Indonesia Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/indonesia/ geopolitica etc Mon, 20 Sep 2021 16:55:09 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 L’influenza russa nel Sudest asiatico passa per le armi https://ogzero.org/l-industria-bellica-di-mosca-e-il-sudest-asiatico/ Wed, 21 Jul 2021 17:04:12 +0000 https://ogzero.org/?p=4340 L’attenzione prestata da OGzero nei mesi scorsi alla vicenda birmana e all’intero Sudest asiatico e i molti interventi da noi ospitati riguardo alla strategia geopolitica russa ci hanno indotto a riprendere oggi questo interessante articolo scritto da Agnese Ranaldi per l’Associazione Italia-Asean il 9 luglio, perché segnala sforzi, difficoltà, offerte e penetrazioni di mercati da parte […]

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L’attenzione prestata da OGzero nei mesi scorsi alla vicenda birmana e all’intero Sudest asiatico e i molti interventi da noi ospitati riguardo alla strategia geopolitica russa ci hanno indotto a riprendere oggi questo interessante articolo scritto da Agnese Ranaldi per l’Associazione Italia-Asean il 9 luglio, perché segnala sforzi, difficoltà, offerte e penetrazioni di mercati da parte dell’industria bellica di Mosca che ci sembra possano compendiare e integrare le analisi sui traffici che si stanno compiendo in quell’area. Riproponiamo questo articolo nei giorni in cui cinque clienti stranieri hanno già inviato delle offerte per l’acquisto del nuovo caccia russo Su-57 di quinta generazione: l’annuncio del direttore di Rosoboronexport, Aleksandr Mikheev, è stato diffuso in occasione del salone dell’aeronautica di Mosca Maks-2021. Lasciamo a voi, dopo la lettura di questo articolo, la risposta su quali siano i 5 clienti della società per l’export militare di Putin che hanno opzionato il nuovo caccia da guerra.


All’inizio del mese di luglio del 2021 il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha incontrato l’omonimo laotiano Saleumxay Kommasith a Vientiane, capitale del Laos. Il Ministro Kommasith ha ringraziato la Russia per l’aiuto ricevuto durante la pandemia da Covid-19. L’incontro si innesta nel quadro della più ampia politica Turn to the East perseguita da Mosca come strategia per rafforzare le relazioni con l’Asia-Pacifico, che si impernia sul primato russo nella vendita di armi e negli investimenti difensivi. Strategia che proprio di recente ha visto sviluppi in Laos, con l’avvio della costruzione congiunta di un aeroporto e di infrastrutture difensive.

Vladimir Putin riconosce nel Sudest asiatico un grande potenziale, e avanza i propri obiettivi strategici puntando sulla diplomazia della difesa. Questa enfasi sull’hard power è  una peculiarità della politica estera del Cremlino, la cui cultura politica valorizza meno la pervasività del soft power. Secondo diversi analisti, sono proprio le velleità geostrategiche e gli imperativi di sicurezza di Mosca che hanno consentito un rafforzamento della cooperazione con la regione dell’Asia-Pacifico.

Negli ultimi anni Mosca ha intensificato gli sforzi per la vendita di armi in Asia orientale. Il primato incontestato nella vendita di forniture militari nella regione sembra mostrare, però, segni di cedimento. Le esportazioni sono in declino, perlopiù per via del Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act (Caatsa), approvato nel 2017 dall’amministrazione Trump. Davanti al continuo coinvolgimento della Russia nelle guerre in Ucraina e Siria e alla sua interferenza nelle elezioni statunitensi del 2016, la reazione di Washington non si è fatta attendere: la legge impone sanzioni a chiunque abbia rapporti commerciali col complesso militare-industriale russo. Nel periodo 2015-19, le esportazioni di armi della Russia nella regione dell’Asia sudorientale ammontavano a 2,7 miliardi di dollari, in calo rispetto 4,7 miliardi di dollari del 2010-14, secondo Ian Storey dell’Institute for Southeast Asian Studies (Iseas). Tra il 2010 e il 2019 anche le esportazioni globali della Russia sono diminuite, scendendo da 36,8 miliardi di dollari nel 2010 a 30,1 miliardi di dollari nel 2019 con un calo del 18 per cento.

I paesi del Sudest asiatico rivestono un ruolo strategico. La crescita della spesa nazionale per la difesa è andata di pari passo con lo sviluppo economico. «Le armi sono affluite nel Sudest asiatico negli ultimi anni in parte perché le nazioni dell’Asean possono ora permettersi di acquistarle» ha dichiarato Siemon Wezeman, ricercatore presso lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri). Il commercio con la Russia presenta diversi vantaggi: i prezzi delle armi russe sono decisamente più competitivi di quelli dei concorrenti quali Usa, Cina ed Unione Europea. In più «La Russia è flessibile sui metodi di pagamento diversi dai contanti, il che le dà un vantaggio nelle economie in via di sviluppo», ha affermato Shinji Hyodo, direttore degli studi politici presso l’Istituto Nazionale Giapponese per gli Studi sulla Difesa. Per esempio, l’Indonesia dovrebbe pagare metà del suo pagamento per i jet Su-35 con esportazioni di olio di palma, gomma e altri prodotti. Ma il vero vantaggio strategico è il fatto che Mosca non richiede alcuna contropartita ideologica, al contrario di quanto accade con Stati Uniti ed UE, che richiedono garanzie sul trattamento dei diritti umani e sulla democrazia. A questo proposito, il Myanmar non può importare armi dall’UE per via di un embargo in vigore già dal 1990 e anche in Thailandia il colpo di stato militare del 2014 ha provocato restrizioni da parte dei fornitori europei.

Vietnam e Myanmar sono invece le principali destinazioni di armi russe, seguite da Malaysia, Indonesia e Laos. In Vietnam la Russia domina il 60 per cento delle importazioni per la difesa. In Myanmar il ruolo di fornitore di armi è oggi particolarmente controverso, a causa del recente colpo di stato militare. Il mese scorso una delegazione russa ha visitato segretamente la giunta militare golpista, tra le proteste degli attivisti per i diritti umani. Tra gli altri membri della delegazione anche una rappresentante di Rosoboronexport – agenzia statale che si occupa di esportazioni di beni e servizi legati alla difesa. Il Generale golpista birmano Min Aung Hlaing ha ricambiato la visita il 22 giugno, a riprova che la cooperazione militare tra i due paesi non sembra mostrare segni di cedimento. Anzi: la Russia è stata tra i paesi che alle Nazioni Unite si sono astenuti alla risoluzione assembleare che richiedeva un embargo sulle armi in Myanmar: Russia e Cina sono infatti i due maggiori fornitori di armi del paese.

I paesi della regione si stanno ritagliando un ruolo autonomo dell’arena politica internazionale, e i vantaggi competitivi rappresentati dalla Russia potrebbero essere surclassati da calcoli diversi. All’urgenza di gestire questioni securitarie come il Myanmar e il Mar Cinese meridionale, si aggiunge il desiderio di tutelare la stabilità regionale e il quieto vivere dei suoi abitanti. La diplomazia della difesa del Cremlino dovrà diversificare la sua offerta di beni e servizi legati alla difesa se vorrà competere con l’aumento della concorrenza internazionale.

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La politica estera europea guarda a Oriente https://ogzero.org/la-politica-estera-europea-guarda-a-oriente/ Wed, 14 Oct 2020 19:58:13 +0000 http://ogzero.org/?p=1516 Quando il presidente cinese Xi Jinping visitò Berlino nel marzo 2014, Angela Merkel lo omaggiò di una ristampa tedesca della mappa realizzata dal cartografo francese Jean-Baptiste Bourguignon d’Anville nel 1735 sulla base del precedente lavoro dei gesuiti francesi che, durante il regno dell’imperatore Kangxi dei Qing (1661-1722), furono incaricati di mappare per la prima volta […]

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Quando il presidente cinese Xi Jinping visitò Berlino nel marzo 2014, Angela Merkel lo omaggiò di una ristampa tedesca della mappa realizzata dal cartografo francese Jean-Baptiste Bourguignon d’Anville nel 1735 sulla base del precedente lavoro dei gesuiti francesi che, durante il regno dell’imperatore Kangxi dei Qing (1661-1722), furono incaricati di mappare per la prima volta con criteri scientifici l’estensione territoriale del Celeste Impero.

Il pennuto di D’Anville senza coda né zampe

A quasi tre secoli di distanza, il valore storico della Carte générale de la Chine Dressée sur les Cartes particulières que l’Empereur Cang-hi a fait lever sur les lieux par les Jésuites missionaires dans cet Empire assume sfumature geopolitiche. Anziché un gallo, la Cina di d’Anville è un pennuto senza coda né zampe: le parti mancanti corrispondono, a nordovest, alle attuali regioni autonome del Xinjiang e del Tibet e, a sudest, al Mar Cinese Meridionale, teatro di schermaglie territoriali tra il gigante asiatico e i vicini rivieraschi. Un colore diverso definisce implicitamente le isole di Taiwan e Hainan come realtà distinte.

Rotte commerciali marittime “libere e sicure”

Durante quello stesso incontro, la cancelliera tedesca, citando il “diritto internazionale”, invitò la Cina «a risolvere le dispute territoriali» nelle «corti multinazionali» al fine di «mantenere le rotte commerciali marittime libere e sicure». Chiaro riferimento alla sentenza con cui nel 2016 il Tribunale internazionale dell’Aja contestò i diritti storici rivendicati da Pechino nel Mar Cinese Meridionale, accogliendo la richiesta delle Filippine.

Gli ammonimenti della Merkel sono stati codificati all’inizio di settembre, quando la Germania ha annunciato ufficialmente le nuove linee guida per la politica estera nell’Indo-Pacifico, concetto inaugurato negli anni Venti proprio da un tedesco – il geografo Karl Ernst Haushofer – ripreso nel 2007 dall’ex premier giapponese Shinzo Abe, e rilanciato dieci anni più tardi dall’amministrazione Trump.

L’Indo-Pacifico è un concetto politico variabile

In termini puramente geografici, per Indo-Pacifico si intende una regione biogeografica oceanica che comprende le zone tropicali e subtropicali dell’oceano Indiano e della parte occidentale dell’oceano Pacifico a est, fino alle Hawaii e all’Isola di Pasqua. Ma la sua interpretazione politica cambia da paese a paese. Per Washington, parlare di Indo-Pacifico serve a ridimensionare il ruolo della Cina e della Belt and Road per dare maggiore centralità agli alleati regionali – Australia, Giappone e soprattutto India – in materia di sicurezza e scambi commerciali, con malcelate finalità protezionistiche. E per Berlino? Sfogliando il corposo fascicolo (quasi settanta pagine), si nota l’intenzione di «rafforzare lo stato di diritto e i diritti umani» ma anche e soprattutto l’impegno a «evitare la dipendenza unilaterale [dalla Cina] diversificando le partnership».

L’Europa volge lo sguardo a Oriente, specialmente la Germania

Riconoscendo il valore economico e geopolitico dell’Indo-Pacifico – dove ha sede il 60% della popolazione e un terzo del commercio mondiale – la Germania sfrutta il riposizionamento nel quadrante per rilanciare il multilateralismo e il libero scambio, invocando un dialogo europeo con la NATO e gli attori regionali: Giappone, Corea del Sud, India (citata ben 57 volte) ma anche l’ASEAN, l’organizzazione politica, economica e culturale che riunisce 10 nazioni del Sudest asiatico. La sigla comprende i principali avversari di Pechino nel Mar Cinese Meridionale: Vietnam, Malaysia, Brunei, Filippine e Indonesia. Come sottolinea l’Associazione Italia-ASEAN, è una visione che la Germania punta a trasmettere a livello comunitario, come traspare dal Trio Program formulato dalla presidenza del Consiglio dell’Unione europea, che Berlino lascerà il 31 dicembre al Portogallo e in seguito alla Slovenia.

Mentre le linee guida tedesche segnano un ritorno della prima economia europea tra le Gestaltungsmächten (le “shaping powers” ) – dopo il ridimensionamento militare cominciato alla fine della Guerra Fredda – e un avanzamento in Asia – dopo le distrazioni russe nell’Europa orientale – la Germania non è l’unico paese del Vecchio Continente ad aver voltato lo sguardo a Oriente. Nel 2019, la Francia ha riconosciuto ufficialmente l’importanza della regione con la pubblicazione di un documento programmatico che ne esalta la centralità economica, il peso demografico e la ricchezza di risorse naturali ed energetiche. Anche Parigi parla di “libero commercio”, “multilateralismo” e di un “ordine multipolare”. Ma la svolta indo-pacifica della Germania ha un valore simbolico inedito trattandosi del primo paese “extra-regionale” ad aver formulato una propria strategia, laddove gli interessi francesi sono sostenuti da una presenza fisica massiva.

Come ricorda il documento fin dalle prime righe alludendo ai possedimenti d’oltremare, «il 93% della zona economica esclusiva (ZEE) [della Francia] si trova nell’Oceano Indiano e nel Pacifico, un’area che ospita 1,5 milioni di cittadini francesi e 8000 soldati». La conferma della sovranità sulla Nuova Caledonia – dove è presente la più importante base militare francese del Pacifico – consolida la presa tentacolare di Parigi nella regione, fugando i timori di quanti temevano che un divorzio dalla madrepatria avrebbe lasciato l’arcipelago ricco di nickel in balia della Cina. Mentre l’Indo-Pacific Defense Startegy auspica a chiare lettere maggiori sinergie con Stati Uniti, Giappone, Australia e India, si moltiplicano i segni di un maggior coordinamento anche sul versante europeo.

Francia e Gran Bretagna nel Mar Cinese Meridionale: l’unione fa la forza

Nell’aprile 2017, la missione francese Jeanne d’Arc ha guidato attraverso il Mar Cinese Meridionale una spedizione composta da 52 membri della Royal Navy britannica, 12 ufficiali di varie nazionalità europee e un funzionario UE.  «Visione e valori condivisi» rendono la Gran Bretagna un partner naturale di Parigi. In futuro lo sarà sempre di più. Secondo gli esperti, la minaccia di un no deal con l’Unione europea spingerà gli interessi di Londra anche più a Est. In fondo, si tratterebbe di resuscitare quanto seminato in cinque secoli di colonialismo britannico. Ma il governo di Boris Johnson non sembra volersi fermare qui. L’avvio di trattative per una possibile adesione alla Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership – l’ex TPP da cui l’America di Trump si è sfilata nel 2017 – ha coinciso con l’emergere di indiscrezioni sulla presunta decisione di inviare, per la prima volta, una delle due portaerei britanniche nella regione. Verosimilmente anche nel Mar Cinese Meridionale. Certo, un maggiore dinamismo economico richiede maggiore stabilità e sicurezza. Ma non giova che l’attivismo militare di Londra giunga proprio mentre Hong Kong e il 5G attentano alla longevità dei rapporti con Pechino. Per contenere lo strappo, le potenze europee paiono aver adottato una vecchia tecnica: in Cina si dice «yī gēn kuàizi róngyì zhé, yī bǎ kuàizi nán zhéduàn». Da noi, semplicemente, «l’unione fa la forza».

Questa non è una Zee

Poco dopo l’annuncio delle linee guida tedesche, nel mese di settembre Germania, Francia e Gran Bretagna hanno rilasciato un comunicato congiunto per denunciare le operazioni dell’Esercito popolare di liberazione nel Mar cinese meridionale. La nota, presentata alle Nazioni Unite, fa eco alle rimostranze di Malaysia, Australia, Indonesia, Vietnam e Filippine, sottolineando «l’importanza di un esercizio senza ostacoli della libertà in alto mare, in particolare la libertà di navigazione e di sorvolo, nonché del diritto di passaggio». Rievocando la sentenza del 2016, i tre paesi hanno anche sottolineato che «i diritti storici – rivendicati da Pechino – non sono conformi al diritto internazionale» e che le isole contese – in quanto artificiali – non generano una zona economica esclusiva, l’area adiacente le acque territoriali, in cui uno stato costiero ha diritti sovrani per la gestione delle risorse naturali, giurisdizione in materia di installazione e uso di strutture artificiali o fisse, ricerca scientifica, protezione e conservazione dell’ambiente marino. Nello specifico, Parigi, Berlino e Londra contestano che le Paracelso costituiscano un arcipelago ai fini della tracciabilità delle cosiddette “linee di base diritte”, metodo utilizzato quando la costa è profondamente incavata e frastagliata per misurare la larghezza del mare territoriale. La questione non è nuova. Nel 2018 il Regno Unito aveva già espresso la propria contrarietà passando entro le 12 miglia nautiche dagli isolotti. Ma è la prima volta che Germania e Francia assumono una posizione chiara a riguardo. Quella dell’Unione europea, invece, continua a esserlo molto meno.

La “neutralità” di Bruxelles…

Come articolato nella EU Global Strategy del 2016, la politica estera di Bruxelles tiene fede a un mix di “pragmatismo” e “Realpolitik con caratteristiche europee”. Una formula che permette al blocco di vendere armi ai paesi ASEAN e, contemporaneamente, rifornire Pechino di “tecnologia dual-use”. Quanto ai contenziosi territoriali, Bruxelles si definisce “neutrale”; invoca la necessità di trovare soluzioni pacifiche all’interno di una cornice normativa condivisa. Si appella alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) – pilastro della EU Maritime Security Strategy – e auspica l’introduzione di un Codice di condotta (Coc) tra le parti. Ma delega ai singoli paesi membri l’onere di «sostenere la libera navigazione» e «combattere le attività illecite». Come per altri dossier, anche nel Mar Cinese Meridionale la mancanza di coesione interna ostacola la formulazione di una risposta concertata, specie quando in gioco ci sono gli interessi economici con il gigante asiatico. Un esempio? La risoluzione UE sull’arbitrato dell’Aja, edulcorata in seguito alle pressioni di Grecia, Ungheria, Slovenia e Croazia. A ciò si aggiunge la necessità di mantenere una delicata equidistanza tra la Cina, primo partner commerciale UE, e gli Stati Uniti, principale alleato militare. Un’impresa sempre più difficile.

… che si avvicina a Taiwan

Ammiccando a Bruxelles, Angela Merkel lo ha detto chiaramente: «la nostra prosperità e la nostra influenza geopolitica degli anni a venire dipenderanno da come collaboreremo con l’Indo-Pacifico». Non solo la regione conta per oltre un terzo degli scambi tra il blocco e i paesi extraeuropei. Davanti a Covid e al rischio di un “decoupling”, questa parte di mondo assumerà anche maggiore rilevanza nell’ottica di una crescente diversificazione della catena di approvvigionamento. In tempi recenti, l’interesse di Bruxelles per il quadrante si è esplicitato in un inedito avvicinamento a Taiwan, l’isola che Pechino considera una “provincia ribelle” da riannettere ai propri territori. Circa una quindicina di nazioni europee – comprese Germania, Francia e Italia – hanno recentemente partecipato per la prima volta a un forum sugli investimenti organizzato dall’European Economic and Trade Office, l’“ambasciata” UE a Taipei. Come auspicato dalla presidente taiwanese Tsai Ing-wen, la nuova piattaforma introduce la possibilità che in futuro il dialogo confluisca nella firma di un trattato bilaterale sugli investimenti all’insegna dell’«apertura, della trasparenza e dell’imparzialità». Tutti qualità per le quali la Cina non eccelle.

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