Modi Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/modi/ geopolitica etc Mon, 18 Sep 2023 20:48:14 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 G7 – G8 – G20 – G77+1… G8miliardi https://ogzero.org/g7-g8-g20-g771-g8miliardi/ Mon, 18 Sep 2023 20:48:14 +0000 https://ogzero.org/?p=11622 Le famose bande di ragazzini. C’è quello grande e grosso che si tira dietro i suoi e botte da orbi a chi li contrasta. In questa strada non ci dovete mettere piede! Una banda vicina invece l’attraversa, anche se di corsa. Il capo è meno corpulento, ma sa il fatto suo. Altri gruppetti sono incerti, […]

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Le famose bande di ragazzini. C’è quello grande e grosso che si tira dietro i suoi e botte da orbi a chi li contrasta. In questa strada non ci dovete mettere piede! Una banda vicina invece l’attraversa, anche se di corsa. Il capo è meno corpulento, ma sa il fatto suo. Altri gruppetti sono incerti, con chi stare? Un po’ con l’uno un po’ con l’altro. All’aria aperta la situazione è abbastanza caotica. Diversa da prima dove c’era la banda più forte e non ce n’era per nessuno. In più adesso succede che un giorno il sole è rovente e nessuno ha voglia di venir fuori dall’ombra. Un altro diluvia che appena ti affacci in strada quasi anneghi. Un disastro. Non si capisce più niente. Bisogna solo aspettare che i ragazzini, ragazzine incluse, crescano. Ma cresceranno?


Quando sarai grande…

Sì, diventeranno grandi. Anzi G(randi)20. Una specie di super banda che cerca di spartirsi le zone di influenza. Assenti XI Jinping e Putin. Presente! però Giorgia M. e questo ci rincuora.
Il padrone di casa, Modi si è indaffarato moltissimo, senza fare i pignoli su come per l’occasione ha ripulito le periferie di Nuova Delhi. Vuole che l’India sia chiamata Bharat, e su questo niente da dire. Sta già scritto nella Costituzione. Per noi di una certa età va anche meglio perché nel nostro immaginario gli indiani continuano a essere i nativi americani (stavo per scrivere i peller…).
Poi ha ufficialmente siglato la Global Biofuel Alliance a cui aderiscono Brasile, Stati Uniti, Bangladesh, Argentina, Sudafrica, Mauritius, Emirati Arabi e Italia, oltre a Bharat. Mi propongo a Giorgia come servitore della patria ai prossimi incontri nelle Mauritius. Ci tengo ai biocarburanti.

Non è passata inosservata la dichiarazione fatta da Stati Uniti e IBSA – India, Brasile, Sudafrica – sul potenziamento degli aiuti finanziari al Sud Globale.
La geografia sta slittando verso il meridione del mondo. Da un punto di vista delle aspirazioni geopolitiche, delle prese di parola, non può non piacere. Dirà l’avvenire se sarà un guadagno per la Terra e l’Umanità.

 

Nel quartiere c’è sempre qualcuno dei ben piantati che invece di farsi vivo in piazza con lo sguardo strafottente se ne sta non si sa dove. Perfino quelli della sua banda sono sconcertati. Cosa starà macchinando?


… saprai perché…

Xi Jinping perché non è venuto? Se ne fotte? Il suo ruolo se lo gioca nei Brics? Cioè Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e prossimi Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Emirati arabi uniti e Arabia saudita. Augurandosi che non si trasformino in Bricsaeeieauas.  L’erede di Mao lascia intenzionalmente il G20 all’India? Sembrerebbe di sì.

Modi ha così organizzato gli accordi, fossero anche solo pacche sulle spalle, senza la Cina. Tutta questa sua agitazione sta in piedi? Amico di tutti e di nessuno? Putin ha fatto bene a starsene dov’è, deve salvare l’eterna anima russa con i carrarmati e questo disturba le calorose strette di mano.

Sta finalmente cambiando la faccia geopolitica del Mondo, detta anche multipolarismo, oppure sono solo geometrie variabili destinate ad essere ormai perennemente variabili? In altre parole, la novità è il movimento continuo e non la configurazione che assume?

… è un gioco strano: devi imparare…

L’IMEC è una prima risposta. Un baccanale di acronimi da imparare a memoria. India-Middle East-Europe Economic Corridor. Lo promuovono il principe saudita Mohammed bin Salman Al Saud, il presidente degli Emirati Arabi Uniti Mohammed bin Zayed Al Nahyan, il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, la presidente dell’Unione Europea Ursula von der Leyen, la primo ministro italiana Giorgia Meloni, il capo della Banca Mondiale Ajay Banga e, ovviamente, Joe Biden e Narendra Modi. Treni, porti, fibre ottiche, pipeline, autostrade, ponti, hub.

Applausi a scena aperta.

Uno per tutti, quello di U.v.der Leyen: «È un ponte verde e digitale tra i continenti e le civiltà».

All’esterno del G20 un encomio altissimo.

Viene da Netanyahu: «Israele è al centro di un inedito progetto internazionale che unirà infrastrutture dall’Asia all’Europa, realizzerà una antica visione e cambierà il Medio Oriente, Israele, e influenzerà il mondo intero».

Coro stellare per un mondo a più facce? Risposta robusta, dieci anni dopo, alla Via della Seta cinese? Entusiasmo a buon mercato? Trionfalismo fuori posto?

… è un gioco strano: devi imparare…

Calma, dice la Cina: «Il tempo mostrerà la differenza tra un’iniziativa che abbraccia tutti con cuore aperto [la Belt and Road Initiative cinese] e una di idee ristrette che divide le nazioni. Noi speriamo che l’IMEC non diventi così».

Risposta secca e stizzita.

I giochi sono aperti e soprattutto il quadrante del mondo si è messo in moto. Una cosa è sicura, il Medio Oriente torna ad essere uno snodo delle politiche mondiali.

Se qualcuno poi, sprovveduto di finezze geopolitiche, osserva un po’ più da vicino i Grandi 20, presenti e assenti, il modo con cui governano i loro paesi e come fanno e disfanno le loro società, qualche brivido giù per la schiena gli corre. Allora il sempliciotto inesperto sceglie di chinarsi sulla minuteria storica e scopre, per esempio, che un treno merci con 36 vagoni container è partito dal sud della Russia, ha attraversato l’Iran, già nemico numero uno dell’Arabia Saudita, e poi dallo Stretto di Hormuz è stato travasato via mare a Gedda, in… Arabia Saudita. A fine agosto.

Oppure viene informato che a Ryad, capitale dell’Arabia Saudita, lo scorso 11 settembre grazie all’Unesco  era in visita ufficiale una delegazione del governo israeliano, anteprima di una possibile normalizzazione tra i due stati mediorientali. Il candido osservatore inoltre si stupirà vieppiù nel vedere che Erdoğan, il sultano turco, si sia subito scagliato contro il corridoio in questione proponendone uno di gamma superiore. Provvisoriamente definito – che strano! – corridoio turco.

… è tutto scritto, catalogato: ogni segreto, ogni peccato…

Non stanno mai fermi i Grandi, anche i Meno Grandi. Saltabeccano da un summit, da un vertice all’altro un po’ qua un po’ là. Finito uno, di corsa all’altro [Brics, 21/24 agosto, G20, 9/10 settembre, G77+Cina a Cuba, dal 15 settembre]. Gli farà bene tutto questo sbattimento? E se prendono aria? E se fanno indigestione? E se perdono l’orientamento? E il jet lag? Cos’è, fregola di contrasto alla depressione?
C’è un moto ondulatorio o sussultorio nella geopolitica? Preludio ad eventi tettonici più duri e consistenti?

Se scendo dai vertici e lo chiedo a una immigrata filippina a Ryad, a un palestinese di Nablus, a una giornalista kurdo-turca in carcere, mi guardano con un certo disincanto. Eppure.

… quando sarai grande, saprai perché

Qualcuno si perde, altri mettono su famiglia, qualcuno ricorda con nostalgia e parla male dei nuovi ragazzini di strada, certi fanno carriera.

Tutto il GMondo è paese.

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Inclusività o assimilazione nell’India tribale in rivolta? https://ogzero.org/inclusivita-o-assimilazione-nellindia-tribale-in-rivolta/ Tue, 26 Jul 2022 06:54:22 +0000 https://ogzero.org/?p=8278 Lo schiaffo del partito induista nazionalista al potere a tutto ciò che è alieno, diverso, “intollerabile” diventa scherno con l’elezione di una donna di origine tribale a presidente dell’India. Sicuramente non risolve i problemi di discriminazione e le pulizie etniche su cui Narendra Modi ha costruito il suo potere, ma con altrettanta certezza gli conferisce […]

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Lo schiaffo del partito induista nazionalista al potere a tutto ciò che è alieno, diverso, “intollerabile” diventa scherno con l’elezione di una donna di origine tribale a presidente dell’India. Sicuramente non risolve i problemi di discriminazione e le pulizie etniche su cui Narendra Modi ha costruito il suo potere, ma con altrettanta certezza gli conferisce una patente di tolleranza. Laddove invece registriamo solo militarizzazione e repressione dell’India tribale in rivolta, sia nel Centronord indiano sia nel profondo Sud del Tamil Nadu.
Qui con Gianni Sartori intendiamo dare voce, o almeno testimonianza, del saccheggio e delle modalità di soffocazione di istanze di emancipazione delle comunità tribali a Kallakurichi come a Sukma.
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Diritti e oppressione dei popoli indigeni

Non si può certo affermare che quanto avviene in India ai danni delle popolazioni tribali sia sotto la lente e l’interesse dei media internazionali. Difficilmente si viene adeguatamente informati riguardo a massacri, deportazioni (per consentire alle multinazionali, in particolare quelle dedite all’estrazione mineraria, di appropriarsi dei territori ancestrali delle popolazioni indigene), esecuzioni extragiudiziali, stupri di donne tribali e arresti arbitrari operati dal regime di Narendra Modi.
Si è invece parlato della elezione a presidente dell’India (una carica più che altro formale, cerimoniale…) di Droupadi Murmu, donna di origine tribale (i santhal), in precedenza governatrice del Jharkhand. Originaria dell’Odisha, milita da anni nel Bharatiya Janata Party, il partito dei fondamentalisti indù.
Per carità. Tutto può tornare utile e se questo evento dovesse portare qualche beneficio alle popolazioni tribali (gli adivasi) e alle caste diseredate (i dalit) ben venga.
Anche se l’augurio è che non avvenga nella logica sviluppista (e di devastazione umana e ambientale) che auspica Modi.

Addomesticamento e rivolta delle comunità tribali

È lecito infatti avere qualche riserva su questo coinvolgimento, più che altro spettacolare ed elettorale, dei tribali nel progetto del Bjp. Allargare la propria base di sostenitori farà sicuramente gli interessi del Bjp. Ma è lecito chiedersi quali vantaggi porterà alla conservazione delle lingue e della cultura tradizionale (oltre che alla loro sopravvivenza fisica) degli adivasi. Più che di “inclusività” si dovrebbe forse parlare di assimilazione.
Nel frattempo – ovvio – si mantiene la stretta repressiva, l’addomesticamento forzato delle popolazioni indocili e refrattarie al “progresso” neoliberista.

Landgrabbing e resistenza nel Chhattisgarh

Di questi giorni è la notizia (ignorata dai media internazionali in quanto scoperchiava le passate malefatte governative) dell’avvenuta liberazione (il 15 luglio 2022) nel Chhattisgarh di 121 tribali (tra cui alcuni minorenni) arrestati nel 2017 con una serie di rastrellamenti nei villaggi della zona. Nel frattempo uno degli arrestati (o almeno quello finora accertato) era deceduto dietro le sbarre.
Tutte queste persone, come del resto era evidente fin dall’inizio, sono risultate del tutto estranee all’imboscata, opera di almeno trecento guerriglieri naxaliti (maoisti del People’s Liberation Guerrilla Army), di Sukma (Burkapal, 24 aprile 2017)) in cui avevano perso la vita 26 paramilitari della Crpf.
Sono completamente cadute sia le accuse di possesso di armi, sia di appartenenza al Pci (maoista). Per cui la loro lunga, ingiusta detenzione acquista il senso di una rappresaglia a scopo “educativo” per tutta l’India tribale in rivolta.
A Sukma militari e paramilitari sorvegliavano in armi i lavori per la costruzione di una strada che doveva attraversare i territori tribali per conto di un gruppo industriale. Il gruppo maoista Dkszc (Dand Karanya Special Zone Committee) aveva rivendicato l’attacco.

Villaggio di Silger resistente, dove sono ormai trascorsi 400 giorni dall’inizio della resistenza del movimento del villaggio di Silger al confine tra Bijapur e Sukma nel Bastar meridionale del Chhattisgarh

L’attacco di Sukma

Nel comunicato si sottolineava come l’attacco fosse una risposta di autodifesa non solo nei confronti delle politiche antipopolari del governo, ma soprattutto per le «atrocità sessuali commesse dalle forze di sicurezza contro le donne e le ragazze tribali». Ossia gli innumerevoli stupri opera soprattutto dalle milizie paramilitari filogovernative. In sostanza «per la dignità e il rispetto delle donne tribali».

Il comunicato inoltre smentisce decisamente (come poi è stato riconosciuto anche ministero dell’Interno) che sui corpi dei soldati uccisi si fosse infierito con mutilazioni e castrazioni: «Noi – aveva dichiarato Vikalp, portavoce della guerriglia – non manchiamo di rispetto ai corpi dei soldati uccisi. Sono i media borghesi che diffondono tali false notizie e invece spesso sono i militari che operano brutali trattamenti sui corpi dei guerriglieri maoisti». Così come, aveva continuato «vengono riprese e diffuse nei social immagini riprovevoli delle guerrigliere uccise» (un inciso estraneo all’India tribale in rivolta: questa è una pratica abituale anche da parte dei soldati turchi nei confronti delle combattenti curde).
Per concludere: «I soldati non sono nostri nemici. Tantomeno nemici di classe. Tuttavia si pongono al servizio dell’apparato antipopolare e dello sfruttamento operato dal governo. Rivolgiamo a loro un appello affinché cessino di combattere schierati al fianco dei politici sfruttatori, dei grandi imprenditori, delle compagnie nazionali e internazionali, delle mafie, dei fascisti indù… che sono, per loro stessa natura, nemici dei dalit, dei tribali, delle minoranze religiose e delle donne. Soldati, non sprecate la vostra vita per difendere tali personaggi e le loro ricchezze. Lasciate l’esercito e prendete parte alla lotta popolare».

E adesso la resistenza ricomincia nel Tamil Nadu

Tornando ai nostri giorni, va ricordato che il 17 luglio 2022 nel Sud dell’India si sono verificati duri scontro tra giovani e polizia (con decine di feriti) dopo il suicidio di una studentessa.
I manifestanti penetrarono nel campus (distretto di Kallakurichi nello stato di Tamil Nadu), incendiando veicoli della polizia e bus scolastici.
La ragazza prima di togliersi la vita aveva scritto una lettera in cui denunciava alcuni insegnanti per averla sottoposta a sistematici maltrattamenti (aveva usato il termine “torture”). La stessa cosa sarebbe toccata ad altre studentesse.
All’inizio del mese invece le proteste – con scontri, numerosi feriti e una dozzina di arresti – erano scoppiate a Nepali Nagar. Il 3 luglio una quindicina di bulldozer arrivarono per distruggere un centinaio di abitazioni costruite su terreni pubblici: le autorità locali le avevano definite “abusive” (nonostante da anni fossero stati realizzati gli allacciamenti e venissero raccolte le tasse municipali).
E solo uno stretto braccio di mare divide il Tamil Nadu da quello Sri Lanka in subbuglio.
Una nota di Francesco Valacchi per contestualizzare le rivolte e la figura presidenziale di Droupadi Murmu si trova in “China Files”. Abbiamo registrato un suo breve intervento su Radio Blackout:

“Lavacro tribale del nazionalismo Bjp”.

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Occhi sull’India: agricoltori uniti contro le riforme agricole https://ogzero.org/occhi-sull-india-agricoltori-uniti-contro-le-riforme-agricole/ Tue, 09 Feb 2021 00:51:09 +0000 http://ogzero.org/?p=2396 L’inverno è una stagione produttiva Per gli agricoltori in India, è la stagione del rabi, in cui vengono coltivati alimenti essenziali come grano, orzo, lenticchie, piselli e patate, tra gli altri. Poiché le colture di rabi hanno bisogno di un clima caldo per germogliare e di un clima freddo per crescere, vengono piantate durante la […]

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L’inverno è una stagione produttiva

Per gli agricoltori in India, è la stagione del rabi, in cui vengono coltivati alimenti essenziali come grano, orzo, lenticchie, piselli e patate, tra gli altri. Poiché le colture di rabi hanno bisogno di un clima caldo per germogliare e di un clima freddo per crescere, vengono piantate durante la stagione dei monsoni e raccolte in primavera. Questo inverno, tuttavia, gli agricoltori di tutta l’India sono stati costretti a lasciare i loro campi e le risaie per dedicarsi a un diverso tipo di lavoro. Sono passati più di due mesi da quando si sono accampati ai confini di Delhi in una dharna indefinita. Sebbene dharna possa essere semplicemente tradotto con “sit-in”, in hindi il termine non implica solo l’occupazione fisica dello spazio ma anche un esercizio di perseveranza: fissare la propria mente su un obiettivo o risultato chiaro. In termini di applicazione pratica, una dharna di solito si svolge alla porta di un delinquente o di un debitore ed è uno strumento mediante il quale le componenti più vulnerabili della società possono costringere un soggetto più potente a rispondere alle loro richieste. Per esempio, una dharna potrebbe essere messa in scena al di fuori dell’ufficio di un esattore delle tasse, del capo di una azienda o della casa di un proprietario. Nel caso della protesta dei contadini, il colpevole sembra essere il governo centrale che, mentre presiedeva gli uffici parlamentari di Delhi, ha approvato una serie di progetti di legge che ribaltano completamente il modo in cui si regola l’agricoltura in India.

Il punto cruciale delle 3 proposte di legge può essere riassunto come segue:
  • La creazione di nuovi spazi commerciali che aggirano le restrizioni esistenti sulla vendita e l’acquisto di prodotti agricoli.
  • L’abilitazione dell’agricoltura a contratto con obblighi minimi (a differenza dell’attuale accordo, gli agricoltori saranno in grado di commerciare in diversi stati).
  • La rimozione delle restrizioni sulle scorte di merci essenziali (il che significa che i grandi acquirenti possono trarre profitto dall’accumulazione).

Gli agricoltori devono essere consapevoli dei molteplici fattori che influenzano la crescita, la resa e il commercio dei raccolti. Ciò include la conoscenza della maturità del raccolto, delle variazioni del clima e della qualità del suolo, nonché il prezzo di fertilizzanti e benzina, e anche fattori logistici come la disponibilità di strutture di trasporto e stoccaggio. In questo modo, l’agricoltura è un’attività che comporta molti rischi e variabili che vanno oltre il solo lavoro degli agricoltori. Capire questo aiuta a chiarire meglio perché le nuove riforme proposte dal governo indiano stanno subendo una così feroce resistenza da parte di coloro che hanno passato tutta la vita a lavorare la terra. Nonostante la retorica neoliberale usata per persuadere gli agricoltori – per esempio che le nuove riforme garantiscano loro una maggiore “libertà” di vendere a qualunque prezzo vogliano e farla finita con l’“uomo di mezzo”, l’intermediario – gli agricoltori temono che l’apertura di uno spazio di mercato parallelo, come propone il primo disegno di legge, porterà inevitabilmente al crollo del sistema mandi attualmente in vigore.

Il sistema mandi: aste regolamentate e consolidate

In India, i mandi sono spazi d’asta regolamentati in cui i prodotti agricoli vengono acquistati e venduti in base a una serie di accordi specifici dello stato. In questi spazi, i commercianti all’ingrosso e al dettaglio non possono acquistare direttamente dagli agricoltori e le transazioni vengono invece effettuate tramite commercianti autorizzati che fungono da salvaguardia contro lo sfruttamento dei prezzi. Il sistema mandi dovrebbe anche garantire agli agricoltori un prezzo minimo di sostegno (Msp) per determinate colture, ovvero un prezzo al quale lo stato deve acquistare i loro prodotti. Ciò garantisce che il lavoro del raccolto non vada sprecato, sebbene gli agricoltori dicano che spesso finiscono comunque per ricevere un prezzo al di sotto del minimo. Anche se da tempo gli agricoltori chiedono riforme nel sistema, sono convinti che la soluzione non sia abolirlo. In stati come il Bihar, dove i mandi sono già stati sciolti con il pretesto di promesse simili, ciò ha solo portato a una maggiore volatilità dei prezzi dei cereali e alla monopolizzazione dei mercati da parte delle grandi aziende agricole. Gli agricoltori del Bihar, che sono tra i più poveri del paese, riferiscono anche che le loro scorte possono rimanere inutilizzate per mesi senza ricevere alcun pagamento e che sono spesso costretti a vendere a prezzi poco convenienti per liberarsene.

Non c’è libertà a meno che non ci venga garantito un prezzo minimo o garantita la possibilità di far sentire la nostra voce all’alta corte o alla Corte Suprema. Ora hanno detto (secondo le nuove proposte di legge) che puoi solo andare all’Sdm (tribunale inferiore) e, come sappiamo, l’Sdm appartiene a chi ha i soldi.

 

“Consapevolezza e determinazione contadina: resistere all’annientamento identitario di Modi”.
La riforma si abbatte sui piccoli agricoltori…

L’elenco delle complicazioni che circondano le leggi è ampio. In India, gli agricoltori piccoli e marginali (che possiedono meno di due ettari di terra) costituiscono l’86,2% di tutti gli agricoltori, ma possiedono solo il 47,3% della superficie coltivata. Inutile dire che questi agricoltori sono destinati a essere colpiti in modo peggiore rispetto ai proprietari terrieri più grandi e probabilmente, a lungo termine, saranno costretti a vendere la loro terra. Tuttavia, anche queste statistiche trascurano una quota fondamentale della forza lavoro agricola: le donne. A causa del fatto che l’agricoltura è vista prevalentemente come una professione “maschile”, le donne sono troppo spesso escluse dalla narrazione sull’agricoltura indiana. Questo nonostante il fatto che le donne rappresentino la maggioranza dei lavoratori agricoli complessivi (70%) e tendano anche a lavorare più ore rispetto agli uomini, pur possedendo solo il 12,8% dei terreni agricoli. Le donne contadine, a cui raramente viene concesso il potere decisionale in famiglia – per non parlare del potere di negoziare con le grandi compagnie – saranno senza dubbio quelle che soffriranno di più a causa dei nuovi accordi agricoli dell’India. Oltre a dover affrontare l’espropriazione economica (con scarse possibilità di occupazioni alternative), dovranno anche sostenere il peso di gestire la carenza di cibo in casa, che è quasi inevitabile se alle imprese viene consentito di accumulare beni essenziali.

… e la mobilitazione parte dal Punjab

“Canto punjabi di protesta a Delhi”.

A differenza del lavoro agricolo e del suo collegamento ai cicli stagionali, il lavoro dei governi fascisti è più in sintonia con i cicli di crisi e opportunità. E quale migliore opportunità per approvare una serie di proposte di legge contro i poveri, contro le donne e contro gli agricoltori che nel bel mezzo di una crisi sanitaria globale? Tuttavia, nel rendersi conto di alcuni dei modi in cui gli agricoltori rischiano di soccombere, quelli dello stato del Punjab (il terzo più grande stato produttore di colture in India) sono stati tra i primi a mobilitarsi dopo che le leggi sono state promosse in parlamento lo scorso settembre. Avendo avuto luogo senza alcuna consultazione pubblica o il coinvolgimento esplicito dei governi statali, molte persone hanno anche sottolineato che le leggi erano completamente incostituzionali. Tuttavia, dopo due mesi di proteste locali e nessuna risposta da parte del governo centrale, i contadini del Punjab hanno deciso di lanciare un appello per assaltare la capitale, portando le loro lamentele direttamente al parlamento. Con lo slogan #dillichallo (andiamo a Delhi), la chiamata è stata sostenuta dagli agricoltori del vicino stato di Haryana che si sono uniti a loro sulle autostrade. È solo dopo essere arrivati ai confini di Delhi che i contadini sono stati fermati dalla polizia pesantemente armata e dalle forze di azione rapida (Raf). Eppure qualcosa di incredibile era già avvenuto nel processo.

Trattori indiani

Blocco di Delhi per impedire una riforma che cancella la già immiserita agricoltura delle piccole aziende

Creare ostacoli nell’anno del Covid rinfocola una reazione collettiva

Dopo essersi lasciati andare all’arresto indiscriminato di studenti attivisti durante tutto l’anno, oltre a smantellare le leggi sul lavoro e le politiche di protezione ambientale, i conti con le aziende agricole era forse solo un altro obiettivo che il governo di Modi pensava di poter raggiungere all’ombra della pandemia. Dal punto di vista di quelli di noi impegnati nei sit-in della capitale, forse inizialmente sembrava anche così. Tuttavia, mentre gli agricoltori del Punjab si facevano strada verso di noi, siamo rimasti incollati ai nostri feed dei social media e alle possibilità politiche che si stavano aprendo davanti ai nostri occhi. Le autostrade dell’India sono state improvvisamente trasformate in un palcoscenico per eroici atti di disobbedienza, con video di persone che lanciavano transenne della polizia nel fiume e trattori che tiravano via lastre di cemento che proliferavano nello spazio digitale. Facendosi strada tra cannoni ad acqua e lanci di gas lacrimogeni, i contadini erano riusciti a capovolgere la situazione: non era l’indebolimento della marcia, ma la brutalità dello stato che, appunto, veniva smascherato. Penetrando attraverso la dissoluzione e la depressione politica che annebbiano i nostri cuori, tali scene ci hanno lasciato sbalorditi. Una battaglia era certamente iniziata, e mentre il governo era impegnato a scavare buche nella strada, ogni ostacolo che i contadini riuscivano a superare alimentava solo ulteriormente lo spirito collettivo.

All’inizio abbiamo sentito che Delhi è così lontana, cosa faremo una volta arrivati? Ma ogni trattore e camion ha riempito da 5 a 10.000 rupie di diesel per arrivare qui perché sappiamo che se non prendiamo una posizione ora, non saremo in grado di stare in piedi.

Una volta raggiunta Delhi, anche gli agricoltori di molti altri stati dell’India hanno cominciato ad affluire, insieme agli studenti, ai sindacati dei trasporti e agli alleati di diversi settori. Dormire dieci per un camion, al riparo di una stazione di servizio abbandonata, o in tende improvvisate tra pneumatici di trattori e carrelli, attualmente occupano cinque principali autostrade che portano in città. L’atmosfera è gioiosa, con cucina, giochi di carte, discorsi e kirtan dal vivo (canto devozionale) che si svolgono l’uno accanto all’altro. Secondo la pratica sikh, numerose cucine comunitarie (langar) sono state istituite in tutto il sito e chiunque e tutti i passanti sono incoraggiati a sedersi e mangiare. Con rifornimenti freschi in arrivo dai villaggi del Punjab e dell’Haryana ogni giorno, i contadini si vantano di avere abbastanza da sfamare se stessi e l’intera Delhi. Nei primi giorni della dharna, l’India ha anche assistito al più grande sciopero della storia mondiale, con oltre 250 milioni di lavoratori che si sono schierati a sostegno degli agricoltori. Sotto la bandiera di #bharatbandh (chiusura dell’India), si sono svolte marce in varie città del paese, con canti di kisaan majdoor ekta zindabad (lunga vita all’unità dei contadini e dei lavoratori) che hanno riempito le strade. «L’intero paese si è riunito. Se Modi non avesse fatto questa legge non avremmo saputo della situazione degli agricoltori in luoghi diversi. Non saremmo stati in grado di unirci … ora non puoi fare distinzioni anche tra di noi!».

Contadini indiani

Gli agricoltori indiani scesi a bloccare la capitale

Ambiente vs. neoliberismo

Tuttavia le attuali proteste dovrebbero essere viste come il punto di svolta all’interno di una lunga storia di disagio agrario, che è stato solo esacerbato da quando Modi è salito al potere nel 2014. Un’indicazione di ciò risiede nei tassi catastrofici di suicidio degli agricoltori in India, con oltre 20.000 agricoltori che hanno riferito di essersi tolti la vita tra il 2017 e il 2019: stress finanziario legato a prestiti predatori, alti oneri del debito e la pressione che ciò esercita sui rapporti personali sono stati identificati come tra le ragioni principali. Naturalmente ci sono anche fattori meno percettibili di cui tenere conto. Gli agricoltori in India, come nel resto del mondo, sono in prima linea nella crisi climatica e i cambiamenti nelle condizioni meteorologiche e delle precipitazioni hanno avuto effetti devastanti sui raccolti. Anche le politiche di pianificazione in India trascurano ampie aree rurali, dedicando invece risorse statali allo sviluppo di economie produttive e di servizi. Di conseguenza, i sindacati degli agricoltori si sono da tempo organizzati in tutto il paese, con azioni particolarmente intense in risposta alle successive politiche neoliberiste introdotte con Modi. Oltre alla mobilitazione sindacale, è necessario riconoscere che gran parte della forza dietro l’attuale agitazione proviene dagli agricoltori sikh della regione del Punjab, per i quali l’agricoltura è parte integrante dell’identità culturale. Dopo aver subito la divisione del Punjab (la loro patria originale) nel 1947, e un genocidio per mano dello stato indiano nel 1984, anche la comunità sikh è stata sistematicamente cacciata e detenuta per decenni come parte delle guerre segrete dell’India contro le sue “minacce alla sicurezza” percepite. Questa storia di lotta e il particolare rapporto con lo stato indiano da questa generato rafforza il movimento contro le tattiche di divisione dello stato. Per questa ragione, tra le diverse bandiere sindacali, si trova anche la Nishaan Sahib (una bandiera Sikh) che viene issata. Tra le varie fazioni di contadini, si trovano anche Nihang Sikh che si prendono cura dei loro cavalli e praticano le loro abilità con la spada. In qualità di esercito ufficiale della comunità sikh, si sono schierati in prima linea sulle barricate, direttamente di fronte alla polizia e alle forze della Raf.

Fanno volare i droni sul sito ogni giorno per guardarci e tenere d’occhio il movimento.

Ma vedi quel Baaj [falco] nel cielo? Appartiene al Nihang. Abbiamo la nostra sicurezza, vedi.

Nonostante i molteplici round di colloqui tra leader sindacali e funzionari governativi, la situazione rimane in una condizione di stallo politico. Gli agricoltori da un lato sono risoluti a non accettare niente di meno del ritiro completo delle fatture e hanno inoltre richiesto che l’Msp sia convertito in legge per tutte le colture e in tutti gli stati, poiché questo è l’unico modo per garantire la sua corretta attuazione. Il partito al potere, d’altra parte, è impegnato nelle sue campagne di propaganda, dipingendo gli agricoltori come separatisti militanti o come confusi sui termini delle fatture. Collaborando con la polizia, ha anche inviato assassini pagati (che sono stati catturati dai manifestanti) per eliminare i leader sindacali e molti altri recentemente, hanno usato scagnozzi assunti per lanciare pietre contro i manifestanti e abbattere le loro tende. Tuttavia, fino ad ora, a ogni attacco è stato risposto da un numero ancora maggiore di agricoltori arrivati sul posto. In un paese di oltre 1,3 miliardi di cui il 70 per cento dei mezzi di sussistenza sono legati all’agricoltura, i numeri sono uno dei maggiori punti di forza che gli agricoltori hanno.

Anche la mia figlia più piccola mi dice di non tornare a mani vuote: «Legate Modi e portatelo di nuovo qui (in Punjab) su un trattore».

Eppure l’inverno è anche la stagione più dura

Soprattutto i mesi di dicembre e gennaio in cui le temperature quest’anno sono scese fino a 1° Celsius a Delhi. È importante notare che la stragrande maggioranza di coloro che sono accampati alle frontiere sono anziani, molti dei quali anche affetti da malattie croniche. Tra i 170 contadini martirizzati dall’inizio delle proteste a settembre, molti sono morti a causa della loro esposizione al freddo e all’esaurimento generale. Altri sono morti per incidente stradale o suicidio. Tuttavia, la dharna rimane incrollabile. Tutti gli agricoltori intervenuti hanno detto che non avevano intenzione di andarsene fino a quando le loro richieste non saranno soddisfatte, non importa quanti mesi o anni questo può richiedere. In tal modo, gli agricoltori spesso si riferivano a vite oltre la loro; dei loro figli, nipoti e pronipoti a venire. In India, la terra non costituisce solo fonte di reddito e sicurezza sociale, ma è anche profondamente implicita nella nozione di famiglia. Quindi rappresenta un senso di continuità; una promessa tra antenati e generazioni future quella attuale generazione di agricoltori intende mantenere.

“Modi ascolta!”.
A partire dal 29 gennaio, il governo indiano ha chiuso i servizi Internet nei vari siti di protesta situati ai confini di Delhi. Anche l’elettricità e l’acqua sono state interrotte e le punte di ferro sono state cementate sulla strada per impedire l’arrivo di altri manifestanti. Con il dispiegamento della sicurezza intensificato alle frontiere e il crescente arresto e detenzione di giornalisti, la Fortezza Delhi è l’ultima strategia per isolare gli agricoltori e reprimere il movimento. Adesso è un momento critico. Questo governo è guidato da un uomo che ha già commesso due massacri sponsorizzati dallo stato. Abbiamo bisogno di occhi sull’India.

Traduzione di Masha e Nicola

[L’articolo non riporta i cognomi dell’autrice e dei traduttori per preservare la loro libertà e integrità]

Fotografie di Mohd Abuzar Chaudhary

e di Amit

[l’articolo sarà pubblicato in inglese sul prossimo LavaLetters]

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L’armata rurale assedia la Grande Delhi https://ogzero.org/assedio-a-delhi/ Sat, 23 Jan 2021 15:27:12 +0000 http://ogzero.org/?p=2281 Chi avrebbe mai detto che una protesta di agricoltori avrebbe creato un problema politico capace di mettere in imbarazzo il governo di Narendra Modi, in India. Eppure è proprio così. Da due mesi la capitale indiana Delhi è assediata da una moltitudine di coltivatori e lavoratori agricoli. Sono centinaia di migliaia di persone venute soprattutto […]

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Chi avrebbe mai detto che una protesta di agricoltori avrebbe creato un problema politico capace di mettere in imbarazzo il governo di Narendra Modi, in India. Eppure è proprio così. Da due mesi la capitale indiana Delhi è assediata da una moltitudine di coltivatori e lavoratori agricoli. Sono centinaia di migliaia di persone venute soprattutto dai grandi stati della pianura indogangetica ma in parte anche dal resto dell’India. Dalla fine di novembre sono accampati intorno alla Grande Delhi; chiedono l’abrogazione di tre nuove leggi che liberalizzano il mercato agricolo, approvate lo scorso settembre dal parlamento nazionale in gran fretta e senza dibattito. Sono determinati: hanno resistito prima alle cariche di polizia e poi al freddo invernale.

Una prova di forza

Ora, dopo undici round di incontri inconclusivi con rappresentanti del governo, le trattative sono rotte. Il governo offre di sospendere l’applicazione delle leggi contestate per 12 o 18 mesi, ma non tratterà altro. I coltivatori ripetono che non se ne andranno finché quelle leggi non saranno abrogate.

Si prepara una prova di forza. I rappresentanti degli agricoltori confermano una “marcia dei trattori” il 26 gennaio, giorno della festa delle Repubblica, quando a Delhi si svolge un’imponente parata militare. Il governo sperava di evitarlo: ma la Corte Suprema, interpellata, ha rifiutato di emettere un divieto. La dimostrazione di potenza dell’India “emergente” oscurata da un’armata rurale.

Vivere della terra

Un movimento popolare così ampio ha spiazzato il governo. La protesta dei coltivatori è stata descritta dai grandi media indiani come la rivolta di un gruppo sociale che vive di sovvenzioni di stato e teme di perdere i propri privilegi: rappresentanti di un vecchio mondo assistito che frenano le riforme necessarie a modernizzare un settore agricolo inefficiente e insostenibile. Come ha ripetuto il primo ministro Modi, le nuove leggi «liberano gli agricoltori indiani», che potranno finalmente competere sul mercato. Molti hanno sottolineato che in fondo l’agricoltura fa solo il 16 per cento del Prodotto interno lordo indiano, una fetta marginale rispetto all’industria e soprattutto i servizi cresciuti negli ultimi vent’anni. Dimenticano però di aggiungere che il 55 per cento della forza lavoro è occupata in agricoltura, e anche neppure questo dato riflette la realtà: 800 milioni di persone, su un miliardo e 300 milioni di indiani, vivono direttamente o indirettamente della terra. La protesta dell’India rurale mette in imbarazzo il governo perché ogni dirigente indiano sa che la terra e i coltivatori restano la base della società e della legittimità politica della nazione.

Sette campi di protesta, sette città temporaneee

Chi ha visitato i sette campi di protesta che circondano la Grande Delhi infatti ha raccolto una storia ben diversa da quella raccontata dai media mainstream.
La scena. Le prime colonne di trattori e camion sono arrivate dagli stati del Punjab e dell’Haryana a nord-ovest della capitale federale. Bloccati dalla polizia al confine del territorio di Delhi (è un Territorio dell’Unione, come un ministato), si sono accampati là, in località Singhu. Altre colonne di protesta sono arrivate dall’Uttar Pradesh e dal Bihar a est, e in parte dal Rajasthan a ovest; delegazioni sono giunte dal Maharashtra (lo stato con capitale Mumbai) e dal Kerala a sud. Poco a poco sono sorti ben sette siti di protesta: il più grande, a Singhu, si estende per oltre dieci chilometri. Come città temporanee popolate da uomini e donne, vecchi e giovani. Ci sono caste rurali e anche Dalit (i fuoricasta, lo scalino più basso della gerarchia sociale indiana).

L'assedio di Delhi

Gli accampamenti nella Grande Delhi (foto da Kisan Ekta Morcha)

La solidarietà palpabile

Secondo un’inviata di “The Wire”, «l’ossatura della protesta sono contadini senza terra e coltivatori marginali», parola che indica una misura precisa: le proprietà agricole “marginali” sono quelle sotto un ettaro, “piccole” quelle sotto i due ettari. Secondo il censimento agricolo, in India l’86 per cento degli agricoltori sono appunto marginali e piccoli, vivono su meno di due ettari di terra; nel Punjab, da cui vengono molti dei manifestanti, un terzo delle proprietà sono sotto due ettari e un altro terzo sotto 4 ettari. l’India rurale è fatta di una miriade di piccolissimi produttori. Gli accampamenti sono organizzati per resistere. I rimorchi dei camion sono diventati alloggi di fortuna. Altri hanno montato tende. Centinaia di cucine da campo servono cibo a tutti, di ogni religione o casta. «In ogni sito di protesta il livello di organizzazione e il senso di solidarietà, è palpabile», riferisce un inviato del magazine “Frontline”. Intorno agli agricoltori si è costituita una rete di solidarietà; attivisti sociali hanno organizzato dispensari medici e dormitori in edifici pubblici; sono state allestite lavanderie, perfino biblioteche.

L'assedio di Delhi

Un agricoltore manifestante in preghiera durante la protesta a Dehli (foto Im_rohitbhakar)

L’atmosfera oscilla tra la resistenza e la festa popolare, con decine di assemblee pubbliche, eventi culturali, lezioni, musica. Le notti d’inverno però sono gelide nell’India settentrionale. C’è notizia di numerose persone morte di ipotermia, o infarto o altro.

Protesta diffusa: le comunità sono unite

Ma nonostante tutto la protesta continua, e questo è possibile perché ha un retroterra. In Punjab, secondo numerose testimonianze, da ciascuno dei 13.000 villaggi sono partite delegazioni di decine di persone, coltivatori e anche maestri di scuola, camionisti, rappresentanti dei municipi rurali.
«In Punjab c’è un’insurrezione», scrive un’inviata del giornale online “The Wire”, che in una sola provincia di questo grande stato ha contato 68 sit-in permanenti, grandi e piccoli. Descrive comizi e raduni pubblici, e raccolte di viveri, coperte, tende da mandare a quelli che sono andati a Delhi. I manifestanti si alternano; c’è chi torna a casa per occuparsi del raccolto mentre altri danno il cambio. «Tutte le comunità sono unite», spiegano alcuni manifestanti.
Al movimento partecipano circa 500 organizzazioni di agricoltori e sindacati rurali, raggruppati n 40 organizzazioni ora raggruppate in un coordinamento. «Il governo pensa che i coltivatori oggi siano la massa impotente e ingenua descritta dalla letteratura preindipendenza. Ma i coltivatori oggi hanno assorbito l’eredità del movimento per la libertà [il movimento anticoloniale nella prima metà del Novecento], i giovani hanno ereditato quello spirito», spiega a “Frontline” un agricoltore ed ex soldato nel sito di Ghazipur, a est di Delhi. Non per nulla tra cartelli e volantini riemerge il volto di Bhagat Singh, leggendario leader socialista rivoluzionario novecentesco.

Assedio a Delhi

L’arrivo in città dei manifestanti da ogni parte del paese (foto da Kisan Ekta Morcha)

Il contrasto alla propaganda governativa

«Abbiamo capito che bisognava contrastare la propaganda che rimbalza sulla tv e sui social media», spiega (sempre a “Frontline”) un giovane ingegnere informatico impegnato nella protesta: con un piccolo gruppo di volontari ha creato una piattaforma elettronica che mette online conferenze stampa quotidiane, interviste, testimonianze: si chiama Kisan Ekta Morcha, è divenuta la grancassa del movimento.
Ai primi di dicembre il governo aveva offerto qualche emendamento alle leggi contestate, se i manifestanti avessero sgomberato le strade. Ma quando questi hanno rifiutato di tornare a casa prima di ottenere la revoca di quelle leggi, il governo li ha accusati di essere facinorosi, estremisti, “khalistani” – riferimento al movimento separatista armato che negli anni Ottanta si batteva per uno stato indipendente in Punjab, il Khalistan. Per questo tra i cartelli comparsi nei siti di protesta molti dicono «siamo coltivatori, non terroristi».
Il movimento dunque continua. È rimasto unito, e pacifico. La prima vittoria l’ha avuta quando, il 20 dicembre, la Corte Suprema ha chiesto al governo di sospendere l’applicazione delle leggi contestate e aprire il dialogo. Le foto dei primi incontri ritraggono i rappresentanti delle 40 organizzazioni rurali intorno a un lunghissimo tavolo, con i rappresentanti di tre ministeri del governo centrale (agricoltura, commercio, ferrovie). Da parte governativa però si sono presentati solo junior ministers, l’equivalente di sottosegretari, figure senza potere decisionale: non i ministri titolari e tantomeno il primo ministro. Benché incalzato da un nuovo intervento della Corte Suprema nella prima settimana di gennaio, il governo Modi continua a prendere tempo.

I “mercati regolamentati”: la posta in gioco

Cosa è in gioco? In estrema sintesi, il sistema di regolamentazioni statali che dagli anni Sessanta del secolo scorso offre qualche protezione ai coltivatori indiani.
La prima delle tre leggi contestate infatti permetterà di commercializzare la produzione agricola al di fuori dei mercati all’ingrosso statali (mandi), attualmente regolamentati dagli Agricultural Produce Market Committees, Apcm. Secondo il governo è una riforma che «aprirà nuove opportunità per tutti i coltivatori», perché moltiplica i possibili compratori per i loro raccolti e li “libera” dalla burocrazia e dagli intermediari. Ma non ha convinto gli agricoltori: i quali temono che sul “libero mercato” non saranno loro a fissare i prezzi, bensì i grandi acquirenti. Temono anche di perdere altri servizi essenziali oggi offerti dai mercati di stato, tra cui i silos e gli anticipi per le sementi.
Le altre leggi contestate aboliscono i limiti allo stoccaggio di derrate agricole, salvo casi di emergenza (era una norma antiaccaparramento): ma così, secondo i critici, i grandi traders potranno comprare derrate quando la produzione è abbondante e immagazzinarle per metterle sul mercato quando più conviene. La terza legge infine promuove la “coltivazione a contratto”, cioè la possibilità di stipulare contratti tra l’agricoltore e il futuro compratore. Il governo sostiene che questo darà sicurezza ai coltivatori, perché sapranno che il futuro raccolto è piazzato a un prezzo pattuito in anticipo. Molti agricoltori conoscono già questo sistema, e sono scettici.
Il punto è che i “mercati regolamentati” fanno parte del sistema che include il prezzo minimo di supporto (Msp), a sua volta funzionale al Sistema pubblico di distribuzione (Pds), con cui lo stato fornisce alimenti di base a prezzi calmierati a tutti gli indiani, in particolare ai più poveri. È un intero sistema creato negli anni Sessanta per garantire un prezzo equo ai produttori e allo stesso tempo assicurare l’accesso al cibo a tutti i cittadini. È questo che oggi è in gioco.

La crisi ecologica

La Rivoluzione verde è finita. Il Prezzo minimo è sorto con la rivoluzione agraria basata sulle varietà ibride “ad alto rendimento” di grano e poi di riso arrivate negli anni Sessanta e Settanta. In India la “rivoluzione verde” ha avuto successo grazie alla fertilità della pianura indogangetica e alle sue abbondanti riserve idriche sotterranee. Convinti dalle rese abbondanti, e dalla garanzia che lo stato avrebbe comprato i raccolti a un prezzo stabilito, gli agricoltori sono passati alle nuove sementi. In Punjab e Haryana grano e riso hanno rapidamente sostituito ogni altra coltura: da poco meno di metà della superficie coltivata nel 1970, a oltre l’80 per cento nel 2010. Già negli anni Novanta l’India era passata da importare cibo a esportarne.
Ormai però il suolo fertile e l’acqua abbondante sono esauriti. In Punjab la falda freatica cala in media di 33 centimetri l’anno, tanto che va cercata con pozzi sempre più profondi, ed è spesso inquinata da residui di fitofarmaci e concimi azotati. I suoli sono sempre meno produttivi. Eppure Punjab e Haryana restano il “granaio” dell’India, grazie alle pompe che estraggono l’acqua rimasta e un grande uso di concimi: nei quarant’anni trascorsi tra il 1978 e il 2019 la produzione di grano e riso in Punjab è aumentata del 134 per cento (da 126 a 285 milioni di tonnellate), ma il consumo di fertilizzanti è aumentato oltre il 600 per cento (da 4,2 a 27,2 milioni di tonnellate: riprendo i dati dall’economista Prem Shankar Jha).
La conseguenza è duplice. Da un lato, l’India produce grandi surplus alimentari che ha cominciato a esportare. Dall’altro però la monocoltura intensiva ha innescato una spaventosa crisi ecologica. E questo ha anche fatto calare la produttività e salire le spese di produzione.

Liberalizzazione vs insostenibilità?

I sostenitori della liberalizzazione argomentano che il prezzo minimo e i numerosi sussidi di stato ormai perpetuano un’agricoltura insostenibile, ha creato una classe di coltivatori dipendenti dalle sovvenzioni, disincentiva a diversificare le colture. Altri, tra cui Jha, fanno notare che molti coltivatori hanno già diversificato, anche in quelle regioni “granaio”, e coltivano ortaggi per il mercato urbano, o altre derrate: ma proprio per questo sanno già cosa significa essere in balia del “libero mercato”. Mentre nessun governo ha mai tenuto la promessa di investire in infrastrutture, magazzini refrigerati o altro a sostegno del mercato agricolo, e devono affidarsi a intermediari che hanno un potere spropositato.
Il sistema è insostenibile? Molti in India, anche tra gli oppositori alle leggi oggi contestate, concordano che il meccanismo dei mercati regolamentati va rivisto. Che quei Comitati di gestione (i succitati Agricoltural Produce Market Committees) in cui sono rappresentati enti locali e organizzazioni di agricoltori riflettono molti dei vizi della società più generale, dalle divisioni di casta e di classe, alle azioni di lobby di vari interessi, alla burocrazia. E però «non c’è dubbio che continuano a mitigare l’arbitrarietà dei prezzi e limitare le malversazioni ai danni dei coltivatori», osserva un editoriale di “Frontline”.

Il surplus di produzione tra esportazione e interessi privati

È anche vero che i silos della Food Corporation of India (ente di stato) straboccano di derrate: quasi 28 milioni di tonnellate di riso e 55 milioni di tonnellate di grano alla fine di giugno 2020, ben 42 milioni di tonnellate più di quelle che sono considerate riserve strategiche. Così l’India ha cominciato a esportare riso (12 milioni di tonnellate l’anno scorso) e grano (circa 6 milioni di tonnellate destinate a mangimi animali). Prem Shankar Jha osserva che, dai dati ufficiali, quel riso è stato venduto sul mercato internazionale a poco più di 7 miliardi di dollari, con un profitto di 4,18 miliardi di dollari rispetto al “prezzo mimino di supporto” che lo stato aveva pagato ai coltivatori. Fin troppo facile la conclusione: «Gli immediati beneficiari [della liberalizzazione] saranno i grandi esportatori a cui la Food Corporation venderà i suoi surplus» a poco più del prezzo minimo, conclude Jha. Tra i manifestanti è convinzione diffusa che tra questi i beneficiari abbiano un nome: le imprese di Mukesh Ambani e di Gautam Adani, due multimiliardari molto legati al primo ministro Modi (i quali smentiscono di avere interessi nel mercato agricolo). Non a caso in tutto il Punjab le proteste hanno preso di mira stazioni di benzina e ripetitori dei telefonini del gruppo Reliance (di Ambani), o i silos refrigerati del gruppo Adani.

La protesta attuale è solo una parte del problema

Forse è vero, la protesta di queste settimane rappresenta solo una parte del complesso mondo rurale indiano. Il sistema dei mercati regolamentati e del prezzo minimo in effetti riguarda solo riso e grano (il progetto di estenderlo ad altre derrate non è mai decollato), e non copre le zone più periferiche. Mentre la gran parte dei coltivatori – di cereali, cotone, ortaggi o altro – è già in balia del libero mercato: di intermediari che stabiliscono le regole; di grossisti che fissano prezzi e standard. Degli usurai a cui devono chiedere anticipi per comprare sementi e concimi. Delle oscillazioni dei mercati e del clima.
Senza contare che gran parte dell’India rurale, quella più marginale, coltiva per la sussistenza, non rientra nel computo economico, e dipende dall’uso delle terre comuni. È la parte più penalizzata dall’inarrestabile accaparramento di terre avvenuto negli ultimi trent’anni per permettere l’espansione di miniere, fabbriche e grandi imprese agro-industriali.
Gli agricoltori che assediano Delhi non hanno l’aspetto di “privilegiati”. Sono convinti che le tre leggi contestate siano il preludio ad abolire anche il Prezzo minimo e smantellare quel che resta del sistema di redistribuzione costruito negli anni postindipendenza: e allora sarà peggio non solo per loro ma per tutta l’India rurale. La posta in gioco è proprio questa.

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