Hirak Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/hirak/ geopolitica etc Tue, 13 Sep 2022 17:31:30 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 n. 10 Maghreb – parte II: Algeria postelettorale, dove il “nuovo” non cambia https://ogzero.org/algeria-postelettorale-in-crisi-economica-e-stallo-politico/ Fri, 09 Jul 2021 10:34:09 +0000 https://ogzero.org/?p=4255 Questo saggio dedicato alle rotte nordafricane appartiene alla serie di contributi in cui Fabiana Triburgo approfondisce la questione migratoria: proseguiamo con l’Algeria, che in questo tempo postelettorale fa i conti con la crisi economica e lo stallo politico, con la repressione del movimento Hirak. E intanto il rapporto con i paesi limitrofi e la definizione […]

L'articolo n. 10 Maghreb – parte II: Algeria postelettorale, dove il “nuovo” non cambia proviene da OGzero.

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Questo saggio dedicato alle rotte nordafricane appartiene alla serie di contributi in cui Fabiana Triburgo approfondisce la questione migratoria: proseguiamo con l’Algeria, che in questo tempo postelettorale fa i conti con la crisi economica e lo stallo politico, con la repressione del movimento Hirak. E intanto il rapporto con i paesi limitrofi e la definizione delle Zee del Mediterraneo ci portano verso il caos libico.


I principali conflitti che attualmente interessano le migrazioni forzate e le prassi di esternalizzazione poste in essere dall’Unione Europea e dai singoli stati membri portano a una predeterminazione delle rotte dei migranti.

Quello che oggi è inevitabile chiedersi è se il nuovo Patto europeo sulla Migrazione e l’Asilo, proposto dalla Commissione UE, possa essere realmente considerato una soluzione della gestione del fenomeno migratorio o se invece vi siano soluzioni legali alternative maggiormente lungimiranti e coraggiose.  


L’ennesimo roud elettorale

Nella presente sezione riguardante i paesi del Nord Africa – connaturati dall’essere non solo paesi di immigrazione – considerati i flussi migratori provenienti dall’Africa subsahariana, ma anche paesi di transito e di emigrazione degli stessi cittadini nordafricani verso l’Europa – va annoverata l’Algeria, geograficamente la più grande nazione del continente africano con circa 50 milioni di abitanti. Lo scorso 12 giugno questo paese è stato interessato da un ennesimo round elettorale, quello parlamentare, che ha registrato la vittoria indiscussa dell’astensionismo: circa il 70% degli aventi diritto al voto, infatti, non si sono presentati ai seggi per le elezioni del nuovo Parlamento.

Invero il fenomeno non desta particolare stupore perché già nelle precedenti tornate elettorali, in particolare quella del referendum sulla riforma della Costituzione, nel novembre del 2020, così come quella precedente dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica Tebboune il 13 dicembre del 2019 (in seguito alle dimissioni di Bouteflika) si sono distinte per una bassa affluenza alle urne.

Basti pensare che l’attuale presidente è stato eletto con circa il 40% dei voti.

Va ricordato inoltre che il primo ministro algerino Abdelaziz Djerad nominato il 28 dicembre del 2019 e appartenente al gruppo parlamentare degli indipendentisti si è dimesso proprio in esito alle elezioni parlamentari del giugno scorso ed è stato sostituito il 30 giugno dal ministro delle Finanze Ayman Benabderrahmane.

L’astensionismo e la protesta

Le ragioni di un così marcato disinteresse, sino a sfiorare il totale rifiuto, della popolazione algerina nei confronti della classe politica vanno ricercate temporalmente nel febbraio del 2019, data nella quale nacque il movimento di protesta popolare Hirak mediante il quale si sollevarono pacifiche ma decisive mobilitazioni all’indomani delle intenzioni – manifestate da parte dell’ex presidente Bouteflika – di volersi ricandidare per un quinto mandato. L’ex capo di stato, all’epoca in carica da più di venti anni, ottantaduenne e costretto su una sedia a rotelle dal 2013 in seguito a un ictus, pur rivestendo una posizione apicale da diversi anni non aveva più alcuna autonomia d’iniziativa politica e rappresentava soltanto il debole vertice di un apparato statale militare che invece costituisce ancora oggi la vera struttura portante del sistema istituzionale oligarchico algerino. Potere politico e potere militare nella classe dirigente algerina si sovrappongono ed è proprio contro questo impianto che l’Hirak protestò a partire dal 2019, così come avvenne con le proteste popolari in Libano e in Iraq, ottenendo una prima parziale vittoria con le dimissioni di Bouteflika ad aprile dello stesso anno – foraggiate, se non imposte, proprio dall’allora capo di stato maggiore dell’esercito Gaid Salah.

Tuttavia, l’Hirak non è riuscito ancora a scalfire l’impianto sottostante al capo di stato che il movimento di protesta criticava e critica tutt’ora aspramente per le decisioni politiche economiche e sociali adottate nel paese.

Il sistema politico-militare “Povoir”, infatti, che più che una casta rappresenta una struttura “genetica” del potere algerino, è considerato fortemente corrotto e interessato soltanto al mantenimento del proprio status quo, nonostante il tracollo economico che il paese oggi si trova ad affrontare, aggravato ulteriormente a partire dal 2020, dal contesto pandemico. Al riguardo si ricorda che il capo di stato Tebboune ha contratto il Covid-19, in seguito alla sua elezione, e ciò ha provocato un ulteriore stallo politico ed economico nel paese essendosi assentato per un lungo lasso di tempo per sottoporsi alle cure in Germania.

Troppo dipendenti dal petrolio

In tale scenario economico disastroso, contraddistinto da un preoccupante indice di disoccupazione, da un taglio dell’export del 20%, dall’aumento della spesa pubblica e soprattutto da un vertiginoso ribasso del prezzo del petrolio – da 70 dollari al barile a 46 dollari registrati nel 2021 – l’economia algerina ha dimostrato e dimostra le falle di un sistema che non consente l’elargizione dei sussidi necessari per la popolazione civile poiché troppo dipendente dagli introiti derivanti dagli idrocarburi. In particolare, l’Algeria avrebbe la forte necessità di diversificare la propria economia aprendosi maggiormente agli investitori stranieri. Anche se ciò in parte si è cercato di realizzare con alcune riforme legislative, l’impianto, per quanto riguarda la vendita del greggio, non ha subito variazioni.

A ricordarlo è la Legge 49/51 ancora in vigore in Algeria secondo la quale, nell’ipotesi di partecipazioni straniere nelle attività economiche e nelle società algerine, della maggioranza del ricavato deve essere sempre titolare l’apparato statale: caso emblematico è quello della società petrolifera algerina Sonatrach i cui profitti sono intestati per l’80% a dirigenti statali. In tale situazione si ricorda che l’Italia è il primo investitore straniero nell’economia algerina e il 90% del gas importato proviene proprio da quel paese.

La Zee: una rivendicazione unilaterale

Al riguardo occorre sottolineare che nel 2018 l’Algeria, la più grande potenza militare africana, i cui arsenali provengono soprattutto dalla Russia, ha rivendicato unilateralmente la propria zona economica esclusiva (Zee) nell’area marittima che si estende fino a Oristano, più specificatamente a distanza di 60 miglia dalla costa occidentale della Sardegna e almeno a 195 miglia dalla costa algerina, senza che, fino a quest’anno, dal governo italiano vi sia stata alcuna opposizione ufficiale.

Lo scorso giugno anche l’Italia tuttavia ha stabilito la propria Zee che in alcuni casi come quello dell’Algeria ha fatto emergere diverse visioni di giurisdizione.

Vedremo in seguito come tale rivendicazione unilaterale marittima dell’Algeria abbia determinato degli effetti anche sui processi di emigrazione dal paese.

Dopo l’Italia anche la Francia rappresenta un partner economico importante per l’Algeria – che ne era una colonia fino al 1962 – considerato in modo meno benevolo dagli algerini per questioni storiche passate.

Passare per cospiratori: la repressione

Ricordiamo che nel 2021 il presidente Macron dopo molti anni ha ammesso la responsabilità francese di alcune uccisioni durante la guerra di Algeria fino a ora mistificate. I movimenti di protesta dell’Hirak iniziati nel 2019, sospesi momentaneamente nel 2020 a causa delle misure imposte dal governo per il contenimento del virus, sono ripresi in modo vigoroso a partire da febbraio del 2021 e si sono accentuati in prossimità delle elezioni, in particolare nel mese di maggio e giugno di quest’anno. Contro di essi si è imposta una forte repressione caratterizzata da arresti di massa sulla base di false accuse di cospirazione o terrorismo. Inoltre, con emendamenti al Codice penale nel 2021 è stata ampliata la definizione di “terrorismo” secondo la quale rientra anche “il tentativo di conquistare il potere o cambiare il sistema di governo con sistemi incostituzionali”. Più specificatamente alla data del 23 giugno, 273 risultavano essere gli attivisti arrestati e perseguitati solamente per avere esercitato il diritto alla libertà di espressione e di riunione in prossimità delle elezioni, esprimendo il loro dissenso politico.

Tale reazione istituzionale appare contraddittoria rispetto all’operazione di facciata del capo di stato, a febbraio 2021, della liberazione di 37 manifestanti dell’Hirak – lasciandone in carcere comunque ancora 31 – per dimostrare fin da subito una rottura rispetto al passato regime.

L’operazione cosmetica della sicurezza

I manifestanti dell’Hirak in realtà anche nel 2020 sono stati arrestati con l’accusa della violazione delle norme del lockdown o in base alla violazione della legge sulle fake news entrata in vigore lo stesso anno, secondo la quale è prevista la pena detentiva fino a tre anni per i trasgressori. Inoltre, le istituzioni algerine hanno strumentalizzato le misure per il contenimento del Covid-19 per impedire il più possibile le proteste. La stessa approvazione, con referendum popolare della modifica della Costituzione, nel novembre del 2020, era stata vista dalla popolazione come una mera operazione cosmetica che pur registrando delle aperture istituzionali rispetto al regime guidato da Bouteflika – come per esempio l’introduzione della figura del vicepresidente della repubblica  – ha mantenuto la posizione predominante del capo di stato algerino non solo sull’esecutivo, ma anche rispetto al potere legislativo, avendo il presidente la possibilità di porre il veto rispetto alle leggi parlamentari, e su quello giudiziario, restando prevalenti le preferenze che egli esprime sulla nomina dei giudici. La modifica della Costituzione inoltre – entrata in vigore a gennaio del 2021 – se da un lato ha migliorato la protezione delle donne, dall’altro ha indebolito la libertà di parola subordinandola ai valori religiosi e culturali del paese. Oltre a ciò va detto che nel testo della legge contro la discriminazione e l’odio, adottato ad aprile di quest’anno, non vi è alcun riferimento alle discriminazioni legate alla religione, all’orientamento sessuale, e all’identità di genere. Nei confronti delle donne e per le persone Lgbtqi persistono quindi ancora gravi discriminazioni ed è rimasta intatta la disposizione che criminalizza le relazioni sessuali consensuali tra le persone dello stesso sesso per le quali è prevista una pena da due mesi a due anni di carcere oltre a una sanzione pecuniaria. Per le donne le discriminazioni più specificatamente sono state perpetrate in materia di eredità, matrimonio, divorzio, così come è proseguita la violenza di genere e il femminicidio.

Inoltre, si ricorda che è solo grazie all’approvazione di una nuova legge elettorale – lo scorso 7 marzo – che il presidente Tebboune ha potuto indire le elezioni del 12 giugno 2021, anticipandole rispetto alla data del 2022 originariamente prevista per il loro svolgimento.

Perché Tebboune aveva bisogno di anticipare le elezioni?

Tebboune si è posto come l’emblema (falso) dell’appagamento delle istanze sollevate dal movimento Hirak, ringraziando il Movimento stesso per avergli dato la possibilità di salire al potere e riconoscendogli la vittoria per la caduta del precedente regime, ma affermando al contempo che proprio per questo l’Hirak oggi non ha più motivo di esistere in quanto con la propria nomina sarebbe iniziata una nuova era politica per l’Algeria.

Anche qui siamo di fronte alla solita operazione di facciata: Tebboune ha indetto elezioni anticipate con una pluralità di liste parlamentari, circa 1500 per 407 seggi disponibili, ben conscio che il Parlamento in carica al momento della sua nomina si formò nel 2017 sotto il regime di Bouteflika e quindi era privo, in ragione delle successive proteste del movimento Hirak, di una vera legittimazione popolare. Per questo motivo alla vigilia delle elezioni ha dichiarato di non essere poi così interessato a un eventuale astensionismo mentre l’Hirak da parte sua ha cercato di boicottare le elezioni in ogni modo con successo. Se infatti è vero che le elezioni si sono tenute, è vero anche che si è registrata nuovamente l’acquisizione di molti seggi da parte dei partiti emblematici dell’alleanza politica durante il regime di Bouteflika –  il partito Unico del Fronte di Liberazione Nazionale (Fln) con 105 seggi al potere dal 1962 e dal quale proviene l’attuale capo di stato, quello del Ressemblement National Democratique (Rnd) con 57 seggi, al quale apparteneva Bouteflika, e  il partito islamista Movimento per la Società della Pace (Msp) con 64 seggi – che unita all’astensionismo ha fatto fallire in pieno quell’ideale progetto di svolta istituzionale  e di legittimazione popolare che avrebbe voluto mostrare il presidente davanti alla comunità internazionale, tradendo invece più realisticamente la condizione d’impasse o addirittura di regresso politico nella quale si trova attualmente l’Algeria.

Ascolta “Lo stallo ad Algeri e la resistenza del movimento Hirak: un sistema da sovvertire” su Spreaker.

Il “Punto zero”

Il sistema istituzionale algerino desta quindi preoccupazioni sia per la violenta repressione della libertà di espressione, sia di quella politica che quella di credo religioso, che per le persecuzioni nei confronti delle donne e delle comunità Lgbtqi potenzialmente valutabili ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato in conformità alla Convenzione di Ginevra del 1951. È sempre in contrasto rispetto a quanto viene stabilito all’articolo 33 (principio di non-refoulement) della medesima Convenzione che da diversi anni l’Algeria si è resa responsabile di deportazioni di massa dei cittadini provenienti dall’Africa subsahariana verso il cosiddetto “Punto zero” nel deserto nigerino, in prossimità della città di Assamaka, l’unico punto ufficiale di passaggio tra Algeria e Niger. La questione ha assunto una rilevanza drammatica nel 2020, anno nel quale, nonostante gli elevati rischi di contagi legati al virus e la chiusura delle frontiere, l’Algeria ha comunque continuato a eseguire espulsioni sistematiche dei migranti provenienti prevalentemente dall’Africa occidentale, più precisamente di 23.175 individui, mentre nel 2021, tra gennaio e aprile, ha respinto specialmente durante le ore notturne 4370 migranti – dopo averli arrestati e detenuti per giorni – verso la zona desertica nigerina privi di mappe e di rilevatori satellitari.

L’appoggio al Polisario e al popolo saharawi

Ciò appare alquanto singolare dato che l’Algeria è anche un paese di accoglienza: da molti anni sostiene il popolo saharawi che negli anni Ottanta rivendicò la propria autonomia rispetto al Marocco riconosciuta anche dall’Unione Africana. L’Algeria infatti ancora oggi appoggia il Fronte Polisario per la Liberazione del Popolo saharawi dall’occupazione marocchina iniziata nel 1975, ospitando in prossimità della città di Tindouf nella zona sudovest del deserto algerino circa 180.000 profughi saharawi. La questione si è ultimamente esacerbata in seguito alle dichiarazioni lo scorso anno da parte dell’amministrazione americana che ha deciso di riconoscere l’autorità marocchina sui territori contesi, mentre l’Algeria continua a sostenere che la questione dell’indipendenza del Sahara Occidentale può essere risolta solo mediante l’applicazione del diritto internazionale con un referendum di autodeterminazione.

La rotta dimenticata

Insieme a tali fenomeni, legati all’immigrazione e all’accoglienza algerina, occorre considerare anche quello dell’emigrazione che interessa da diversi anni il paese e che concerne la cosiddetta rotta “dimenticata” tra Algeria e Sardegna, percorsa quasi esclusivamente dagli stessi algerini. La rotta, sottoposta a un’attenzione mediatica minore rispetto a quella più pericolosa del Mediterraneo centrale, della quale ci occuperemo più dettagliatamente nella sezione del saggio riguardante gli attuali flussi delle correnti umane, dal 2015 ha interessato particolarmente la tratta Annaba (Algeria) – Sulcis, in particolare le spiagge di Sant’Antioco, Teulada e Sant’Anna Arresi che distano circa 100 miglia dal Nord Africa e sulle quali dall’Algeria si può approdare – nel caso di buone condizioni marittime – anche in 24 ore. I mezzi impiegati in tale rotta oltretutto a volte risultano ben diversi rispetto a quelli di fortuna utilizzati per attraversare la rotta del Mediterraneo centrale: è di febbraio del 2021 la notizia dell’arrivo di un gruppo di trenta migranti tra cui donne e minori giunti dall’Algeria nel Sud della Sardegna a bordo di due motoscafi con motori da 200 cavalli. Già all’inizio del 2020 la nazionalità algerina infatti era al primo posto tra quelle dei migranti approdati in Italia, proprio mediante tale rotta, ragione per cui, nello stesso anno, non solo è stato aperto il centro per il rimpatrio di Macomer, ricavato dall’ex carcere presente sull’isola italiana, ma a settembre del 2020 il ministro dell’Interno italiano Lamorgese ha incontrato il suo omologo algerino Beldjoud e hanno convenuto sull’“attuazione di nuovi modelli operativi con particolare riferimento alle procedure di rimpatrio anche per rendere più efficiente e velocizzare la loro esecuzione”.

Verso il caos libico

Infine, interessante è il rapporto che l’Algeria ha con la vicina Libia. L’Algeria si è da sempre opposta alla bipartizione del paese (Russia e Turchia) e attualmente sostiene il governo ad interim delle Nazioni Unite presiedendo il Gruppo di Lavoro politico del Comitato internazionale sulla Libia. Anche nel 2021 infatti il paese a causa del poroso confine desertico con la Libia ha subito diversi attacchi terroristici. Ecco dunque che in tale sezione del saggio ci avviciniamo inevitabilmente a quel “Caos libico” che evidenzia l’annosa questione degli accordi con il governo italiano, tutt’ora in vigore, per il controllo dei flussi migratori del Mediterraneo centrale.

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Saharawi. E da dove arriva questo conflitto? https://ogzero.org/il-conflitto-in-stallo-da-50-anni-i-muri-nellultima-colonia-africana/ Sun, 22 Nov 2020 17:43:38 +0000 http://ogzero.org/?p=1808 Venerdì 13 novembre 2020 le agenzie di stampa mondiali hanno riportato notizie su un conflitto tra il Regno del Marocco e una organizzazione chiamata Polisario. Scontri a fuoco, in un’area chiamata Ghergarat. Come al solito i lanci di agenzia riportano un fatto d’attualità che sembra uscito dal nulla. Invece la storia del conflitto del Sahara […]

L'articolo Saharawi. E da dove arriva questo conflitto? proviene da OGzero.

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Venerdì 13 novembre 2020 le agenzie di stampa mondiali hanno riportato notizie su un conflitto tra il Regno del Marocco e una organizzazione chiamata Polisario. Scontri a fuoco, in un’area chiamata Ghergarat. Come al solito i lanci di agenzia riportano un fatto d’attualità che sembra uscito dal nulla. Invece la storia del conflitto del Sahara Occidentale è vecchia di 50 anni e riguarda l’ultima colonia africana.

Karim Matref ha ripercorso tutte le tappe che hanno condotto a questa situazione in un articolo comparso in “La Bottega del Barbieri“. Ne abbiamo ripreso i brani che analizzano gli aspetti più collegati alla contingenza attuale con il progetto di approfondire ulteriormente gli sviluppi [ringraziamo Karim e Daniele per la disponibilità]. Intanto alcuni podcast ottenuti registrando l’intervento di Karim su Radio Blackout giovedì 26 novembre 2020 approfondiscono taluni aspetti accennati nell’articolo, allargando l’analisi geopolitica dell’influenza sulla regione dell’incancrenito dissidio sul Sahara occidentale.

Ascolta “50 anni di muri di sabbia: gli antefatti della resistenza” su Spreaker.

L’ultima colonia africana

Ghergarat è una piccola località di frontiera, che si trova sul confine tra i territori sotto controllo del Fronte Polisario e la Mauritania. La divisione del territorio del Sahara Occidentale dopo il cessate il fuoco del 1991, ha lasciato i territori sotto controllo del Marocco e quindi anche il Marocco, senza nessun collegamento terrestre con la Mauritania. Per riaprire le rotte commerciali verso la Mauritania, e da lì verso altri paesi subsahariani, il Marocco ha tenuto aperto un corridoio di circa 11 chilometri e ha stabilito un posto di frontiera. Facendo del paesino di Ghergarat, di fatto, una specie di enclave marocchina in territorio controllato dal Polisario.

Nonostante questa anomalia, non contemplata negli accordi di pace, la situazione è rimasta stabile in tutti gli anni in cui si sperava in una risoluzione pacifica della controversia. Anche perché quella apertura era una boccata d’ossigeno per tutti.
Poi negli ultimi anni, l’Onu e la comunità internazionale si sono quasi del tutto dimenticati della questione Saharawi. I profughi scappati dai territori occupati verso il Sud dell’Algeria sono rimasti a marcire per 40 anni in campi profughi piantati in mezzo a una delle zone più aride e più calde del deserto del Sahara. Mentre quelli rimasti sotto il controllo del Marocco vivono in una situazione ultra-militarizzata, dove vengono repressi violentemente a ogni segno di dissenso verso la monarchia.

Muro marocchino nel Sahara Occidentale

Recinzioni successive per annessione di territorio

Ascolta “Il mondo oltre il varco di Ghergarat” su Spreaker.

Verso la fine dell’estate scorsa, dei manifestanti civili, sostenuti dall’Organizzazione del Fronte Polisario, hanno cominciato a organizzare delle proteste davanti al valico di Ghergarat, proteste sporadiche che a partire dal 20 ottobre si è trasformato in un blocco permanente, impedendo il traffico da e verso Marocco e Mauritania, con centinaia di Tir bloccati da una parte e dall’altra del confine. In seguito si è scatenata una guerra diplomatica a livello dell’Onu, dell’Unione africana e della Lega araba. Accompagnata da una guerra mediatica. Il Marocco accusando il Polisario (e l’Algeria) di terrorismo, il Polisario accusando il Marocco di violazione degli accordi di cessate il fuoco con l’apertura del passaggio abusivo.

Nella notte del 12 novembre, l’esercito marocchino ha aperto varie brecce nel muro di separazione e ha effettuato operazioni militari in territorio Polisario, riaprendo così con la forza militare la strada e il valico per la Mauritania. A queste operazioni il Fronte Polisario ha dichiarato di aver risposto “in modo adeguato”, annunciando varie operazioni con armi pesanti su postazioni occupate. Non si hanno per ora notizie affidabili sui numeri di feriti e eventuali morti.

Perché adesso e perché Ghergarat?

Perché adesso…?

I fattori che hanno portato agli scontri di questi giorni sono molti. Da alcuni mesi, si era notata una attività intensa della diplomazia marocchina, che approfittando della debolezza del governo algerino, principale sponsor del Polisario a livello internazionale, messo a dura prova dalle proteste popolari per la democrazia, ha cercato di far crescere il consenso internazionale intorno al suo progetto di annessione. Il Fronte Polisario invece è rimasto vigile. In risposta all’attivismo della diplomazia della monarchia, ha attivato delle proteste di civili nei territori occupati. Una di queste è il blocco del valico di Ghergarat.

Il fatto è che la situazione. sia per i Saharawi profughi in territorio algerino che per quelli costretti a vivere sotto occupazione marocchina, è diventata insopportabile. Sono passati 39 anni dagli accordi di cessate il fuoco e non si riesce a fare un passo avanti. I bambini nati in esilio all’inizio del conflitto, ormai hanno più di 40 anni e sia loro che i loro figli non hanno conosciuto altro che i campi di tende e prefabbricati, costruiti in mezzo al deserto. La misura è colma. E anche per evitare il pericolo di rivolte interne, il Polisario è costretto a dare segni di attività.

… perché Ghergarat?

Il piccolo villaggio di Ghergarat è una località minuscola che si trova a 5 chilometri dall’Oceano Atlantico, a 11 chilometri dal muro di sicurezza marocchino e in prossimità della frontiera con la Mauritania. Ed è questa sua posizione che lo rende importantissimo. Per il Marocco, il valico di Ghergarat è l’unica porta stradale verso la Mauritania e l’Africa Subsahariana. La sua apertura ha permesso la riapertura delle rotte commerciali tra il Regno e il resto del Continente. Per il Fronte Polisario che ha vari accessi sia verso l’Algeria sia verso la Mauritania, il valico del Ghergarat è importante solo perché è l’unico punto debole sul quale può agire per fare pressione sul Marocco.

Blocco del valico di Gergharat

Saharawi bloccano il valico di Ghergarat dal 30 ottobre 2020

Il contesto regionale

Questa riaccensione di un conflitto che sembrava da tempo assopito, arriva in un momento di profonda crisi per tutta la Subregione del Nord Africa. Il caos in Libia e in Mali creano tensioni che in ogni momento possono portare la zona, in modo particolare la Tunisia e l’Algeria, a entrare a pieno piede nel conflitto armato.

Una Algeria debole…

L’Algeria, che è un attore importante in questo conflitto, anche lei vive difficoltà economiche dovute al crollo dei prezzi del petrolio e del gas, e attraversa un lungo periodo di turbolenza politica.

Le dimissioni del vecchio presidente Bouteflika e l’elezione contestata del nuovo presidente, Abdelmadjid Tebboune, dovevano calmare la piazza algerina. Invece il popolo non è soddisfatto e chiede un cambiamento radicale del sistema politico e continua a protestare. È solo grazie alla crisi del Covid 19, se il governo ha avuto una tregua. Ma la protesta continua sui mezzi di comunicazione e la popolazione è decisa a tornare in piazza appena la situazione sanitaria lo permetterà.

Ascolta “Lo stallo ad Algeri e la resistenza del movimento Hirak: un sistema da sovvertire” su Spreaker.
Questa debolezza si nota con la poca convinzione con cui il regime ha organizzato l’ultimo referendum per le riforme costituzionali. La consultazione doveva essere una specie di plebiscito per il governo del neoeletto presidente Tebboune.
Ma la sua organizzazione è stata un fiasco totale. Nemmeno la macchina della falsificazione, di solito molto efficace, ha funzionato molto bene questa volta. Il regime ha dovuto dichiarare una partecipazione di circa 30% (nell’arte della decriptazione dei codici del regime, questo si traduce in meno del 10%). Questo vuol dire che nemmeno il regime stesso è compatto.

La caduta del clan di Abdelaziz Bouteflika ha creato degli sconvolgimenti importanti, tutti i dignitari del sistema prima del 2019 sono in carcere per corruzione. Ma questo non è segno di lotta alla corruzione stessa. Ma segno di guerra interna senza esclusione di colpi. Il presidente Tebboune è malato. Ricoverato in Germania. Voci di corridoio parlano di Covid 19. Altre lasciano capire che potrebbe essere un avvelenamento. Comunicati ufficiali chiari sulla questione non ce ne sono. L’unica istituzione stabile nel paese rimane l’Esercito Nazionale Popolare (Anp). Anche se il nuovo Capo di Stato Maggiore, il Generale Said Changriha non ha la smania del protagonismo come il suo predecessore, Gaid Salah, rimane comunque l’unica autorità incontestata nel paese. E il coinvolgimento del paese in uno scontro (anche se non diretto) porterebbe a rafforzare il posto dell’esercito e a annullare lo sforzo della protesta popolare che chiama da anni a uno Stato Civile, non controllato dai militari.

… e un Marocco malato

Anche la Monarchia Marocchina sta passando momenti difficili. Il Re Mohammed VI anche lui è malato. Probabilmente molto gravemente, viste le tensioni che questa situazione ha creato. È da tempo assente dalla gestione del paese. Sua moglie, Salma, è scomparsa dalla scena pubblica dopo aver chiesto il divorzio. Non si sa se si è nascosta per paura per la propria vita o se è stata “nascosta” per evitare scandali.

Il figlio, Hassan III, è ancora troppo giovane per regnare in caso di dipartita precoce dell’attuale monarca, e quindi ci sono tensioni interne al palazzo. Il fratello del Re, Rachid, è d’accordo con le sorelle a ereditare il trono. Alcuni organi di stampa hanno dato eco persino a una voce che parla di complotto sventato che aveva per obiettivo quello di eliminare il giovane principe. Fake news totale? verità parziale? difficile stabilire la linea tra il vero e il falso in un contesto in cui è tutto segreto di stato. Ma non c’è mai fumo senza almeno un fuocherello. E le tensioni interne al Palazzo quando sono forti si sentono.

Mentre la famiglia reale litiga per il potere, il paese è in gravi difficoltà economiche, il carovita strangola le famiglie e un’orda di affaristi affamati sta saccheggiando il paese. La crisi del Covid ha messo alla luce del giorno la grave situazione della sanità pubblica, e le restrizioni alla circolazione mettono in difficoltà ampie fette della società, soprattutto quelle più fragili.

Se non scoppiano disordini ovunque è, anche qui, merito della crisi sanitaria e dello stato di emergenza imposto ovunque.

Niente di meglio di una crisi con la già odiata popolazione Saharawi e con l’Algeria, il nemico di sempre, per far dimenticare i guai interni.

Ma questa crisi potrebbe anche essere una porta d’uscita

Adesso che la Costituzione è stata cambiata, niente impedisce all’esercito algerino di entrare nelle terre sotto controllo della Rasd per «difendere i limiti designati negli accordi di cessate il fuoco del 1991». Un ingresso dell’esercito algerino in territorio saharawi darebbe finalmente alla monarchia marocchina ragione sul fatto che il nemico algerino (e non i predatori interni) è la causa di tutta l’infelicità del popolo.

Tamburi di guerra vogliono dire limitazione delle libertà, chiusura della poca libertà di espressione presente nei due paesi, più soldi e mezzi per l’esercito, le forze dell’ordine… Militarizzazione dello spazio pubblico. Una manna in tempi di vacche magre.

Ma questa piccola escalation degli ultimi giorni, da un’altra parte,  potrebbe non essere poi così negativa. Anzi, potrebbe essere una opportunità.

Rifugiati Saharawi Unhcr

45 anni di esilio in tenda in mezzo al deserto

La situazione è bloccata in questo stato di non guerra e non pace da ormai 50 anni. La vita dei Saharawi è un inferno ovunque. Ma il conflitto del Sahara Occidentale avvelena la vita di tutto il Nord Africa e anche buona parte del continente. Le rotte tradizionali di scambio tra popoli sono interrotte da decenni. Il confine tra Algeria e Marocco è chiuso da quasi 60 anni, la circolazione tra Marocco e Mauritania è molto difficile.

In epoca coloniale, era possibile viaggiare in treno da Marrakech fino al Mar Rosso. Oggi è impensabile.

Ascolta “Un conflitto che avvelena l’intera regione, un deserto dotato di risorse alternative” su Spreaker.
Le relazioni diplomatiche, già non facili, sono complicate da questo scontro.  Spesso gli stati sono costretti a scegliere una posizione per o contro, in una questione che non tutti riescono a capire. Questa costrizione porta per esempio i lavori delle organizzazioni dell’Unione Africana e della Lega Araba a essere profondamente disturbate dalla tensione che genera il conflitto Marocco/Algeria. E questo impedisce qualsiasi piano di sviluppo integrato tra i paesi del Maghreb e tra questi e i loro vicini del Sahel. Anche gli incontri delle società civili africane, come è stato il caso nei Forum Sociali di Dakar e Tunisi, sono disturbate dagli scontri delle organizzazioni inviate dai Servizi segreti del Fronte Polisario e del Marocco, per creare zizzania e impedire un dibattito sereno sulla questione.

Nonostante i pericoli di escalation, questa mossa da qualsiasi parte venga potrebbe anche essere un passo verso un ulteriore sviluppo e la possibilità, se c’è volontà e buon senso da tutte le parti, di uscire da un fastidioso stato di muro contro muro che dura da più di mezzo secolo e che ha veramente logorato tutti.

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