Halkbank Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/halkbank/ geopolitica etc Tue, 15 Jun 2021 16:27:04 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 La geopolitica di Sedat Peker. 2: il convitato di pietra al vertice Nato https://ogzero.org/la-geopolitica-di-peker-il-convitato-di-pietra-al-vertice-nato/ Tue, 15 Jun 2021 11:25:51 +0000 https://ogzero.org/?p=3859 Prosegue la serie di interventi a cura di Murat Cinar sulle videorivelazioni di Sedat Peker: in questo secondo articolo veniamo trasportati dal racconto a spot nelle più disparate aree sullo scacchiere internazionale, scoperchiando affari di ogni tipo che scaturiscono dai dossier in possesso di questo mafioso fino a qualche mese fa al servizio dell’Akp. Questa […]

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Prosegue la serie di interventi a cura di Murat Cinar sulle videorivelazioni di Sedat Peker: in questo secondo articolo veniamo trasportati dal racconto a spot nelle più disparate aree sullo scacchiere internazionale, scoperchiando affari di ogni tipo che scaturiscono dai dossier in possesso di questo mafioso fino a qualche mese fa al servizio dell’Akp. Questa puntata cerca di dare un’interpretazione della politica estera di Erdogan nel momento del suo primo incontro con Biden e capita in un momento di incertezza sulla sorte di Sedat Peker negli Emirati, perché ha mancato un appuntamento e non si è più palesato con quei tweet – che invece cadenzavano le sue esternazioni con annunci quotidiani; voci lo davano come catturato o dai servizi emiratini, o addirittura vittima di un blitz di quelli turchi. Nella mattinata del 15 giugno il suo addetto stampa ha diramato un comunicato in cui si annuncia che è stato convocato dalle autorità emiratine e anche privato del cellulare, probabilmente si tratta di una sorta di detenzione provvisoria per accertamenti. Dopodiché è rientrato e ha prontamente ripreso a utilizzare Twitter e a preannunciare ai suoi fan rivelazioni da fascicoli e cartelle che sta ricevendo e studiando.  

Nel primo articolo avevamo inquadrato il funambolico autore e interprete di questi appuntamenti su YouTube, il contesto in cui è cresciuto il suo potere, la palude che ha permesso si creasse una rete di collusioni tra organizzazioni mafiose, traffici d’armi e droghe e il sistema di potere, i partiti della destra nazionalista, il clan del presidente della repubblica turca. Il prossimo articolo di questa serie affronterà la maniera in cui il governo centrale ha approfittato dell’occasione per colpire la stampa indipendente e i partiti dell’opposizione. E infine, l’ultima puntata prevista si occuperà della vicenda dei tre giornalisti la cui uccisione avvenne agli inizi della carriera del mafioso al servizio del regime e che trovano spazio nelle videorivelazioni; i video di Peker hanno influenzato l’andamento dei processi per la loro morte.


Politica estera panturchista

La telenovela mafiosa sta facendo discutere ancora la Turchia, anche se Sedat Peker aveva smesso di pubblicare video. Secondo i tweet di Peker, dopo il nono video, sembra che sia stata identificata la location in cui si trovava. Dunque pareva che Peker dovesse mettersi alla ricerca di un nuovo rifugio, dopo l’odissea che lo aveva visto abbandonare il Mediterraneo. Vedremo in occasione delle prossime puntate in che modo riuscirà a sottrarsi alla caccia dei servizi di Ankara.

Intanto ci occupiamo delle componenti internazionali presenti nei videomessaggi registrati e trasmessi dal personaggio di spicco del movimento panturchista: infatti riguardano anche una serie di elementi importanti legati alla politica estera dell’attuale governo in Turchia.

I paesi della fuga di Peker

Balcani

Tra i paesi citati nei video di Peker troviamo prima di tutto alcuni paesi balcanici. Si tratta di una zona in cui Peker si sarebbe recato per trovare rifugio circa due anni fa, dopo aver lasciato la Turchia: Albania, Macedonia, Kosovo, Montenegro, Serbia e Bosnia Erzegovina. Peker quando parla di questi paesi si riferisce a delle zone in cui trova una risposta politica e una collaborazione diretta. Addirittura nel caso macedone e nel caso kosovaro parla dei rapporti diretti che ha avuto con gli alti esponenti dei governi e dei servizi segreti. È ormai palese, evidente e conosciuta la presenza economica, politica, religiosa e anche criminale di Ankara nei Balcani.

Il 24 aprile 2020 veniva ratificato l’accordo militare tra il ministro della Difesa turco Hulusi Akar e quella albanese Olta Xhachka, che si andava ad aggiungere all’impegno nelle infrastrutture del paese delle aquile e nel sostegno della cultura islamica nei Balcani

Maghreb

Sempre seguendo la via di fuga di Peker scopriamo alcuni dettagli legati al Marocco. In questo paese pare che il boss mafioso abbia potuto fermarsi solo per due giorni. Secondo le dichiarazioni di Peker, avrebbe dovuto lasciare il paese nordafricano nell’arco di due giorni perché la pressione da parte di Ankara è stata molto forte. In un suo video Peker parla della vendita di droni armati da parte della Turchia verso il Marocco a prezzo dimezzato. Infatti nel mese di aprile del 2021 Ankara ha venduto 13 droni al Marocco per 70 milioni di dollari statunitensi. Soltanto un anno fa aveva venduto per lo stesso prezzo solamente sette droni al Marocco. Molto probabilmente il paese maghrebino sta utilizzando questi droni, e non solo, nelle sue operazioni militari nel deserto contro il Polisario. Non sappiamo se è stato questo rapporto commerciale a essere un elemento chiave per la fuga di Peker dal Marocco, o meno. Tuttavia una certezza l’abbiamo: il fatto che uno dei generi del presidente della repubblica di Turchia detiene l’esclusiva per la produzione dei droni armati per l’esercito turco, perciò la Turchia è diventata in pochi anni una produttrice massiccia di questi mezzi militari vendendoli in svariati paesi nel mondo. Sottolineiamo che la Turchia sta producendo questi droni con l’ausilio tecnologico di Inghilterra, Germania e Canada.

13 droni Bayraktar TB2 svenduti a Mohammed VI del Marocco

Caucaso

Se si dovesse passare a un altro paese in cui i droni di Ankara hanno fatto vincere una guerra, ovviamente dovremmo parlare dell’Azerbaijan. Nei suoi video Peker si riferisce diverse volte a questo paese confinante con la Turchia. Peker in generale specifica come in Azerbaijan sia molto presente l’imprenditoria turca e stia giocando sporco con l’intento di diventare un vero monopolio economico sul territorio. Mubariz Mansimov, è un nome che Peker cita spesso nei suoi video. L’imprenditore azero presente in Turchia, secondo diversi leaks svelati in questi anni, sembra che sia stato un vero aiuto per la realizzazione dei progetti economici di Erdogan e la sua famiglia. I conti nel paradiso fiscale dell’isola di Man, oppure le diverse aziende petrolifere sono soltanto due elementi di cui si parla da tempo quando si cita il cognome Mansimov. L’imprenditore azero è stato arrestato con l’accusa di appartenere alla comunità di Gülen, accusa avanzata da due suoi ex soci nell’ambito del processo in cui lo stesso imprenditore si lamentava per una truffa pianificata contro di lui con l’intento di sottrargli tutti i suoi beni. In questo contesto subentrano i video del boss mafioso. Secondo Peker, l’ex ministro degli interni, Mehemet Ağar, personaggio molto discutibile degli anni Novanta, si sarebbe appropriato dei beni di Mansimov in modo mafioso e forse anche illegale. Nei suoi video Peker quando parla dell’Azerbaijan rileva una grande ipocrisia nel sostegno di Ankara e secondo lui il racconto dei rapporti tra Ankara e Baku è improntato a una grande bugia di fondo.

Mübariz Mansimov, l’imprenditore azero implicato in affari non del tutto chiari con il clan di Erdoğan

Cipro

Un altro paese citato dal personaggio di spicco della criminalità organizzata è Cipro. L’isola da anni in grande difficoltà politica, divisa in due parti, è anche una scatola nera. Dal traffico delle armi fino al riciclaggio di denaro, dalla tratta di persone fino al traffico di droga le trame riconducono a Cipro da quando la guerra tra Atene e Ankara si è conclusa. Infatti in uno dei suoi video Peker parla dell’uccisione del giornalista turco-cipriota Kutlu Adali, giornalista assassinato nel 1996, e la parte turca della capitale dell’isola Nicosia è diventa uno degli sfondi preferiti dal nostro personaggio. Per quanto riporta nei suoi video Peker, l’assassinio del giornalista sarebbe il risultato di una collaborazione tra l’ex ministro degli interni Ağar e un ex membro dei servizi segreti turchi, Korkut Eken. Peker specifica che in quel periodo è stato contattato da questi due personaggi che gli diedero l’incarico di assassinare il giornalista, e questo compito venne affidato da lui a suo fratello Attila Peker. Infatti in seguito al video in cui si parlava dell’assassinio del giornalista suo fratello è andato a depositare la sua testimonianza presso la procura di Fethiye. Secondo le dichiarazioni del fratello è stato proprio l’ex membro dei servizi segreti Eken a portare Peker sull’isola con l’intento di assassinare il giornalista. Pochi giorni dopo Korkut Eken, chiamato in causa, non ha smentito di conoscere Attila Peker e nemmeno il fatto che siano andati sull’isola. Tuttavia secondo Eken, erano andati sull’isola con l’intento di effettuare indagini sui feriti del Pkk portati nell’isola e successivamente trasferiti in Grecia. Pochi giorni dopo le dichiarazioni del fratello uno dei procuratori di Anadolu ha aperto un’inchiesta per approfondire le informazioni sull’assassinio del giornalista. Tuttavia va sottolineato il fatto che la Turchia sia stata condannata a 95.000 euro di risarcimenti nel 2005 dalla Cedu per non aver aperto un’inchiesta approfondita volta a chiarire l’assassinio del giornalista.

Venezuela

Oltre a queste nazioni, la telenovela mafiosa si occupa anche di un paese sudamericano esportatore di petrolio molto importante. Secondo Peker proprio il figlio dell’ex primo ministro Binali Yıldırım sarebbe arrivato a controllare un traffico di droga che coinvolge una serie di paesi tra cui anche il Venezuela dove, secondo Peker, proprio durante la pandemia il figlio di Yıldırım si è recato andato con l’intento di disegnare e coordinare la nuova rotta. Il viaggio della droga prevede il passaggio dalla Colombia, poi passando in Italia proseguirebbe successivamente in Turchia con l’obiettivo di finire in Siria. Secondo Peker in questo giro sono coinvolti in qualche maniera l’attuale ministro degli interni Süleyman Soylu e l’ex ministro dell’interni Mehemet Ağar. Pochi giorni dopo Yıldırım senior si è presentato davanti alle telecamere e ha smentito tutto dicendo che suo figlio era andato in Venezuela sì, ma per portare degli aiuti necessari nell’ambito della lotta contro la pandemia. Tuttavia finora non è stata dimostrato nessun registro doganale che documenta questa transazione. Anche se successivamente alcuni giornalisti allineati con il governo hanno riferito che gli aiuti in questione erano trasportabili in una valigia, ma le spiegazioni finora rilasciate non hanno soddisfatto l’opinione pubblica.

Il ministro degi Esteri Cavusoglu saluta Maduro a Caracas il 18 agosto 2020

Dal punto di vista geopolitico i video di Peker riaprono un capitolo molto particolare e poco chiaro che riguarda il rapporto tra Venezuela e Turchia. Negli anni precedenti il presidente Nicolás Maduro aveva visitato diverse volte la Turchia e durante le sue visite alcuni giornalisti turchi vociferavano di un eventuale trasferimento di lingotti d’oro dalla banca centrale venezuelana verso la banca centrale turca. Magari non sotto forma di lingotti d’oro ma il commercio dell’oro tra questi due paesi è diventata una notizia importante anche per l’agenzia di notizie internazionali Reuters. In conclusione va ricordato che il primo leader mondiale a congratularsi con Erdoğan per il successo nell’ultima tornata elettorale è stato Maduro.

Siria

Ovviamente il paese citato di più da Peker nei suoi video è quello che costituisce il problema maggiore nel rapporto tra Washington e Ankara. Ovviamente stiamo parlando della Siria. In uno dei suoi video Peker racconta che nel 2014 aveva deciso di trasportare aiuti umanitari con propri tir dalla Turchia verso la Siria; l’iniziativa era diventata un fatto mediatico poiché quel trasferimento è stato spettacolarizzato dal capo mafioso.

Traffici d’armi e aiuti agli jihadisti

Peker è un esponente importante del movimento panturchista e dunque ovviamente aveva deciso di aiutare le brigate armate turcomanne presenti in Siria; le brigate di cui si parla avevano imbracciato le armi per difendere in teoria la loro autonomia e – sempre in teoria – per lottare contro il regime centrale, tuttavia sta di fatto che diverse organizzazioni non governative hanno testimoniato che alcune brigate turcomanne avevano collaborato con le organizzazioni jihadiste e perciò sono state definite terroristiche. Nel suo video Peker specifica che due tir mandati da lui sono stati caricati di armi a sua insaputa dalla compagnia militare di sicurezza privata Sadat. Peker dice che queste erano armi non registrate messe a sua insaputa dentro i suoi tir da questa ditta di contractor. Il capo dell’azienda Sadat, Adnan Tanriverdi, attualmente è il capo consulente del presidente della repubblica turca. Secondo alcuni giornalisti l’azienda Sadat è stata protagonista durante il fallito golpe del 15 luglio 2016. La Sadat dichiara ufficialmente sul proprio sito che addestra diverse forze militari in svariati paesi musulmani con l’intento di creare una forza militare unita e forte. Secondo la leader del terzo partito di opposizione, Meral Aksener, la Sadat ha diversi centri di addestramento illegali sulle coste turche del Mar Nero. Ovviamente in questo va ricordato il fatto che due giornalisti del quotidiano nazionale “Cumhuriyet” abbiano raccontato in modo approfondito di questo traffico di armi dalla Turchia verso la Siria. Proprio nel 2014 questi due tir erano stati fermati dalla gendarmeria turca a due passi dal confine siriano e alla guida dei tir c’erano alcuni agenti dei servizi segreti. La notizia in realtà è stata svelata e trasmessa anche da altri giornali tuttavia a pagare i conti sono stati Can Dündar e il suo collega Erdem Gül. Dopo la diffusione della notizia dapprima il governo con tutti i suoi componenti ha smentito i fatti e successivamente proprio il presidente della repubblica ha ammesso il traffico d’armi, dicendo però che questo era un segreto di stato e non poteva essere assolutamente messo in discussione. In seguito Dündar finì nel mirino del governo e ora è esiliato a Berlino. Dopo tre mesi di carcere e un attentato evitato davanti al palazzo di giustizia a Istanbul, i giornalisti citati sono stati definiti come dei traditori della patria e collaboratori di terroristi.

In merito ai rapporti tra l’Isis anche un parlamentare dell’opposizione Eren Erdem aveva fatto un lungo intervento in aula documentando la sua tesi relativa all’esistenza di una forte negligenza da parte dei servizi segreti e della magistratura in merito alle attività dell’Isis in Turchia. Questo fatto era stato smentito sistematicamente da tutti i componenti del governo. Oltre i video classici di ogni domenica, il nostro personaggio panturchista ha anche diffuso sul suo account Twitter una breve videochiamata realizzata col marito della cugina di Erdoğan il 3 giugno di quest’anno. In questo video Serdar Ekşioğlu ammetteva che nei tir di Peker erano state caricate delle armi a sua insaputa dall’azienda Sadat.

Dissapori tra Washington e Ankara sulla Guerra siriana

Le scelte del governo turco nella guerra siriana sono state questioni di discussione tra Washington e Ankara. L’amministrazione Obama e successivamente quella di Trump non hanno mai accettato le scelte di Ankara in Siria. La stessa cosa vale ovviamente anche per Ankara. In cima alla lista delle cose che hanno creato il conflitto vediamo senz’altro le parti che sostengono questi due paesi sul territorio siriano. Mentre per l’amministrazione statunitense gli alleati erano inquadrati nelle unità di difesa popolari (Sdf); per Ankara invece l’unico alleato sul territorio è stato la formazione armata composta dagli oppositori moderati ossia l’esercito libero siriano (Esl), definito da diverse organizzazioni non governative come un esercito armato jihadista. Questa diversità di posizione e di alleati ha fatto sì che Washington e Ankara si allontanassero di più tra di loro nella Guerra siriana, e dopo un breve periodo di conflitto con Mosca, Ankara si è avvicinata sempre di più al polo composto da Russia, Iran e indirettamente Siria.

In pieno conflitto con la Russia il vice del ministro della Difesa, Anatoly Antonov, aveva dimostrato in diretta a tutto il mondo, nel dicembre 2015, che alcuni tir pieni di petrolio controllati dall’Isis entravano in Turchia e secondo Antonov era la famiglia di Erdoğan a comprare questo petrolio clandestino. Dopo la rappacificazione con Mosca a questo discorso è stata messa la sordina. Ma è rimasto sempre presente come punto dolente tra gli alleati in ambito Nato. Nei suoi video anche Peker parla del traffico dil petrolio clandestino tra Isis e Turchia.

Il conflitto politico in atto tra questi due alleati in merito alla guerra civile in Siria ha fatto sì che soprattutto Ankara si sbottonasse tramite le dichiarazioni del presidente della repubblica, diverse volte in vari comizi pubblici. Ankara non ha esitato a descrivere sia l’amministrazione Obama che quella Trump come due amministrazioni traditrici e sostenitrici di formazioni terroristiche sul territorio siriano. In questa fase di grande allontanamento tra i due alleati l’amministrazione statunitense ha deciso di prendere posizioni come sanzioni economiche oppure militari contro Ankara. A questo punto nasce lo scandalo legato al sistema di protezione aerea S-400 che Ankara decise di comprare da Mosca. La scelta molto radicale e non comune tra gli alleati della Nato giustificata da Ankara dicendo che gli Stati Uniti non vendevano quello che la Turchia desiderava acquistare come protezione aerea. Le diversità politiche e di scelta tra questi due paesi si concentrano anche sulle richieste storiche di Ankara. Mentre la Turchia chiedeva una no-fly zone e una zona cuscinetto nel Nord della Siria l’amministrazione statunitense non è mai stata a favore di questa richiesta. Dunque Ankara col passare del tempo ha giustificato le sue operazioni militari sul territorio siriano senza il suo alleato basandosi su questo conflitto in cui si sente lasciata sola.

Insomma la patata bollente siriana continua essere il punto di maggior contrasto nella relazione tra Washington e Ankara. Le scelte radicali, solitarie e spesso complici con Mosca sono la linea rossa di Ankara. Dunque coloro che criticano le scelte del governo centrale nella guerra siriana, all’interno della Turchia, hanno sempre ricevuto minacce, linciaggio mediatico e politico e anche conseguenze legali.

L’incontro al vertice Nato tra Biden e Erdoğan

Il 14 giugno a Bruxelles nell’ambito dell’incontro G7, Biden e Erdoğan si sono visti e hanno parlato per la prima volta di persona dopo la vittoria elettorale del presidente statunitense. Si sarà discusso di Siria e Azerbaijan e poi anche di Libia. La Casa Bianca sottolinea che la discussione ha compreso anche i comportamenti degli alleati della Nato.

Mentre negli ultimi giorni arrivano nuove dichiarazioni da diversi esponenti del governo, come il ministro degli affari esteri, da tempo la posizione di Washington sul sistema S-400 è rigida. Ovvero Ankara sembra che sia sempre più disposta ad accettare nuove proposte per ricucire il suo rapporto con Washington invece l’amministrazione statunitense non ha nessun intenzione di fare un passo indietro.

Preparazione all’incontro al vertice: due schiaffoni a Erdoğan

In quest’ottica è molto importante la visita effettuata da Wendy Sherman il 29 maggio di quest’anno. La viceministro degli esteri dell’amministrazione statunitense ha incontrato diverse organizzazioni non governative delle donne, ha parlato dei diritti umani limitati e negati in Turchia e all’interno del consolato statunitense a Istanbul si è fatta fotografare con la mascherina sulla quale c’era scritto “Convenzione di Istanbul”. Ha poi incontrato il mondo dell’imprenditoria e dopo questo incontro ha sottolineato che anche quel mondo è preoccupato del fatto che siano limitati e negati i diritti umani in Turchia, e infine ha incontrato il patriarca Bartolomeo della Chiesa ortodossa orientale.

Un’altra visita importante di questi ultimi giorni è stata quella di Linda Thomas Greenfield avvenuta il 4 giugno di quest’anno in Turchia. Anche l’ambasciatrice permanente degli Usa all’Onu nella sua visita ha esternato la preoccupazione dell’amministrazione statunitense in merito ai diritti umani negati in Turchia. Inoltre Greenfield ha sottolineato che la gestione dei rifugiati è un tema molto importante dunque è essenziale riaprire le dogane con la Siria con l’intento di portare in questo paese gli aiuti umanitari necessari.

“La geopolitica di Sedat Peker: camion pieni di… traffici, droni, appalti”.

In un intervento su Radio Blackout Murat riassume le rivelazioni di politica internazionale di Sedat Peker

Già queste anticipazioni lasciavano intendere che Biden intendeva incentrare l’incontro con Erdogan sui diritti umani, sulla posizione di Ankara in Siria e sul futuro del sistema di protezione aerea S-400. Ovviamente molto probabilmente Erdogan avrà chiesto a Biden di sospendere il processo Halkbank. Un processo in cui è coinvolta quella banca statale all’interno di un grande progetto di riciclaggio di denaro, evasione fiscale e di aver ignorato l’embargo emesso nei confronti dell’Iran. Il processo in atto da quasi tre anni ha fatto sì che alcuni imputati dichiarassero apertamente con prove quanto il presidente della repubblica di Turchia fosse coinvolto in questo enorme scandalo. Si è scoperto successivamente come l’amministrazione Trump a seguito della richiesta di Erdoğan abbia fatto tutto il possibile perché questo processo procedesse a rilento.

Tutti e due gli alleati si sentono offesi e traditi, tutti e due posseggono delle carte importanti per ricattare l’altro e non sembra abbiano una determinata intenzione e volontà di fare un passo indietro. Però chi è uscito da una vittoria elettorale è Biden e chi risulta essere storicamente in una posizione molto debole è Erdoğan, dunque il 14 potrebbe essere stato un momento veramente importante e, all’interno di questo quadro molto particolare, le rivelazioni di Peker potrebbe avere inciso notevolmente per una posizione di difesa attendista da parte di Erdoğan. In conclusione va ricordato che sia Ankara che Washington tuttora si trovano come due alleati all’interno della Nato e Peker da un momento all’altro potrebbe essere arrestato.

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Biden Aggiustatutto: “Can you fix it?” https://ogzero.org/gatte-da-pelare-per-biden/ Thu, 28 Jan 2021 11:53:53 +0000 http://ogzero.org/?p=2325 Joseph Robinette Biden Jr., meglio noto come Joe Biden, è il 46º presidente degli Stati Uniti d’America dal 20 gennaio 2021. Si chiude o si interrompe l’epoca dell’amministrazione bizzarra guidata dall’imprenditore Donald John Trump. La vittoria elettorale, anche se non schiacciante, di Biden, soprattutto con la maggioranza in entrambe le Camere, sembra che porterà il […]

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Joseph Robinette Biden Jr., meglio noto come Joe Biden, è il 46º presidente degli Stati Uniti d’America dal 20 gennaio 2021. Si chiude o si interrompe l’epoca dell’amministrazione bizzarra guidata dall’imprenditore Donald John Trump.

La vittoria elettorale, anche se non schiacciante, di Biden, soprattutto con la maggioranza in entrambe le Camere, sembra che porterà il vento del Partito democratico 2.0 in terra americana.

A questo punto le relazioni tra i due storici alleati della Nato, Ankara e Washington, molto probabilmente subiranno dei cambiamenti.

Trump loved Erdoǧan

In questi ultimi quattro anni, la sempre più diffusa politica del post truth mescolata a una notevole crescente cultura razzista e militarista ha scombussolato radicalmente la politica interna degli Usa. Contemporaneamente la figura del “one man” o “ghe pensi mi” di Trump ha fatto sì che la sua personalità schiacciasse anche la consolidata e forte cultura istituzionale statunitense in politica estera.

Sicuramente, sia per via dell’età di Biden sia per la sua posizione e cultura politica, in questa nuova fase gli Usa assumeranno un atteggiamento ben diverso rispetto all’amministrazione uscente e questo cambiamento avrà effetto anche nei confronti di quegli alleati che, da tempo, governano i loro paesi un po’ come faceva Trump negli Usa.

In un suo articolo di approfondimento, Carl Bernstein, giornalista statunitense di Cnn, il 30 giugno del 2020, specificava che il presidente della Repubblica di Turchia, in certi periodi chiamava Trump al telefono anche due volte a settimana e qualche volta anche mentre giocava a golf. Secondo Bernstein questo è un esempio significativo di come Trump abbia calpestato spesso varie prassi diplomatiche.

Da questo punto di vista questi due leader, molto carismatici e altrettanto pragmatici, si assomigliano molto. Erdoǧan, anche grazie al sistema presidenziale introdotto con il referendum del 2017, ama (è obbligato) a concentrare un po’ tutto sulla sua figura. Erdoǧan “si intende” di istruzione, sanità, tatuaggi, religione, politica estera, parto, abbigliamento, edilizia, calcio, giornalismo, giustizia e persino demografia. Due maschi, bianchi e over 70, su certi argomenti molto lontani tra loro, si sono invece trovati molto bene nel coordinare una serie di affari e nascondere sotto il tappeto diversi temi fonti di conflitti importanti.

Quindi, molto probabilmente, Erdoǧan con l’arrivo di Biden non avrà più a Washington un presidente che gli sarà vicino con una telefonata in qualsiasi momento. Saranno gli assistenti del presidente o i ministri a occuparsi della Turchia, non sempre e direttamente il nuovo leader democratico.

La giustizia è un’opinione

Uno dei punti di cui la nuova amministrazione Usa deve occuparsi è il famoso e lungo processo anticorruzione che vede coinvolta la banca statale turca Halkbank e l’imprenditore turco-iraniano Reza Zarrab. Questi due soggetti sono accusati di far parte di un progetto di riciclaggio di denaro ed evasione fiscale che è stato utilizzato dalle istituzioni, banche e aziende turche, e non solo, per aggirare l’embargo statunitense imposto all’Iran.

Zarrab si trova negli Usa, sotto protezione, dal 2016 ed è ormai un collaboratore di giustizia. È difficile dimenticare la sua storica dichiarazione rilasciata nell’aula del tribunale, dopo aver disegnato e raccontato perfettamente questo progetto diabolico: «Di tutto questo era al corrente anche l’attuale presidente della Repubblica». Grazie alle dichiarazioni di Zarrab è stato arrestato e trattenuto in carcere l’ex direttore generale della Halkbank, Mehmet Hakan Atilla, nel 2017, per trentadue mesi.

Tra le accuse importanti attribuite a Zarrab, ad Atilla e al governo turco c’è anche quella di frode ai danni del sistema bancario statunitense.

Questo processo, apparentemente un valido motivo di conflitto tra gli alleati, invece era uno dei punti che accomunavano Trump ed Erdoǧan. Entrambi i leader hanno sempre provato palesemente a esercitare una notevole influenza sulla magistratura quindi mettendo in discussione la separazione dei poteri. Infatti Trump aveva provato a far dimettere Geoffrey Berman, il procuratore capo di New York che si occupava del maxiprocesso, e secondo alcuni giornalisti ed ex collaboratori del presidente tutto questo era per accontentare Erdoǧan, proprio come anche quest’ultimo spesso fa rifiutandosi, verbalmente e pubblicamente, di riconoscere non solo le decisioni della Cedu ma anche quelle della Corte Costituzionale della Repubblica di cui lui risulta tuttora il presidente.

Ci si attende, con l’insediamento di Biden, più spazio di manovra e libertà per la magistratura su questo maxiprocesso. Nel caso in cui venissero fuori dei dettagli più imbarazzanti ed evidenti non sarebbe fuori luogo pensare a una nuova ondata di sanzioni nei confronti della Turchia oppure di alcuni membri del governo.

Gli S-400, pomo della discordia

Uno dei punti dolenti tra gli storici alleati del Patto atlantico è stato l’acquisto nel 2017 da parte di Ankara del sistema antiaereo S-400, di nuova generazione e produzione moscovita.

Questa mossa ovviamente non era stata digerita da Washington: il secondo esercito più importante della Nato aveva deciso di investire in una tecnologia militare molto avanzata, comprandola proprio da uno dei suoi più importanti antagonisti. Mentre invece Ankara giustificava la scelta sostenendo che il sistema analogo, ma di produzione statunitense, le era stato negato dall’amministrazione Obama e quindi non aveva altra scelta, dovendo difendersi dalla minaccia costituita dalla guerra in Siria.

Dopo una serie di ultimatum e lievi minacce la Turchia è stata infine espulsa dal progetto di produzione degli F35 e nei confronti di Ankara sono state attivate, parzialmente, la sanzioni Caatsa. Tuttavia possiamo dire che le posizioni dell’ex presidente americano Trump non sono mai state abbastanza critiche in relazione alla questione.

Oggi, con l’amministrazione Biden, troviamo Tony Blinken sulla poltrona di ministro degli Affari esteri: quasi braccio destro di Obama per il Medio Oriente, uno degli esperti, in seno al Partito democratico, di politica estera.

Oltre questi dettagli biografici spicca senz’altro la dichiarazione last minute del nuovo ministro: «La Turchia è un nostro presunto alleato strategico ma non si comporta da vero alleato. Un alleato vicino a Mosca, che è il nostro più grande avversario strategico, non serve. Valuteremo le nuove sanzioni contro Ankara».

Pochi giorni dopo questa netta dichiarazione è risuonata una comunicazione del presidente della Repubblica di Turchia: «Siamo decisi a firmare un secondo accordo per il sistema S-400 con Mosca. Non so come accoglierà questa decisione l’amministrazione Biden ma non chiederemo il permesso a nessuno».

In poche parole, sembra che il metodo del bastone e della carota, utilizzato spesso da Trump per sopire i conflitti con Ankara e che non ha dato i suoi frutti nel caso degli S-400, non sarà quello scelto dalla nuova amministrazione Usa.

Guerra in Siria: il filo sottile con Mosca

Quello siriano è decisamente uno dei motivi di allontanamento politico sorto tra Ankara e Washington in questi ultimi tempi.

Nell’arco di tre anni il governo centrale turco ha deciso di inviare le sue truppe sul territorio siriano e ha avviato quattro operazioni in collaborazione e coordinazione con l’Iran, la Russia e indirettamente con la Siria, trascurando gli Stati Uniti.

La lettera amara di Trump a Erdoǧan, in cui chiedeva di non fare “sciocchezze” non era quella reazione forte che le forze armate e politiche siriane si aspettavano. Pochi giorni dopo quella missiva i soldati statunitensi pian piano hanno lasciato il terreno all’esercito della Repubblica di Turchia per avviare l’operazione Sorgente di Pace nel mese di ottobre del 2019.

Ormai era chiaro e ufficiale che sul territorio siriano fosse Mosca a decidere e coordinare le manovre in collaborazione con Damasco e Tehran. La presenza della Turchia è solo il frutto di quel rapporto politico ed economico perverso, legato a un filo sottilissimo, tra Ankara e Mosca.

Le operazioni militari della Turchia sono state realizzate anche con il sostegno dell’Esercito libero siriano composto da combattenti mercenari, ex soldati dell’esercito siriano e numerose brigate jihadiste.

L’esperimento fallito: milizie e tradimenti

Questa forza paramilitare è anche il frutto di un progetto fallito e guidato da Lloyd Austin. Nel 2013 Ankara e Washington dopo un breve periodo di addestramento avevano preparato un gruppo armato sul territorio turco, per combattere l’Isis. Tuttavia, una volta entrati in Siria, questi hanno deciso di aderire a diversi gruppi jihadisti come al-Nusra. Forse questo fu il momento in cui l’amministrazione Obama decise di cambiare alleanze sul territorio siriano. Oggi Austin è il primo segretario alla Difesa afroamericano della storia degli Stati Uniti, una novità che potrebbe avere impatto sulle scelte di Washington in Siria.

Un altro nome interessante è Brett McGurk, rappresentante speciale della Casa Bianca per il Medio Oriente e il Nord Africa. Figura non amata dai media mainstream della Turchia per via dei suoi stretti rapporti con le forze armate “curde”. Nel 2017, il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu aveva chiesto all’amministrazione statunitense di sospendere l’incarico a McGurk dopo la sua visita di persona alle Unità di Difesa Popolari, Ypg, in Rojava. Dovutoglu, senza troppi giri di parole, in diretta tv sul canale Ntv aveva accusato McGurk di “sostenere” le forze armate del Pkk, organizzazione definita “terroristica” da Ankara e Washington. Un anno dopo, nel 2018, Trump decise di togliere l’incarico a McGurk. Oggi, questa figura “problematica” molto probabilmente avrà un ruolo determinante nella nuova amministrazione statunitense.

Con la Cina accordi commerciali e sanitari…

Cina e Iran sono in cima alle priorità della politica estera di Biden e in tutti e due i casi Ankara svolge un ruolo abbastanza importante.

La collaborazione economica tra Ankara e Pechino è in continua crescita. Il volume commerciale tra questi due paesi, nel 2019, superava la soglia dei 20 miliardi di dollari americani, registrando un notevole aumento rispetto agli anni precedenti.

Nei primi giorni del 2021 è stato firmato un nuovo accordo commerciale che prevede un notevole rafforzamento da parte di Ankara della rete ferroviaria, operazione che porterebbe a un aumento del volume commerciale sulla Via della Seta: 11.438 chilometri che collegherebbero Xi’an con Praga, ovviamente la Turchia – che si trova in mezzo – avrebbe un ruolo importante. Grazie a questa novità le tonnellate di merci trasportabili salirebbero da 400.000 a 1 milione. Inoltre nel progetto è prevista la costruzione di una nuova linea di 230 km che porterebbe fino alla Repubblica autonoma di Naxçıvan, accessibile ormai grazie all’accordo firmato da Armenia, Russia e Azerbaigian alla fine del conflitto armato del Nagorno.

Sempre nei primi giorni del 2021 arrivano due notizie importanti dalla Cina. I famosi produttori dei cellulari “intelligenti” – Tecno, TCL, Xiaomi e Vivo – hanno deciso di aprire nuove fabbriche in Turchia. Grazie a una nuova legge, introdotta nel 2020, i cellulari importati dall’estero subiscono un’ulteriore tassazione in Turchia; dunque la strategia di Pechino è quella di produrre in Turchia e prendere in mano il mercato.

La pandemia causata dal virus SarsCov2 ha aperto una storica fase di collaborazione economica e sanitaria tra questi due paesi. Uno dei primi acquirenti del vaccino SinoVac, produzione cinese, è la Turchia. Verso la fine del mese di gennaio saranno acquistati circa 20 milioni di dosi. La campagna di vaccinazione già avviata era stata anticipata in realtà con la sperimentazione di massa della terza fase del vaccino, sempre in Turchia.

… e una mano lava l’altra

A una tale armonia ovviamente bisognerebbe associare anche un allineamento politico. Sempre nei primi giorni del 2021 Ankara ha deciso di avviare operazioni di polizia presso le abitazioni dei cittadini cinesi di origini uigure residenti in Turchia. Secondo l’Osservatorio dei Diritti umani nel Turkistan orientale (Ethr) si tratterebbe dell’attuazione dell’accordo sul rimpatrio dei criminali firmato con Pechino nel 2017 e durante queste operazioni sarebbero stati arrestati diversi cittadini uiguri. Pochi anni fa, nel 2009, l’attuale presidente della Repubblica, presso il canale televisivo Ntv, aveva definito le politiche di Pechino contro i cittadini uiguri come un “genocidio”.

Questo graduale avvicinamento di Pechino e Ankara senza precedenti sarà molto probabilmente per Biden tra le questioni da tenere in considerazione.

Iran: il tavolo di Astana

Forse l’elemento più importante che lega Teheran e Ankara è il fatto che si siano seduti allo stesso tavolo per una ventina di volte nella città di Astana per disegnare il futuro della Siria. In quest’ottica (tenendo in considerazione anche il maxiprocesso Halkbank) per Biden Ankara potrebbe avere un ruolo chiave nel “dialogo” con Teheran. Ovviamente tenendo conto che questi due alleati all’interno della Nato hanno poi in mano diverse carte per ricattarsi a vicenda: sembra quindi che la partita sarà molto delicata.

Quando è minacciata la libertà, e non solo quella di espressione

Una delle cose che accomunava Trump e Erdoǧan era avere nel cuore la continua crociata contro il mondo del giornalismo. Sono ormai molto conosciute le invettive aggressive e arroganti di Trump nei confronti di alcuni giornali e canali televisivi statunitensi accusati di divulgare “notizie false”.

Oltre a un numero sempre alto di giornalisti in carcere o obbligati a vivere in esilio, in questi ultimi venti anni la Turchia è diventata anche un vero cimitero di emittenti televisive, radiofoniche e giornali che hanno dovuto chiudere i battenti oppure che sono stati chiusi con i decreti di legge durante lo stato d’emergenza dal 2016 al 2018. A tutto questo ovviamente aggiungiamo anche le posizioni personali di Erdoǧan nei confronti dei giornali dell’opposizione, espresse, per esempio, in quella dichiarazione rilasciata in diretta Tv, proprio il primo gennaio del 2021, contro uno dei più importanti giornali di opposizione, “Sozcu” (tra i primi tre per numero di copie vendute): «Io non leggo quel giornale e consiglio a tutti di non comprarlo, è inutile». “Sozcu” aveva fatto infuriare Erdoǧan quando aveva pubblicato il bilancio governativo del 2020 in prima pagina: “lacrime e sofferenza”.

La libertà di stampa è uno dei punti cardine del programma di Biden. Non solo per via di quanto è stata minacciata da Trump ma anche per come viene sistematicamente oltraggiata in diversi paesi del mondo.

Proprio nel 2016, in pieno stato d’emergenza, Biden aveva pronunciato queste parole sulla situazione in Turchia: «È importante, in tutto il mondo, avere il diritto alla critica libera. Le libertà di espressione e di stampa in Turchia sono garantite con la Costituzione e vanno protette». Infine nel mese di gennaio del 2020, in un’intervista rilasciata al “New York Times” aveva definito chiaramente la sua posizione dicendo: «Erdoǧan è un leader autocratico, dobbiamo sostenere le opposizioni in Turchia per allontanarlo dal potere utilizzando modalità democratiche».

Un (non)conclusione

Ci sono numerosi elementi che hanno distanziato questi due alleati negli ultimi anni: dalla richiesta di estradizione sempre rifiutata di Fethullah Gülen (leader della comunità di Hizmet residente in Pennsylvania, accusato di essere ideatore del fallito golpe del 2016) fino al rapporto di Ankara con gli altri alleati della Nato come Parigi e Berlino e numerosi sono i capitoli della Storia che possono essere riaperti e reinterpretati dall’amministrazione Biden.

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