Guardie della Rivoluzione Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/guardie-della-rivoluzione/ geopolitica etc Mon, 07 Jun 2021 21:07:03 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 Lotte armate: il rapporto (freddo) tra il Kgb e gli “anni di piombo” https://ogzero.org/lotte-armate-e-kgb-negli-anni-di-piombo/ Mon, 07 Jun 2021 21:07:03 +0000 https://ogzero.org/?p=3773 La quarta puntata della serie dedicata da Yurii Colombo ai servizi di intelligence russi si incentra sul rapporto tra le lotte armate nel mondo e il Kgb nei cosiddetti “anni di piombo”. Anche per questo contributo è prevista una diretta streaming di approfondimento dei contenuti; in autunno, una pubblicazione in cui confluiranno testi inediti a […]

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La quarta puntata della serie dedicata da Yurii Colombo ai servizi di intelligence russi si incentra sul rapporto tra le lotte armate nel mondo e il Kgb nei cosiddetti “anni di piombo”. Anche per questo contributo è prevista una diretta streaming di approfondimento dei contenuti; in autunno, una pubblicazione in cui confluiranno testi inediti a cura dell’autore a completamento delle analisi proposte nel nostro sito in questi mesi. Presto tutti i dettagli.


Raf, Ira, Fplp

In molti si sono esercitati nel compito di verificare se tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta ci furono delle relazioni tra organizzazioni europee dell’estrema sinistra che praticavano la lotta armata e il Kgb; o addirittura potessero essere state eterodirette o controllate. Il materiale su cui tentare di capire cosa sia successo realmente resta però assai limitato se si vuole evitare ogni tipo di dietrologia o di operare solo su ipotesi fantasiose. Credibili, in buona parte, sono i materiali raccolti nel cosiddetto Archivio Mitrokhin, gli archivi della Stasi che sono stati resi disponibili da qualche anno e ben poco altro. Per quanto riguarda gli archivi sovietici, invece, questi restano ancora oggi in buona parte non disponibili ai ricercatori.

Su queste basi e su parte della memorialistica in circolazione è possibile sicuramente sostenere che per quanto riguarda la Raf tedesca (Rote Armee Fraktion, ai più conosciuta come banda Baader-Meinhof), il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (Fplp) di George Habash (sostanzialmente l’ala marxista dell’Olp negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso) e varie organizzazioni rivoluzionarie irlandesi che praticavano il terrorismo in Gran Bretagna ci furono rapporti con i servizi sovietici – per certi significativi – ma non furono comunque mai eterodirette o controllate dal Kgb.

Né col Sessantotto, né con le BR

Per quanto riguarda le Brigate Rosse o altri gruppi italiani che praticarono la guerriglia allo stato dell’arte non si può che confermare le tesi del principale dirigente delle BR nella fase di più ampio sviluppo dell’organizzazione, Mario Moretti, che ha sempre negato qualsiasi relazione con il Kgb o comunque con servizi dei paesi dell’Est Europa.

I limitati o inesistenti rapporti tra Urss e formazioni di estrema sinistra italiana che praticavano la lotta armata avevano del resto prima di tutto un fondamento politico. Gruppi come le Brigate rosse e affini in Europa erano sorti sul mito del “foco” guerrigliero latinoamericano che era stato contrastato nettamente dai partiti comunisti sudamericani legati a Mosca da sempre su posizioni moderate (al punto di giungere in Argentina perfino a sostenere la Giunta Videla). La simpatia dei gruppi della lotta armata europea andava in primo luogo piuttosto verso il maoismo, malgrado la freddezza di Pechino per qualsiasi ipotesi di lotta armata. Tale diffidenza era condivisa da Mosca che vedeva oltretutto questi gruppi come un ricettacolo di ribelli, omosessuali e tossicodipendenti sorti sostanzialmente sull’onda della controcultura e in seguito al Sessantotto.

Tuttavia soprattutto nella fase in cui alla testa del Kgb si trovò Yuri Andropov, dei rapporti effettivamente ci furono in particolar modo con i palestinesi e gli irlandesi e, in misura minore, con i tedeschi.

Palestina libera, Palestina rosso-bruna

Il principale agente operativo sovietico nel movimento palestinese a partire dal 1968-1969 fu Wadi Haddad, che era il vice di Habash e si occupava in primo luogo di azioni di diversione in Europa. Tutti i tre dirottamenti aerei organizzati dal Fplp nel 1970 furono realizzati sotto la direzione del Kgb secondo l’ex agente Mitrokhin, una rivelazione confermata anche dal dissidente Vladimir Bukovskij, nel suo documentatissimo Gli archivi segreti di Mosca. L’autorizzazione a sostenere Haddad, documentata da una serie di minute, fu data ad Andropov direttamente dal segretario del Pcus Leonid Breznev, che diede persino l’approvazione a realizzare per mezzo del Fplp il rapimento del vice ambasciatore americano in Libano dell’epoca. Furono consegnate all’uopo dal Kgb ai palestinesi 5 lanciagranate anticarro portatili Rpg-7, 50 pistole di produzione tedesco occidentale e 5000 munizioni; 50 mitragliatrici MG-21, 5 mitragliatori automatici Sterling di fabbricazione britannica, 50 fucili automatici americani AR-16 e 5 mine oltre che una limitata quantità di danaro.

L’operazione non andò poi in porto, ma ovviamente i palestinesi si tennero armi e soldi.

 

Tripoli 1977: Yasser Arafat, Muammar Gaddafi, Nayef Hawatmeh e George Habash.

You may bill the revolutionary, but never the Revolution

Andropov si dimostrò disponibile anche a dare una mano al movimento irlandese nell’Ulster. Il 6 novembre 1969 il segretario generale del Partito comunista irlandese, Michael O’Riordan, si fece latore all’allora capo del Kgb di una richiesta diretta di armi proveniente da Seamus Costello che dirigeva l’ala marxista dell’Irish Republican Army (Ira) che poi darà vita all’Ira Officials. L’operazione aveva un aspetto politico di lotta interna all’Ira dove i marxisti ortodossi sostenevano che i futuri e più celebri Provisionals non sarebbero stati in grado di condurre la lotta armata e la ribellione dell’Irlanda del Nord in modo coerente e alle sue estreme conseguenze rivoluzionarie. Dopo molti tentennamenti, nel 1972, Andropov decise di iniziare a consegnare agli Officials partite di armi. Secondo quanto riportato da Mitrokhin, «il 21 agosto 1972, Andropov presentò i dettagli del piano Splash al Comitato Centrale del Pcus, ovvero il piano per l’operazione di una spedizione di armi agli amici irlandesi», che prevedeva la consegna da parte dei servizi russi di armi all’Ira Officials, che Mosca considerava ancora sufficientemente marxista, nella prospettiva di una scissione dell’Ira che avverrà alla fine di quell’anno. Dopo l’approvazione del Partito, i cosiddetti “specialisti tecnici” del Kgb assemblarono una spedizione composta da due mitragliatrici, 70 fucili automatici, 10 pistole Walther, 41.600 cartucce, tutte di fabbricazione non sovietica. Inoltre, le pistole Walther sono state lubrificate con olio della Germania occidentale mentre gli imballaggi sono stati raccolti da diversi punti del mondo dagli agenti del Kgb.

«Mosca non voleva che le armi venissero rintracciate come proprie nel caso fossero cadute nelle mani delle forze di sicurezza britanniche», ha raccontato Mitrokhin.

Diverse ulteriori spedizioni di armi sovietiche all’Ira Official vennero fatte via mare, probabilmente fino alla fine degli anni Settanta quando i Provisionals ebbero infine la meglio nella lotta per l’egemonia nel movimento nordirlandese.

Della Stasi era il proiettile

Il rapporto tra Kgb e Raf fu invece assai più indiretto e si realizzò essenzialmente attraverso la Stasi. Sicuramente i vertici “benedirono” le relazioni dei servizi tedesco-orientali con la Raf, e avendo dei database informativi comuni con tutti gli altri servizi del Patto di Varsavia i russi erano sicuramente a conoscenza di quanto succedeva in Germania, tuttavia restarono comunque “freddi” con la guerriglia tedesca di estrema sinistra. Alla base c’era una riluttanza dei sovietici a sviluppare relazioni con un gruppo che comunque era sorto a partire da tesi vagamente marcusiane della Raf che consideravano la classe operaia tradizionale occidentale “imborghesita” e incapace di giocare un ruolo politico rivoluzionario, una tesi che per cultura politica era estremamente lontana dall’approccio del Cremlino.

I rapporti tra Stasi e Raf si svilupparono essenzialmente dopo la catastrofe del 1977 quando tutto il gruppo dirigente del gruppo armato trovò la morte nel carcere di Stammheim e in seguito varie azioni armate non andarono a buon fine.

Grazie ai servizi tedeschi di Berlino Est negli anni Ottanta la Raf fu in grado di avere una certa ripresa organizzativa anche se in un quadro politico per possibilità di reclutamento e sviluppo dell’attività armata ormai ridotto al lumicino dopo il riflusso dei movimenti giovanili degli anni precedenti in Europa.

Come ha riportato Mitrokhin comunque la Raf fu in grado prima di spegnersi di realizzare «nell’agosto 1981 un attentato con un’autobomba al quartier generale europeo dell’aviazione americana a Ramstein, nella Germania occidentale in cui restarono ferite diciassette persone; un mese dopo, i terroristi della Raf effettuarono un attacco missilistico senza successo a Heidelberg contro l’auto del generale Frederick Kroesen».

L’attentato a Ramstein nel 1981.

Durante il biennio 1984-85, la Raf tentò anche di far saltare in aria la scuola della Nato a Oberammergau, bombardò la base aerea americana di Francoforte e attaccò i soldati americani a Wiesbaden. La Stasi fu complice nell’attentato dei rivoluzionari tedesco-occidentali alla discoteca La Belle di Berlino Ovest, favorendo il trasporto degli esplosivi che uccisero un sergente americano e una donna turca e ferirono 230 persone, tra cui una cinquantina di militari statunitensi.

La dietrologia del Pci rivoltata contro se stessa

Per quanto riguarda le Brigate rosse, non sono mai state portate prove o indizi significativi di loro rapporti né con i servizi cecoslovacchi (di cui tanto si parlò a un certo punto) né con la Stasi né tanto meno con il Kgb. Durante la commissione parlamentare di inchiesta ad hoc che si formò non emerse di fatto nulla. La commissione lavorò essenzialmente sull’archivio Mitrokhin nella sua interezza (circa 6 casse di materiali) e sulla base di audizioni, ma le informazioni che riuscì a produrre furono assai scarse: non venne alla luce più di quanto si sapesse e cioè che probabilmente tra gruppi armati europei si parlò e si era a conoscenza di alcune relazioni di alcuni di essi con i sovietici; ma per quanto si è potuto appurare fino a oggi, le BR non ebbero alcun rapporto con servizi orientali. Recentemente l’ex presidente di quella commissione Paolo Guzzanti ha sostenuto che in Ungheria ci sarebbero le prove dei rapporti tra Urss e Brigate rosse ma l’ex deputato berlusconiano non è riuscito a produrre o a farsi consegnare alcun documento a Budapest che provasse le “relazioni pericolose”.

Inoltre Antonio Selvatici ha pubblicato un libro (Chi spiava i terroristi. KGB, STASI – BR, RAF. I documenti negli archivi dei servizi segreti dell’Europa «comunista») che prometteva molto dal titolo ma è risultato assai deludente. Anzi ciò che emerge dal libro è tutto il contrario di quello che si vorrebbe provare, ovvero lo stretto legame politico ed economico che il Pci mantenne con Mosca fino al 1991, il quale a tutto era interessato meno che allo sviluppo delle formazioni armate in Italia.

Berlinguer incontra Breznev nel 1973.

Che l’approccio del Pci fosse del resto ben poco accondiscendente verso la lotta armata anche sotterraneamente lo intendevano anche i brigatisti stessi. In un ampio documento di bilancio storico della loro attività, appena pubblicato da alcuni militanti delle BR, si afferma che «già alla metà degli anni Settanta il “nucleo storico” era giunto alla conclusione che “l’intera area socialimperialista”, cioè l’Urss e i suoi alleati – e i paesi non allineati –, fosse contraria allo sviluppo sul teatro europeo di un processo rivoluzionario armato che mettesse in discussione l’equilibrio tra i due blocchi» ed evidentemente non potesse aspettarsi aiuti particolari dall’Est europeo. Ciò è confermato dall’atteggiamento completamente passivo che il Kgb ebbe durante il periodo del rapimento Moro nel 1978. Sembra che Giorgio Amendola fosse preoccupato in quel periodo che potessero emergere relazioni tra BR e servizi cecoslovacchi ma anche qui non emerse mai niente di consistente.

Ciò che era noto a tutti invece è che esisteva una fronda “filosovietica” nel Pci guidata da Armando Cossutta e sostenuta in parte dal quotidiano “Paese Sera” che come emerge dall’archivio Mitrokhin, anche attraverso il Kgb, riceveva del denaro da Mosca.

All’atto pratico però si trattò sempre di “spiccioli”: 700.000 dollari nel 1985, 600.000 dollari nel 1986 e 630.000 dollari nel 1987. La corrente berlingueriana malgrado si lamentasse di possibili interferenze del Kgb e di altri servizi segreti orientali nella sua attività (come per quanto riguarda il caso del presunto attentato a Enrico Berlinguer a Sofia nel 1973 da parte dei servizi bulgari), in realtà anche dopo la propria adesione alla Nato e la denuncia del golpe in Polonia del 1981 mantenne stretti legami con Mosca, ben più importanti di quelli che poteva vantare la corrente Cossutta.

Nel 1983 in uno dei pochi documenti affiorati dagli archivi sovietici nei primissimi anni Novanta emerge che il Pci, malgrado le divergenze con Mosca, continuava a ricevere soldi dai russi a profusione: «Richiesta degli amici italiani. Incaricare il Ministero per il commercio estero (compagno [Nikolaj] Patolicev) di vendere alla ditta Interexpo (presidente, compagno L.[uigi] Remigio), sulla base commerciale abituale, 600mila tonnellate di petrolio e 150mila tonnellate di carburante diesel a condizioni di favore tali che, abbassando il prezzo dell’1% circa e dilazionando il pagamento di tre-quattro mesi, i nostri amici possano ricavare da questa operazione commerciale attorno ai 4 milioni di dollari», è scritto in un documento del Comitato centrale del Pcus reso pubblico una ventina di anni fa. Insomma se qualcuno fu aiutato in Italia dall’Urss fu chi, come il Pci, combatté strenuamente il brigatismo e non il contrario. A volte la dietrologia può fare veramente brutti scherzi.

Se interesse ci fu in Italia da parte del Kgb, fu soprattutto in relazione al ruolo che avrebbe potuto giocare – e che giocò – la Chiesa cattolica dopo l’elezione di Giovanni Paolo II a papa nel tentare di destabilizzare la situazione nei paesi socialisti e non solo in Polonia ma anche nelle zone sovietiche a maggior insediamento cattolico come l’Ucraina, la Bielorussia e la Lituania.

Giovanni Paolo II in visita in Lituania, sulla Collina delle Croci, nel 1993.

 

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La telenovela e la fuga di notizie, lotta politica a Tehran https://ogzero.org/realta-e-finzione-si-sovrappongono-la-telenovela-e-la-fuga-di-notizie-lotta-politica-a-tehran/ Sun, 09 May 2021 10:19:38 +0000 https://ogzero.org/?p=3421 Quando la politica e la fiction si intrecciano, in un uso strumentale dei mezzi di comunicazione, per uscire vincitori in una lotta di potere tra le diverse correnti del sistema politico iraniano. Marina Forti ci racconta come realtà e finzione si sovrappongono a Teheran, tra arresti, condanne a morte, fughe di notizie pilotate, messaggi lanciati […]

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Quando la politica e la fiction si intrecciano, in un uso strumentale dei mezzi di comunicazione, per uscire vincitori in una lotta di potere tra le diverse correnti del sistema politico iraniano. Marina Forti ci racconta come realtà e finzione si sovrappongono a Teheran, tra arresti, condanne a morte, fughe di notizie pilotate, messaggi lanciati via social e vere e proprie azioni di intelligence.


Pragmatici e riformisti, ortodossi e oltranzisti

Una serie tv e una strana “fuga di notizie” illustrano la furibonda lotta di potere in corso a Tehran, in un momento particolarmente delicato per l’Iran. Infatti, da un lato sono in corso a Vienna difficili negoziati tra l’Iran e le sei potenze mondiali per resuscitare l’accordo sul programma nucleare iraniano firmato nel 2015 – da cui l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump si era ritirato nel 2018 benché l’Iran avesse osservato tutti i suoi obblighi. D’altro lato, il 18 giugno l’Iran eleggerà un successore al presidente Hassan Rohani, che conclude il suo secondo mandato. Le candidature non sono ancora definite, e la competizione tra le diverse correnti del sistema politico iraniano è serrata: i pragmatici al governo con il presidente Rohani, i riformisti, o all’opposto le correnti più ortodosse e oltranziste, le Guardie della rivoluzione, la magistratura (sottotraccia c’è anche la corsa a “posizionarsi” per influenzare la futura successione al leader supremo, l’ottantunenne Ali Khamenei).

I negoziati in corso a Vienna e la battaglia elettorale sono molto intrecciati. E questo ci porta alla serie tv intitolata Gando, dal nome di un coccodrillo delle zone palustri del Sistan Baluchistan, provincia sudorientale dell’Iran.

Gando: il coccodrillo e la spy story

Gando è una spy story in cui eroici agenti del controspionaggio delle Guardie della Rivoluzione combattono agenti stranieri infiltrati fino ai vertici della diplomazia iraniana. Messa in onda dalla tv di stato, la prima stagione è andata in onda nel 2019: sullo sfondo dei negoziati sul nucleare, coraggiosi agenti iraniani smascherano il corrispondente di una famosa testata degli Stati Uniti, in realtà una spia americana. I titoli di testa avvertivano che la fiction era “ispirata a fatti reali”. In effetti il giornalista-spia assomigliava molto a Jason Rezaian, l’ex corrispondente del “Washington Post” a Tehran arrestato nel 2014 e accusato appunto di spionaggio (accuse mai spiegate in modo convincente), condannato dopo un processo a porte chiuse e infine liberato nel 2016 grazie a uno scambio di prigionieri con gli Usa, proprio mentre l’accordo sul nucleare entrava in vigore. Ovviamente la fiction sposa le tesi dell’accusa.

Jason Rezaian, dopo la liberazione

La prima puntata della seconda stagione è andata in onda lo scorso 21 marzo, un giorno dopo Nowruz (il capodanno persiano). Questa volta “i nostri eroi” sventano l’infiltrazione di spie occidentali nei ranghi della delegazione iraniana ai negoziati avvenuti tra il 2013 e il 2015, conclusi con la firma dell’accordo sul nucleare. Una puntata dopo l’altra, gli spettatori scoprono con orrore che tra i massimi negoziatori ci sono agenti stranieri.

Anche nella nuova stagione troviamo “citazioni” esplicite. C’è per esempio un giornalista che ricorda un noto oppositore iraniano residente in Europa, Ruhollah Zam, invitato a Baghdad e là rapito da agenti di sicurezza iraniani, portato in Iran, processato e condannato a morte per spionaggio (fatto reale: la condanna di Zam è stata eseguita lo scorso dicembre).

Ruhollah Zam di fronte ai giudici che lo condanneranno. L’esecuzione è avvenuta il 12 dicembre 2020.

Non solo. I due negoziatori che (nella fiction) fanno il doppio gioco a favore di potenze straniere assomigliano molto a due assistenti del ministro degli Esteri Javad Zarif, che guida la delegazione (reale) ai negoziati. La fiction sembra suggerire che lo stesso capo delegazione sia una spia.

La censura e le accuse

La serie ha suscitato grandi polemiche, poi si è interrotta bruscamente. Pare che il presidente Rohani abbia fatto grandi rimostranze presso il leader supremo. Ora giornali e media legati a settori oltranzisti accusano il governo di aver censurato Gando.

Accusa paradossale, perché Irib, la radiotelevisione statale, costituisce un potere a sé tra le istituzioni della Repubblica islamica. Il suo direttore è nominato direttamente dal leader e non risponde al governo. È un monopolio (non esistono radio e tv private), ed è sempre stata una roccaforte delle correnti più oltranziste. Le voci vicine ai riformisti non vi trovano spazio, che si tratti di artisti, cineasti o intellettuali non allineati. Al governo del moderato Rohani la tv di stato riserva una copertura ridotta e spesso malevola.

Il monopolio della radio e tv di stato però è sempre più insidiato. In primo luogo dalle tv che arrivano via satellite, tra cui diversi canali occidentali in lingua farsi (“Bbc Persian” o “Voice of America” in lingua farsi) che lo stato vieta ma non riesce del tutto a oscurare. Ma non solo dei canali di news, anche la fiction e l’intrattenimento sono terreni di battaglia per imporre una “narrativa”. Le serie tv più guardate per esempio vengono dalla Turchia: più spigliate e professionali, doppiate in farsi in modo molto professionale, sono diffuse da canali satellitari o su piattaforme come Namava, un equivalente di Netflix.

Lo stile aiuta

Dunque una buona fiction è un investimento politico. Gando è più brillante delle solite serie della tv di stato. Ha attori famosi, uno stile tra James Bond e l’ironia di Ncis, è stata girata tra l’Iran e la Turchia, prodotta con grande dispendio di denaro. Sceneggiatore e produttore sono nomi noti. Nel 2019 il giornale (governativo) “Jam-e Jam” aveva scritto che la casa produttrice era finanziata da società delle Guardie della Rivoluzione (nulla di strano: hanno interessi in ampi settori dell’economia iraniana e anche nell’industria culturale). Nel gennaio scorso il ministro Zarif è stato esplicito: «L’intelligence delle Guardie della Rivoluzione ha fatto Gando». La cosa non è stata smentita.

Giornalisti e commentatori vicini ai riformisti o al governo Rohani accusano Gando di travisare la realtà, screditare il governo con false illazioni, gettare fango sui negoziatori che invece hanno lavorato nell’interesse dell’Iran. È ben noto che le correnti più oltranziste della Repubblica islamica, in particolare legate ai militari, hanno osteggiato il negoziato: non potevano impedirlo, perché aveva il beneplacito del leader supremo, ma non l’hanno mai digerito.

Parlare a nuora perché suocera intenda

Sembra che quando Gando è tornato sugli schermi, in marzo, il presidente Rohani si sia lamentato presso il leader per questo attacco subdolo. Così, quando la serie si è interrotta in modo un po’ brusco, giornali e social media vicini ai conservatori hanno accusato il governo. Il produttore, Mojtaba Amini, ha parlato di censura. Un noto commentatore (Pooyan Hosseinpour, su Twitter, 24 marzo) ha ammonito il governo: «Non dimentichiamo il disastro di Dorri-Esfahani, che spiava i negoziatori sul nucleare». Abdolrasoul Dorri-Esfahani era il rappresentante della Banca centrale iraniana nel team negoziale guidato da Zarif tra il 2013 e il 2015; in seguito è stato accusato di passare informazioni riservate a governi stranieri e per questo è stato condannato nel 2017: a molti è sembrata una ritorsione degli oltranzisti furiosi per l’avvenuto accordo. Un avvertimento obliquo? Qualcuno l’ha inteso così: Zarif è avvertito, potrebbe fare la fine di Dorri-Esfahani.

Fatto sta che nei primi giorni di aprile il quotidiano “Vatan-e Emrooz”, allineato su posizioni oltranziste, ha criticato aspramente la diplomazia iraniana per aver accettato di tenere colloqui con gli Stati Uniti in vista del rilancio dell’accordo sul nucleare, in un editoriale di prima pagina dall’eloquente titolo: La terza stagione di “Gando” verrà scritta a Vienna?.

Zarif, il bersaglio

Insomma: Gando è un’operazione politica e il suo target, ancor più che il presidente Rohani, è proprio il ministro degli esteri Javad Zarif.

I motivi sono almeno due. Primo, screditare i colloqui di Vienna – che però di nuovo hanno il beneplacito del Leader (se arriveranno a un esito è ancora incerto, anche se alcuni segnali sono positivi; è chiaro che molti lavorano contro, non solo a Tehran ma anche a Washington e in alcune capitali del Medio Oriente).

Ma il discredito buttato su Zarif ha soprattutto lo scopo di mobilitare la base dei conservatori a fini interni, e premere perché l’organismo di controllo (il Consiglio dei Guardiani) sbarri la strada alla sua possibile candidatura alle elezioni presidenziali del 18 giugno.

Infatti Javad Zarif resta una figura popolare in Iran, proprio perché è stato il volto pubblico di un Iran che si riapre al dialogo, e la sua popolarità sarebbe di sicuro rafforzata se i colloqui di Vienna portassero a far cadere le sanzioni che soffocano l’economia del paese. Anche se Zarif ha sempre escluso di volersi candidare, molti sono convinti che sarebbe la carta migliore per moderati e riformisti, l’unica in grado di sfidare i pronostici che danno vincente lo schieramento opposto. Di più: l’unica capace di mobilitare l’elettorato, di fronte a diffusi propositi di astensione.

È qui che entra in gioco la “strana” fuga di notizie. Una intervista, o meglio: tre ore di conversazione tra il ministro Zarif e un noto giornalista ed economista, Saeed Leylaz, diffusi il 25 aprile da “Iran International”, tv satellitare con sede in Arabia Saudita e a Londra. Il capo della diplomazia parla in modo schietto e critica l’eccessivo ruolo delle Guardie della Rivoluzione nel determinare la politica estera iraniana, scavalcando la diplomazia. Hanno fatto scalpore i passaggi in cui cita le brigate Al Qods, il corpo speciale delle Guardie della Rivoluzione, e il defunto comandante Qassem Soleimani (ucciso da un attacco mirato degli Stati Uniti a Baghdad nel gennaio 2020).

La fuga di notizie

Chi ha diffuso quella registrazione, per di più facendola arrivare a un canale tv “avversario”? Tre giorni dopo la devastante fuga di notizie, un infuriato presidente Hassan Rohani ha dichiarato durante una riunione di gabinetto (trasmessa dalla tv) che quella conversazione era confidenziale, fa parte di un progetto di storia orale a cui sta lavorando il Centro di ricerche strategiche affiliato alla presidenza della repubblica. Ha aggiunto che diffondere quei brani è stato un gesto irresponsabile che mira a far deragliare i colloqui in corso a Vienna per rilanciare l’accordo sul nucleare e rimuovere le sanzioni contro l’Iran. E ha annunciato un’indagine: «il ministero dell’Intelligence dovrà usare tutte le sue abilità per scoprire come sia successo». (A quanto pare anche l’intelligence delle Guardie della rivoluzione, separata e spesso concorrente a quella del governo, ha aperto la sua indagine.)

Intanto tutto lo schieramento conservatore ha lanciato attacchi feroci contro il ministro degli Esteri, chiedendo che si scusi per le affermazioni “sacrileghe” su Soleimani, o meglio ancora si dimetta.

Ovviamente diversi media hanno citato solo questa o quella frase. Chi ha ascoltato per intero quelle tre ore di audio (tratte da una conversazione di sette ore) riferisce che Zarif non fa affermazioni del tutto nuove. Riferisce precisi episodi in cui le Guardie della Rivoluzione hanno preso iniziative non coordinate. Dice che la Russia avrebbe preferito far fallire i negoziati sul nucleare (per mantenere l’Iran nella sua sfera d’influenza), e le Guardie della Rivoluzione hanno cercato l’aiuto russo per lo stesso scopo.

Zarif racconta che sei mesi dopo l’entrata in vigore dell’accordo sul nucleare è venuto a sapere dal suo omologo John Kerry (allora segretario di stato Usa) che l’Iran aveva intensificato l’invio di aiuti a Damasco usando i voli di Iran Air, con evidente danno per la posizione negoziale iraniana, al punto di scoprire dalla tv che il presidente siriano Bashar al-Assad era in visita a Tehran (era il febbraio 2019, e in effetti quella volta Zarif diede le sue dimissioni – rifiutate da Rohani: «quel giorno compresi che se non mi dimettevo… nessuno più mi avrebbe preso sul serio», dice in quella conversazione confidenziale).

La politica delle cannoniere

Il ministro degli Esteri rivendica però i suoi buoni rapporti con Soleimani, che incontrava spesso, e proclama la sua fedeltà al sistema della Repubblica islamica. Ricorda che le linee di politica estera vengono definite dal Consiglio di sicurezza nazionale, in cui sono rappresentate diverse istituzioni tra cui i militari, e sanzionate dal leader supremo: però poi i militari prendono iniziative proprie. Secondo Zarif, vedono le relazioni internazionali “con lenti da guerra fredda”: «pensano che chi è forte sul piano militare sia anche forte sulla scena internazionale… perseguono la politica delle cannoniere. Non credono che anche l’economia, e la diplomazia, e la solidarietà nazionale possano renderci più forti». (Secondo la corrispondente del “Financial Times”, dalle parole di Zarif emerge chiaro che chi detiene davvero il potere a Tehran sono i militari).

Il 2 maggio il leader in persona è intervenuto a criticare i giudizi dati da Zarif in quella registrazione, pur senza nominarlo: «non dobbiamo fare commenti che evocano quelli del nemico»; questo è “un grave errore” che «un alto funzionario dello stato non dovrebbe commettere». Poche dopo il ministro degli Esteri, in un post su Instagram, ha precisato che le sue parole volevano offrire in modo “onesto” il suo punto di vista, si scusa se hanno “contrariato” la massima autorità e ringrazia il leader per aver “messo fine al dibattito”.

Un noto esponente riformista, Abbas Abdi, ha scritto che le rivelazioni «avranno il sicuro effetto di impedire la candidatura di Zarif». Aggiunge però che danno un ritratto degli oltranzisti come degli irresponsabili, e dei riformisti come deboli, quindi in ultima istanza non beneficiano proprio nessuno. Certo descrivono una lotta di potere senza esclusione di colpi.

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