intelligence Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/intelligence/ geopolitica etc Sun, 09 May 2021 10:19:38 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 La telenovela e la fuga di notizie, lotta politica a Tehran https://ogzero.org/realta-e-finzione-si-sovrappongono-la-telenovela-e-la-fuga-di-notizie-lotta-politica-a-tehran/ Sun, 09 May 2021 10:19:38 +0000 https://ogzero.org/?p=3421 Quando la politica e la fiction si intrecciano, in un uso strumentale dei mezzi di comunicazione, per uscire vincitori in una lotta di potere tra le diverse correnti del sistema politico iraniano. Marina Forti ci racconta come realtà e finzione si sovrappongono a Teheran, tra arresti, condanne a morte, fughe di notizie pilotate, messaggi lanciati […]

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Quando la politica e la fiction si intrecciano, in un uso strumentale dei mezzi di comunicazione, per uscire vincitori in una lotta di potere tra le diverse correnti del sistema politico iraniano. Marina Forti ci racconta come realtà e finzione si sovrappongono a Teheran, tra arresti, condanne a morte, fughe di notizie pilotate, messaggi lanciati via social e vere e proprie azioni di intelligence.


Pragmatici e riformisti, ortodossi e oltranzisti

Una serie tv e una strana “fuga di notizie” illustrano la furibonda lotta di potere in corso a Tehran, in un momento particolarmente delicato per l’Iran. Infatti, da un lato sono in corso a Vienna difficili negoziati tra l’Iran e le sei potenze mondiali per resuscitare l’accordo sul programma nucleare iraniano firmato nel 2015 – da cui l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump si era ritirato nel 2018 benché l’Iran avesse osservato tutti i suoi obblighi. D’altro lato, il 18 giugno l’Iran eleggerà un successore al presidente Hassan Rohani, che conclude il suo secondo mandato. Le candidature non sono ancora definite, e la competizione tra le diverse correnti del sistema politico iraniano è serrata: i pragmatici al governo con il presidente Rohani, i riformisti, o all’opposto le correnti più ortodosse e oltranziste, le Guardie della rivoluzione, la magistratura (sottotraccia c’è anche la corsa a “posizionarsi” per influenzare la futura successione al leader supremo, l’ottantunenne Ali Khamenei).

I negoziati in corso a Vienna e la battaglia elettorale sono molto intrecciati. E questo ci porta alla serie tv intitolata Gando, dal nome di un coccodrillo delle zone palustri del Sistan Baluchistan, provincia sudorientale dell’Iran.

Gando: il coccodrillo e la spy story

Gando è una spy story in cui eroici agenti del controspionaggio delle Guardie della Rivoluzione combattono agenti stranieri infiltrati fino ai vertici della diplomazia iraniana. Messa in onda dalla tv di stato, la prima stagione è andata in onda nel 2019: sullo sfondo dei negoziati sul nucleare, coraggiosi agenti iraniani smascherano il corrispondente di una famosa testata degli Stati Uniti, in realtà una spia americana. I titoli di testa avvertivano che la fiction era “ispirata a fatti reali”. In effetti il giornalista-spia assomigliava molto a Jason Rezaian, l’ex corrispondente del “Washington Post” a Tehran arrestato nel 2014 e accusato appunto di spionaggio (accuse mai spiegate in modo convincente), condannato dopo un processo a porte chiuse e infine liberato nel 2016 grazie a uno scambio di prigionieri con gli Usa, proprio mentre l’accordo sul nucleare entrava in vigore. Ovviamente la fiction sposa le tesi dell’accusa.

Jason Rezaian, dopo la liberazione

La prima puntata della seconda stagione è andata in onda lo scorso 21 marzo, un giorno dopo Nowruz (il capodanno persiano). Questa volta “i nostri eroi” sventano l’infiltrazione di spie occidentali nei ranghi della delegazione iraniana ai negoziati avvenuti tra il 2013 e il 2015, conclusi con la firma dell’accordo sul nucleare. Una puntata dopo l’altra, gli spettatori scoprono con orrore che tra i massimi negoziatori ci sono agenti stranieri.

Anche nella nuova stagione troviamo “citazioni” esplicite. C’è per esempio un giornalista che ricorda un noto oppositore iraniano residente in Europa, Ruhollah Zam, invitato a Baghdad e là rapito da agenti di sicurezza iraniani, portato in Iran, processato e condannato a morte per spionaggio (fatto reale: la condanna di Zam è stata eseguita lo scorso dicembre).

Ruhollah Zam di fronte ai giudici che lo condanneranno. L’esecuzione è avvenuta il 12 dicembre 2020.

Non solo. I due negoziatori che (nella fiction) fanno il doppio gioco a favore di potenze straniere assomigliano molto a due assistenti del ministro degli Esteri Javad Zarif, che guida la delegazione (reale) ai negoziati. La fiction sembra suggerire che lo stesso capo delegazione sia una spia.

La censura e le accuse

La serie ha suscitato grandi polemiche, poi si è interrotta bruscamente. Pare che il presidente Rohani abbia fatto grandi rimostranze presso il leader supremo. Ora giornali e media legati a settori oltranzisti accusano il governo di aver censurato Gando.

Accusa paradossale, perché Irib, la radiotelevisione statale, costituisce un potere a sé tra le istituzioni della Repubblica islamica. Il suo direttore è nominato direttamente dal leader e non risponde al governo. È un monopolio (non esistono radio e tv private), ed è sempre stata una roccaforte delle correnti più oltranziste. Le voci vicine ai riformisti non vi trovano spazio, che si tratti di artisti, cineasti o intellettuali non allineati. Al governo del moderato Rohani la tv di stato riserva una copertura ridotta e spesso malevola.

Il monopolio della radio e tv di stato però è sempre più insidiato. In primo luogo dalle tv che arrivano via satellite, tra cui diversi canali occidentali in lingua farsi (“Bbc Persian” o “Voice of America” in lingua farsi) che lo stato vieta ma non riesce del tutto a oscurare. Ma non solo dei canali di news, anche la fiction e l’intrattenimento sono terreni di battaglia per imporre una “narrativa”. Le serie tv più guardate per esempio vengono dalla Turchia: più spigliate e professionali, doppiate in farsi in modo molto professionale, sono diffuse da canali satellitari o su piattaforme come Namava, un equivalente di Netflix.

Lo stile aiuta

Dunque una buona fiction è un investimento politico. Gando è più brillante delle solite serie della tv di stato. Ha attori famosi, uno stile tra James Bond e l’ironia di Ncis, è stata girata tra l’Iran e la Turchia, prodotta con grande dispendio di denaro. Sceneggiatore e produttore sono nomi noti. Nel 2019 il giornale (governativo) “Jam-e Jam” aveva scritto che la casa produttrice era finanziata da società delle Guardie della Rivoluzione (nulla di strano: hanno interessi in ampi settori dell’economia iraniana e anche nell’industria culturale). Nel gennaio scorso il ministro Zarif è stato esplicito: «L’intelligence delle Guardie della Rivoluzione ha fatto Gando». La cosa non è stata smentita.

Giornalisti e commentatori vicini ai riformisti o al governo Rohani accusano Gando di travisare la realtà, screditare il governo con false illazioni, gettare fango sui negoziatori che invece hanno lavorato nell’interesse dell’Iran. È ben noto che le correnti più oltranziste della Repubblica islamica, in particolare legate ai militari, hanno osteggiato il negoziato: non potevano impedirlo, perché aveva il beneplacito del leader supremo, ma non l’hanno mai digerito.

Parlare a nuora perché suocera intenda

Sembra che quando Gando è tornato sugli schermi, in marzo, il presidente Rohani si sia lamentato presso il leader per questo attacco subdolo. Così, quando la serie si è interrotta in modo un po’ brusco, giornali e social media vicini ai conservatori hanno accusato il governo. Il produttore, Mojtaba Amini, ha parlato di censura. Un noto commentatore (Pooyan Hosseinpour, su Twitter, 24 marzo) ha ammonito il governo: «Non dimentichiamo il disastro di Dorri-Esfahani, che spiava i negoziatori sul nucleare». Abdolrasoul Dorri-Esfahani era il rappresentante della Banca centrale iraniana nel team negoziale guidato da Zarif tra il 2013 e il 2015; in seguito è stato accusato di passare informazioni riservate a governi stranieri e per questo è stato condannato nel 2017: a molti è sembrata una ritorsione degli oltranzisti furiosi per l’avvenuto accordo. Un avvertimento obliquo? Qualcuno l’ha inteso così: Zarif è avvertito, potrebbe fare la fine di Dorri-Esfahani.

Fatto sta che nei primi giorni di aprile il quotidiano “Vatan-e Emrooz”, allineato su posizioni oltranziste, ha criticato aspramente la diplomazia iraniana per aver accettato di tenere colloqui con gli Stati Uniti in vista del rilancio dell’accordo sul nucleare, in un editoriale di prima pagina dall’eloquente titolo: La terza stagione di “Gando” verrà scritta a Vienna?.

Zarif, il bersaglio

Insomma: Gando è un’operazione politica e il suo target, ancor più che il presidente Rohani, è proprio il ministro degli esteri Javad Zarif.

I motivi sono almeno due. Primo, screditare i colloqui di Vienna – che però di nuovo hanno il beneplacito del Leader (se arriveranno a un esito è ancora incerto, anche se alcuni segnali sono positivi; è chiaro che molti lavorano contro, non solo a Tehran ma anche a Washington e in alcune capitali del Medio Oriente).

Ma il discredito buttato su Zarif ha soprattutto lo scopo di mobilitare la base dei conservatori a fini interni, e premere perché l’organismo di controllo (il Consiglio dei Guardiani) sbarri la strada alla sua possibile candidatura alle elezioni presidenziali del 18 giugno.

Infatti Javad Zarif resta una figura popolare in Iran, proprio perché è stato il volto pubblico di un Iran che si riapre al dialogo, e la sua popolarità sarebbe di sicuro rafforzata se i colloqui di Vienna portassero a far cadere le sanzioni che soffocano l’economia del paese. Anche se Zarif ha sempre escluso di volersi candidare, molti sono convinti che sarebbe la carta migliore per moderati e riformisti, l’unica in grado di sfidare i pronostici che danno vincente lo schieramento opposto. Di più: l’unica capace di mobilitare l’elettorato, di fronte a diffusi propositi di astensione.

È qui che entra in gioco la “strana” fuga di notizie. Una intervista, o meglio: tre ore di conversazione tra il ministro Zarif e un noto giornalista ed economista, Saeed Leylaz, diffusi il 25 aprile da “Iran International”, tv satellitare con sede in Arabia Saudita e a Londra. Il capo della diplomazia parla in modo schietto e critica l’eccessivo ruolo delle Guardie della Rivoluzione nel determinare la politica estera iraniana, scavalcando la diplomazia. Hanno fatto scalpore i passaggi in cui cita le brigate Al Qods, il corpo speciale delle Guardie della Rivoluzione, e il defunto comandante Qassem Soleimani (ucciso da un attacco mirato degli Stati Uniti a Baghdad nel gennaio 2020).

La fuga di notizie

Chi ha diffuso quella registrazione, per di più facendola arrivare a un canale tv “avversario”? Tre giorni dopo la devastante fuga di notizie, un infuriato presidente Hassan Rohani ha dichiarato durante una riunione di gabinetto (trasmessa dalla tv) che quella conversazione era confidenziale, fa parte di un progetto di storia orale a cui sta lavorando il Centro di ricerche strategiche affiliato alla presidenza della repubblica. Ha aggiunto che diffondere quei brani è stato un gesto irresponsabile che mira a far deragliare i colloqui in corso a Vienna per rilanciare l’accordo sul nucleare e rimuovere le sanzioni contro l’Iran. E ha annunciato un’indagine: «il ministero dell’Intelligence dovrà usare tutte le sue abilità per scoprire come sia successo». (A quanto pare anche l’intelligence delle Guardie della rivoluzione, separata e spesso concorrente a quella del governo, ha aperto la sua indagine.)

Intanto tutto lo schieramento conservatore ha lanciato attacchi feroci contro il ministro degli Esteri, chiedendo che si scusi per le affermazioni “sacrileghe” su Soleimani, o meglio ancora si dimetta.

Ovviamente diversi media hanno citato solo questa o quella frase. Chi ha ascoltato per intero quelle tre ore di audio (tratte da una conversazione di sette ore) riferisce che Zarif non fa affermazioni del tutto nuove. Riferisce precisi episodi in cui le Guardie della Rivoluzione hanno preso iniziative non coordinate. Dice che la Russia avrebbe preferito far fallire i negoziati sul nucleare (per mantenere l’Iran nella sua sfera d’influenza), e le Guardie della Rivoluzione hanno cercato l’aiuto russo per lo stesso scopo.

Zarif racconta che sei mesi dopo l’entrata in vigore dell’accordo sul nucleare è venuto a sapere dal suo omologo John Kerry (allora segretario di stato Usa) che l’Iran aveva intensificato l’invio di aiuti a Damasco usando i voli di Iran Air, con evidente danno per la posizione negoziale iraniana, al punto di scoprire dalla tv che il presidente siriano Bashar al-Assad era in visita a Tehran (era il febbraio 2019, e in effetti quella volta Zarif diede le sue dimissioni – rifiutate da Rohani: «quel giorno compresi che se non mi dimettevo… nessuno più mi avrebbe preso sul serio», dice in quella conversazione confidenziale).

La politica delle cannoniere

Il ministro degli Esteri rivendica però i suoi buoni rapporti con Soleimani, che incontrava spesso, e proclama la sua fedeltà al sistema della Repubblica islamica. Ricorda che le linee di politica estera vengono definite dal Consiglio di sicurezza nazionale, in cui sono rappresentate diverse istituzioni tra cui i militari, e sanzionate dal leader supremo: però poi i militari prendono iniziative proprie. Secondo Zarif, vedono le relazioni internazionali “con lenti da guerra fredda”: «pensano che chi è forte sul piano militare sia anche forte sulla scena internazionale… perseguono la politica delle cannoniere. Non credono che anche l’economia, e la diplomazia, e la solidarietà nazionale possano renderci più forti». (Secondo la corrispondente del “Financial Times”, dalle parole di Zarif emerge chiaro che chi detiene davvero il potere a Tehran sono i militari).

Il 2 maggio il leader in persona è intervenuto a criticare i giudizi dati da Zarif in quella registrazione, pur senza nominarlo: «non dobbiamo fare commenti che evocano quelli del nemico»; questo è “un grave errore” che «un alto funzionario dello stato non dovrebbe commettere». Poche dopo il ministro degli Esteri, in un post su Instagram, ha precisato che le sue parole volevano offrire in modo “onesto” il suo punto di vista, si scusa se hanno “contrariato” la massima autorità e ringrazia il leader per aver “messo fine al dibattito”.

Un noto esponente riformista, Abbas Abdi, ha scritto che le rivelazioni «avranno il sicuro effetto di impedire la candidatura di Zarif». Aggiunge però che danno un ritratto degli oltranzisti come degli irresponsabili, e dei riformisti come deboli, quindi in ultima istanza non beneficiano proprio nessuno. Certo descrivono una lotta di potere senza esclusione di colpi.

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Dietro le quinte: storia di spie e servizi segreti in Russia https://ogzero.org/ruolo-dei-servizi-segreti-russi/ Tue, 02 Mar 2021 10:00:17 +0000 https://ogzero.org/?p=2533 Inauguriamo una serie di interventi di Yurii Colombo che approfondiscono il ruolo dei servizi segreti russi, la loro trasformazione nel tempo dal Kgb all’odierno Fsb, gli agenti passati alla storia, i segreti di stato della polizia politica che hanno protetto lo zarismo e assicurato la sopravvivenza dei vari regimi susseguitisi in Russia fino al crollo […]

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Inauguriamo una serie di interventi di Yurii Colombo che approfondiscono il ruolo dei servizi segreti russi, la loro trasformazione nel tempo dal Kgb all’odierno Fsb, gli agenti passati alla storia, i segreti di stato della polizia politica che hanno protetto lo zarismo e assicurato la sopravvivenza dei vari regimi susseguitisi in Russia fino al crollo dell’Unione Sovietica. Si parlerà del rapporto tra la Lubianka e Putin nella Federazione di oggi, della politica degli avvelenamenti e dell’influenza dei servizi nella politica estera del paese. Questa è la prima puntata.


Kgb: la polizia politica dello zar dai poteri illimitati

L’antenato del Kgb (Komitet gosudarstvennoy bezopasnosti – Comitato per la sicurezza dello stato), il temutissimo servizio segreto sovietico, poi ribattezzato dopo il 1991 Fsb, fu istituito da Ivan il Terribile nel 1565 e operò per solo 7 anni con nome di Opričnina (il ricordo di questa “guardia scelta” è stato rinverdito in chiave fantasmagorica e futurista recentemente nel romanzo La giornata di un opričnik di Vladimir Sorokin). Tuttavia perché in Russia si formasse il primo servizio segreto moderno, l’Ochrana, si dovette aspettare il 1881 quando dopo l’attentato allo zar Aleksander II a cui prese parte anche il fratello di Lenin, Aleksander Ul’janov, a corte ci si accorse che lo sviluppo di organizzazioni rivoluzionarie in tutto il paese rischiava di sommergere l’Impero. L’Ochrana, come è stato sottolineato nell’ormai classica storia del Kgb scritta da Christopher Andrew e Oleg Gordievskij fu l’unica organizzazione di spionaggio nell’Europa di quel tempo con poteri praticamente illimitati e un’ampia sfera di attività mentre le altre forze di polizia europee (ancora per poco!) operavano nel rispetto della legge. In fatto di crimini politici aveva il diritto di investigare, incarcerare ed esiliare di propria iniziativa e senza alcun controllo dei vertici dello stato. La differenza fondamentale tra la Russia e il resto d’Europa, scrisse nel 1903 Pëtr Struve, un marxista “legale” poi convertito al liberalismo, era «il potere assoluto della polizia politica a cui lo zarismo affidava la propria sopravvivenza», una caratteristica che, guarda caso, sembra si sia tramandata, come vedremo, fino ai nostri giorni

Volontà del Popolo

Ochrana: “Misure attive” e “azioni speciali”

La spia più celebre che l’Ochrana riuscì a reclutare fu Roman Malinovskij, deputato alla Duma di stato per i bolscevichi e uno dei bracci destri di Lenin. Un ruolo particolare all’interno della struttura dell’organizzazione ma anche nell’economia della nostra riflessione sui servizi in Russia fu rappresentato dal quartier generale dell’Agenzia Estera dell’Ochrana (la Zagraničnaja Agentura), che fu istituita per sorvegliare gli emigrati politici e guidata da Pëtr Račkovskij (il probabile compilatore dei Protocolli dei Savi di Sion). Infatti come successivamente il Kgb e il Fsb, la Zagraničnaja Agentura ebbe sempre un ruolo fondamentale non solo per le raccolte delle informazioni, ma anche nell’attuazione di “misure attive” programmate per influenzare i governi stranieri e l’opinione pubblica, oltre che “azioni speciali” come, per esempio, quella del 1886 in cui gli uomini di Račkovskij fecero saltare a Ginevra la tipografia della “Volontà del Popolo”, la più famosa delle  organizzazioni populiste, riuscendo a far sembrare l’attentato come l’opera di rivoluzionari delusi. Račkovskij non si limitò nella sua carriera solo alla raccolta delle informazioni segrete e alle “misure attive”, ma cercò anche di influenzare la politica estera russa. Quando giunse a Parigi nel 1884, era già un convinto sostenitore di un’alleanza con la Francia. Un’autonomia politica che invece verrà a mancare ai servizi nell’epoca di Stalin quando furono ferreamente diretti dall’alto.

Pëtr Ivanovič Račkovskij

La Čeka e il destino degli accusati

Dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi nell’ottobre del 1917, la creazione del “Comitato straordinario di tutte le Russie e per combattere la controrivoluzione e il sabotaggio” meglio conosciuta con l’acronimo di Čeka (poi Gpu-Ogpu-Nkvd) venne affidata a uno dei duri della vecchia guardia leninista, Felix Dzeržinskij (membro della socialdemocrazia lituana dal 1895). Nel suo discorso di investitura il rivoluzionario russo chiarì subito i suoi intenti: «Non pensate che io cerchi forme di giustizia rivoluzionaria; in questo momento non è di giustizia che abbiamo bisogno. Adesso è questione di guerra faccia a faccia, di lotta all’ultimo sangue. O vita o morte! Io propongo, anzi, esigo, un organo per la resa rivoluzionaria dei conti con i controrivoluzionari». Nella logica della guerra civile il terrore rosso si poneva il compito di sterminare «la borghesia intesa come classe. Nel corso delle indagini, non cercate di dimostrare che il soggetto ha detto o fatto qualcosa contro il potere sovietico. Le prime domande che dovete porvi sono: a quale classe appartiene? Qual è la sua origine? Quali sono la sua cultura e la sua professione? Le risposte a queste domande devono determinare il destino dell’accusato». Negli anni della guerra civile, ma ancora fino agli anni Trenta, la Čeka più che svolgere attività di intelligence operò piuttosto quindi nel campo della pura repressione e secondo alcune fonti le esecuzioni eseguite dai suoi uomini tra il 1917 e il 1921 furono circa 250.000. Successivamente – negli anni  Venti – le funzioni dei servizi sovietici si limitarono essenzialmente al collegamento con i vari partiti del Comintern, nel tentativo di sviluppare la tanto sperata rivoluzione internazionale. Con risultati scadenti, a dire il vero, visto il fallimentare tentativo di putsch rivoluzionario in Germania del 1923.

Gpu-Nkvd: la struttura informativa contro ogni tipo di opposizione

Fu solo con l’ascesa di Stalin che la struttura informativa, prima sotto la direzione di Genrich Jagoda e poi di Lavrentij Beria, divenne scientifica ed efficiente. La necessità di portare avanti una lotta spietata contro ogni tipo di oppositori e sabotatori della pianificazione industriale e agricola (questi ultimi  perlopiù di fantasia) condusse la Gpu-Nkvd a costituire una fittissima rete di informatori in ogni piega della società favorendo la delazione di massa e un clima di sospetto in tutta il paese. Furono milioni le persone che dal 1929  fino al 1953 soffrirono nei GULag (i campi di lavoro forzato creati in tutta l’Unione Sovietica a partire dal 1930) e centinaia di migliaia i cittadini sovietici che furono passati per le armi in quanto “nemici del popolo”. Ma la vera opera di spionaggio, di raccolta delle informazioni e e di provocazione per come lo si intende oggigiorno fu realizzato dalla Gpu-Nkvd all’estero. Il primo grande filone a cui furono adibiti gli agenti stalinisti era quello di controllare la variegata emigrazione controrivoluzionaria bianca concentrata fondamentalmente a Parigi (mentre quella menscevica visto che la buona parte dei suoi quadri era di origine ebrea aveva abbandonato l’Europa per raggiungere gli Stati Uniti). Qui i servizi segreti russi nel 1930, grazie all’aiuto della mezzo soprano Nadežda Plevitskaja, portarono a segno il sequestro e l’uccisione di Aleksander Kutepov un generale che durante la guerra civile russa era stato ai comandi del generale Denikin in Siberia e nella capitale francese era uno dei più attivi organizer della diaspora controrivoluzionaria. Ma lo sforzo maggiore compiuto dalla Gpu-Nkvd in quegli anni fu rivolto a vanificare i tentativi delle formazioni comuniste eretiche collegate a Lev Trockij di stabilizzarsi in Occidente.

Genrich Grigorijewitsch Jagoda

Stalin contro il pericolo del trockijsmo europeo

Il timore principale di Stalin – secondo  Gordievskij – inizialmente fu legato alla crescita di influenza del Partido Obrero de Unificacion Marxista (Poum) spagnolo nella guerra civile spagnola. Questa formazione marxista pur non essendo ortodossamente trockijsta, era ferocemente antistalinista e avrebbe potuto rappresentare soprattutto in Catalogna repubblicana, una base logistica per il trockijsmo europeo. Per stroncare il Poum il capo della Nkvd Jagoda spedì in Spagna gli uomini di Aleksander Orlov che si erano già mostrati efficienti ed efficaci in Russia. Questi ultimi ricevettero carta bianca dal punto di vista operativo dal Cremlino anche rispetto a Togliatti che dirigeva politicamente le attività del Comintern in Spagna, organizzando una caccia spietata ai dissidenti comunisti e anarchici che raggiunse il suo apice con l’assassinio di uno dei pionieri del comunismo spagnolo, Andreu Nin, nel 1937. La campagna per debellare il trockismo proseguì con l’uccisione a Parigi del figlio di Trockij, Leon Sedov, del segretario della Quarta Internazionale, il tedesco Rodolf Klement, ma soprattutto di Ignass Reiss (Porecki) un agente segreto sovietico a Parigi che disgustato dai metodi di Stalin aveva deciso di raggiungere il campo dell’antistalinismo militante. Il 5 giugno 1937 Juliette Stuart Poyntz, americana, agente delusa dell’Nkvd subì una sorte simile: uscita dalla sua camera alla Women’s Association Clubhouse di Manhattan non fu mai più vista. Si ebbero in seguito le prove che era stata attirata in un agguato mortale dal suo ex amante russo, Šačno Epstein, anch’egli agente dell’Nkvd. Il corpo della donna fu seppellito dietro un muro di mattoni in un caseggiato del Greenwich Village.

La diaspora delle spie

Un altro agente che aveva defezionato denunciando lo stalinismo Walter Krivickij ed era fuggito negli Usa fu raggiunto e assassinato a Washington dagli agenti della Nkvd nel 1941. Potrà sembrare un caso, ma non lo è, ma le spie sovietiche di questa generazione erano per lo più di origine ebraica e provenivano dalle “colonie” interne dell’Urss come la zona orientale della Polonia e quella occidentale dell’Ucraina. Si trattava per lo più di giovani mosse nella loro pericolosa attività dal più intrepido idealismo. Una di questi, il leggendario Leopold Trepper, creerà poi in Francia e in Belgio la celeberrima rete di informazione antinazista Orchestra rossa che con la sua sistematica raccolta di informazioni sui progetti militari del Terzo Reich, fornirà un decisivo sostegno allo sforzo bellico sovietico durante la guerra mondiale.

Agenti doppi e defezioni

Nel campo occidentale un ruolo particolare fu giocato poi dai “cinque di Cambridge”, una struttura spionistica sovietica in Gran Bretagna creata da Kim Philby un rampollo della aristocrazia britannica che a partire dal 1938 era stato reclutato allo spionaggio  sovietico nella prestigiosa università dall’agente segreto del Kgb Alice (Litzi) Friedmann. Philby riuscì a mimetizzarsi a lungo nel ruolo di agente doppio e a defezionare in Urss nel 1963, diventando un’icona internazionale, al punto che nel 1990 in Urss gli venne persino dedicato un francobollo.  

La rete più importante dell’intelligence russa del periodo tra le due guerre fu comunque quella organizzata per l’assassinio di Trockij in Messico nel 1940. Facendo conto su basi a Madrid, Parigi, New York, Istanbul e Città del Messico, la Nkvd riuscì a infiltrare alla testa del coordinamento della Quarta Internazionale europea l’agente e antropologo Mark Zborowski (alias Etienne) che aiuterà poi Ramon Mercader, l’autore materiale dell’omicidio, a entrare in contatto e far invaghire una delle segretaria di Trockij, Sylvia Ageloff, e infine penetrare nel piccolo fortino in cui viveva l’ex capo dell’Armata Rossa. Questa almeno è la ricostruzione ufficiale. Alcune delle ricerche nel secondo dopoguerra in realtà hanno messo in discussione questa versione considerandola semplicistica. In realtà Zborowski sarebbe stato un agente doppio, legato anche all’Fbi (visse negli Usa fino alla morte avvenuta nel 1990 senza tanti problemi) mentre Ageloff sarebbe stata anch’essa un’agente dell’Nkvd infiltrata nel movimento trockista già dal 1938. In questa operazione giocarono un ruolo fondamentale ben più dello stesso Mercader (e di sua madre Caridad anch’essa agente di Stalin) Naum Ėjtingon (detto Tom) e Pavel Sudoplatov, due agenti di copertura che non tradiranno mai il potere sovietico e moriranno tranquillamente nei loro letti di Mosca. Sodoplatov negli anni Novanta pubblicò anche le sue memorie che vennero tradotte in gran parte delle lingue del mondo, in cui sostenne – nell’imbarazzo generale – di aver trattato nel 1941 su ordine di Beria con la Germania – attraverso l’ambasciata bulgara – la cessione di significative quote di territorio sovietico in cambio dell’armistizio.

Il bunker sovietico 42 costruito a Mosca durante la Guerra Fredda (foto di A. Chubykin)

In un quindicennio che va dal 1930 alla fine della guerra, la macchina informativa e repressiva della Čeka-Gpu-Nkvd aveva quindi affinato i suoi strumenti e riportato importanti successi. Dopo il 1945 – da quando scenderà la cortina di ferro sull’Europa – l’Urss affinerà i suoi metodi di investigazione per la selezioni dei suoi quadri nel suo lavoro interno e all’estero diventando sotto l’acronimo di Kgb, uno delle organizzazioni di intelligence tra le più temute del mondo.

Ma di questo vi parleremo nella prossima puntata.

Letture consigliate:

Christopher Andrew, Vasili Mitrokhin, The Mitrokhin Archive: The KGB in Europe and the West (Penguin, 2018)

Andrei Soldatov, Irina Borogan, The Compatriots: The Brutal and Chaotic History of Russia’s Exiles, Emigrés, and Agents Abroad (PublicAffairs, 2019)

Pavel Sudoplatov, Spezoperazii. Lubjanka e Kreml’ 1930-1950 gody (Olma-Press, 1997)

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