Fsb Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/fsb/ geopolitica etc Wed, 13 Oct 2021 16:42:57 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 La spada e lo scudo https://ogzero.org/studium/la-spada-e-lo-scudo/ Tue, 28 Sep 2021 15:02:46 +0000 https://ogzero.org/?post_type=portfolio&p=5024 L'articolo La spada e lo scudo proviene da OGzero.

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I servizi segreti dal Kgb a Putin

I servizi segreti russi, assieme a quelli americani e israeliani, sono probabilmente i più famosi del mondo. E lo sono per molti motivi. Per quanto riguarda la Russia alcune ragioni sono evidenti: resta anche dopo il crollo dell’Urss il paese con i più estesi confini del globo che si allungano dalla Crimea fino a Vladivostok. La Russia è anche quel paese dove nel xx secolo nel giro di dodici anni si consumarono ben tre rivoluzioni e la cui reazione termidoriana interna produsse, tra le altre cose, la costituzione della più ampia rete di campi di concentramento che l’umanità abbia mai visto. Sorvegliare, colpire, punire era già stata del resto in epoca zarista, uno dei refrain della politica interna e internazionale dell’Impero. In epoca staliniana la sindrome di accerchiamento assunse dei contorni surreali. Mentre all’interno si organizzava la caccia sistematica a chiunque potesse essere solo vagamente un “nemico del popolo” (Nepmen, Bianco, trotskista, anarchico o Vecchio Credente) all’esterno agivano delle squadre di killer pronte a eliminare gli avversari che si erano rifugiati all’estero.
Dopo il 1956, con il disgelo krusceviano, la morsa repressiva si allentò, ma all’esterno con lo scatenamento della Guerra Fredda da parte delle potenze occidentali e l’espansione della buffer zone in Europa orientale, i compiti dei servizi sovietici si ampliarono. La loro leggenda nasce lì, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta e diventa oggetto anche di letteratura gialla e cinema d’evasione. Il mondo delle spie, del resto, è indubbiamente affascinante. È un mondo dove si sommano intrigo, eros, avventura, soldi, psicologia, tecnologia. Ciò ha condotto alcuni a sovrastimare il ruolo dello spionaggio fino a perdere di vista che i servizi segreti in tutto mondo, Russia compresa ovviamente, sono ancelle della politica e non il contrario. Nelle diverse fasi storiche, e contingenze politiche, essi possono svolgere un ruolo più o meno preminente che comunque resta accessorio. Anche in Russia: le strutture della “forza” dopo il movimento decabrista del 1825 non hanno mai svolto un ruolo politico autonomo e ciò si dimostrò ancora una volta plasticamente evidentemente durante il fallito putsch del 1991 quando il Kgb dimostrò totale incapacità ad avere propria visione degli avvenimenti e delle dinamiche sociali. Potrà cambiare in era putiniana? La Russia potrà diventare un paese a “trazione Fsb”? Si tratta di un’ipotesi da tenere a mente e valutare ma su cui dovrebbe essere proibito fantasticare. In generale ci sembra valida la riflessione generale che fece Lucio Caracciolo nel presentare qualche anno fa un numero speciale di Limes dedicato proprio ai servizi e che qui riportiamo per esteso: «Oggi nell’universo delle tenebre tutto sembra ruotare intorno alla collazione/protezione di dati. Mentre si discetta di ciberspazio e d’alfabeti digitali, e qualcuno financo pretende di assimilare l’elettronica all’anima grazie al cognitive computing, vale rammentare che qualsiasi analisi comincia e finisce con l’uomo. In senso funzionale: è fatta da umani (agenti d’intelligenza) per altri umani (decisori politici, ma anche economici o criminali). E per via tecnica: l’intelligence presuppone il riduttore umano della complessità, lo stratega che indichi al collettore d’informazioni (vulgo: spia) quali campi esplorare, quali trascurare, in vista di quali scopi. Solo la mania classificatoria delle tecnocrazie può concepire la humint (human intelligence) come arte specifica, sezione a sé nei servizi segreti, quasi possano darsi modi e usi d’analisi perfettamente disumani. Al contrario, senza human factor le discariche di dati “oggettivi” affastellati dai rami imint (immagini), masint (misure) e sigint (segnali) resterebbero materia inerte. O peggio serbatoi cui attingere per manipolazioni a fini impropri».
Questa non è una storia generale dei servizi segreti russi (la materia è talmente estesa che gli unici seri tentativi fatti in questo campo sono di tipo enciclopedico) ma è forse il primo tentativo, almeno in Italia, di fornire un quadro della struttura, del ruolo politico, delle controversie e degli scandali in cui l’Fsb e le organizzazioni a essa collegata sono coinvolte dall’ascesa di Putin in poi. Con alcuni raid però nel passato sovietico: dalla caccia internazionale ai trotskisti fino alla crisi dei missili di Cuba; dalla deportazione e repressione dei Testimoni di Geova fino al ruolo che le donne-agenti, le Mata Hari rosse, ebbero nell’attività di spionaggio durante la Guerra Fredda.
In questo volume troverete anche un capitolo sul fenomeno Bellingcat, il portale che con le sue inchieste sui casi Skripal e Naval’nij ha avuto un ruolo fondamentale nell’acutizzare la crisi tra Federazione Russa e mondo occidentale. L’irruzione di Bellingcat indubbiamente ha segnato una nuova frontiera nel giornalismo investigativo e potrebbe condizionare nel futuro le stesse relazioni tra stati nel quadro di quella che è stata sintetizzata come public intelligence.
Infine abbiamo dedicato uno spazio corposo alla querelle delle relazioni tra Brigate Rosse e Kgb. Non crediamo di aver detto la parola fine sulla questione ma crediamo che l’ampia panoramica qui fornita e la documentazione acclusa (in buona parte inedita in Occidente) possano già per molti versi dare la possibilità di misurare un giudizio storico e politico sereno anche in relazione ai “misteri” del caso Moro.

100%

Avanzamento


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“Dalla Siberia al Caucaso. Periferia, confini e Servizi segreti russi”.
Storia, retroscena e veleni sullo sfondo di un secolo e mezzo di spie russe che si aggirano per il mondo


“La nascita della prima “guardia scelta” agli ordini di Ivan il Terribile nel 1565 fino alla Ceka-Gpu-Nkvd alle soglie della Guerra Fredda”.
Gli inizi del controllo.


“Yurii Colombo, intervistato da Antonio Moscato, per la seconda diretta dedicata alla Russia e ai servizisegreti russi, tema balzato all’attenzione pubblica in questo periodo a causa del caso Biot.”.
In questa puntata: la Guerra Fredda incombe sul mondo come la paura del nucleare. Nasce il Kgb, si moltiplicano le figure di spie e agenti doppiogiochisti che si infiltrano nei meccanismi di potere tra Occidente e Oriente. L’Europa ne è coinvolta, come molti altri paesi; e si arriva all’altro capo del mondo, quando i servizi russi sono messi a dura prova durante la crisi missilistica cubana – un anno dopo l’infelice (per gli Usa) episodio della Baia dei Porci – e Kennedy è in diretto contatto con Khrushev attraverso la famosa “linea rossa”.


“Yurii Colombo ospita #BrunelloMantelli per approfondire questo periodo storico in relazione all’attuale situazione politica (interna ed estera) russa”.

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]]> L’opzione panorientale collegata alla guerra di spie panoccidentale https://ogzero.org/tensioni-diplomatiche-tra-russia-e-repubbliche-ex-sovietiche/ Mon, 10 May 2021 09:14:31 +0000 https://ogzero.org/?p=3401 La Repubblica ceca intende chiedere alla Russia almeno un miliardo di corone (39 milioni di euro), come risarcimento dei danni materiali per l’esplosione in un magazzino di Vrbětice, avvenuto il 16 ottobre 2014; Praga accusa i servizi russi Svr e Gru di essere coinvolti. Il risultato è stata l’espulsione di numerosi diplomatici dai rispettivi paesi. […]

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La Repubblica ceca intende chiedere alla Russia almeno un miliardo di corone (39 milioni di euro), come risarcimento dei danni materiali per l’esplosione in un magazzino di Vrbětice, avvenuto il 16 ottobre 2014; Praga accusa i servizi russi Svr e Gru di essere coinvolti. Il risultato è stata l’espulsione di numerosi diplomatici dai rispettivi paesi. Si tratta dell’episodio più eclatante, ma dal 2014 (piazza Maidan) si stanno moltiplicando le tensioni diplomatiche in particolare con le repubbliche ex sovietiche nell’Intermarium tra Mar Nero e Baltico.

Yurii Colombo tenta di inquadrare questi due fenomeni geopolitici che scorrono paralleli da decenni, spiegandoli strategicamente col fatto che la Russia putiniana si trova a scommettere tra Est e Ovest: la crisi dell’egemonia russa sull’area ex sovietica rappresentata da questi strappi diplomatici capziosi, da un lato; dall’altro il progressivo abbandono della diplomazia verso l’“Europa”. Può trattarsi di una spinta a una forte condivisione di intenti tra Mosca e Pechino? Un potente alleato panasiatico che per ora cerca di mantenere le mani libere per poter perseguire il suo scopo principale: fare affari con tutti. Intanto Mosca scatena una Guerra Fredda di spie… o forse è vittima della diplomazia dell’era Biden? Si tratta di una scelta strategica o un ripiego di fronte a un’implosione del vecchio impero sovietico sullo sfondo di confini porosi che mettono in scena rivalità per pozzi di… acqua, come a Vorukh?


Storiche relazioni diplomatiche tra slavi e ricadute economiche

La recente crisi tra Repubblica Ceca e Russia è stata giudicata da buona parte degli osservatori come una nuova importante tappa della nuova Guerra Fredda che contrappone la Russia ai paesi occidentali. La decisione ceca di ridurre il personale diplomatico a Mosca a soli cinque funzionari segna de facto la rottura delle relazioni diplomatiche tra i due paesi slavi (anche se come già in occasione della crisi sul caso Skrypal nel 2017 abbiamo assistito alla fronda del presidente ceco Miloš Zeman, notoriamente filorusso). Si tratta di una situazione non del tutto inedita visto che, come è stato segnalato, ci sono stati già casi del genere nel dopoguerra. Per esempio quando l’Urss ruppe le relazioni diplomatiche con Tirana ai tempi del duro scontro ideologico per la preminenza sul movimento comunista internazionale. Non si tratta del resto dell’unico caso. La Russia non ebbe relazioni fino al 1973 con l’Irlanda (a causa della cooperazione attiva dell’Irlanda con Hitler durante la Seconda guerra mondiale) con la Spagna (le relazioni diplomatiche furono ristabilite solo dopo la morte di Franco) e con il Vaticano.

 

Tuttavia si tratta di un avvenimento che potrebbe avere delle ricadute significative ed effetti a cascata in tutta l’Europa orientale e in primo luogo nei paesi baltici (dove però a rapporti politici pessimi fanno da contraltare relazioni economiche significative soprattutto nei settori del turismo e alimentare) e soprattutto in Polonia e Bulgaria. del resto le ricadute economiche sono già realtà visto che Rosatom, l’agenzia nucleare russa, è stata ora esclusa ufficialmente dalla gara d’appalto per la costruzione di due centrali in territorio ceco.

Riviste d’inchiesta: esplosione di Vrbětice

Se le accuse che sono state lanciate alla Russia si dimostrassero vere, i motivi di un casus belli ci sarebbero veramente tutti. Qualche settimana fa il portale “Bellingcat” (già noto per le sue inchieste sul caso Skypal e sull’avvelenamento di Aleksey Navalny e che fa con una certa probabilità uso di materiali delle intelligence occidentali) in collaborazione con la rivista ceca “Respekt” ha sostenuto che l’esplosione del deposito di munizioni a Vrbětice il 16 ottobre 2014, sarebbe stata opera russa e avrebbe coinvolto almeno sei agenti dell’Unità 29155 del Gru (Glavnoe razvedyvatel’noe upravlenie, il dipartimento esteri di Fsb). L’ampio articolo è ricco di dettagli. Secondo il sito britannico questa azione di diversione sarebbe stata supervisionata personalmente da uno dei comandanti in capo del Gru, il colonnello generale Andrey Averyanov, che si sarebbe recato sotto copertura in Europa centrale nel momento esatto dell’operazione e sarebbe poi tornato a Mosca poche ore dopo l’esplosione. “Bellingcat” ritiene che il generale Averyanov sarebbe “un ufficiale militare di alto rango” che, sulla base dei registri delle telefonate revisionati dalla testata giornalistica, ha una linea di comunicazione diretta sia con il capo del Gru a Mosca e sia con il Cremlino.

 

L’operazione, secondo quanto si apprende da “Bellingcat”, avrebbe coinvolto anche almeno due ufficiali del Gru che si sono recati sotto copertura diplomatica a Budapest, a circa cinque ore di macchina dal deposito di munizioni, poco prima delle esplosioni. Le informazioni sugli spostamenti degli agenti scoperti da “Bellingcat” dimostrerebbero anche che l’operazione era inizialmente probabilmente pianificata per una data precedente, ma sarebbe stata posticipata di circa una settimana, a causa di circostanze sconosciute. L’operazione sembra aver coinvolto diversi viaggi coordinati di membri dell’unità 29155 in Repubblica Ceca attraverso i paesi vicini, nonché una missione di preparazione in Svizzera.

Il coinvolgimento Fsb si allarga a macchia d’olio nella “sua” buffer-zone

L’inchiesta è particolarmente velenosa perché preannuncia altri scoop sulle presunte azioni del Fsb in Bulgaria, i cui rapporti con la Russia sono anch’essi peggiorati recentemente a causa delle “invadenze” russe mettendo in discussione la possibilità che il paese balcanico acquisti nel futuro gas russo via Turkish-stream, come sembrava possibile solo qualche mese fa.

Tuttavia il peggioramento delle relazioni tra i paesi delle cosiddette ex Repubbliche Popolari – mai stati idilliaci dopo il disfacimento della Cortina di Ferro nel 1989 – non può essere imputata semplicemente a una nuova ondata di azioni spionistiche del Cremlino, anzi rappresenta solo forse un assaggio da dare in pasto a un’opinione pubblica occidentale, pronta a vedere nuovamente nel Cremlino “l’impero del male”. Tale dinamica rimanda piuttosto al dipanarsi di una nuova fase politica lungo la linea dei confini con la Russia che può diventare foriera di rischi per la stabilità di un’intera regione.

In primo luogo si tratta della crisi di egemonia della Russia su tutta un’area iniziata negli anni Ottanta, emersa fragorosamente in Polonia ai tempi dell’ascesa di Solidarność e poi proseguita con la decisione dell’amministrazione Gorbaciov (già presa secondo Shevardnadze nel 1986) di abbandonare al loro destino quei paesi dell’Europa centro-orientale che avevano rappresentato per un trentennio una “buffer-zone” fondamentale per la difesa sovietica. Malgrado ciò, dopo il terremoto politico 1989-1991, alcuni dei paesi ex sovietici erano rimasti nell’orbita russa. In primo luogo politicamente, in modo altalenante, ma sicuramente dal punto di vista economico l’Ucraina e lo stesso si può dire, malgrado la sua associazione all’Unione Europea, della piccola Moldavia. E poi sicuramente – la Cuba d’Europa – la Bielorussia di Alexander Lukashenko che resta il principale alleato nella regione ancora oggi e perfino l’Armenia, seppur in modo più defilato. Si è sempre trattato però di relazioni segnate per questi paesi del “Vicino estero” da due elementi “diplomatici” decisivi: a) dalla necessità di avere un approccio realistico, di buone relazioni, con un vicino più potente che tende in qualche modo a costituire dei propri “confini naturali” (pressappoco quelli dell’Impero zarista); b) gli sconti e i sussidi sui prodotti energetici e tutto ciò che vi è connesso, pipeline… che la Russia può garantire.

Benessere petrolifero, furti presunti e crollo del prezzo: ruolo dell’UE al tempo di Biden

Nel primo decennio degli anni Duemila grazie al boom economico al ritmo medio di crescita del Pil del 8% annuo, determinato in primo luogo dall’esplosione del prezzo del petrolio, la Russia putiniana fu in grado di garantire questo quadro di relazioni e anzi riavvicinare in qualche misura paesi ancora più distanti politicamente (la Bulgaria, la Repubblica ceca e perfino l’ultranazionalista Ungheria di Viktor Orbán). Tuttavia a partire dal 2012 e 2013 la ruota è iniziata a girare in senso opposto e la Russia (che comunque resta inchiodata in dodicesima posizione in termini di ricchezza prodotta, un quarto in meno di quella italiana malgrado abbia due volte e mezza la popolazione dello Stivale), ha mostrato evidentemente di non poter più garantire sussidi e sconti. Le crisi politiche a Kiev e a Minsk, possono essere lette, in questo quadro, in chiave economica ancora prima che in chiave politica. La diatriba sul petrolio e gas rubati dagli ucraini già prima dell’uscita di scena di Yanukovich nel 2014 e il doppio gioco sistematicamente operato da Lukashenko nel secondo decennio dei Duemila, ne furono i chiari sintomi (e di cui le sanzioni e la chiusura semiautarchica della Russia dell’ultimo quinquennio ne rappresenta la ricaduta interna). A cui va aggiunto “il tradimento” dello storico alleato serbo, passato armi e bagagli con gli Usa, proprio a partire dalle priorità economiche ancora prima che strategiche, di ritagliarsi uno spazio in Europa.

Questa evoluzione del quadro generale si è andata a incrociare con la nuova postura di politica estera americana, con l’arrivo sulla scena di Joe Biden e il suo tentativo di “ricondurre all’ovile” un fin troppo intraprendente asse franco-tedesco (almeno nella percezione di Washington) di cui abbiamo già parlato sulle pagine di “Ogzero”.

La Germania, nell’ultima fase, ha messo in guardia gli altri paesi europei dal “clamore conflittuale” sulla Russia e si è espressa a favore dello sviluppo di relazioni di buon vicinato con Mosca per quanto Heiko Maas, ministro degli esteri tedesco targato Spd, abbia riconosciuto che i rapporti bilaterali siano “pessimi”. Tuttavia il politologo tedesco Alexander Rahr ritiene che la leadership tedesca potrebbe prima o poi farsi prendere la mano dal desiderio di alcuni paesi dell’Europa orientale di trascinare la Germania in un duro confronto con la Russia. Le prossime elezioni legislative tedesche se vedranno l’ascesa al governo dei Verdi, da sempre più duri con la Federazione che i socialdemocratici, potrebbero dare indicazioni importanti in questo senso.

Guerra Fredda: sanzioni, minacce… il pendolo oscilla a Oriente?

Che il clima in Europa non tenda al bello non c’è proprio bisogno di un meteorologo, per parafrasare Bob Dylan. Il 23 aprile scorso l’ex premier russo Medvedev, ora passato al ruolo di vice di Putin alla Sicurezza nazionale, ha pubblicato un articolo per “Ria Novosti”, in cui riconosce che «negli ultimi anni le relazioni tra Russia e Stati Uniti sono passate di fatto dalla rivalità allo scontro, sono infatti tornate all’era della Guerra Fredda. La pressione delle sanzioni, delle minacce, del confronto dei conflitti, della protezione dei propri interessi egoistici: tutto questo fa precipitare il mondo in uno stato di instabilità permanente».

Dmitry Medvedev

Ha citato però, promo domo sua, un’interessante analogia storica con la crisi dei missili a Cuba nel 1962 che segnò il punto più basso e pericoloso delle relazioni Est/Ovest nel dopoguerra. Allora come oggi gli Usa avrebbero peccato di miopia e avventurismo.
«La politica estera degli Stati Uniti in quel momento – scrive Medvedev – costrinse il nostro paese a reagire di conseguenza. Alla fine degli anni Cinquanta e all’inizio degli anni Sessanta, ciò si è manifestato nel dispiegamento di missili americani in Turchia, Vietnam del Sud e Libano. E nella maldestra politica a Cuba, che ha generato una rivoluzione, e poi nel tentativo di riprendere il controllo dell’Isola della Libertà. E in molti altri modi».

Secondo Medvedev sessant’anni fa gli Usa erano tuttavia in grado di “razionalizzare” le relazioni internazionali mentre «oggi la situazione è un po’ diversa: gli Stati Uniti sono scivolati in una politica estera instabile. Ciò si è manifestato anche nel rifiuto dell’accordo nucleare con l’Iran e il ritiro dal Trattato sui Cieli Aperti». Si tratta di una tesi di fondo della diplomazia russa, quella di una progressiva “perdita della bussola” da parte americana che a Mosca hanno iniziato a propagandare già nell’era Obama. In questo quadro, per Medvedev, è necessario costruire un contrappeso che abbia come baricentro il quadro asiatico. «Dopo il crollo dell’Urss, la parità è scomparsa per un po’. Gli Stati Uniti, avendo vissuto per un decennio e mezzo in un sistema di coordinate, quando nessun altro paese al mondo non solo non aveva un potere paragonabile, ma nemmeno aveva un ipotetico diritto di avere tale potere, hanno semplicemente perso l’abitudine di un dialogo alla pari.
La nuova amministrazione statunitense, ripristinando la sua posizione di governante mondiale e protettrice dell’Occidente collettivo (e allo stesso tempo convincendosi di questo), non ha la forza di ammettere che qualcuno al mondo possa avere capacità infrastrutturali e politico-militari potenzialmente paragonabili a loro. Per esempio, Cina o Russia. Il mondo è congelato nell’incertezza, ma l’Asia lo aiuterà» ha concluso il delfino di Putin.

Da parte russa tutto questo non è nulla di nuovo, si tratta del rilancio dell’ipotesi dell’alleanza semistrategica tra i due paesi ex comunisti in chiave antiamericana. Per ora a Pechino hanno fatto orecchie da mercante all’appello russo, ma non è detto che a medio termine questa alleanza semistrategica, non possa veramente prendere corpo.

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Licenza di espellere https://ogzero.org/colpi-di-scena-e-cambio-di-attori/ Wed, 07 Apr 2021 16:52:30 +0000 https://ogzero.org/?p=2925 L’Intelligence mondiale impegnata in questo periodo nell’adeguamento al nuovo approccio agli Affari internazionali che Biden ha riportato alla contrapposizione del Fronte del Bene all’Impero del Male viene a trovarsi tra le mani dossier scottanti, che sono eredità della arrembante e tatticamente originale dottrina Trump; Yurii Colombo ci ha fornito una serie di chiavi utili per […]

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L’Intelligence mondiale impegnata in questo periodo nell’adeguamento al nuovo approccio agli Affari internazionali che Biden ha riportato alla contrapposizione del Fronte del Bene all’Impero del Male viene a trovarsi tra le mani dossier scottanti, che sono eredità della arrembante e tatticamente originale dottrina Trump; Yurii Colombo ci ha fornito una serie di chiavi utili per inquadrare quella che appare una rinnovata guerra di spie creata apposta per indirizzare messaggi espliciti di allineamento all’interno di una fazione… anche quando la Ostpolitik e gli affari energetici suggerirebbero equidistanza.

Riabituarsi alla banalità dello spionaggio da Guerra Fredda

Il recente caso di spionaggio russo ai danni dell’Italia e della Nato ha riacceso l’attenzione dell’opinione pubblica italiana sui rapporti tra Occidente e Russia. Un’opinione pubblica ormai impreparata a leggere gli avvenimenti internazionali e frastornata dal perdurare della pandemia ha perlopiù commentato in chiave di burla («ma quali segreti mai si venderanno per 5 mila euro?!») e di incredulità quanto successo alla fine di marzo. Se solo avesse letto non qualche spy-story strampalata ma una storia dei servizi segreti internazionali, l’opinione pubblica avrebbe saputo che di queste cifre si è spesso parlato nella storia della compravendita di segreti (anche perché altrettanto spesso di tratta di informazioni di scarso rilievo, antiquate…). Lo ha messo in rilievo Dario Fabbri su Limes on-line e in chiave storica anche chi scrive nella seconda puntata sullo spionaggio russo-sovietico in pubblicazione su Ogzero. Senza rendersi conto della dinamica che da questa estate in poi è in pieno sviluppo (dalle manifestazioni anti-Lukashenko in Bielorussia e dall’avvelenamento di Navalny sui cieli siberiani in sostanza) il “villaggio globale” è stato costantemente sollecitato a prendere parte al rinverdimento della guerra fredda 2.0 che ha ripreso vigore dopo l’elezione di Joe Biden alla presidenza Usa. Nella nostra ipotesi e canovaccio analitico il rilancio, in questa fase in grande stile, del tema dell’“impero del male” russo si basa su elementi di carattere tattico più che strategico. Se il superamento o il rovesciamento di Putin è visto dall’Unione Europea come dagli Stati Uniti come un obiettivo fondamentale (in chiave di accesso al mercato interno postsovietico nel suo complesso e al controllo del flusso delle sue materie prime) nessuna cancelleria occidentale ritiene ragionevolmente che la fine dell’era Putin sia cosa di mesi, malgrado le evidenti fibrillazioni non solo sui suoi confini occidentali (non si dimentichi l’area caucasica e la questione Transnistria oltre alla vicenda Bielorussia a cui per ora è stata posto un rattoppo) ma anche in Siberia. Il vero dibattito tra Berlino e Parigi da una parte e Washington dall’altra è su come sviluppare una crescente pressione sul Cremlino. E qui le divergenze si rivelano non solo di interessi e prospettive di fondo tra l’asse franco-tedesco e americano (che può contare sulle “quinte colonne” baltiche e dell’Europa orientale) ma anche culturali. Da molte parti è stato sottolineato di recente come l’approccio tedesco, storicamente, è spesso stato basato sull’“interdipendenza”.

Il contenimento viene da lontano

Fanteria russa alla Grande Guerra del Nord – L’artigliere stanco

«Gli orizzonti delle diverse linee politiche europee nei confronti della Russia hanno preso forma circa 300 anni fa, quando finì la Grande Guerra del Nord e divenne chiaro che la Russia era saldamente radicata nel Baltico», afferma Martin Schulze-Wessel, professore di Storia dell’Europa orientale all’Università di Monaco. Già allora furono gettate le basi della politica, che più tardi fu chiamata del “contenimento” che trovò nel XX secolo il suo principale interprete negli Stati Uniti d’America e di quella prussiana già allora divisa tra “Occidente”, a cui aspirava, e Impero russo zarista, con il quale non voleva essere nemica. Senza contare che Prussia e Russia avevano la comune aspirazione di indebolire e dividere la Polonia.

L’esperienza di due disastrose guerre mondiali ha rafforzato l’aspirazione delle élite tedesca e sovietica (e poi russa) a politiche reciprocamente vantaggiose piuttosto che conflittuali. L’obiettivo non era – e non è solo – che gli industriali tedeschi facciano profitti, e lo stato sovietico vendesse petrolio e gas all’Occidente. Il punto nodale, da parte tedesca è sempre stato la realizzazione di un mutamento di rotta al Cremlino non con la pressione, come stanno facendo gli Stati Uniti (e come fece per esempio Ronald Reagan quando ipotizzò prima dell’avvento di Gorbaciov delle Guerre stellari) ma rafforzando l’interdipendenza economica tra Europa occidentale e orientale.

Ostpolitik: dal NordStream2 ai fuochi di guerra in Donbass

L’idea di “cambiamento attraverso il riavvicinamento” (Wandel durch Annäherung) fu il motto della “Nuova politica orientale” (Ostpolitik) tedesca, avviata dal cancelliere tedesco Willy Brandt all’inizio degli anni Settanta. Alcune somiglianze con questa politica possono essere viste nell’iniziativa Partnership for Modernization, per la quale l’allora ministro degli Esteri tedesco (attuale presidente) Frank-Walter Steinmeier fece alla fine del primo decennio del 2000.

Anche ora, dopo l’attentato a Navalny, la Germania resta riluttante a compiere passi decisivi, come per esempio l’abbandono del progetto di partnership energetica di North Stream 2, la quale ha una rilevanza non solo economica. Il nuovo gasdotto ha evidentemente un significato: quello strategico e geopolitico, inteso come un’operazione diretta contro la Polonia che verrebbe aggirata a nord. Si tratta di un timore condiviso anche dal presidente ucraino Volodomyr Zelensky che vedrebbe diventare definitivamente obsolete le pipeline russe che ora attraversano il suo territorio e gli garantiscono un’importante rendita economica. La portavoce di Zelensky, Yulia Mendel, ha definito “sorprendente” il dialogo a tre tra Macron, Merkel e Putin rilanciato alla fine di marzo con una lunga riunione online in cui, tra l’altro, si è parlato esplicitamente di Donbass senza coinvolgere la parte ucraina. Successivamente le tensioni sul confine ucraino dopo la ridislocazione delle truppe russe e la dura reazione congiunta di Zelensky-Biden dopo un colloquio durato ben 50 minuti, lasciano presagire che presto tra i due paesi slavi potrebbero persino tornare a battere i tamburi di guerra. Al percorso dei “Protocolli di Minsk” per giungere alla pace nella zona orientale dell’Ucraina del resto non crede più nessuno dopo che il governo di Kiev ha smesso di riconoscere la capitale bielorussa come sede preposta alle trattative per la sua implementazione.

“Nuova guerra in Donbass: consenso interno, equilibri geopolitici e giochi di spie”.

 

Storie di spie tra pipeline contrastate e protocolli stracciati

È in questo quadro che si colloca sia l’accresciuto protagonismo del Gru (Glavnoe razvedyvatel’noe upravlenie), il servizio segreto russo militare, in particolare in Europa, e dell’aumento della soglia di attenzione del controspionaggio dei paesi dell’Unione Europea (anche in chiave propagandistica). Dopo i casi di spie russe scoperte in Austria più recentemente è venuto agli onori delle cronache l’attività dei servizi russi in Bulgaria, un caso assai più significativo di quello tricolore ma completamente – e naturalmente – ignorato dalla stampa italiana. Il 19 marzo scorso è scattata un’operazione in grande stile della polizia di Sofia per neutralizzare “spie straniere”, con perquisizioni in diversi quartier e il blocco di tutte le autostrade interurbane della capitale bulgara. Sono stati arrestati sei cittadini di quel paese che avrebbero costituito nel tempo una “rete di spionaggio” a favore di Mosca. Il gruppo di spie avrebbe fornito costantemente notizie di routine e sarebbe stato posto sotto controllo già dal 2020 e non è da escludere che si sia deciso di interrompere il flusso di informazioni (che avveniva attraverso la moglie russa di uno degli informatori che si incaricava ogni tanto di portare le informazioni all’Ambasciata russa) proprio in corrispondenza della volontà di accrescere la pressione su Mosca. (A proposito: il gruppo riceveva, secondo quanto sostenuto dai funzionari bulgari, circa 2000-3000 leva al mese per spiare le attività del paese ex socialista cioè cica 1000-1500 euro al mese: è davvero un lavoro poco remunerato quello della spia!).

Secondo l’investigatore il giornalista investigativo bulgaro Hristo Grozev che ha lavorato la scorsa estate al disvelamento del caso Navalny ci sarebbe stata una «influenza invisibile di Washington (…) e non è escluso che le informazioni sulle spie possano essere state trasferite ai servizi segreti europei dagli Stati Uniti». Secondo Grozev «scoprire una spia sotto copertura è, prima di tutto, notoriamente un atto politico dimostrativo. Molto spesso infatti l’azione delle spie è ben conosciuta e l’espulsione o l’arresto impedisce l’azione di contrasto per mezzo di notizie false o forvianti. Il secondo si chiama “opportunità politica”. Non bisogna essere degli specialisti del settore per sapere che ogni paese conduce attività di intelligence contro altri paesi. Allo stesso tempo, ogni paese ha obiettivi strategici di natura politica commerciale, economica e internazionale. Ecco perché, se la leadership di un servizio speciale o di un paese riceve informazioni su spie che vendono segreti, allora, prima di tutto, vengono valutati i rischi della distruzione dei piani strategici determinati dall’espulsione dei diplomatici».

In tal caso secondo il portale ucraino Ukrinform, sempre bene informato delle dinamiche dei servizi russi, «sia la parte bulgara che quella italiana avrebbero fatto dei calcoli logici dell’opportunità operativa e politica» per espellere i diplomatici russi. In particolare la scelta italiana sarebbe la diretta conseguenza della linea super-atlantista imposta al suo esecutivo (la definitiva rottura con Putin è stata la condizione essenziale posta alla Lega per entrare nel governo) e segna il definitivo abbandono della politica estera dei “due forni” dell’era tardo guerra fredda dei ministeri Andreotti-De Michelis.

Si tratta di una partita quella della pressione occidentale su Mosca, destinata a durare ancora a lungo e destinata ad avere molti colpi di scena e cambio di attori e di cui la carta dello spionaggio, sarà forse quella meno pesante.

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Dietro le quinte: storia di spie e servizi segreti in Russia https://ogzero.org/ruolo-dei-servizi-segreti-russi/ Tue, 02 Mar 2021 10:00:17 +0000 https://ogzero.org/?p=2533 Inauguriamo una serie di interventi di Yurii Colombo che approfondiscono il ruolo dei servizi segreti russi, la loro trasformazione nel tempo dal Kgb all’odierno Fsb, gli agenti passati alla storia, i segreti di stato della polizia politica che hanno protetto lo zarismo e assicurato la sopravvivenza dei vari regimi susseguitisi in Russia fino al crollo […]

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Inauguriamo una serie di interventi di Yurii Colombo che approfondiscono il ruolo dei servizi segreti russi, la loro trasformazione nel tempo dal Kgb all’odierno Fsb, gli agenti passati alla storia, i segreti di stato della polizia politica che hanno protetto lo zarismo e assicurato la sopravvivenza dei vari regimi susseguitisi in Russia fino al crollo dell’Unione Sovietica. Si parlerà del rapporto tra la Lubianka e Putin nella Federazione di oggi, della politica degli avvelenamenti e dell’influenza dei servizi nella politica estera del paese. Questa è la prima puntata.


Kgb: la polizia politica dello zar dai poteri illimitati

L’antenato del Kgb (Komitet gosudarstvennoy bezopasnosti – Comitato per la sicurezza dello stato), il temutissimo servizio segreto sovietico, poi ribattezzato dopo il 1991 Fsb, fu istituito da Ivan il Terribile nel 1565 e operò per solo 7 anni con nome di Opričnina (il ricordo di questa “guardia scelta” è stato rinverdito in chiave fantasmagorica e futurista recentemente nel romanzo La giornata di un opričnik di Vladimir Sorokin). Tuttavia perché in Russia si formasse il primo servizio segreto moderno, l’Ochrana, si dovette aspettare il 1881 quando dopo l’attentato allo zar Aleksander II a cui prese parte anche il fratello di Lenin, Aleksander Ul’janov, a corte ci si accorse che lo sviluppo di organizzazioni rivoluzionarie in tutto il paese rischiava di sommergere l’Impero. L’Ochrana, come è stato sottolineato nell’ormai classica storia del Kgb scritta da Christopher Andrew e Oleg Gordievskij fu l’unica organizzazione di spionaggio nell’Europa di quel tempo con poteri praticamente illimitati e un’ampia sfera di attività mentre le altre forze di polizia europee (ancora per poco!) operavano nel rispetto della legge. In fatto di crimini politici aveva il diritto di investigare, incarcerare ed esiliare di propria iniziativa e senza alcun controllo dei vertici dello stato. La differenza fondamentale tra la Russia e il resto d’Europa, scrisse nel 1903 Pëtr Struve, un marxista “legale” poi convertito al liberalismo, era «il potere assoluto della polizia politica a cui lo zarismo affidava la propria sopravvivenza», una caratteristica che, guarda caso, sembra si sia tramandata, come vedremo, fino ai nostri giorni

Volontà del Popolo

Ochrana: “Misure attive” e “azioni speciali”

La spia più celebre che l’Ochrana riuscì a reclutare fu Roman Malinovskij, deputato alla Duma di stato per i bolscevichi e uno dei bracci destri di Lenin. Un ruolo particolare all’interno della struttura dell’organizzazione ma anche nell’economia della nostra riflessione sui servizi in Russia fu rappresentato dal quartier generale dell’Agenzia Estera dell’Ochrana (la Zagraničnaja Agentura), che fu istituita per sorvegliare gli emigrati politici e guidata da Pëtr Račkovskij (il probabile compilatore dei Protocolli dei Savi di Sion). Infatti come successivamente il Kgb e il Fsb, la Zagraničnaja Agentura ebbe sempre un ruolo fondamentale non solo per le raccolte delle informazioni, ma anche nell’attuazione di “misure attive” programmate per influenzare i governi stranieri e l’opinione pubblica, oltre che “azioni speciali” come, per esempio, quella del 1886 in cui gli uomini di Račkovskij fecero saltare a Ginevra la tipografia della “Volontà del Popolo”, la più famosa delle  organizzazioni populiste, riuscendo a far sembrare l’attentato come l’opera di rivoluzionari delusi. Račkovskij non si limitò nella sua carriera solo alla raccolta delle informazioni segrete e alle “misure attive”, ma cercò anche di influenzare la politica estera russa. Quando giunse a Parigi nel 1884, era già un convinto sostenitore di un’alleanza con la Francia. Un’autonomia politica che invece verrà a mancare ai servizi nell’epoca di Stalin quando furono ferreamente diretti dall’alto.

Pëtr Ivanovič Račkovskij

La Čeka e il destino degli accusati

Dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi nell’ottobre del 1917, la creazione del “Comitato straordinario di tutte le Russie e per combattere la controrivoluzione e il sabotaggio” meglio conosciuta con l’acronimo di Čeka (poi Gpu-Ogpu-Nkvd) venne affidata a uno dei duri della vecchia guardia leninista, Felix Dzeržinskij (membro della socialdemocrazia lituana dal 1895). Nel suo discorso di investitura il rivoluzionario russo chiarì subito i suoi intenti: «Non pensate che io cerchi forme di giustizia rivoluzionaria; in questo momento non è di giustizia che abbiamo bisogno. Adesso è questione di guerra faccia a faccia, di lotta all’ultimo sangue. O vita o morte! Io propongo, anzi, esigo, un organo per la resa rivoluzionaria dei conti con i controrivoluzionari». Nella logica della guerra civile il terrore rosso si poneva il compito di sterminare «la borghesia intesa come classe. Nel corso delle indagini, non cercate di dimostrare che il soggetto ha detto o fatto qualcosa contro il potere sovietico. Le prime domande che dovete porvi sono: a quale classe appartiene? Qual è la sua origine? Quali sono la sua cultura e la sua professione? Le risposte a queste domande devono determinare il destino dell’accusato». Negli anni della guerra civile, ma ancora fino agli anni Trenta, la Čeka più che svolgere attività di intelligence operò piuttosto quindi nel campo della pura repressione e secondo alcune fonti le esecuzioni eseguite dai suoi uomini tra il 1917 e il 1921 furono circa 250.000. Successivamente – negli anni  Venti – le funzioni dei servizi sovietici si limitarono essenzialmente al collegamento con i vari partiti del Comintern, nel tentativo di sviluppare la tanto sperata rivoluzione internazionale. Con risultati scadenti, a dire il vero, visto il fallimentare tentativo di putsch rivoluzionario in Germania del 1923.

Gpu-Nkvd: la struttura informativa contro ogni tipo di opposizione

Fu solo con l’ascesa di Stalin che la struttura informativa, prima sotto la direzione di Genrich Jagoda e poi di Lavrentij Beria, divenne scientifica ed efficiente. La necessità di portare avanti una lotta spietata contro ogni tipo di oppositori e sabotatori della pianificazione industriale e agricola (questi ultimi  perlopiù di fantasia) condusse la Gpu-Nkvd a costituire una fittissima rete di informatori in ogni piega della società favorendo la delazione di massa e un clima di sospetto in tutta il paese. Furono milioni le persone che dal 1929  fino al 1953 soffrirono nei GULag (i campi di lavoro forzato creati in tutta l’Unione Sovietica a partire dal 1930) e centinaia di migliaia i cittadini sovietici che furono passati per le armi in quanto “nemici del popolo”. Ma la vera opera di spionaggio, di raccolta delle informazioni e e di provocazione per come lo si intende oggigiorno fu realizzato dalla Gpu-Nkvd all’estero. Il primo grande filone a cui furono adibiti gli agenti stalinisti era quello di controllare la variegata emigrazione controrivoluzionaria bianca concentrata fondamentalmente a Parigi (mentre quella menscevica visto che la buona parte dei suoi quadri era di origine ebrea aveva abbandonato l’Europa per raggiungere gli Stati Uniti). Qui i servizi segreti russi nel 1930, grazie all’aiuto della mezzo soprano Nadežda Plevitskaja, portarono a segno il sequestro e l’uccisione di Aleksander Kutepov un generale che durante la guerra civile russa era stato ai comandi del generale Denikin in Siberia e nella capitale francese era uno dei più attivi organizer della diaspora controrivoluzionaria. Ma lo sforzo maggiore compiuto dalla Gpu-Nkvd in quegli anni fu rivolto a vanificare i tentativi delle formazioni comuniste eretiche collegate a Lev Trockij di stabilizzarsi in Occidente.

Genrich Grigorijewitsch Jagoda

Stalin contro il pericolo del trockijsmo europeo

Il timore principale di Stalin – secondo  Gordievskij – inizialmente fu legato alla crescita di influenza del Partido Obrero de Unificacion Marxista (Poum) spagnolo nella guerra civile spagnola. Questa formazione marxista pur non essendo ortodossamente trockijsta, era ferocemente antistalinista e avrebbe potuto rappresentare soprattutto in Catalogna repubblicana, una base logistica per il trockijsmo europeo. Per stroncare il Poum il capo della Nkvd Jagoda spedì in Spagna gli uomini di Aleksander Orlov che si erano già mostrati efficienti ed efficaci in Russia. Questi ultimi ricevettero carta bianca dal punto di vista operativo dal Cremlino anche rispetto a Togliatti che dirigeva politicamente le attività del Comintern in Spagna, organizzando una caccia spietata ai dissidenti comunisti e anarchici che raggiunse il suo apice con l’assassinio di uno dei pionieri del comunismo spagnolo, Andreu Nin, nel 1937. La campagna per debellare il trockismo proseguì con l’uccisione a Parigi del figlio di Trockij, Leon Sedov, del segretario della Quarta Internazionale, il tedesco Rodolf Klement, ma soprattutto di Ignass Reiss (Porecki) un agente segreto sovietico a Parigi che disgustato dai metodi di Stalin aveva deciso di raggiungere il campo dell’antistalinismo militante. Il 5 giugno 1937 Juliette Stuart Poyntz, americana, agente delusa dell’Nkvd subì una sorte simile: uscita dalla sua camera alla Women’s Association Clubhouse di Manhattan non fu mai più vista. Si ebbero in seguito le prove che era stata attirata in un agguato mortale dal suo ex amante russo, Šačno Epstein, anch’egli agente dell’Nkvd. Il corpo della donna fu seppellito dietro un muro di mattoni in un caseggiato del Greenwich Village.

La diaspora delle spie

Un altro agente che aveva defezionato denunciando lo stalinismo Walter Krivickij ed era fuggito negli Usa fu raggiunto e assassinato a Washington dagli agenti della Nkvd nel 1941. Potrà sembrare un caso, ma non lo è, ma le spie sovietiche di questa generazione erano per lo più di origine ebraica e provenivano dalle “colonie” interne dell’Urss come la zona orientale della Polonia e quella occidentale dell’Ucraina. Si trattava per lo più di giovani mosse nella loro pericolosa attività dal più intrepido idealismo. Una di questi, il leggendario Leopold Trepper, creerà poi in Francia e in Belgio la celeberrima rete di informazione antinazista Orchestra rossa che con la sua sistematica raccolta di informazioni sui progetti militari del Terzo Reich, fornirà un decisivo sostegno allo sforzo bellico sovietico durante la guerra mondiale.

Agenti doppi e defezioni

Nel campo occidentale un ruolo particolare fu giocato poi dai “cinque di Cambridge”, una struttura spionistica sovietica in Gran Bretagna creata da Kim Philby un rampollo della aristocrazia britannica che a partire dal 1938 era stato reclutato allo spionaggio  sovietico nella prestigiosa università dall’agente segreto del Kgb Alice (Litzi) Friedmann. Philby riuscì a mimetizzarsi a lungo nel ruolo di agente doppio e a defezionare in Urss nel 1963, diventando un’icona internazionale, al punto che nel 1990 in Urss gli venne persino dedicato un francobollo.  

La rete più importante dell’intelligence russa del periodo tra le due guerre fu comunque quella organizzata per l’assassinio di Trockij in Messico nel 1940. Facendo conto su basi a Madrid, Parigi, New York, Istanbul e Città del Messico, la Nkvd riuscì a infiltrare alla testa del coordinamento della Quarta Internazionale europea l’agente e antropologo Mark Zborowski (alias Etienne) che aiuterà poi Ramon Mercader, l’autore materiale dell’omicidio, a entrare in contatto e far invaghire una delle segretaria di Trockij, Sylvia Ageloff, e infine penetrare nel piccolo fortino in cui viveva l’ex capo dell’Armata Rossa. Questa almeno è la ricostruzione ufficiale. Alcune delle ricerche nel secondo dopoguerra in realtà hanno messo in discussione questa versione considerandola semplicistica. In realtà Zborowski sarebbe stato un agente doppio, legato anche all’Fbi (visse negli Usa fino alla morte avvenuta nel 1990 senza tanti problemi) mentre Ageloff sarebbe stata anch’essa un’agente dell’Nkvd infiltrata nel movimento trockista già dal 1938. In questa operazione giocarono un ruolo fondamentale ben più dello stesso Mercader (e di sua madre Caridad anch’essa agente di Stalin) Naum Ėjtingon (detto Tom) e Pavel Sudoplatov, due agenti di copertura che non tradiranno mai il potere sovietico e moriranno tranquillamente nei loro letti di Mosca. Sodoplatov negli anni Novanta pubblicò anche le sue memorie che vennero tradotte in gran parte delle lingue del mondo, in cui sostenne – nell’imbarazzo generale – di aver trattato nel 1941 su ordine di Beria con la Germania – attraverso l’ambasciata bulgara – la cessione di significative quote di territorio sovietico in cambio dell’armistizio.

Il bunker sovietico 42 costruito a Mosca durante la Guerra Fredda (foto di A. Chubykin)

In un quindicennio che va dal 1930 alla fine della guerra, la macchina informativa e repressiva della Čeka-Gpu-Nkvd aveva quindi affinato i suoi strumenti e riportato importanti successi. Dopo il 1945 – da quando scenderà la cortina di ferro sull’Europa – l’Urss affinerà i suoi metodi di investigazione per la selezioni dei suoi quadri nel suo lavoro interno e all’estero diventando sotto l’acronimo di Kgb, uno delle organizzazioni di intelligence tra le più temute del mondo.

Ma di questo vi parleremo nella prossima puntata.

Letture consigliate:

Christopher Andrew, Vasili Mitrokhin, The Mitrokhin Archive: The KGB in Europe and the West (Penguin, 2018)

Andrei Soldatov, Irina Borogan, The Compatriots: The Brutal and Chaotic History of Russia’s Exiles, Emigrés, and Agents Abroad (PublicAffairs, 2019)

Pavel Sudoplatov, Spezoperazii. Lubjanka e Kreml’ 1930-1950 gody (Olma-Press, 1997)

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Alexey Navalny, questo sconosciuto: una prospettiva https://ogzero.org/alexey-navalny-questo-sconosciuto-una-prospettiva/ Wed, 27 Jan 2021 11:16:20 +0000 http://ogzero.org/?p=2312 Il riaffiorare delle proteste antiregime in Russia ripropone il tema dello stato di salute socio-economico del paese, delle prospettive della presidenza Putin e della riemersione di Alexey Navalny (dopo l’avvelenamento con Novichok ad agosto in Siberia e l’arresto al ritorno in patria) come possibile alternativa democratica. Rimandando ad altra occasione l’approfondimento, importante, dei primi due […]

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Il riaffiorare delle proteste antiregime in Russia ripropone il tema dello stato di salute socio-economico del paese, delle prospettive della presidenza Putin e della riemersione di Alexey Navalny (dopo l’avvelenamento con Novichok ad agosto in Siberia e l’arresto al ritorno in patria) come possibile alternativa democratica. Rimandando ad altra occasione l’approfondimento, importante, dei primi due aspetti, vediamo di concentrarci sulla figura del blogger antisistema tanto discussa quanto poco conosciuta anche in Occidente.

Dall’opposizione mainstream a Narod

Navalny muove i suoi primi passi nel mondo politico nei primi anni Duemila nell’universo dell’opposizione “mainstream” di Yabloko di Viktor Yavlinskij uno stimato accademico, vice primo ministro in era gorbacioviana che propone ricette economiche di liberismo temperato sulla falsariga dei cristiano-sociali tedeschi condite con disponibilità e aperture alle questioni dei diritti civili, Lgbt compresi. Ma per Navalny si tratta di un mondo compassato e old fashion che gli sta stretto: il giovane blogger vuole una politica più aggressiva, più militante e costruita sull’uso professionale delle nuove tecnologie. Nel 2007 lascia Yabloko per fondare il Movimento nazional-democratico “Narod” (“Popolo”): un pot-pourri in cui si agglutinano soprattutto gli ex nazional-bolscevichi di Limonov. Controllo rigido della migrazione interna e stato forte caratterizzano una forza politica che non decollerà, anche perché quello spazio politico è ben presidiato da Vladimir Zirinovsky, lo xenofobo leader del Partito liberaldemocratico.

Dal fascino della destra e al maquillage populista

Tre anni dopo, e siamo nel 2010, Navalny prende parte a “Russky Marsh” la manifestazione dell’estrema destra in cui si sprecano le bandiere nere con la celtica, le foto di Ivan Grozny, e i cui partecipanti non si vergognano di dichiararsi antisemiti e omofobi. Ma con la candidatura per sindaco di Mosca, nel 2012, su consiglio dei suoi spin-doctor Navalny “ribrandizza” la sua immagine per intercettare l’elettorato giovanile della capitale, educato al liberalismo di stampo occidentale. Un riposizionamento che gli frutterà il 27,2% dei consensi. Un maquillage populista, il suo programma elettorale alla carica di sindaco, che accanto alla rivendicazione del diritto al matrimonio gay alterna l’attacco a Putin sui temi della corruzione, ma anche una politica sull’immigrazione centroasiatica reazionaria non molto diversa da quella della Lega di Salvini. Nel frattempo parteciperà, in prima fila, alle grandi manifestazioni contro i brogli delle elezioni presidenziali del 2011-2012.

Navalny sconosciuto

Alexey Navalny alla Marcia Russa il 4 novembre a Mosca nel 2011

Una macchina politica fondata sul personaggio

Il riflusso di quelle che per ora restano le più grandi manifestazioni di protesta da quando è nata la Federazione russa lo inducono a riflettere. Da allora in poi inizia a costruire una propria macchina politica centralizzata di stile “leninista” che ruota tutto intorno alla sua persona che cresce negli anni in oltre sessanta provincie in tutto il paese, dimostrando, va detto, notevole coraggio in uno stato dove qualsiasi cosa si muova viene messo subito sotto la lente d’ingrandimento dei servizi segreti e della polizia. Si tratta di un’intuizione forte: per i russi, tradizionalmente, la politica è sempre qualcosa che ruota intorno a un leader carismatico – non importa se si chiami Pietro I o Stalin, Ivan Grozny o Pugacev. Il nome del suo partito cambia spesso, più importanti sono le front organizations di cui la principale è “il centro anticorruzione” (che ha prodotto il recente film – oltre 70 milioni di visualizzazioni – sull’ormai famosa residenza di Putin da 38.000 metri quadrati in Crimea) ma al cui centro c’è sempre e solamente il portale navalny.com. Non a caso quando viene escluso dalla corsa per le presidenziali del 2018 a causa di una condanna penale (un reato fiscale che molti osservatori sostengono sia stato fabbricato dall’Fsb) preferisce non puntare su qualche suo braccio destro ma chiamare al boicottaggio del voto.

Il programma politico neoliberale

È in questo periodo che mette a punto il suo programma politico che non ha mai voluto troppo pubblicizzare, temendo come altri politici populisti in ascesa, i “temi divisivi”. Il suo piano economico per lo sviluppo della Russia è sin troppo semplice: aumento del salario minimo a 25.000 rubli al mese, aumento delle pensioni e dei servizi sociali dalla Sanità all’Istruzione. Da dove reperire queste risorse? Le ricette, neoliberali, non sono molto diverse da quelle attuate in Occidente che si sono dimostrate disastrose per le classi subalterne: «Il nostro programma include un’ampia gamma di misure per liberare gli imprenditori dalla pressione della burocrazia, dei funzionari della sicurezza e dei monopoli. Stiamo implementando un programma per demonopolizzare l’economia e ridurre i prezzi. Ridurremo il numero di organismi di regolamentazione e ne liquideremo alcuni. […] Aboliremo la contabilità fiscale separata e passeremo completamente alla rendicontazione contabile in conformità con gli standard internazionali. Vieteremo l’avvio di procedimenti penali nel caso in cui si consideri lo stesso caso nel quadro di una controversia commerciale, così come mettere in custodia gli imprenditori per reati economici in attesa di una sentenza».

Le sue bordate ovviamente sono contro quella “rinazionalizzazione” dell’economia volta da Putin – una sorta di bicefalo di capitalismo di stato con turboliberismo nel mondo lavorativo – che ha rimesso sotto controllo statale tutti i settori strategici dell’economia, comprese le banche e quello immobiliare. «In Russia ora c’è una sorta di capitalismo incomprensibile, in cui lo stato controlla più della metà dell’economia e domina gli uomini d’affari. Un tale sistema ostacola lo sviluppo del paese», denuncia Navalny, peccato però che buona parte degli oligarchi e dei businessmen a cui si rivolge hanno prosperato sotto l’economia di “pianificazione comandata neoliberale” di Putin: sono ormai cento gli oligarchi miliardari in dollari in un paese dove la forbice della ricchezza è tornata a essere quella dei tempi del 1905 che mise in moto la prima rivoluzione sovietica, come ha dimostrato Thomas Piketty.

La ricetta fiscale: il federalismo nel federalismo

L’uovo di Colombo per l’oppositore sarebbe un’ulteriore riduzione delle tasse – questa volta per il piccolo e medio business – in un paese dove esiste già un prelievo ridottissimo (flat tax al 13-15%). L’oneroso sistema della difesa che assorbe – e siamo ai dati del 2021 – il 14,5% del budget statale verrebbe inoltre ridotto grazie all’introduzione dell’esercito professionale: «la Russia è in grado di permettersi un esercito completamente “a contratto”: 500.000 soldati con uno stipendio medio di 200.000 rubli al mese (il nostro obiettivo) sono 1200 miliardi di rubli all’anno. Il budget militare di oggi è di circa 3 mila miliardi…». Un altro tassello fondamentale della sua amministrazione sarebbe il federalismo fiscale in un paese già federale ma dove troppe risorse finirebbero al centro: «Il nostro programma di riforma del bilancio prevede un aumento della quota di imposte e tasse trattenute nelle regioni. […] Oggi il denaro va avanti e indietro: prima viene prelevato dalle regioni e poi assegnato sotto forma di sussidi. Questo viene fatto per mettere le regioni in una posizione politicamente subordinata. Siamo categoricamente contrari a questo. Una giusta distribuzione del gettito fiscale tra centro e regioni dovrebbe essere di 50/50 in pochi anni (negli ultimi anni si è arrivati a 70/30 a favore del centro)». Null’altro. Davvero troppo per risolvere i problemi di dipendenza dell’economia russa dalla produzione ed esportazione di idrocarburi (che rappresenta il 30% del Pil) dal cronico deficit di capitali e da una valuta fragile e volatile. Per non parlare di un mondo del lavoro in cui la precarietà, l’inesistenza di diritti e tutele, oltre che i bassi salari sono la norma.

La politica nazionalista: il regime dei visti

La riforma del sistema giudiziario e un’organizzazione degli apparati di sicurezza completano il menù “riformista” interno. Allo stesso tempo Navalny non ha mai nascosto di voler perseguire una politica “realmente nazionalista” – sulla falsariga di quella promossa dalle forze sovraniste e di destra nell’Unione Europea – nei confronti delle ondate migratorie dal Centro-Asia. La sua latente posizione xenofoba era già venuta a galla durante la sua campagna elettorale per la carica di sindaco di Mosca nel 2013 quando si era detto favorevole alla deportazione coatta dei migranti illegali e il divieto della costruzione di moschee. Posizione riaffermata in modo più vago anche nel suo programma politico sostenendo la necessità di «introdurre un regime dei visti con i paesi dell’Asia centrale e della Transcaucasia».

Navalny sconosciuto

Mosca 2013, uno striscione pubblicizza la candidatura di Navalny

La minaccia per Putin: la sua politica estera

Ma ciò che rende il suo programma particolarmente insidioso per Putin sono le direttrici della politica estera. Navalny non ha fatto mai mistero di considerare avventurista la politica russa dal 2014 in poi in Ucraina. Più di una volta ha infatti sostenuto che se assumesse il potere chiuderebbe rapidamente il contenzioso nel Donbass e proporrebbe un nuovo referendum per decidere lo status giuridico internazionale della Crimea. E di voler puntare a un’integrazione con l’Unione Europea. «La Russia dovrebbe tornare all’ideologia del partenariato strategico e dell’integrazione con i paesi dell’UE sulla base del concetto di “quattro spazi comuni”, individuando come obiettivo finale la creazione di una zona di libero scambio tra l’UE e l’EurAsEC», sostiene sempre nel suo programma politico. Tutta musica per le orecchie di Bruxelles ancor prima che di Washington, se si aggiunge che Navalny abbandonerebbe al loro destino sia Assad sia Maduro – strategici alleati di Mosca – e rimodulerebbe le relazioni con Erdoğan. Il che rappresenterebbe il ritorno di quell’ipotesi di inserimento della Russia nella Nato che era stata ipotizzata, se non accarezzata, dallo stesso Putin nei suoi primi anni di amministrazione.

L’Europa si allontana da Putin: una partita da giocare

Tuttavia fino a questa estate né la UE né la Casa Bianca (o meglio il Pentagono) avevano considerato seriamente l’ipotesi di sostenere gli sforzi dell’oppositore russo. Poi si sono determinati una serie di fattori che hanno indotto Macron ad archiviare le sue aperture al Cremlino (facendo baluginare più volte l’idea di una versione riveduta e corretta del sogno gollista di un’Europa da Lisbona a Vladivostok) e la Merkel a non portare a compimento la megapipeline North Stream 2 che prevede un raddoppio dell’afflusso di gas russo in Germania. La crisi politica in Bielorussia, l’allontanamento da Putin della storica alleata Serbia in direzione stelle-striscie, il cambio della guardia in Moldavia che ha riportato i filo-UE alla presidenza dopo il mandato di Igor Dodon a cui si aggiunge l’avventuristico uso ormai reiterato da parte dell’Fsb di armi chimiche, ha fatto ritenere alle cancellerie europee che ogni possibilità di dialogo con il regime putiniano – almeno per il momento – siano giunte al capolinea e che si possa tentare di lavorare al fine di provocare il collasso del suo regime in tempi medi, usando appunto anche il cavallo di troia dell’opposizione di Navalny, l’unica oggi strutturata e capace di essere il magnete del variegato scontento che serpeggia nel paese. Una scommessa azzardata perché dovrebbe puntare a una scissione dentro i poteri forti russi: il complesso militar-industriale, i cinovniki degli idrocarburi e i servizi segreti. Forse per questo la partita geopolitica iniziata con il crollo dell’Urss trent’anni fa è ancora in gran parte da giocare.

Dopo le manifestazioni del 31 gennaio Yurii Colombo è intervenuto più volte a commentare la situazione dal suo osservatorio privilegiato:

“I disperati del Putin declinante”.

 

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Navalny: il Cremlino e la Lubyanka, chi decide cosa? https://ogzero.org/il-cremlino-e-la-lubyanca-chi-decide-cosa/ Tue, 15 Dec 2020 18:13:58 +0000 http://ogzero.org/?p=2078 Chi ha avvelenato l’oppositore russo Alexey Navalny – entrato in coma il 20 agosto sul volo Tomsk-Mosca – con un agente nervino denominato dalla stampa Novichok sarebbe stato un reparto specializzato dei servizi russi. È quanto emerge dall’inchiesta condotta dai portali di giornalismo investigativo “Bellingcat” (Gran Bretagna) e “The Insiders” (Russia) con il sostegno di […]

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Chi ha avvelenato l’oppositore russo Alexey Navalny – entrato in coma il 20 agosto sul volo Tomsk-Mosca – con un agente nervino denominato dalla stampa Novichok sarebbe stato un reparto specializzato dei servizi russi.

È quanto emerge dall’inchiesta condotta dai portali di giornalismo investigativo “Bellingcat” (Gran Bretagna) e “The Insiders” (Russia) con il sostegno di “Der Spiegel” e la “Cnn”.

Controlli incrociati

L’inchiesta è particolarmente significativa perché si basa su una massa di prove indiziarie e di concatenazione di fatti così particolari e dettagliati da rendere l’ipotesi della semplice “casualità” assai remota. I due portali sono divenuti particolarmente autorevoli in questo tipo di vicende dopo aver già lavorato in tandem qualche tempo fa, riuscendo a dimostrare fattualmente la responsabilità di due agenti Fsb nell’avvelenamento nel 2018 dell’ex agente russo defected al MI5 Sergey Skripal a Salisbury.

Dopo aver analizzato i database relativi ai voli aerei e ai viaggi in treno (in Russia anche i viaggiatori delle ferrovie vengono registrati con il passaporto) di una serie di persone individuate come agenti Fsb, i giornalisti hanno scoperto i loro spostamenti in dozzine di città russe negli stessi giorni di Navalny sin dal 2017, a partire cioè dal momento in cui quest’ultimo aveva deciso di presentarsi come candidato alle elezioni presidenziali. I metodi e i sistemi con cui gli investigatori sono giunti a ottenere queste informazioni è molto particolare ed esigerà un approfondimento a parte perché dimostra quanto stia mutando il giornalismo d’inchiesta nell’era digitale. Tuttavia si può anticipare qui che il lavoro si è basato su un’analisi degli intrecci tra centinaia di migliaia di tabulati telefonici e dettagli relativi agli spostamenti che fornisce un quadro quasi completo dei legami tra i presunti avvelenatori e che conferma i loro legami con l’Fsb.

Gli otto agenti coinvolti nell’attentato alla vita di Navalny

Non una semplice “opposizione antisistema”

Fino a qui, per tornare al caso in questione, sarebbe possibile asserire che potrebbe trattarsi di semplice sorveglianza dell’attività di uno dei leader di quella che Putin chiama “l’opposizione antisistema”, cioè di qualunque partito o gruppo che non sieda in parlamento. Ma lo screening dei nomi degli agenti coinvolti rivela qualcos’altro. Stanislav Makshakov, Oleg Tayakin (“Tarasov”), Alexey Alexandrov (“Frolov”), Ivan Osipov (“Spiridonov”), Konstantin Kudryavtsev (“Sokolov”), Alexey Krivoshchekov, Mikhail Shvets (“Stepanov”), Vladimir Panyaev sarebbero un “gruppo di fuoco” di specialisti in attentati con armi chimiche. Il ruolo di pivot, secondo gli investigatori, è giocato da Makshakov, chiamato e messaggiato costantemente da tutti i membri del gruppo. Nel passato Makshakov aveva lavorato presso l’Istituto statale di Tecnologia di Sintesi organica, che dirigeva lo sviluppo di nuove forme di armi chimiche fino alla conclusione ufficiale di questi programmi in Russia nel 2017.

Il passo falso di Aleksandrov

In particolare durante il tour elettorale di Navalny in agosto che toccò prima Novosibirsk e poi Tomsk – due grandi città siberiane – e che si concluse con la tragedia sul volo Tomsk-Mosca, il politico fu seguito da Aleksandrov, Osipov e Panyaev. Durante tale viaggio i tre avrebbero – secondo lo studio – utilizzato schede sim usa e getta e quindi gli investigatori non hanno potuto stabilire i loro movimenti esatti. Malgrado ciò per due volte Aleksandrov ha acceso il suo telefono personale per diversi secondi geolocalizzandosi la prima volta vicino a un hotel a Novosibirsk dove la collega di Navalny, Maria Pevchikh, aveva prenotato una stanza, e una seconda volta, non lontano dall’hotel dove si trovava Navalny stesso.

Cambio di programma

Quando la mattina del 20 agosto Navalny fu salvato grazie all’atterraggio di emergenza e il ricovero a Omsk, Aleksandrov, Osipov e Panyaev non ripartirono per Mosca con i biglietti che avevano prenotato in precedenza, ma si trasferirono invece a Gorno-Altaisk, raggiunti nel contempo da Mosca da Tayakin. “The Insiders” e “Bellingcat” presumono che da lì si sarebbero recati all’Istituto per le Tecnologie chimiche ed energetiche, nella vicina Biysk, nella quale si trova anche l’Istituto di Scienze forensi dell’Fsb, al fine di sbarazzarsi degli abiti con le tracce del veleno.

Durante tutti i viaggi dal 2017 in poi, compreso l’ultimo, i membri del gruppo hanno contattato regolarmente per telefono anche il direttore dell’Istituto di Criminalistica, il colonnello generale Kirill Vasiliev e il vicedirettore del servizio tecnico e scientifico dell’Fsb, il generale Vladimir Bogdanov. Inoltre, Zhirov e Makshakov erano in contatto telefonico con Oleg Demidov, uno specialista di armi chimiche che in precedenza aveva lavorato presso il 33° Istituto militare di Shikhany, uno dei presunti luoghi in cui è stato sviluppato il Novichok.

I luoghi visitati da Navalny dal 2017 in cui è stato seguito dagli agenti dell’Fsb

Il terrorismo di stato

Contemporaneamente alla pubblicazione dell’inchiesta, Navalny – dal suo rifugio tedesco – ha messo online un film-documentario reperibile sul suo sito internet con sottotitoli in inglese, aggiungendo alcuni dettagli alla ricostruzione di “Bellingcat” e “The Insiders”. In particolare il blogger anti-Putin ritiene che l’agente nervino gli sarebbe stato somministrato in un cocktail “Negroni” servito nel bar dell’hotel Xander a Tomsk, nella tarda serata del 19 agosto. Navalny sostiene pure di aver subito un altro tentato omicidio a Kaliningrad, il 6 luglio scorso. Tuttavia la parte finale del video, dedicata alla denuncia politica del complotto ai suoi danni, quando parla apertamente di “terrorismo di stato”, è la più significativa dal punto di vista politico. «Quelli che mi hanno perseguitato non sono ficcanaso dell’Fsb che lavorano agli ordini di un oligarca o di un funzionario che ho offeso con le mie denunce. Un intero dipartimento dell’Fsb sotto la guida di alti funzionari ha condotto un’operazione per due anni, durante la quale hanno tentato più volte di uccidere me e i miei familiari ottenendo armi chimiche da un laboratorio statale segreto. Ovviamente un’operazione di questa portata e di questa durata non può essere organizzata da nessuno che non sia il capo dell’Fsb [Alexander] Bortnikov, il quale, a sua volta, non avrebbe mai osato farlo senza l’ordine di Putin», afferma Navalny. Una denuncia non nuova già lanciata dall’oppositore russo il 1° ottobre scorso (a cui aveva replicato piccato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov accusandolo di essere al servizio della Cia), quando forse aveva già in mano parte del materiale ora pubblicato dai due portali di giornalismo investigativo. Tuttavia, questa denuncia desta qualche perplessità. Quando Navalny il 9 agosto viene avvelenato – i principali laboratori europei lo hanno confermato – si stanno tenendo delle gigantesche manifestazioni e scioperi in Bielorussia contro uno dei più importanti alleati della Federazione russa: Alexander Lukashenko. Risulta difficile pensare, anche se non si può escludere, che in una tale situazione Putin, che è pur sempre un politico guardingo e per certi versi persino cauto, abbia autorizzato alcuni suoi uomini a gettare benzina sul fuoco. Seppure bisogna riconoscere che l’avvelenamento di Skrypal – la cui responsabilità del Fsb è ormai stata provata – avvenne a pochi mesi da quella grande vetrina che era per la Russia l’organizzazione in casa dei mondiali di calcio.

I servizi segreti agiscono autonomamente?

Esiste un’altra ipotesi che Navalny non sembra voler prendere in considerazione, è cioè che l’Fsb possa operare autonomamente dalla presidenza, sia un organo separato con “licenza di uccidere”, per citare un classico della letteratura della Guerra Fredda. Dentro quali dinamiche e per quali fini è in buona parte da capire, ma tutta la storia recente russa va in quella direzione. O magari forse Navalny lo intuisce ma resta schiacciato dalle necessità propagandistiche immediate? Non si può escludere, visto che non a caso nella parte finale della sua videodenuncia, parla inizialmente del fallimento dell’attentato contro di lui come un elemento del degrado del paese: «Tuttavia, nel complesso, è vero, l’operazione è fallita e di ciò ovviamente sono molto contento. Non c’è bisogno di essere sorpresi di questo. Per vent’anni, sotto la guida di Putin, tutto è stato degradato. E se Rogozin è responsabile per la cosmonautica e Chubais è responsabile delle nanotecnologie, allora come è possibile pensare che l’Fsb sia organizzato meglio? Cosa ti fa pensare che il Novichok funzionerà meglio del robot spaziale Fedor? […] Perché tutto è finito in pezzi nel paese e i funzionari pensano solo a dove rubare. Il sistema sta implodendo nel suo insieme, a tutti i livelli».

È un tradimento nazionale: l’appello alla “diserzione”

Navalny, infine, conclude rivolgersi direttamente all’apparato dei servizi segreti: «Vorrei dire qualche parola agli ufficiali dell’Fsb e alle forze dell’ordine in generale. Non vi vergognate di lavorare in questo sistema? Bene, è chiaro che vi siete trasformati in servitori di ladri e traditori. Per vent’anni Putin ha costantemente trasformato sia l’Fsb che il Ministero degli Affari interni in strutture il cui compito principale è aiutare lui e i suoi amici a rubare. E questo è l’unico progetto nazionale che è stato completato perfettamente. Il paese più ricco e con enormi risorse è diventato indigente. […] Non c’è bisogno di partecipare a questo tradimento nazionale. Coloro che sostengono Putin e il suo sistema non sono patrioti, ma traditori. Hanno tradito il popolo russo». Un appello alla “diserzione” – per ora destinato a restare probabilmente senza successo – ma che pone un quesito: quali sono oggi gli equilibri di potere tra Cremlino e Piazza della Lubyanka dove si trova il grande edificio che ospita gli uffici del Fsb?

 

Questo articolo inaugura una serie di articoli che Yurii Colombo produrrà per OGzero riguardanti i rapporti tra Vladimir Putin e i servizi segreti del suo paese, un’interpretazione dei meccanismi e delle strategie di potere che legano Cremlino e Lubyanka. Come si riflette questo rapporto sulle decisioni e sulla politica internazionale?

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La Siberia tra il Dragone e il Sultano https://ogzero.org/la-luna-di-miele-turco-russa-e-finita/ Sat, 14 Nov 2020 19:09:43 +0000 http://ogzero.org/?p=1765 La luna di miele turco-russa è finita La linea di faglia apertasi nel Nagorno-Karabakh ha dimostrato, se ce ne era ancora bisogno, che la luna di miele tra Turchia e Russia è ormai archiviata malgrado proprio sull’enclave a etnia armena Putin sia stato costretto – con gli accordi del 9 novembre – a un nuovo […]

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La luna di miele turco-russa è finita

La linea di faglia apertasi nel Nagorno-Karabakh ha dimostrato, se ce ne era ancora bisogno, che la luna di miele tra Turchia e Russia è ormai archiviata malgrado proprio sull’enclave a etnia armena Putin sia stato costretto – con gli accordi del 9 novembre – a un nuovo compromesso tattico per impedire il completo collasso del fronte. L’intraprendenza di quello che alcuni osservatori già chiamano “imperialismo ottomano” è sotto gli occhi di tutti e a Oriente i danni maggiori di tale intraprendenza li potrebbe subire proprio la Federazione. Non a caso sulla Moscova hanno da tempo iniziato a ricalibrare la politica nei confronti di Ankara: Sergej Lavrov, il ministro degli esteri russo, ha recentemente sostenuto di non aver mai considerato la Turchia “un alleato” ma solo un “partner”.  Il massiccio bombardamento russo a Idlib contro la guerriglia filoturca in Siria della fine di ottobre 2020, da questo punto di vista, è probabilmente stato un parlare a moglie perché suocera intenda. Ma la Transcaucasia è solo la punta dell’iceberg di uno scontro ben più ampio che parte dalla Crimea e si estende fino all’estremo Oriente russo ai confini con la Cina.

L’intelligence turca a caccia di spie

Il 16 ottobre scorso nell’incontro tra Volodomyr  Zelenskij e Recep Erdoğan non solo quest’ultimo ha dato il suo via libera alla cosiddetta “piattaforma di Crimea” promossa dal governo di Kiev (un’offensiva diplomatica volta al recupero della penisola annessa dalla Russia nel 2014, a cui guarda caso aderisce anche l’Azerbaijan) ma ha anche siglato degli accordi di collaborazione commerciali con l’Ucraina nel settore degli armamenti. La settimana successiva poi esplodeva una vera e propria spy-story tra Turchia e Russia. L’intelligence turca annunciava di aver arrestato il vicedirettore delegato di Bosphorus Gaz Emel Oztürk e altri quattro suoi collaboratori, che da tempo, secondo l’accusa, passavano informazioni riservate a un agente di Gazprom. Il gigante russo dell’energia avrebbe ottenute notizie sui volumi di acquisti di gas non russo della Turchia e dati sui giacimenti scoperti dalla Turchia nel Mar Nero quest’estate.

La guerra del gas

Al momento Putin fornisce a Erdoğan – via Turkish Stream – 7,75 miliardi di metri cubi all’anno di gas ma è chiaro che “l’indipendenza energetica” anelata da Erdoğan – se divenisse realtà – potrebbe rappresentare un duro colpo ai volumi di esportazioni russe, già in forse in Europa dopo che il progetto di North Stream 2 è entrato in stand-by in seguito al “caso Navalny”. Per tutta risposta la Duma russa ha fatto baluginare il blocco del turismo russo verso la Turchia, un business da qualche miliardo di dollari annuo. Più che punzecchiature tra i due eterni rivali con possibili conseguenze geopolitiche più vaste. La leva di un nuovo fondamentalismo islamico, di un califfato sui generis in cui la Turchia diventi la “protettrice di tutti i sunniti nel mondo”, potrebbe produrre una divisione insanabile tra i due stati. Si tratta di suggestioni – quelle dell’“imperialismo ottomano” – che vengono confermate negli ambienti diplomatici dei paesi balcanici anch’essi preoccupati dell’incipiente aggressività turca: «Indubbiamente, se analizziamo ciò che leggiamo e vediamo oggi, diventa chiaro che in alcuni circoli islamici radicali e organizzazioni religiose vaga l’idea che l’Europa dovrebbe essere un califfato islamico. Ciò che sta accadendo oggi in Francia, in Svezia, in altri stati dell’Europa occidentale, mi sembra che dovrebbe destare grande preoccupazione tra questi stati. Non mi occupo di attività di spionaggio in particolare, ma di tanto in tanto leggo in note analitiche che i servizi speciali turchi sono molto attivi», ha sostenuto l’ex ambasciatore serbo a Mosca, Slavenko Terzič.

Il Caucaso e il “laicismo irresponsabile dell’Occidente”

Il riflesso dello scontro con la Francia sulla questione dei limiti del laicismo si è subito sentito a Mosca dove la preservazione degli equilibri, faticosamente costruiti dal regime di Putin, in una federazione multiconfessionale, sono considerati intangibili. Le manifestazioni antifrancesi guidate prima di tutto dai migranti azeri nella capitale russa sono state sì stroncate con durezza dalla polizia sul nascere, ma Putin ha voluto al contempo anche denunciare il “laicismo irresponsabile dell’Occidente”. Il terrorista che ha ucciso a Parigi l’insegnante francese faceva parte della diaspora cecena, e quindi formalmente antirussa, ma la reazione del presidente della Repubblica cecena Rusman Kadyrov, scagliatosi con forza contro Macron nei giorni successivi all’attentato, dimostra quanto gli umori dei musulmani del Caucaso restino antioccidentali: non è un caso che nel Caucaso russo furono migliaia i reclutati dall’Isis per la guerra in Siria. Del resto, non si soffia sulla “guerra di civiltà” solo da una parte: anche il primo ministro armeno Nikol Pashinyan aveva invitato gli stati europei a sostenere l’Armenia cristiana nel Nagorno-Karabakh in funzione antiturca, anche se sia Macron sia Trump hanno preferito fare orecchie da mercante.

Lo sguardo russo verso lo Xinjiang

Dmitry Ruschin, Professore Associato del Dipartimento di Teoria e Storia delle Relazioni Internazionali all’Università di San Pietroburgo sostiene che “l’internazionalismo sunnita” di Ankara è veramente su scala globale: «Erdoğan sta perfino interessandosi della regione autonoma uigura dello Xinjiang dove Xi ha più di un problema. È del tutto possibile che in questo modo voglia diventare un unificatore dei popoli turchi e un leader islamico su scala globale. Curiosamente, lo scontro della Turchia con la Cina significa supporto automatico per Ankara da Washington perlomeno in quel contesto». E a medio termine ciò potrebbe condurre a un confronto diretto tra Russia e Turchia.

Siberia: la protesta anticentralista

In questo quadro la Siberia può diventare uno dei teatri più importanti. Dallo scorso luglio Khabarovsk, la più grande città dell’Estremo oriente russo, a un paio di centinaia di chilometri da Vladivostok, “porta bianca” ai mercati orientali, sono in corso delle manifestazioni di massa dopo che Sergej Furgal il governatore della provincia, outsider e antiPutin, è stato arrestato con l’accusa di essere il mandante di alcuni omicidi risalenti a un’epoca in cui non aveva ancora in carico l’amministrazione. Il protrarsi e le dimensioni del movimento di protesta segnala però in maniera evidente che le sventure del governatore sono state solo la miccia dietro cui covano a livello di massa spinte anticentraliste (oblastničestvo) nei confronti di Mosca se non apertamente secessioniste. “The Diplomat” ha riassunto così la situazione: «Sin dai tempi della Russia imperiale, i suoi paesi e città sono stati visti come una semplice estensione della nazione europea, una frontiera asiatica da colonizzare e domare. Come parte dell’Unione Sovietica, le deportazioni di massa verso est e il suo status di destinazione per i prigionieri dei GULag hanno rafforzato questa nozione. Ma ora, come dimostrano i manifestanti a Khabarovsk, l’estremo Oriente russo potrebbe formare la propria identità».

proteste pro-Furgal in Siberia

Un punto importante della contesa è che, mentre la Russia orientale detiene gran parte delle risorse naturali del paese – inclusi petrolio, gas e metalli preziosi – i proventi della loro estrazione sono ampiamente usati per rimpolpare i forzieri di Mosca piuttosto che arricchire le comunità locali.

E la terra va ai cinesi

Che la Cina sicuramente sia interessata a sfruttare a suo vantaggio la situazione che sta montando nell’estremo Oriente russo non è un segreto. In questa zona della Siberia gli investimenti del Dragone sono massicci e alla fine del 2018, proprio a Khabarovsk, un’azienda russa ha annunciato l’intenzione di affittare ben 100.000 ettari di terreno paludoso coltivabile a soia e affittarlo a imprese cinesi. Alexander Bortnikov, il presidente del Fsb, ha più volte segnalato l’attivismo di servizi di molti paesi in tutta la Siberia. E se il nome della Cina non è stato fatto ufficialmente, la presenza discreta di informatori cinesi nelle zona è stata più volte confermata da più parti.

Dietro la provocazione, la mano dei turchi

Chi invece sicuramente opera in quell’area è l’intelligence turca. Questa può fare affidamento su un vasto retroterra di gruppi fondamentalisti islamici nel Centro Asia allo sbando dopo il crollo dell’Isis. L’Fsb (Federal’naja služba bezopasnosti – Agenzia federale per la sicurezza interna) nell’ultimo anno ha contato ben 22 tentativi di organizzare azioni terroristiche e diversive in Siberia. Si tratta per lo più di incidenti provocati da foreign-fighters di ritorno ai confini del Tagikistan e del Kazakhstan collegati a contingenti più folti del fondamentalismo islamico afgano. Ma alcune di queste avrebbero segni e obiettivi diversi e rimanderebbero a un inedito protagonismo turco. In particolare parliamo di una fallita provocazione organizzata proprio a Khabarovsk questa estate nel momento più caldo delle dimostrazioni di strada, il cui mandante sarebbe da ricercarsi proprio ad Ankara. Secondo quanto riportato da Semyon Pegov – un reporter russo di guerra che da molti anni gravita tra il Medio Oriente e la Siberia – quest’estate l’organizzazione terroristica siriana Hayat Tahrir Al-Sham, supervisionata dai servizi speciali turchi, aveva reclutato due residenti di Khabarovsk, guarda caso di origine uzbeka e di fede musulmana, per organizzare il lancio di bottiglie molotov contro la manifestazione a sostegno di Furgal, al fine di far ricadere poi la responsabilità sul governo russo e rendere ancora più incandescente di quanto non sia la situazione nella provincia. Un’azione diversiva fallita in seguito all’arresto dei due provocatori prezzolati da parte della polizia russa, ma che dimostrerebbe quanto la Turchia intenda sfruttare le contraddizioni interne russe.

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