenienti dal jihadismo mediorientale e maghrebino dello Stato Islamico di al-Baghdadi che vedevano nei territori della Nigeria del Nord un califfato con il cuore nell’Africa.

Nel rapporto pubblicato da Amnesty International nel 2015 si denuncia l’efferatezza del regno del terrore imposto da Boko Haram nel contesto della Nigeria. Infatti, l’anno precedente, nel 2014, si era verificato il rapimento di 276 studentesse a Chibok, nello stato di Borno. Tuttavia, le studentesse rapite nel 2014 sono solo una piccola parte delle donne, delle bambine, degli uomini e dei bambini rapiti da Boko Haram. Delle duemila donne e bambine rapite dal 2014 molte sono state ridotte in schiavitù sessuale e addestrate a combattere. Nel rapporto Il regno del terrore di Boko Haram si documentano almeno 3000 raid e attacchi compiuti dal gruppo contro i civili e che, dopo il rapimento delle studentesse, sempre nel 2014, il 6 agosto a Gwozwa, ha ucciso 600 persone. Nel rapporto si leggono anche i tratti distintivi del regno del terrore imposto da Boko Haram: appena conquistato un centro il gruppo armato raduna la popolazione per annunciare le limitazioni dei movimenti, specialmente per le donne. Le famiglie a quel punto dipendono dai bambini che possono uscire a cercare cibo o se fortunate durante le visite del gruppo terrorista possono ricevere da questo del cibo saccheggiato altrove. A questo punto chi non prende parte alle preghiere rischia le frustate in pubblico. Nello stesso anno in cui è uscito tale rapporto, la setta ha giurato fedeltà allo Stato Islamico in Iraq e ha cambiato il suo nome in Stato Islamico nella Provincia dell’Africa Occidentale (Iswap). Tuttavia, sempre nel 2015, il gruppo ha subito una scissione per cui una fazione ha continuato a usare il nome di Boko Haram e un’altra ha mantenuto quella di Iswap.

Le cause economiche, politiche e religiose

Le principali cause degli incessanti conflitti nel paese e dell’insurrezione nella parte nordoccidentale della Nigeria sono di tipo economico, politico e religioso. Gli elementi economici sono da individuarsi nella povertà, nella diseguaglianza, nella disoccupazione o nel basso livello di istruzione. Le cause politiche devono invece essere attribuite alla cattiva governance, all’elevato livello di corruzione e all’utilizzo e poi all’abbandono di bande armate e infine all’impiego di armi.

La componente religiosa, invece, alla base del conflitto, è correlata all’estremismo e alle ideologie tramandate e radicate nelle comunità nel tempo. Inoltre, altro aspetto da sottolineare è che il reclutamento all’interno del gruppo jihadista comporta una notevole assistenza sotto forma di denaro, cibo, riparo e abbigliamento che, in un paese in cui il livello di povertà è molto alto, costituisce una forte attrazione all’arruolamento. Chiaramente, tuttavia, l’idea del benessere percepita da alcuni giovani che si inseriscono tra i militanti del gruppo jihadista è una mera illusione: il terrorismo in Nigeria non ha fatto altro che aumentare il livello di insicurezza, di povertà, il tasso di analfabetismo, così come la delocalizzazione delle imprese, con una conseguente diminuzione anche dei progetti di sviluppo pubblico e privato così come dei finanziamenti a favore del paese.

Nel corso degli anni, varie strategie sono state messe in atto senza successo dal governo, con l’intento di negoziare con la setta e, nel 2017 è stata istituita la Commissione dello Sviluppo del Nordest con l’obiettivo di stanziare i fondi internazionali e dei governi federali per riabilitare l’area spesso oggetto di distruzione e con l’intento di affrontare povertà e diminuzione dell’alfabetizzazione provocate dallo stesso terrorismo. Le iniziative poste in essere per il contrasto al terrorismo, in un primo momento, sembravano avessero prodotto alcuni risultati positivi. Ciò è avvenuto con il passaggio nel 2015 dall’amministrazione di Jonathan Goodluck a Buhari che aveva promesso di sconfiggere il gruppo terrorista in sei mesi. L’esercito in quell’occasione aveva ricevuto un migliore addestramento grazie anche ad Usa e Regno Unito e aveva cooptato un gruppo di vigilantes locali e una task force civile. Infatti, vennero liberati diversi ostaggi sia nel 2015 che nel 2017 e nel 2018. Tuttavia, molti ostaggi a oggi non sono stati ancora liberati e attualmente si registra una recrudescenza dell’attività della setta che sembrerebbe da attribuire proprio al coinvolgimento del gruppo internazionale jihadista Iswap.

Tra il 2018 e il 2020 il gruppo ha ucciso diverse persone tra cui civili e operatori umanitari. Da qui la richiesta dell’Assemblea nazionale nigeriana di licenziare i vertici militari e di nominarne di nuovi come il presidente Buhari, all’inizio reticente, cosa che ha fatto il 26 gennaio del 2021.

In questi ultimi anni Boko Haram ha messo in atto diversi tipi di attacchi tra cui la guerriglia, il posizionamento di mine terrestri contro i militari e la raccolta di informazioni di intelligence tra le truppe militari. Non si intravede quindi la fine del conflitto dell’autorità statale contro il gruppo terroristico che sta continuando a intensificarsi ed è ancora molto attivo nel Nord del paese. La pandemia, che in Nigeria si è diffusa alla fine del 2019, ha peggiorato la situazione in un paese che, già in lotta contro il terrorismo, ora deve lottare anche contro la propagazione di un virus.

I recenti tragici eventi, soprattutto rapimenti, che hanno interessato la Nigeria in modo particolare dalla fine del 2020 a oggi, sono espressioni proprio della presenza dei due attori non statali precedentemente descritti: il terrorismo di stampo jihadista – anche con la sua ala scissionista – e i gruppi di banditi, fortemente armati e violenti, appartenenti a determinati gruppi etnici. Di seguito si segnalano alcuni dei più recenti e importanti accadimenti.

Gli eventi più recenti

Il 16 dicembre del 2020 sono stati sequestrati nello stato nordoccidentale di Katsina circa 800 studenti. Il rapimento ha subito rimandato in mente, per modalità e strategia, al rapimento del 2014, nella stessa regione, a danno delle 276 ragazze nigeriane.

Tuttavia, questa volta, nonostante la rivendicazione da parte di Boko Haram, le autorità nigeriane hanno parlato piuttosto di un rapimento eseguito da banditi locali, fenomeno, come già detto, spesso attiguo alle violenze dei jihadisti nel Nordest del paese.

I sequestri in quest’ottica sono compiuti dai gruppi di banditi violenti per ottenere visibilità e riscatti. Alla base c’è la nota competizione, di lungo periodo, tra i pastori nomadi di etnia fulani e gli agricoltori di etnia hausa, protetti costantemente da banditi e vigilantes. L’attacco e il rapimento degli studenti a Kankara è avvenuto durante una visita del presidente nigeriano Buhari, originario proprio della regione di Katsina.

È del 25 novembre 2020 la notizia del rapimento, confermato anche dall’Unicef, di 317 studentesse nello stato nordoccidentale di Zamfara, anche questa volta compiuto da gruppi armati non identificati. Si tratta del secondo sequestro di questo tipo in poco più di una settimana.

Nello stesso periodo, inoltre, uomini armati probabilmente affiliati a Boko Haram o a qualcuno dei suoi gruppi terroristi satelliti avrebbero rapito, secondo “Africa ExPress”, più di 400 studentesse in un college statale situato sempre nello stato nigeriano di Zamfara.

Il 2 marzo del 2021, tuttavia, le circa 300 giovani rapite il 27 novembre 2020 sono state liberate. Secondo il governatore dello stato di Zamfara, il rilascio sarebbe stato frutto di un negoziato con i rapitori ma non è stato pagato alcun riscatto. Il numero effettivo delle ragazze liberate è di 279 perché, nelle ore successive al rapimento, alcune di loro sono riuscite a fuggire.

Quello degli attacchi e dei rapimenti nelle scuole è ormai un fenomeno persistente: negli ultimi dieci anni, nel Nord della Nigeria, circa 1500 scuole sono state distrutte, un migliaio di studenti sono stati rapiti e 2300 insegnanti sono rimasti uccisi.

Il 15 marzo si è verificato un nuovo rapimento in Nigeria: questa volta le vittime sono bambini che frequentavano una scuola primaria di Birnin Gwari nello stato di Kaduna e al momento sono trapelate pochissime informazioni: «Il governo dello stato di Kaduna sta attualmente provando a ottenere dettagli sull’effettivo numero di alunni ed insegnanti che si dice siano stati rapiti e rilascerà una dichiarazione esauriente il prima possibile», ha dichiarato il commissario statale per la sicurezza interna e gli affari esterni. I bambini, secondo il professor Hakeem Onapajo, docente a contratto presso il Dipartimento di Scienze politiche e Relazioni internazionali alla Nile University di Abuja, sono strategicamente importanti e interessanti sia per i terroristi, sia per le forze di sicurezza dello stato. Alla loro sicurezza non è stata prestata sufficiente attenzione dal governo nigeriano.

La questione è divenuta rilevante a partire dal 2013, anno in cui Boko Haram ha iniziato ad attaccare oltre che ospedali e centri per sfollati, anche scuole, come è avvenuto proprio in quell’anno con un raid lanciato contro un dormitorio notturno nello stato di Yobe in conseguenza del quale sono morti 44 scolari.

Negli ultimi cinque anni, tuttavia, l’ascesa del banditismo e, quindi non più soltanto l’intervento violento del gruppo jihadista Boko Haram, ha aggiunto una nuova e pericolosa dimensione degli attacchi contro i bambini: oltre a quelli già citati, sono da segnalare il rapimento dell’11 dicembre del 2020 di 333 studenti nello stato di Katsina e quello del 20 dicembre 2020 di 80 studenti sempre nello stesso stato.

Il rapimento di bambini, secondo il professor Onapajo, è diventato “strategico” per diverse drammatiche ragioni: sono uno strumento efficace per negoziare il rilascio dei membri di un gruppo in prigione e con il loro riscatto è possibile acquistare nuove armi; servono a ottenere maggiore visibilità internazionale e quindi l’alleanza di altri gruppi violenti presenti in Africa; i bambini possono essere utili in certe operazioni militari, come per esempio nel piazzare mine e, infine, le ragazze interessano per lo sfruttamento sessuale. Inoltre, il rapimento di bambini o bambine in età scolare, nel caso di attacchi da parte di Boko Haram, si allinea perfettamente al divieto della “cattiva educazione occidentale” da cui prende il proprio nome.

Gli attacchi all’Onu

Per quanto riguarda invece gli attacchi propriamente e indubbiamente jihadisti si segnala che nella notte del primo marzo 2021 due distinti gruppi hanno attaccato un campo militare e una base delle Nazioni Unite a Dikwa una città nello stato del Borno nella Nigeria settentrionale. Il conflitto, protrattosi per tutta la notte fino alla mattina del 2 marzo, non ha causato vittime nel personale grazie ai rinforzi militari giunti con uomini e mezzi dalle città vicine. L’operazione è stata rivendicata dall’Iswap, ossia lo Stato Islamico della Provincia dell’Africa occidentale, la nota fazione secessionista di Boko Haram, che come si riscontra dall’analisi dei recenti accadimenti, da circa due anni, opera nel Nordest del paese con azioni molto violente che riguardano non più solo le scuole ma, come detto in precedenza, anche militari e funzionari dell’Onu.

Fonti:

L'articolo n. 3 – Nigeria: la natura ibrida delle minacce proviene da OGzero.

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Tracce della distanza https://ogzero.org/africa-teatro-della-storia/ Sat, 16 Jan 2021 09:11:31 +0000 http://ogzero.org/?p=2221 Una primavera africana d’autunno   The sky carries a boil of anguish | Let burst Let the sky’s boil of anguish burst today | The pain of earth be soothed di Niyi Osundare [Il cielo porta con sé una bolla d’angoscia | Fa’ che scoppi Fa che la bolla d’angoscia nel cielo scoppi oggi | Si plachi […]

L'articolo Tracce della distanza proviene da OGzero.

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Una primavera africana d’autunno

 

The sky carries a boil of anguish | Let burst

Let the sky’s boil of anguish burst today | The pain of earth be soothed

di Niyi Osundare

[Il cielo porta con sé una bolla d’angoscia | Fa’ che scoppi

Fa che la bolla d’angoscia nel cielo scoppi oggi | Si plachi il dolore della terra]

Due mesi di manifestazioni di massa, scontri con la polizia, feriti, morti, arresti, sparizioni. Donne, uomini, giovani, cristiani, musulmani, altri. Un’unica parola d’ordine: End Sars! Che non è un virus, ma un corpo di polizia [SARS Special Anti-Robbery Squad], istituito nel 1992] brutale, assassino, stupratore, torturatore. Parola d’ordine che poi diventa: Vogliamo un cambiamento! Maree di popolo, ora alte ora basse.

Nigeria: tre volte l’Italia, 200 milioni di abitanti, 250 gruppi nazionali/etnici, lingue e pratiche culturali e religiose diverse. È divisa in 36 Stati. La complessità non è a scelta.

Mappa dei 36 stati della Nigeria

I 36 stati della Nigeria con gli aspetti orogeografici

#EndSARS è l’hashtag di twitter che convoca in strada, elabora spostamenti e incontri, informa internazionalmente sugli eventi e le finalità, la Feminist Coalition organizza la campagna di raccolta fondi, l’assistenza medica e la tutela legale.

Il generale in pensione, Muhammadu Buhari (1942), attuale presidente della Nigeria, eletto nel 2015 e nel 2019, già capo di stato col golpe militare del 1983, sostituisce il SARS con uno Special Weapons and Tactics (SWAT) nuovo di zecca.

Negli stati del Nordest e ora anche del Nordovest, Boko Haram con affiliati e concorrenti intensifica la politica del caos con un’orgia di uccisioni, rapimenti, incursioni armate.

In questa occasione non lo si esamina.

Africa vero teatro della storia mondiale

Manifestazioni #EndSARS

Qua

Bisogna essere rabdomanti esperti per trovare nei media nostrani qualche goccia, qualche zampillo informativo. I nostri recettori sono molto selettivi. Black lives matter! Ma qui come fai che le nere vite stanno da entrambe le parti della barricata? Come possiamo sfoggiare il nostro impeccabile antirazzismo prêt-à-porter? Siamo in Africa, dove sono i bambini macilenti dal ventre gonfio? Un “Autunno nigeriano”, dici? Perché sono così complicate le società africane?

Aisha Yesufu

#BringBackOurGirls e #EndSARS sono la stessa faccia della medaglia, quella di Aisha Yesufu

Questa signora dal sorriso soffice e dal pugno energico si chiama Aisha Yesufu, è stata una delle promotrici di Bring Back Our Girls, il gruppo che ha fatto di tutto per riportare a casa le 276 liceali di Chibok rapite il 15 aprile 2014 dai miliziani di Boko Haram, riuscendoci solo parzialmente. Continua a essere molto attiva sia in #EndSARS sia sul piano dei diritti delle donne battibeccando con governo e dintorni.

Il suo dinamismo può scombinare il nostro sguardo cieco cementato duecento anni fa da G.W.F. Hegel, il mago fantasma che ancora ci incanta: «Come abbiamo già detto, il negro incarna l’uomo allo stato di natura in tutta la sua selvatichezza e sfrenatezza … Non è un continente storico, un continente che abbia da esibire un movimento e uno sviluppo … Per Africa in senso vero e proprio intendiamo quel mondo privo di storia, chiuso, che è ancora del tutto prigioniero nello spirito naturale … dopo aver sgombrato il campo dal continente africano, ci troviamo nel vero teatro della storia mondiale».

 

Sokoto Caliphate

Estensione del Califfato sovrapposta alla geografia politica attuale

A metà dicembre il sultano di Sokoto, Nigeria Nordovest, Sa’ad Abubakar ha detto quasi disperato: «Abbiamo perso così tante vite in passato che non siamo neppure in grado di contarle. È diventata una cosa normale, quotidiana. Così normale che è una notizia da raccontare quando non c’è nessun ucciso in qualche parte del nostro Paese».

Il sultano di Sokoto non ha più potere politico, è leader della confraternita (tariqa) sufi Qadiriyya, che risale all’XI secolo, ma resta una guida spirituale dei musulmani della Nigeria.

Mi pare di ricordare che nel XIX secolo anche in Europa diversi stati e staterelli abbiano avviato ingarbugliati processi di unificazione tramite guerre e diplomazia.È discendente di Uthman dan Fodio, filosofo, riformatore islamico, capo sufi, che nel 1804 dà il via a un jihad che rimpiazza i molti piccoli regni e le città-stato che caratterizzavano l’area, portando alla formazione di un Califfato con molti Emirati che, in qualche modo, governa venti milioni di persone. Già nel 1811 dan Fodio si ritira per tornare a studiare e predicare, muore nel 1817, 14 anni prima di Hegel.

A inizio Novecento la presenza inglese in Africa Occidentale si fa conclusiva: nel 1903 il potere politico passa di mano anche nel Sokoto, che diventa “protettorato britannico”.

 

La mia officina storica propone un esperimento minuscolo: si prenda un importante testo di storia della Nigeria (Toyin Falola, Matthew M. Heaton, A History of Nigeria, Cambridge University Press, 2008) e nelle numerose pagine dedicate, come si deve, a dan Fodio e al Califfato di Sokoto si riconosca l’invisibile, un’assenza, un vuoto. Nonostante il nigeriano Toyin Falola, docente negli Usa, sia oggi uno degli africanisti più accreditati con bibliografia da paura, non una riga, neppure in nota, concede in questa pregevole storia della Nigeria a Nana Asma’u.

Nana Asma’u (1793–1864) è figlia di dan Fodio, non è un’ombra molesta. Scrive 9 poemi in arabo, 42 in fulfulde (Fula dicono i linguisti), parlata oggi da 65 milioni persone, 26 in hausa, altra lingua dell’area, oggi usata da 47 milioni di parlanti. Organizza circoli educativi e letterari di donne che chiama Yan Taru [quelle che si riuniscono assieme, in hausa). Ritiene l’educazione delle donne fondamentale: «Donne, un avvertimento: non lasciate la casa senza buone ragioni. Si può uscire per cercare cibo o educazione. Nell’Islam è un dovere religioso cercare la conoscenza. Le donne possono liberamente lasciare la casa con questo scopo».

Le donne del gruppo poi si sparpagliano per formarne altre come educatrici itineranti (jajiis) e come seguaci del sufismo. Anche le sue cinque sorelle saranno molto attive sul piano culturale. Nina Asma’u esercita dunque un ruolo pubblico e avrà per questo una profonda influenza su altre donne, pensatrici e predicatrici, dell’Africa musulmana.

 

Annotava nel 1828 il governatore francese del Senegal, baron Roger, che nel paese «c’erano più neri in grado di scrivere e leggere in arabo, che per loro è una lingua morta e di istruzione, di quanti contadini francesi fossero in grado di leggere e scrivere in francese».

Appendice all’esperimento. G.W.F. Hegel dall’alto dell’Absolute Geist [“Spirito Assoluto”] annuncia urbi et orbi che der Neger ist Geschichtslos [senza storia], dunque Non-Umano. Figuriamoci la “negra”!

A far saltare i nervi al governo coloniale britannico nella seconda metà degli anni Venti del Novecento si erano impegnate molte donne, soprattutto nel Sud/Est della Nigeria. Iniziative di protesta collettive contro una tassazione mirata a loro stesse, che sfociano in un vero e proprio conflitto a fine 1929. Non un riot, un tumulto, ma un movimento sociale e politico con tracce di matriarcato precoloniale, di consolidate pratiche, mikiri, di aggregazione tra donne, di rituali danzanti di sberleffo del maschio – sitting on a man, di forte determinazione a migliorare la propria condizione. Vi partecipano sei diverse nazionalità/etnie, non solo Igbo, come recitano manuali ed enciclopedie. È una mascherata di donne con canti, danze rituali e improvvisate. Inizia al mercato e poi si dirige ai palazzi del potere. Quando non bastano le voci e le gambe, mani e braccia afferrano, spaccano, colpiscono, come storia insegna. Trascrivono in gesti la loro potenza.

Nonostante la feroce repressione e le cinquantatre donne uccise, l’apparato coloniale di governo deve riformarsi in profondità.

Foucault scrive da qualche parte che non ricordo: «ovunque vado, segretamente mi segue sempre Hegel».

Se Hegel fosse più o meno razzista lo decidano gli storici della filosofia, a noi tocca avviare la nostra svestizione dai comodi panni hegeliani.

 

Sud Nigeria, donne di una generazione successiva ricantano e ridanzano ancora contro una arbitraria tassazione imposta dal reuccio locale, Alake, indirect rule, warrant Chief, governatore al servizio degli inglesi: è dalla vagina che vuoi uomini siete nati, usi il tuo pene per sostenere che sei nostro marito | noi oggi usiamo la vagina per agire come tuo marito. Questa lingua sciolta dei loro canti è stata parlata e pensata da una mobilitazione di donne durata anni e culminata nella rivolta di Abeokuta nel 1949. Animatrice e organizzatrice Funmilayo Ransome-Kuti, esemplare modello di femminista del Novecento e madre di Fela Kuti, genio musicale, afrobeat, rivoluzionario, misogino.

[il 18 febbraio 1977, quando mille soldati irrompono nella residenza dell’eversivo Fela, la Kalakuta Republic a Lagos, la madre viene gettata dalla finestra del secondo piano. Muore l’anno dopo per le ferite riportate].

Africa vero teatro della storia mondiale

Educatrice nigeriana, militante politica, suffragista, attivista dei diritti delle donne.

Durante le manifestazioni #EndSARS è di nuovo riecheggiata Beasts of No Nation di Fela Kuti.

Ascolti

e scopri che i commenti ne riconoscono la visionaria attualità.

Nuovissime leve espandono il suono: Fikky

o Jeriq,

altre songs vengono assimilate prima ancora che gli autori prendano posizione,

come Fem di Davido


o Killin Dem di Zlatan X Burna Boy.

Il più direttamente politico This is Nigeria di Falz;

anche la spirituale Asa.


Un vero Sound System che si intreccia con la protesta e la nutre.

È l’audiopolitica che si snoda con le socialità collettive, non sta ai bordi, rinsalda voci, suoni, rumori e silenzio.

L’acustica di uno sbarco di emigranti a Lampedusa, degli slogan di una manifestazione ad Hong Kong, di un ospedale da campo in Libia, degli elicotteri pasciuti che scendono a Davos per resettare il mondo, dei blindati israeliani a Betlemme, dei passi sulla neve sopra Bardonecchia direzione Francia, delle piazze silenziose di certe metropoli in coprifuoco, del canto delle donne argentine dopo la nuova legge sull’aborto, delle voci dei bambini rohingya che scorrazzano sull’isola nell’oceano dove sono stati deportati, del mercato di Kabul, senza esplosioni. La ritmica di un call center, lo scioglimento sincopato dei ghiacciai, il rumore bianco di movida precovid, la polifonia fiamminga di un reparto maternità…

Non l’ho inventata io l’audiopolitica, l’ha concepita un giovinotto di Recanati (ehm!) duecento anni fa: le morte stagioni, la presente e viva e il suon di lei, con cui rivolge un invito a indagare anche il passato. Che suono aveva Auschwitz? Hiroshima? il socialismo reale, il comando coloniale…

Che swing hanno i droni delle neoguerre? Le fibre ottiche del web? Il contrappunto degli high frequency tradings? Qual è il canzoniere del neoliberismo…?

Ragazze liberate a Chibok

Liberate dalla prigionia le studentesse di Chibok, rapite da Boko Haram

[Qui, nel nostro canale linkedin trovate un ragionato apparato bibliografico elaborato da Claudio Canal, che approfondisce le tracce sparse in questo sguardo sulla Nigeria, con il chiaro intento di non essere condizionato dall’etnocentrismo occidentale: https://www.linkedin.com/pulse/tracce-della-distanza-adriano-boano/?trackingId=AvSXQ0pYSAC9eE2DLqIJDQ%3D%3D]

L'articolo Tracce della distanza proviene da OGzero.

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