Jep Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/jep/ geopolitica etc Fri, 25 Mar 2022 11:55:40 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 La Colombia della “pace” https://ogzero.org/la-colombia-della-pace/ Sun, 12 Dec 2021 21:25:45 +0000 https://ogzero.org/?p=5547 A 5 anni dagli Accordi di Pace fra il Governo Santos e la guerriglia storica delle Farc, il cammino per lasciarsi il conflitto alle spalle sembra ancora lungo e tortuoso, come il corso degli innumerevoli  corsi d’acqua del Delta del Rio Danubio; il dipartimento del Cauca si affaccia sulla costa pacifica della Colombia, ma di […]

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A 5 anni dagli Accordi di Pace fra il Governo Santos e la guerriglia storica delle Farc, il cammino per lasciarsi il conflitto alle spalle sembra ancora lungo e tortuoso, come il corso degli innumerevoli  corsi d’acqua del Delta del Rio Danubio; il dipartimento del Cauca si affaccia sulla costa pacifica della Colombia, ma di pacifico c’è solo la certezza del conflitto tra narcos. Tullio Togni ci ha inviato questi scatti che illustrano nel suo racconto un paesaggio di difficile composizione del cinquantennale conflitto ufficialmente concluso 5 anni fa dal premio Nobel, il presidente Juan Manuel Santos.


Jefferson commenta lo sparo isolato appena sentito poco lontano, dice che sicuramente non si tratta di un’esecuzione: se il colpo fosse stato diretto al cranio, lo avremmo sentito più soffice e diffuso; attutito. Usa le mani per spiegare qualcosa che va oltre il senso dell’udito, ma per chi non ci è abituato questo rimane un concetto astratto; aleggia nell’aria.

Costa colombiana sul Pacifico

 

Buenaventura, città portuale sulla costa pacifica colombiana, è un inferno a ritmo di salsa che a partire dalle sette di sera tace quasi del tutto: un coprifuoco informale proibisce ogni danza per le strade, nessuno osa togliere la scena alle bande locali che si spartiscono il controllo e il microtraffico; “los chotas” e “los espartanos” da un anno a questa parte si sono dichiarate guerra, ma rimangono parte della stessa struttura illegale detta “La Local”. Le principali occupazioni di quest’ultima sono il narcotraffico e l’estorsione, oltre a quella pratica terribile a cui la Colombia si è abituata nel corso degli anni di conflitto e che si definisce come “pulizia sociale”. La relazione storica è con le “Autodefensas Gaitanistas de Colombia – Agc”, anche dette “Clan del Golfo”, gruppo paramilitare presente a livello nazionale il cui massimo esponente, Dairo Antonio Úsuga David (alias Otoniel), è stato recentemente arrestato. Anche se molti pensano che si sia consegnato nel quadro di un accordo ben più ampio con il governo attuale; del resto, alle elezioni di maggio 2022 non manca molto tempo.

La riconfigurazione del conflitto

Se potesse scegliere, Jefferson non andrebbe mai a Buenaventura, rimarrebbe tutta la vita in uno dei numerosi villaggi di palafitte sparse che si estendono lungo i cosiddetti “Fiumi di Buenaventura”, rami d’acqua che dalla cordigliera occidentale attraversano la foresta del Chocó e del Valle del Cauca per poi sciogliersi nell’Oceano pacifico. Ma c’è una relazione stretta fra gli spari e la casa di legno lasciata vuota davanti alla quale è seduto: in tutta questa zona, la popolazione locale – principalmente afrocolombiana – vive sotto il fuoco incrociato dei gruppi armati presenti, in particolare le dissidenze delle Farc che non sono entrate nel Processo di Pace o vi si sono sottratte, l’Eln – Esercito di Liberazione Nazionale, i paramilitari delle Agc e lo stesso Esercito colombiano. È errato gettare tutto nello stesso calderone, ma nella confusione generale della riconfigurazione del conflitto nel post-Accordo, la stessa guerriglia ha perso la sua identità storica e varia molto a seconda della regione e del contesto in cui opera; nell’Occidente colombiano, punto d’incontro fra l’entroterra e il porto di Buenaventura da cui passa oltre il 60 per cento della merce del paese, quasi tutti i gruppi armati sembrano avere vocazione economica – la cocaina – più che ideologica, per cui anche se nella maggior parte dei casi l’esercito e le Agc si alleano informalmente per combattere la guerriglia, non è raro assistere a scontri armati fra le Farc e l’Eln.

Valle Cauca

Innumerevoli rivoli d’acqua sulla costa colombiana del Pacifico e qualche drappo di rivendicazione territoriale (© – Red de Hermandad y Solidaridad con Colombia)

La riconfigurazione del territorio

Nel conglomerato di villaggi in cui vive Jefferson detta legge la Colonna Mobile Jaime Martinez, dissidenza delle Farc-Ep riunita nel “Comando Coordinador de Occidente”; lo dimostrano i cartelloni che si affacciano sul fiume o la stessa delegazione armata che si presenta: ragazzi sui vent’anni vestiti in civile se non fosse per il giubbotto verde militare, le armi e le munizioni al collo. Ma il controllo territoriale va oltre i fucili e gli spari: è fatto di ordini e restrizioni con mine antiuomo ai margini dei villaggi per limitare la mobilità della popolazione civile e le incursioni dei gruppi armati rivali, è il reclutamento forzato e le isolate esecuzioni extragiudiziali. È quanto successo alla fine di ottobre nel villaggio accanto, quando un membro del consiglio comunitario è stato assassinato perché sospettato di essere un informatore dell’esercito colombiano, dopo che i media avevano strumentalizzato alcune sue dichiarazioni rispetto al conflitto armato nella regione e lo avevano di fatto esposto a un alto rischio. È lo sparo attutito a cui si riferisce Jefferson, è la complessità del vivere in un contesto intricato e precario, in cui chi oggi è costretto a offrire un pranzo a un gruppo armato, domani viene ucciso dall’altro per aver collaborato con il nemico, oppure è perseguito dalla magistratura per aver dialogato con attori illegali presenti nel territorio. Lo stato in tutto questo si limita alla presenza militare, con incursioni frequenti, scontri armati ad alto impatto simbolico e ulteriori danni per le popolazioni locali. Queste ultime, organizzate nei consigli comunitari, denunciano la stessa convivenza fra stato e gruppi armati, chiedono che si rispetti la Legge 70 del 1993 che riconosce le comunità afrocolombiane come gruppo etnico con diritti sul territorio e autonomia di governo, rivendicano garanzie di sicurezza, educazione e sanità in tutta la zona della “Buenaventura rurale”: a proposito, nessun piano di vaccinazione per il Covid è stato ancora previsto qui. Alla guerriglia e in particolare alle dissidenze delle Farc, invece, chiedono semplicemente coerenza. In generale, per come si vive oggi, dicono che si stava meglio prima.

Villaggi su palafitte nella Valle del Cauca (© – Red de Hermandad y Solidaridad con Colombia)

Gli accordi di pace

A 5 anni dalla convulsa firma degli Accordi di Pace del 2016 fra il governo Santos (2010-2018) e le Farc, la Colombia vive una situazione paradossale a cui i numeri fanno da cornice: 299 ex guerriglieri e 1270 leader sociali assassinati, 500 organizzazioni della società civile vittime di minacce, 250.000 persone costrette all’esodo forzato. Numeri importanti che evidenziano una tragica realtà.

La terra rimane a tutti gli effetti il motore del conflitto, lo stato non si è impegnato a restituirla né a redistribuirla, ha abbandonato molti territori precedentemente controllati dalle Farc dando il via libera all’entrata di nuovi gruppi armati. Quando ha investito, lo ha fatto per generare monocolture per l’esportazione o piani di esplorazione per soddisfare gli interessi di multinazionali straniere anziché quelli delle comunità indigene e contadine che più di tutti hanno sofferto. E quanto alla difesa dell’ambiente, benché nella recente Cop26 il presidente Duque abbia dichiarato di essere disposto a difendere gli ecosistemi del paese, solo nel 2020 sono stati registrati oltre 65 omicidi contro attivisti ambientalisti. Per non parlare del processo di sostituzione delle coltivazioni illegali a suon di glifosato e di assenza di alternative valide alla coca.

Cauca indigena, ottobre 2020

Le poche prospettive per la popolazione smobilitata e gli omicidi di ex guerriglieri e attivisti sociali, sono l’altro grande cruccio del bilancio a 5 anni dagli Accordi di Pace, poiché dimostrano che lo spazio per le nuove lotte sociali e l’esercizio delle attività politiche e pubbliche, continuano a costare vite umane. A ciò si aggiunge l’altissimo livello di impunità per chi commette questi crimini e chi li ordina, un fenomeno messo in relazione con la corruzione della classe politica e gli attacchi della destra uribista al sistema di giustizia transizionale (Jep) nato nel 2016.

La Colombia oggi

Oltre a Cali, epicentro del “Paro Nacional”, Buenaventura è destinazione obbligata e recipiente delle popolazioni sfollate di tutta la regione del Pacifico colombiano. Lo scorso agosto è occorso a 1600 persone della zona del “Litoral San Juan”, vittime dei bombardamenti dell’esercito colombiano contro l’Eln, mentre negli ultimi giorni è toccato ad altre centinaia di persone appartenenti alle comunità indigene e afrocolombiane dei “Fiumi di Buenaventura”. Una volta in città, la loro prospettiva è quella di cercare di sopravvivere in un modo o nell’altro nei quartieri popolari, alla mercé delle bande locali e di quel ciclo di violenza che sembra non finire mai.

Da qualche parte a Buenaventura si nasconde anche Santiago, giovanissimo coordinatore delle brigate mediche a Cali che durante i mesi del “Paro Nacional” offrivano i primi ausili ai manifestanti vittime della violenza della polizia. Come successo a molti altri, una volta ristabilitosi l’“ordine sociale” gli sono cominciate a piovere addosso minacce di morte da parte di gruppi non identificati; la pressione su di lui è cresciuta al punto tale che, credendosi perduto, ha voluto farla finita. Ma oggi è ancora vivo, nascosto e protetto da una piccola cerchia di persone di fiducia. Lo stesso, purtroppo, non si può dire di suo fratello: vittima della vendetta trasversale, 10 giorni fa è stato fatto sparire.

Vecchia copia della rivista “Semana” uscita prima che venisse cooptata nella galassia uribista, asservendosi al potere da posizioni di denuncia come queste.

La Colombia del post-Accordo fra Governo e Farc non ha raggiunto una reale fase postbellica; quest’ultima si è semplicemente adattata e rimodellata al presente, forse a causa di alcune debolezze strutturali come la non messa in questione del sistema economico e di “sicurezza nazionale”, oppure il fatto che a vederlo ora, l’accordo appare come un’intesa esclusiva fra le alte sfere di due mondi opposti che hanno commesso lo stesso errore: dimenticarsi delle loro basi.

A circa sei mesi dalle elezioni presidenziali di maggio 2022, è difficile immaginare quale sarà il destino della pace in Colombia.

Un cielo pieno di nubi (© – Red de Hermandad y Solidaridad con Colombia)

 

 

 

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Le molte violenze della pace in Colombia https://ogzero.org/le-diverse-violenze-della-pace-in-colombia/ Sun, 14 Feb 2021 12:33:36 +0000 http://ogzero.org/?p=2422 Le recenti dichiarazioni del leader delle Farc Rodrigo Londoño hanno portato al centro dell’attenzione, ancora una volta, le criticità che sta incontrando il processo di pace in Colombia. Comparso davanti alla Jurisdicción Especial para la Paz (Jep), Londoño, più noto come Timochenko, ha ammesso la responsabilità delle Farc nell’uccisione di Alvaro Gómez Hurtado, già direttore […]

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Le recenti dichiarazioni del leader delle Farc Rodrigo Londoño hanno portato al centro dell’attenzione, ancora una volta, le criticità che sta incontrando il processo di pace in Colombia. Comparso davanti alla Jurisdicción Especial para la Paz (Jep), Londoño, più noto come Timochenko, ha ammesso la responsabilità delle Farc nell’uccisione di Alvaro Gómez Hurtado, già direttore del Partito Conservatore, e ha menzionato che i vertici delle Farc avevano contemplato la possibilità di attentare contro la vita dell’ex presidente Juan Manuel Santos, ma non hanno mai avuto informazioni sufficienti su di lui e dunque l’attentato non è mai stato realizzato. Questa parte della dichiarazione di Timochenko, che ha avuto una certa risonanza in Europa, in Colombia ha avuto un impatto piuttosto limitato. Lo stesso Santos ha risposto che anch’egli aveva firmato l’autorizzazione per compiere operazioni militari contro le Farc e ha ricordato che le regole del gioco, imposte dalla componente governative, erano chiare: «I negoziati sono stati portati avanti nel corso delle guerra, come se le guerra non ci fosse stata, e la guerra, nel frattempo, è andata avanti come se i negoziati non ci fossero stati». Entrambi, Santos e Londoño, hanno ribadito l’importanza del riconoscimento pubblico della verità, che rappresenta un bisogno e un diritto delle vittime e hanno espresso preoccupazione per le uccisioni degli ex combattenti delle Farc e dei leader sociali.

Pace: un percorso accidentato

Se, sulla carta, la guerra con le Farc è conclusa, di fronte alle numerose violenze che continuano a colpire la società colombiana è infatti doveroso fare un bilancio critico del processo di pace e mettere in luce le profonde falle che possiamo constatare nel percorso, più che mai necessario, di ricostruire il patto sociale su basi più democratiche ed eque.

Conseguenze bio-sociali della pandemia

Come altrove, il 2020 in Colombia è stato fortemente segnato dalla pandemia Covid-19, che ha fatto emergere in modo lampante le numerose contraddizioni che caratterizzano il nostro contesto sociale, economico e politico. Una delle prime e più interessanti asserzioni del volume Epidemie e società di Frank Snowden è che le malattie epidemiche non sono affatto eventi biologici episodici che si abbattono in modo casuale sulle collettività, ma sono fenomeni che potremmo definire bio-sociali, che colpiscono i punti più vulnerabili di una collettività, mettendo in luce in modo drammatico le fragilità del sistema. Nel caso colombiano queste affermazioni sono particolarmente vere. Gli effetti a livello epidemiologico del Covid-19 sono stati radicalmente diversi rispetto a quelli che si sono osservati in Europa. Mentre in paesi come l’Italia il principale fattore di rischio è l’età, in Colombia è la classe sociale a determinare chi corre il rischio più grave. Vi è, poi, un lato ancor più sinistro della pandemia e delle misure per contenerla: mentre in altri paesi il fatto di essere confinati in casa ha diminuito gli indici di violenza, in Colombia, al contrario, c’è stato un aumento complessivo del numero di leader sociali assassinati, dei fenomeni di violenza contro le donne e dell’insicurezza urbana. “Restare a casa”, dunque, ha amplificato la “vulnerabilità strutturale” di categorie che già prima erano di per sé vulnerabili.

I ceti più poveri sono i più colpiti dalla pandemia (foto di Jkraft5, Soacha)

Violenza strutturale e violenza politica

Nella pandemia, in sintesi, si è manifestato un intreccio persistente e irrisolto fra disuguaglianza sociale, violenza strutturale e violenza politica. Non va dimenticato che il conflitto armato si è sviluppato in una società caratterizzata da marcate disuguaglianze sociali che vede contrapposte, da un lato, una élite economica che esercita un controllo pressoché totale sulle terre, sulle materie prime e sulla produzione e, dall’altro, la grande maggioranza della popolazione che oscilla fra la “fatica ad arrivare a fine mese” e, nei casi peggiori, l’impossibilità di accedere alle risorse minime per garantire la propria sussistenza.

Bogotà, 2019: attivisti di Puro Veneno attaccano un manifesto contro la brutalità della polizia (foto di Sebastian Barros)

L’accordo di pace: criticità tuttora irrisolte

Sono passati poco più di quattro anni dal 30 novembre del 2016, il giorno in cui il Congresso colombiano, dopo molte vicissitudini, diede il via all’attuazione dell’accordo di pace sottoscritto tra le Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane e il Governo colombiano. La prima versione dell’accordo era stata siglata il 26 settembre di quello stesso anno. Alcuni punti di questa prima versione, tuttavia, erano stati ridiscussi in seguito alla sconfitta del “SÍ” nel plebiscito che avrebbe dovuto ratificare l’accordo, ed erano state apportate delle modifiche in ragione della necessità di allargare la platea politica dei sostenitori di una soluzione pacifica e negoziata del conflitto.

Nella sua versione finale, l’accordo affrontava alcune questioni nodali capaci di alimentare il conflitto sociale armato. Erano incluse nei punti, per esempio, la cosiddetta “questione agraria”, ovvero le profonde asimmetrie nella distribuzione della terra, che dovevano essere affrontate a partire da un programma di riforma integrale della proprietà terriera, a vantaggio delle comunità contadine e delle minoranze indigene e nere che nel corso del conflitto erano state espropriate dai loro territori tradizionali.

Particolare importanza era stata data alla questione della partecipazione politica delle Farc (che ha recentemente annunciato la rinuncia alla storica sigla e la nascita del partito Comunes) e, più in generale, delle componenti sociali non sufficientemente rappresentate nello scenario nazionale. Il nodo della giustizia, la verità e la riparazione delle vittime erano stati trattati in modo ampio ed era stata costituita la già menzionata Jep, con il compito di amministrare la giustizia transizionale. Erano stati inoltre concordati dei meccanismi per affrontare il problema della coltivazione della coca e del narcotraffico.

Molte di queste criticità rimangono tuttora irrisolte e, per quanto riguarda il narcotraffico, i problemi si sono intensificati.

Gli ostacoli politici

L’implementazione degli accordi ha incontrato ostacoli politici e sociali a molti livelli. Sebbene la versione finale fosse stata approvata senza voti contrari, i parlamentari del Centro Democrático (un partito di destra fortemente contrario al processo di pace, diretto dal senatore ed ex presidente Álvaro Uribe Vélez) si erano ritirati dalle aule durante la votazione e avevano reso esplicita la loro volontà di ostacolare l’implementazione delle misure contenute negli accordi. Una linea politica, questa, che è risultata evidente durante l’attuale mandato presidenziale: il governo Duque ha infatti accumulato notevoli ritardi – e conseguenti malcontenti – nell’iter legislativo che avrebbe consentito l’attuazione di quanto pattuito e, sulla scia di Uribe Vélez (2002-2006 e 2006-2010), ha ostacolato la giustizia transizionale e i suoi meccanismi di verità e riparazione; ha promosso narrazioni ufficiali che negano (o quantomeno minimizzano) le responsabilità, presenti e passate, della componente governativa e ha “normalizzato” misure repressive da parte della polizia e delle forze dell’ordine che violano i diritti fondamentali, giustificandole come azioni necessarie per il mantenimento dell’ordine pubblico.

Fra i fatti di cronaca più emblematici del 2020 si possono infatti ricordare l’uccisone di Javier Ordoñez, a cui seguì una violenta repressione messa in atto per sedare le proteste nella capitale, e la morte di Mario Paciolla, membro della Misión de Verificación de los Acuerdos de Paz dell’Onu e autore di un rapporto su un bombardamento dell’esercito che aveva l’obiettivo di colpire un leader dissidente delle Farc e fu presentato come un impeccabile successo militare da parte di Duque, ma nel quale in realtà erano stati uccisi a sangue freddo, e da terra, otto ragazzi fra i 12 e i 17 anni.

“La Jep riformula una storia del conflitto armato”.

L’obiettivo è eliminare i leader sociali

Per capire quanto sia critica l’attuale situazione del paese, e quanti ostacoli si stiano cercando di frapporre alla “costruzione di una pace stabile e duratura”, alcune cifre offrono un efficace punto di riferimento.

Indepaz, un’associazione che monitora lo stato della situazione dei diritti umani in Colombia, ha raccolto documentazione relativa a più di 90 massacri avventi nel 2020, a questi si aggiunge l’uccisione di 310 leader di lotte sociali e 12 loro familiari o amici. Questa stessa organizzazione aveva segnalato oltre 750 uccisioni di leader sociali fra il 2016 e il 2019. Sebbene le cifre ufficiali siano più contenute rispetto alla documentazione raccolta da Indepaz, la portata della violenza che si sta abbattendo contro questi attivisti è stata riconosciuta anche da istanze governative: il Difensore del Popolo, un ente che ha il ruolo di sorvegliare e promuovere la tutela dei diritti umani, ha riconosciuto ben 555 uccisioni fino al 2019 e altre 139 vittime nel 2020. Alle cifre agghiaccianti dei leader sociali assassinati, si aggiungono i nomi di 64 ex combattenti, firmatari dell’accordo, uccisi nel corso dell’anno.

I massacri e le uccisioni dei leader sociali, sindacalisti, attivisti nel campo dei diritti umani, ambientalisti, rappresentanti dei movimenti lgbti, oppositori e, in generale, tutte le persone che possono rappresentare una minaccia allo status quo dei settori dominanti sono fenomeni ricorrenti nella storia colombiana.

I “leader sociali” sono uomini e donne che si contrappongono con enorme coraggio al “potere totale” che gli attori armati tentavano, e tentano ancora oggi, di conquistare attraverso l’estrema violenza. Si tratta, in quasi tutti i casi, di figure di riferimento all’interno delle proprie comunità, che hanno assunto ruoli di massima importanza nella denuncia dei crimini degli armati, nella rivendicazione del diritto alla terra, nella difesa dei diritti delle comunità locali e nei processi di autoorganizzazione collettiva. Si tratta, quindi, di persone decisamente scomode per chi ha l’obiettivo strategico di stabilire un dominio sul territorio e sulle sue risorse.

Narcocapitale e desplazamiento

Chi c’è dietro le uccisioni di questi leader sociali? Ancora non ci sono risposte a questa domanda, anche perché oltre il 90 per cento dei crimini resta impunito. In parte l’uccisione dei leader sociali può essere imputata ai cartelli nazionali e internazionali del narcotraffico che sono operativi in Colombia. Va però sottolineato che il traffico di droga non è solo l’opera di organizzazioni criminali che agiscono nell’illegalità, ma va inteso come un fenomeno complesso, che si infiltra nelle strutture dello stato e ha un elevato livello di ingerenza sulla sfera economica, sulla politica e sulla cultura del contesto in cui si radica.

In Colombia, per esempio, uno degli ambiti privilegiati di investimento dei “narcocapitali” è stato quello fondiario. La violenza ha costretto intere popolazioni ad abbandonare le proprie terre e a spostarsi verso le città, spesso in condizioni di grave precarietà economica e senza adeguati tutele statali: è il noto fenomeno del desplazamiento, che non è cessato e che ha colpito fino a oggi circa 8 milioni di colombiani. Queste terre, in seguito, vengono occupate, o a volte acquistate a prezzi irrisori, da paramilitari e narcos, di fronte all’impotenza degli abitanti ancestrali, le comunità contadine, indigene e afrocolombiane.

Graffiti nelle strade di Medellin “Siamo tutti migranti” (foto StreetFlash)

Affrontare la questione del narcotraffico, quindi, non può limitarsi – come invece è accaduto – all’uso di misure repressive o al ricorso alla fumigazione con glifosato, una tecnica di sradicamento delle coltivazioni di coca che ha un impatto devastante a livello ambientale e umano. Per risolvere uno dei più gravi e annosi problemi della Colombia, sarebbe invece necessaria un’attenzione globale ai bisogni sociali ed economici delle popolazioni delle zone coinvolte nella coltivazione, nonché l’implementazione di politiche mirate capaci di limitare la dilagante corruzione nelle istituzioni locali e nazionali.

La strategia del terrore non è finita

Nella storia del conflitto colombiano è possibile rilevare una marcata tendenza a ricorrere ai massacri, all’eliminazione fisica dell’oppositore, alla mutilazione e alla violenza sui corpi vivi e morti come strumento per garantire un potere assoluto sulla popolazione e sul territorio. Queste modalità di uso strategico del terrore non sono purtroppo scomparse.

Se a livello ufficiale non ci sono “nomi” per gli autori di questi crimini, nei luoghi in cui vengono commessi, invece, i sospetti e le “voci” non mancano. Sovente non è difficile identificare le persone contro le quali si rivolgevano le rivendicazioni dei leader: sono narcotrafficanti, certo, ma anche latifondisti, capi dell’industria estrattivista mineraria e agraria, proprietari di bestiame, occupanti abusivi di terre espropriate ai contadini nel corso del conflitto, qualche volta politici o figure importanti a livello che traggono benefici dalla corruzione.

A livello statale il carattere sistematico e programmato delle uccisioni viene negato e gli assassinati vengono sempre presentati come “episodi isolati”. Tuttavia vi è un’innegabile responsabilità dello stato nella mancanza di tutela di persone che sono sotto esplicita minaccia, nell’elevata impunità e nella scarsa trasparenza con cui vengono gestite le indagini, nella mancanza di volontà di applicare quanto stabilito negli accordi in materia di riforma agraria, traffico di droga, giustizia e sicurezza. Poiché in passato abbiamo assistito a sistematici processi di sterminio di interi gruppi in virtù delle loro convinzioni ideologiche e dei loro progetti politici (si pensi al genocidio dell’UP), è più che mai necessario alzare il livello di allerta e monitorare con attenzione la situazione dei diritti umani in Colombia per arginare quest’onda di violenza che sta travolgendo chi è impegnato attivamente nella trasformazione sociale del paese ed evitare un nuovo “genocidio politico”.

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