#Intermarium Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/intermarium/ geopolitica etc Thu, 13 May 2021 13:10:59 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 L’opzione panorientale collegata alla guerra di spie panoccidentale https://ogzero.org/tensioni-diplomatiche-tra-russia-e-repubbliche-ex-sovietiche/ Mon, 10 May 2021 09:14:31 +0000 https://ogzero.org/?p=3401 La Repubblica ceca intende chiedere alla Russia almeno un miliardo di corone (39 milioni di euro), come risarcimento dei danni materiali per l’esplosione in un magazzino di Vrbětice, avvenuto il 16 ottobre 2014; Praga accusa i servizi russi Svr e Gru di essere coinvolti. Il risultato è stata l’espulsione di numerosi diplomatici dai rispettivi paesi. […]

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La Repubblica ceca intende chiedere alla Russia almeno un miliardo di corone (39 milioni di euro), come risarcimento dei danni materiali per l’esplosione in un magazzino di Vrbětice, avvenuto il 16 ottobre 2014; Praga accusa i servizi russi Svr e Gru di essere coinvolti. Il risultato è stata l’espulsione di numerosi diplomatici dai rispettivi paesi. Si tratta dell’episodio più eclatante, ma dal 2014 (piazza Maidan) si stanno moltiplicando le tensioni diplomatiche in particolare con le repubbliche ex sovietiche nell’Intermarium tra Mar Nero e Baltico.

Yurii Colombo tenta di inquadrare questi due fenomeni geopolitici che scorrono paralleli da decenni, spiegandoli strategicamente col fatto che la Russia putiniana si trova a scommettere tra Est e Ovest: la crisi dell’egemonia russa sull’area ex sovietica rappresentata da questi strappi diplomatici capziosi, da un lato; dall’altro il progressivo abbandono della diplomazia verso l’“Europa”. Può trattarsi di una spinta a una forte condivisione di intenti tra Mosca e Pechino? Un potente alleato panasiatico che per ora cerca di mantenere le mani libere per poter perseguire il suo scopo principale: fare affari con tutti. Intanto Mosca scatena una Guerra Fredda di spie… o forse è vittima della diplomazia dell’era Biden? Si tratta di una scelta strategica o un ripiego di fronte a un’implosione del vecchio impero sovietico sullo sfondo di confini porosi che mettono in scena rivalità per pozzi di… acqua, come a Vorukh?


Storiche relazioni diplomatiche tra slavi e ricadute economiche

La recente crisi tra Repubblica Ceca e Russia è stata giudicata da buona parte degli osservatori come una nuova importante tappa della nuova Guerra Fredda che contrappone la Russia ai paesi occidentali. La decisione ceca di ridurre il personale diplomatico a Mosca a soli cinque funzionari segna de facto la rottura delle relazioni diplomatiche tra i due paesi slavi (anche se come già in occasione della crisi sul caso Skrypal nel 2017 abbiamo assistito alla fronda del presidente ceco Miloš Zeman, notoriamente filorusso). Si tratta di una situazione non del tutto inedita visto che, come è stato segnalato, ci sono stati già casi del genere nel dopoguerra. Per esempio quando l’Urss ruppe le relazioni diplomatiche con Tirana ai tempi del duro scontro ideologico per la preminenza sul movimento comunista internazionale. Non si tratta del resto dell’unico caso. La Russia non ebbe relazioni fino al 1973 con l’Irlanda (a causa della cooperazione attiva dell’Irlanda con Hitler durante la Seconda guerra mondiale) con la Spagna (le relazioni diplomatiche furono ristabilite solo dopo la morte di Franco) e con il Vaticano.

 

Tuttavia si tratta di un avvenimento che potrebbe avere delle ricadute significative ed effetti a cascata in tutta l’Europa orientale e in primo luogo nei paesi baltici (dove però a rapporti politici pessimi fanno da contraltare relazioni economiche significative soprattutto nei settori del turismo e alimentare) e soprattutto in Polonia e Bulgaria. del resto le ricadute economiche sono già realtà visto che Rosatom, l’agenzia nucleare russa, è stata ora esclusa ufficialmente dalla gara d’appalto per la costruzione di due centrali in territorio ceco.

Riviste d’inchiesta: esplosione di Vrbětice

Se le accuse che sono state lanciate alla Russia si dimostrassero vere, i motivi di un casus belli ci sarebbero veramente tutti. Qualche settimana fa il portale “Bellingcat” (già noto per le sue inchieste sul caso Skypal e sull’avvelenamento di Aleksey Navalny e che fa con una certa probabilità uso di materiali delle intelligence occidentali) in collaborazione con la rivista ceca “Respekt” ha sostenuto che l’esplosione del deposito di munizioni a Vrbětice il 16 ottobre 2014, sarebbe stata opera russa e avrebbe coinvolto almeno sei agenti dell’Unità 29155 del Gru (Glavnoe razvedyvatel’noe upravlenie, il dipartimento esteri di Fsb). L’ampio articolo è ricco di dettagli. Secondo il sito britannico questa azione di diversione sarebbe stata supervisionata personalmente da uno dei comandanti in capo del Gru, il colonnello generale Andrey Averyanov, che si sarebbe recato sotto copertura in Europa centrale nel momento esatto dell’operazione e sarebbe poi tornato a Mosca poche ore dopo l’esplosione. “Bellingcat” ritiene che il generale Averyanov sarebbe “un ufficiale militare di alto rango” che, sulla base dei registri delle telefonate revisionati dalla testata giornalistica, ha una linea di comunicazione diretta sia con il capo del Gru a Mosca e sia con il Cremlino.

 

L’operazione, secondo quanto si apprende da “Bellingcat”, avrebbe coinvolto anche almeno due ufficiali del Gru che si sono recati sotto copertura diplomatica a Budapest, a circa cinque ore di macchina dal deposito di munizioni, poco prima delle esplosioni. Le informazioni sugli spostamenti degli agenti scoperti da “Bellingcat” dimostrerebbero anche che l’operazione era inizialmente probabilmente pianificata per una data precedente, ma sarebbe stata posticipata di circa una settimana, a causa di circostanze sconosciute. L’operazione sembra aver coinvolto diversi viaggi coordinati di membri dell’unità 29155 in Repubblica Ceca attraverso i paesi vicini, nonché una missione di preparazione in Svizzera.

Il coinvolgimento Fsb si allarga a macchia d’olio nella “sua” buffer-zone

L’inchiesta è particolarmente velenosa perché preannuncia altri scoop sulle presunte azioni del Fsb in Bulgaria, i cui rapporti con la Russia sono anch’essi peggiorati recentemente a causa delle “invadenze” russe mettendo in discussione la possibilità che il paese balcanico acquisti nel futuro gas russo via Turkish-stream, come sembrava possibile solo qualche mese fa.

Tuttavia il peggioramento delle relazioni tra i paesi delle cosiddette ex Repubbliche Popolari – mai stati idilliaci dopo il disfacimento della Cortina di Ferro nel 1989 – non può essere imputata semplicemente a una nuova ondata di azioni spionistiche del Cremlino, anzi rappresenta solo forse un assaggio da dare in pasto a un’opinione pubblica occidentale, pronta a vedere nuovamente nel Cremlino “l’impero del male”. Tale dinamica rimanda piuttosto al dipanarsi di una nuova fase politica lungo la linea dei confini con la Russia che può diventare foriera di rischi per la stabilità di un’intera regione.

In primo luogo si tratta della crisi di egemonia della Russia su tutta un’area iniziata negli anni Ottanta, emersa fragorosamente in Polonia ai tempi dell’ascesa di Solidarność e poi proseguita con la decisione dell’amministrazione Gorbaciov (già presa secondo Shevardnadze nel 1986) di abbandonare al loro destino quei paesi dell’Europa centro-orientale che avevano rappresentato per un trentennio una “buffer-zone” fondamentale per la difesa sovietica. Malgrado ciò, dopo il terremoto politico 1989-1991, alcuni dei paesi ex sovietici erano rimasti nell’orbita russa. In primo luogo politicamente, in modo altalenante, ma sicuramente dal punto di vista economico l’Ucraina e lo stesso si può dire, malgrado la sua associazione all’Unione Europea, della piccola Moldavia. E poi sicuramente – la Cuba d’Europa – la Bielorussia di Alexander Lukashenko che resta il principale alleato nella regione ancora oggi e perfino l’Armenia, seppur in modo più defilato. Si è sempre trattato però di relazioni segnate per questi paesi del “Vicino estero” da due elementi “diplomatici” decisivi: a) dalla necessità di avere un approccio realistico, di buone relazioni, con un vicino più potente che tende in qualche modo a costituire dei propri “confini naturali” (pressappoco quelli dell’Impero zarista); b) gli sconti e i sussidi sui prodotti energetici e tutto ciò che vi è connesso, pipeline… che la Russia può garantire.

Benessere petrolifero, furti presunti e crollo del prezzo: ruolo dell’UE al tempo di Biden

Nel primo decennio degli anni Duemila grazie al boom economico al ritmo medio di crescita del Pil del 8% annuo, determinato in primo luogo dall’esplosione del prezzo del petrolio, la Russia putiniana fu in grado di garantire questo quadro di relazioni e anzi riavvicinare in qualche misura paesi ancora più distanti politicamente (la Bulgaria, la Repubblica ceca e perfino l’ultranazionalista Ungheria di Viktor Orbán). Tuttavia a partire dal 2012 e 2013 la ruota è iniziata a girare in senso opposto e la Russia (che comunque resta inchiodata in dodicesima posizione in termini di ricchezza prodotta, un quarto in meno di quella italiana malgrado abbia due volte e mezza la popolazione dello Stivale), ha mostrato evidentemente di non poter più garantire sussidi e sconti. Le crisi politiche a Kiev e a Minsk, possono essere lette, in questo quadro, in chiave economica ancora prima che in chiave politica. La diatriba sul petrolio e gas rubati dagli ucraini già prima dell’uscita di scena di Yanukovich nel 2014 e il doppio gioco sistematicamente operato da Lukashenko nel secondo decennio dei Duemila, ne furono i chiari sintomi (e di cui le sanzioni e la chiusura semiautarchica della Russia dell’ultimo quinquennio ne rappresenta la ricaduta interna). A cui va aggiunto “il tradimento” dello storico alleato serbo, passato armi e bagagli con gli Usa, proprio a partire dalle priorità economiche ancora prima che strategiche, di ritagliarsi uno spazio in Europa.

Questa evoluzione del quadro generale si è andata a incrociare con la nuova postura di politica estera americana, con l’arrivo sulla scena di Joe Biden e il suo tentativo di “ricondurre all’ovile” un fin troppo intraprendente asse franco-tedesco (almeno nella percezione di Washington) di cui abbiamo già parlato sulle pagine di “Ogzero”.

La Germania, nell’ultima fase, ha messo in guardia gli altri paesi europei dal “clamore conflittuale” sulla Russia e si è espressa a favore dello sviluppo di relazioni di buon vicinato con Mosca per quanto Heiko Maas, ministro degli esteri tedesco targato Spd, abbia riconosciuto che i rapporti bilaterali siano “pessimi”. Tuttavia il politologo tedesco Alexander Rahr ritiene che la leadership tedesca potrebbe prima o poi farsi prendere la mano dal desiderio di alcuni paesi dell’Europa orientale di trascinare la Germania in un duro confronto con la Russia. Le prossime elezioni legislative tedesche se vedranno l’ascesa al governo dei Verdi, da sempre più duri con la Federazione che i socialdemocratici, potrebbero dare indicazioni importanti in questo senso.

Guerra Fredda: sanzioni, minacce… il pendolo oscilla a Oriente?

Che il clima in Europa non tenda al bello non c’è proprio bisogno di un meteorologo, per parafrasare Bob Dylan. Il 23 aprile scorso l’ex premier russo Medvedev, ora passato al ruolo di vice di Putin alla Sicurezza nazionale, ha pubblicato un articolo per “Ria Novosti”, in cui riconosce che «negli ultimi anni le relazioni tra Russia e Stati Uniti sono passate di fatto dalla rivalità allo scontro, sono infatti tornate all’era della Guerra Fredda. La pressione delle sanzioni, delle minacce, del confronto dei conflitti, della protezione dei propri interessi egoistici: tutto questo fa precipitare il mondo in uno stato di instabilità permanente».

Dmitry Medvedev

Ha citato però, promo domo sua, un’interessante analogia storica con la crisi dei missili a Cuba nel 1962 che segnò il punto più basso e pericoloso delle relazioni Est/Ovest nel dopoguerra. Allora come oggi gli Usa avrebbero peccato di miopia e avventurismo.
«La politica estera degli Stati Uniti in quel momento – scrive Medvedev – costrinse il nostro paese a reagire di conseguenza. Alla fine degli anni Cinquanta e all’inizio degli anni Sessanta, ciò si è manifestato nel dispiegamento di missili americani in Turchia, Vietnam del Sud e Libano. E nella maldestra politica a Cuba, che ha generato una rivoluzione, e poi nel tentativo di riprendere il controllo dell’Isola della Libertà. E in molti altri modi».

Secondo Medvedev sessant’anni fa gli Usa erano tuttavia in grado di “razionalizzare” le relazioni internazionali mentre «oggi la situazione è un po’ diversa: gli Stati Uniti sono scivolati in una politica estera instabile. Ciò si è manifestato anche nel rifiuto dell’accordo nucleare con l’Iran e il ritiro dal Trattato sui Cieli Aperti». Si tratta di una tesi di fondo della diplomazia russa, quella di una progressiva “perdita della bussola” da parte americana che a Mosca hanno iniziato a propagandare già nell’era Obama. In questo quadro, per Medvedev, è necessario costruire un contrappeso che abbia come baricentro il quadro asiatico. «Dopo il crollo dell’Urss, la parità è scomparsa per un po’. Gli Stati Uniti, avendo vissuto per un decennio e mezzo in un sistema di coordinate, quando nessun altro paese al mondo non solo non aveva un potere paragonabile, ma nemmeno aveva un ipotetico diritto di avere tale potere, hanno semplicemente perso l’abitudine di un dialogo alla pari.
La nuova amministrazione statunitense, ripristinando la sua posizione di governante mondiale e protettrice dell’Occidente collettivo (e allo stesso tempo convincendosi di questo), non ha la forza di ammettere che qualcuno al mondo possa avere capacità infrastrutturali e politico-militari potenzialmente paragonabili a loro. Per esempio, Cina o Russia. Il mondo è congelato nell’incertezza, ma l’Asia lo aiuterà» ha concluso il delfino di Putin.

Da parte russa tutto questo non è nulla di nuovo, si tratta del rilancio dell’ipotesi dell’alleanza semistrategica tra i due paesi ex comunisti in chiave antiamericana. Per ora a Pechino hanno fatto orecchie da mercante all’appello russo, ma non è detto che a medio termine questa alleanza semistrategica, non possa veramente prendere corpo.

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Licenza di espellere https://ogzero.org/colpi-di-scena-e-cambio-di-attori/ Wed, 07 Apr 2021 16:52:30 +0000 https://ogzero.org/?p=2925 L’Intelligence mondiale impegnata in questo periodo nell’adeguamento al nuovo approccio agli Affari internazionali che Biden ha riportato alla contrapposizione del Fronte del Bene all’Impero del Male viene a trovarsi tra le mani dossier scottanti, che sono eredità della arrembante e tatticamente originale dottrina Trump; Yurii Colombo ci ha fornito una serie di chiavi utili per […]

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L’Intelligence mondiale impegnata in questo periodo nell’adeguamento al nuovo approccio agli Affari internazionali che Biden ha riportato alla contrapposizione del Fronte del Bene all’Impero del Male viene a trovarsi tra le mani dossier scottanti, che sono eredità della arrembante e tatticamente originale dottrina Trump; Yurii Colombo ci ha fornito una serie di chiavi utili per inquadrare quella che appare una rinnovata guerra di spie creata apposta per indirizzare messaggi espliciti di allineamento all’interno di una fazione… anche quando la Ostpolitik e gli affari energetici suggerirebbero equidistanza.

Riabituarsi alla banalità dello spionaggio da Guerra Fredda

Il recente caso di spionaggio russo ai danni dell’Italia e della Nato ha riacceso l’attenzione dell’opinione pubblica italiana sui rapporti tra Occidente e Russia. Un’opinione pubblica ormai impreparata a leggere gli avvenimenti internazionali e frastornata dal perdurare della pandemia ha perlopiù commentato in chiave di burla («ma quali segreti mai si venderanno per 5 mila euro?!») e di incredulità quanto successo alla fine di marzo. Se solo avesse letto non qualche spy-story strampalata ma una storia dei servizi segreti internazionali, l’opinione pubblica avrebbe saputo che di queste cifre si è spesso parlato nella storia della compravendita di segreti (anche perché altrettanto spesso di tratta di informazioni di scarso rilievo, antiquate…). Lo ha messo in rilievo Dario Fabbri su Limes on-line e in chiave storica anche chi scrive nella seconda puntata sullo spionaggio russo-sovietico in pubblicazione su Ogzero. Senza rendersi conto della dinamica che da questa estate in poi è in pieno sviluppo (dalle manifestazioni anti-Lukashenko in Bielorussia e dall’avvelenamento di Navalny sui cieli siberiani in sostanza) il “villaggio globale” è stato costantemente sollecitato a prendere parte al rinverdimento della guerra fredda 2.0 che ha ripreso vigore dopo l’elezione di Joe Biden alla presidenza Usa. Nella nostra ipotesi e canovaccio analitico il rilancio, in questa fase in grande stile, del tema dell’“impero del male” russo si basa su elementi di carattere tattico più che strategico. Se il superamento o il rovesciamento di Putin è visto dall’Unione Europea come dagli Stati Uniti come un obiettivo fondamentale (in chiave di accesso al mercato interno postsovietico nel suo complesso e al controllo del flusso delle sue materie prime) nessuna cancelleria occidentale ritiene ragionevolmente che la fine dell’era Putin sia cosa di mesi, malgrado le evidenti fibrillazioni non solo sui suoi confini occidentali (non si dimentichi l’area caucasica e la questione Transnistria oltre alla vicenda Bielorussia a cui per ora è stata posto un rattoppo) ma anche in Siberia. Il vero dibattito tra Berlino e Parigi da una parte e Washington dall’altra è su come sviluppare una crescente pressione sul Cremlino. E qui le divergenze si rivelano non solo di interessi e prospettive di fondo tra l’asse franco-tedesco e americano (che può contare sulle “quinte colonne” baltiche e dell’Europa orientale) ma anche culturali. Da molte parti è stato sottolineato di recente come l’approccio tedesco, storicamente, è spesso stato basato sull’“interdipendenza”.

Il contenimento viene da lontano

Fanteria russa alla Grande Guerra del Nord – L’artigliere stanco

«Gli orizzonti delle diverse linee politiche europee nei confronti della Russia hanno preso forma circa 300 anni fa, quando finì la Grande Guerra del Nord e divenne chiaro che la Russia era saldamente radicata nel Baltico», afferma Martin Schulze-Wessel, professore di Storia dell’Europa orientale all’Università di Monaco. Già allora furono gettate le basi della politica, che più tardi fu chiamata del “contenimento” che trovò nel XX secolo il suo principale interprete negli Stati Uniti d’America e di quella prussiana già allora divisa tra “Occidente”, a cui aspirava, e Impero russo zarista, con il quale non voleva essere nemica. Senza contare che Prussia e Russia avevano la comune aspirazione di indebolire e dividere la Polonia.

L’esperienza di due disastrose guerre mondiali ha rafforzato l’aspirazione delle élite tedesca e sovietica (e poi russa) a politiche reciprocamente vantaggiose piuttosto che conflittuali. L’obiettivo non era – e non è solo – che gli industriali tedeschi facciano profitti, e lo stato sovietico vendesse petrolio e gas all’Occidente. Il punto nodale, da parte tedesca è sempre stato la realizzazione di un mutamento di rotta al Cremlino non con la pressione, come stanno facendo gli Stati Uniti (e come fece per esempio Ronald Reagan quando ipotizzò prima dell’avvento di Gorbaciov delle Guerre stellari) ma rafforzando l’interdipendenza economica tra Europa occidentale e orientale.

Ostpolitik: dal NordStream2 ai fuochi di guerra in Donbass

L’idea di “cambiamento attraverso il riavvicinamento” (Wandel durch Annäherung) fu il motto della “Nuova politica orientale” (Ostpolitik) tedesca, avviata dal cancelliere tedesco Willy Brandt all’inizio degli anni Settanta. Alcune somiglianze con questa politica possono essere viste nell’iniziativa Partnership for Modernization, per la quale l’allora ministro degli Esteri tedesco (attuale presidente) Frank-Walter Steinmeier fece alla fine del primo decennio del 2000.

Anche ora, dopo l’attentato a Navalny, la Germania resta riluttante a compiere passi decisivi, come per esempio l’abbandono del progetto di partnership energetica di North Stream 2, la quale ha una rilevanza non solo economica. Il nuovo gasdotto ha evidentemente un significato: quello strategico e geopolitico, inteso come un’operazione diretta contro la Polonia che verrebbe aggirata a nord. Si tratta di un timore condiviso anche dal presidente ucraino Volodomyr Zelensky che vedrebbe diventare definitivamente obsolete le pipeline russe che ora attraversano il suo territorio e gli garantiscono un’importante rendita economica. La portavoce di Zelensky, Yulia Mendel, ha definito “sorprendente” il dialogo a tre tra Macron, Merkel e Putin rilanciato alla fine di marzo con una lunga riunione online in cui, tra l’altro, si è parlato esplicitamente di Donbass senza coinvolgere la parte ucraina. Successivamente le tensioni sul confine ucraino dopo la ridislocazione delle truppe russe e la dura reazione congiunta di Zelensky-Biden dopo un colloquio durato ben 50 minuti, lasciano presagire che presto tra i due paesi slavi potrebbero persino tornare a battere i tamburi di guerra. Al percorso dei “Protocolli di Minsk” per giungere alla pace nella zona orientale dell’Ucraina del resto non crede più nessuno dopo che il governo di Kiev ha smesso di riconoscere la capitale bielorussa come sede preposta alle trattative per la sua implementazione.

“Nuova guerra in Donbass: consenso interno, equilibri geopolitici e giochi di spie”.

 

Storie di spie tra pipeline contrastate e protocolli stracciati

È in questo quadro che si colloca sia l’accresciuto protagonismo del Gru (Glavnoe razvedyvatel’noe upravlenie), il servizio segreto russo militare, in particolare in Europa, e dell’aumento della soglia di attenzione del controspionaggio dei paesi dell’Unione Europea (anche in chiave propagandistica). Dopo i casi di spie russe scoperte in Austria più recentemente è venuto agli onori delle cronache l’attività dei servizi russi in Bulgaria, un caso assai più significativo di quello tricolore ma completamente – e naturalmente – ignorato dalla stampa italiana. Il 19 marzo scorso è scattata un’operazione in grande stile della polizia di Sofia per neutralizzare “spie straniere”, con perquisizioni in diversi quartier e il blocco di tutte le autostrade interurbane della capitale bulgara. Sono stati arrestati sei cittadini di quel paese che avrebbero costituito nel tempo una “rete di spionaggio” a favore di Mosca. Il gruppo di spie avrebbe fornito costantemente notizie di routine e sarebbe stato posto sotto controllo già dal 2020 e non è da escludere che si sia deciso di interrompere il flusso di informazioni (che avveniva attraverso la moglie russa di uno degli informatori che si incaricava ogni tanto di portare le informazioni all’Ambasciata russa) proprio in corrispondenza della volontà di accrescere la pressione su Mosca. (A proposito: il gruppo riceveva, secondo quanto sostenuto dai funzionari bulgari, circa 2000-3000 leva al mese per spiare le attività del paese ex socialista cioè cica 1000-1500 euro al mese: è davvero un lavoro poco remunerato quello della spia!).

Secondo l’investigatore il giornalista investigativo bulgaro Hristo Grozev che ha lavorato la scorsa estate al disvelamento del caso Navalny ci sarebbe stata una «influenza invisibile di Washington (…) e non è escluso che le informazioni sulle spie possano essere state trasferite ai servizi segreti europei dagli Stati Uniti». Secondo Grozev «scoprire una spia sotto copertura è, prima di tutto, notoriamente un atto politico dimostrativo. Molto spesso infatti l’azione delle spie è ben conosciuta e l’espulsione o l’arresto impedisce l’azione di contrasto per mezzo di notizie false o forvianti. Il secondo si chiama “opportunità politica”. Non bisogna essere degli specialisti del settore per sapere che ogni paese conduce attività di intelligence contro altri paesi. Allo stesso tempo, ogni paese ha obiettivi strategici di natura politica commerciale, economica e internazionale. Ecco perché, se la leadership di un servizio speciale o di un paese riceve informazioni su spie che vendono segreti, allora, prima di tutto, vengono valutati i rischi della distruzione dei piani strategici determinati dall’espulsione dei diplomatici».

In tal caso secondo il portale ucraino Ukrinform, sempre bene informato delle dinamiche dei servizi russi, «sia la parte bulgara che quella italiana avrebbero fatto dei calcoli logici dell’opportunità operativa e politica» per espellere i diplomatici russi. In particolare la scelta italiana sarebbe la diretta conseguenza della linea super-atlantista imposta al suo esecutivo (la definitiva rottura con Putin è stata la condizione essenziale posta alla Lega per entrare nel governo) e segna il definitivo abbandono della politica estera dei “due forni” dell’era tardo guerra fredda dei ministeri Andreotti-De Michelis.

Si tratta di una partita quella della pressione occidentale su Mosca, destinata a durare ancora a lungo e destinata ad avere molti colpi di scena e cambio di attori e di cui la carta dello spionaggio, sarà forse quella meno pesante.

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