Free Youth Movement Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/free-youth-movement/ geopolitica etc Wed, 17 May 2023 22:30:13 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 Una svolta culturale siamese non solo nelle urne thai: Move Forward https://ogzero.org/una-svolta-culturale-siamese-non-solo-nelle-urne-thai-move-forward/ Wed, 17 May 2023 22:21:48 +0000 https://ogzero.org/?p=11056 I due nostri riferimenti autoriali nel Sudest asiatico ci sono di aiuto per dare il corretto rilievo alla trasformazione in corso nella società thailandese, che ha visto nelle elezioni del 14 maggio l’emersione della volontà di “emancipazione” da parte della componente più giovane e che ha incarnato già nella Milk Tea Alliance preCovid la richiesta […]

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I due nostri riferimenti autoriali nel Sudest asiatico ci sono di aiuto per dare il corretto rilievo alla trasformazione in corso nella società thailandese, che ha visto nelle elezioni del 14 maggio l’emersione della volontà di “emancipazione” da parte della componente più giovane e che ha incarnato già nella Milk Tea Alliance preCovid la richiesta di modernizzazione e il rifiuto dell’Orientalismo; per cominciare ad approcciarci allo spirito che si aggira nella monarchia costituzionale controllata dai militari dal golpe del 2014 riprendiamo un articolo di Emanuele Giordana apparso su “L’Atlante delle Guerre” a cui aggiungiamo una lunga chiacchierata fatta nella mattinata di martedì 16 maggio in Radio Blackout con Massimo Morello, che  vive a Bangkok da alcuni anni e ha le antenne giuste per cogliere alcune sfumature che sfuggono alla maggioranza degli analisti privi delle competenze culturali e sociologiche, da lui acquisite soltanto con l’immersione in quel mondo in fermento.

«Il voto di domenica segna la sconfitta dei militari e l’ascesa del partito Move Forward. Ma servono delle “larghe intese”», è l’incipit del pezzo di Emanuele Giordana: questo avviene per il sistema elettorale, che però – come spiega Massimo Morello – incide solo tangenzialmente, perché in realtà l’approccio thailandese è in grado di aggirare e rendere possibile ciò che la società sente e finisce con l’imporre.


L’aria di rinnovamento che spira a Bangkok…

Il Move Forward Party e il Pheu Thai, due organizzazioni che incarnano l’opposizione tailandese a un’imperfetta democrazia gestita da militari in doppiopetto, sono i due partiti più votati della Thailandia. Hanno vinto le elezioni di domenica scorsa e hanno subito formato una coalizione promossa del Move Forward che dovrebbe assicurare 309 voti al futuro governo, ben oltre la maggioranza richiesta di 250 seggi alla Camera Bassa per poter proporre un nuovo gabinetto. Ma non è così semplice formare un governo in Thailandia.
Trecentosettantasei è il numero su cui si gioca il futuro politico della Thailandia dopo che i risultati del voto di domenica hanno dato la maggioranza ai due maggiori partiti di opposizione umiliando quelli legati ai generali, che per un decennio hanno tenuto in scacco la fragile democrazia siamese. La somma aritmetica e costituzionale che il futuro gabinetto deve ottenere dal voto a Camere riunite è infatti 376.

IL PROBLEMA è che le due Camere, il cui totale fa 750 scranni, sono assai diverse: la nuova Camera Bassa infatti si formerà sulla base del voto del 14 maggio, assicurando poco meno di 300 seggi ai due partiti di opposizione che hanno de facto vinto le elezioni: il Move Forward e il Pheu Thai. Ma la Camera Alta, il Senato dell’imperfetta monarchia costituzionale tailandese, è invece di nomina militare. I 500 voti dell’Assemblea – dove ha vinto l’opposizione – sommati ai 250 del Senato richiedono dunque una maggioranza di 376 voti perché il premier in pectore e il suo governo passino l’esame del parlamento. In buona sostanza i partiti dei militari, dei generali Prayut e Prawit – entrambi ex premier – possono farcela pur avendo raggranellato un’umiliante percentuale (meno di 80 seggi) in un’elezione che, a sorpresa, ha premiato il partito Move Forward di Pita Limjaroenrat (151 seggi) che i sondaggi non davano così in alto nei cuori dei tailandesi; è un partito che vuole riformare la legge durissima che punisce chi critica il re (articolo 112 della Costituzione) ed è un partito che vuole migliorare il welfare. Piace ai giovani ma anche agli imprenditori. Quanto ai senatori però, secondo il “Bangkok Post”, non avrebbero nessuna intenzione di approvare la candidatura di un “antimonarchico” per quanto blando, Ma, mai dire mai. C’è chi potrebbe invece farci un pensierino.
Sarà una marcia longa anche se poi tutto si giocherà a breve: nella capacità del Move Forward di tenere insieme la coalizione appena annunciata con altri 5 partiti, tra cui ovviamente Pheu Thai (in dote porta 141 seggi), di cooptare magari altri cespugli o nella possibilità che si formi alla fine un governo di “larghe intese” che faccia leva anche su parte delle minoranze. O ancora che qualcuno nel Senato, fiutando l’aria che tira, non cambi casacca. All’orizzonte dunque ci sono molte incognite e forse molte sorprese. Compresa l’ombra dell’ennesimo golpe anche se tutti lo ritengono ormai improbabile. E il re? Il monarca attuale, non molto amato nel regno, vorrà dire la sua?

QUEL CHE È CERTO è che dal 14 maggio la Thailandia respira un’aria diversa a cominciare da una partecipazione al voto di oltre il 70% degli aventi diritto. Move Forward poi, erede di un partito espulso dal parlamento e senza ombra di dubbio progressista, ha superato le aspettative: col voto giovanile, col voto di chi non vuole una Paese a democrazia limitata e una monarchia intoccabile, col voto di chi non crede nelle ricette neoliberiste del Pheu Thai (che si ispira al tycoon Thaksin Shinawatra che a capo del partito ha messo la figlia Paetongtarn), col voto di chi è stufo di dinastie, stellette e di un’asfittica libertà vigilata. Ora bisogna vedere se la neo coalizione (310 voti) terrà la strada. Ma una cosa è certa: essendo chiaro che il vincitore è Pita, e con lui l’opposizione, qualsiasi tentativo di scavalcarli non andrebbe liscio come in passato. Fuori dai palazzi c’è una piazza che ha già dimostrato – anche col voto – di voler un cambio.

… quell’aria potrebbe soffiare anche altrove in Asean?

VISTE DALL’EUROPA le elezioni thai possono forse sembrare solo un esotico balletto da cui dipende il destino di 70 milioni di sudditi. Ma visto dall’Asia il voto ha ben altro sapore. Queste elezioni sono state seguite con apprensione dall’India – dove ci troviamo – all’Indonesia, ora presidente di turno dell’Asean, l’organizzazione regionale dove siede – benché sotto schiaffo – anche il Myanmar. Al cambio di vertice a Bangkok corrisponderebbe un cambio di marcia verso la giunta birmana. Pita ha già detto – facendo felice Giacarta – che sosterrà l’Asean e la sua mediazione in 5 punti il che vorrebbe dire forse accantonare l’iniziativa (Track 1.5), caldeggiata da Delhi, che aveva il compito di ammorbidire i rapporti con la giunta. Destinati quindi a inasprirsi. Pita lo ha chiarito a poche ore dai primi risultati mostrando di avere idee molto chiare sulla democrazia. E non solo su quella tailandese. «Sarò premier», ha detto. In molti ci sperano.


A corredo di questa precisa analisi del voto di Emanuele siamo andati a Bangkok a incontrare Massimo Morello per collocare questo risultato nel contesto che lo ha reso possibile e nelle parole del reporter che vive da 15 anni nella capitale siamese si coglie l’intuizione che si tratti della scvolta che la generazione Z sia riuscita a imporre la modernizzazione del costume troppo stretto e anacronistico che la tradizione impone con le sue strutture sistemiche, travolte dallo spirito del paese.

“Move Forward è una vera rivoluzione del costume thai”.

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«Abbiamo bisogno di cambiamento». Chiavi thai per una rivoluzione culturale nel regno del Siam https://ogzero.org/abbiamo-bisogno-di-cambiamento-chiavi-thai-per-una-rivoluzione-culturale-nel-regno-del-siam/ Sat, 23 Jan 2021 16:47:42 +0000 http://ogzero.org/?p=2288 Le trame della realtà affondano in radici magiche e simboli culturali «Pensa alla magia, non alla politica». È il consiglio, a volte inquietante, che spesso viene rivolto a uno studioso del mondo magico thailandese. Lui stesso un “indovino”, un mo du [il dottore che osserva], colui che vede il destino. Che sia un farang, come […]

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Le trame della realtà affondano in radici magiche e simboli culturali

«Pensa alla magia, non alla politica». È il consiglio, a volte inquietante, che spesso viene rivolto a uno studioso del mondo magico thailandese. Lui stesso un “indovino”, un mo du [il dottore che osserva], colui che vede il destino. Che sia un farang, come in Thailandia chiamano gli stranieri, complica le cose. Per i thai è un’anomalia nel mondo della khwampenthai, la “thailandesità”. Per gli occidentali sfugge ai codici canonici dell’accademico.

Edoardo Siani, giovane italiano dalla storia romanzesca, antropologo, docente di studi del Sudest asiatico all’università Ca’ Foscari di Venezia, reincarna quegli studiosi come Elémire Zolla, “il conoscitore di segreti”, che interpretano la realtà ricercandone le radici magiche e psicologiche.

Le vicende della contemporaneità thai vanno osservate come se si assistesse al Ramakien – il poema ispirato all’indiano Ramayana – in cui le trame e i simboli sono al tempo stesso struttura culturale. Nella versione rappresentata oggi nella scena thai gli episodi vedono l’apparizione di nuovi personaggi in nuove trame: la pandemia, la rivoluzione culturale e la restaurazione.

Le analisi compiute con questo metodo spesso riescono a spiegare ciò che è incomprensibile a molti osservatori che si ostinano ad applicare una logica occidentale nello scenario del buddhismo theravada. In Thailandia, il dharma, le regole che governano il cosmo, è in uno stato di fluttuazione perché soggetto all’anijja, l’“impermanenza”: la transitorietà dei fenomeni.

Prathet Ku Mee

Rivendicazioni che mantengono la struttura dei 10 punti rivendicati dal Free Youth Movement

Dharma, anija e sanuk: evitano l’Orientalismo e… spiegano anche l’epidemia

Il dharma e l’impermanenza sono la chiave per approfondire le nuove trame thai evitando le banalizzazioni narrative, l’Orientalismo. «Come recita la legge buddhista dell’impermanenza, ogni cosa, anche la legge sulla lesa maestà, si manifesta, esiste e scompare, al pari delle norme etiche e culturali della società. Nulla è permanente» scrive Matthew Wheeler dell’International Crisis Group, riferendosi al tabù che è anche il nodo centrale della politica thai.

Per uno di quei fenomeni di sincronicità, coincidenze casuali, che sono tra i concetti cardine del pensiero junghiano, maestro del pensiero magico come medium di psicanalisi, l’attesa di un ritorno in Thailandia, che appare sempre più come un’anabasi esistenziale, diviene prova e manifestazione dell’impermanenza.

Un farang che oggi cerchi di tornare in quel paese permane sull’orlo di una crisi di nervi: per la burocrazia e i costi da affrontare. Ma pochi rinunciano: troppo forte è l’attrazione del clima, dell’apparente sicurezza del regno. E soprattutto del sanuk. Letteralmente significa divertimento, ma ha un contenuto più profondo. Si può definire “la via della gioia di vivere”, base dell’edonistica cultura thai. Le sue forme d’espressione sono innumerevoli: feste e gioco, teatro tradizionale e soap opera, muay thai e combattimenti dei galli, shopping e spiagge. E, ovviamente, il sesso. Per ravvivare il turismo, nel settembre scorso era stato proposto di permettere ai turisti di frequentare le “sale massaggi” vicine agli alberghi dove trascorrevano la quarantena.

Ma all’inizio dello scorso anno, quando la pandemia sembrava circoscritta a Cina e dintorni (come nel 2002 con la prima epidemia di Sars) e si temeva di restare bloccati in un incubo virale, quegli stessi farang tempestavano le ambasciate, le compagnie aeree, per trovare una via di fuga che li riportasse nella comfort-zone dell’Occidente. La Thailandia, Bangkok in particolare, era in pieno lockdown, sottoposta a coprifuoco, materializzava un Hotel California da cui non si può fuggire, dove lo straniero è intrappolato dai suoi stessi desideri.

Il futuro prossimo potrebbe segnare un’ulteriore transitorietà. Se fino a metà dicembre il Thailand Center for Covid-19 segnalava una situazione stabile con poco più di 4000 casi di contagio e 60 decessi, a metà gennaio i casi erano saliti a oltre 11000 e 70 morti. Nel frattempo, il 4 gennaio è stato dichiarato un nuovo, parziale lockdown dopo mesi di apertura.

La pandemia diventa contaminazione culturale

Rispetto alla prima ondata sono cambiati gli untori. Ora sono i lavoratori birmani, dato che il contagio è ripreso in un mercato del pesce vicino a Bangkok e si è diffuso nei quartieri ghetto dei migranti birmani. Il rischio è che divengano ancor più “dannati”, vittime di quel senso di superiorità diffuso in Sudest asiatico nei confronti dei più poveri.

Nella prima ondata, invece, la xenofobia era nei confronti dei farang, giudicati sporchi (come ebbe a dichiarare il ministro della Sanità), ma soprattutto portatori di comportamenti malsani. Il virus che possono trasmettere non è solo il Covid, bensì qualcosa di più insidioso: la contaminazione culturale.

È un fenomeno anch’esso virale: tutto il Sudest asiatico appare circondato da una nuova cortina di bambù. Secondo molti asiatici, sul tramonto dell’Occidente è ormai scesa la notte. Ci attende l’alba di una storia postpandemica: gli autoritarismi asiatici, “la democrazia fiorente nella disciplina”, si sono rivelati più efficaci delle democrazie occidentali. Un nuovo ordine mondiale post-covid di conflitti e contraddizioni è il titolo di un articolo del Commodoro C. Uday Bhaskar, direttore della “Society for Policy Studies” di Delhi. «Per i thai è troppo tardi per sfuggire all’abbraccio cinese, possiamo solo cercare di non farcene soffocare» ha dichiarato un diplomatico di Bangkok. Pechino segue la politica – che in Occidente definiamo “amorale” – di non interferenza negli affari interni dei paesi dell’area e ora ha rinforzato questo “soft power” con la “Vaccine diplomacy”. La Thailandia, per esempio, dovrebbe ricevere entro il prossimo mese le prime 200.000 dosi del Sinovac anti-Covid. In Occidente, in compenso, anziché cercare di comprendere ciò che si sperimenta in Asia, tutto viene assunto a prova di una marginalità asiatica, di una sua alterità, a volte mostruosità (di cui è simbolo il “virus cinese” diffuso in orridi “wet market”).

A fari della democrazia spenti nella notte

Il caos delle elezioni americane (che per gli osservatori delle vicende asiatiche è stato ancor più traumatico nel paragone con la “normalità” di quelle svolte in Birmania dopo solo una settimana) è apparso come un ulteriore segno della decadenza del paese considerato faro di democrazia. In Thailandia i sostenitori del generale Prayuth, denunciando interferenze a favore delle proteste, non hanno mancato di rilevare che per l’America è sempre più difficile ergersi a giudice.

Da parte dell’opposizione democratica thai, invece, Trump è stato paragonato (anche in molte vignette) a Suthep Thaugsuban, leader del People’s Democratic Reform Committee (Pdrc), la formazione ultraconservatrice delle “camicie gialle” che con le manifestazioni del 2014 aprì la strada al golpe di quell’anno. Paragone tanto realistico quanto inquietante.

Suthep Thaugsuban come Donald Trump

Sovranisti di tutto il mondo uniti… nell’ironia delle vignette

In Thailandia, dunque, la pandemia è stata un’ottima scusa per dichiarare una sorta di legge marziale. La chiusura quasi totale del paese, giustificata per tutelare il regno da contagi, ha generato una crisi economica i cui effetti potrebbero avere conseguenze interne e internazionali difficilmente valutabili secondo gli standard occidentali, considerando che in Thailandia l’1% della popolazione controlla il 66,9% della ricchezza. Ma anche la crisi è divenuta lo strumento per propagandare un nuovo modello di sviluppo. Come dimostra uno spot televisivo che inneggia alla decrescita felice, al ritorno alle radici tradizionali, una recherche dell’antico regno del Siam.

In questo brodo di coltura la protesta si è sviluppata come una variante del virus. Le manifestazioni studentesche sono iniziate nel febbraio 2020 a seguito dello scioglimento di Future Forward (Ffp), il partito d’opposizione fondato dal giovane miliardario Thanathorn Juangroongruangkit che aveva ottenuto un eccezionale risultato alle elezioni del marzo 2019.

Il Free Youth Movement e i precedenti

Alla base delle manifestazioni – interrotte per Covid in aprile e poi riprese con forza alla fine di luglio con un picco tra agosto e novembre – c’è la richiesta di dimissioni del premier Prayuth Chan-ocha, la riforma costituzionale e il ritorno a una vera democrazia. L’ex generale Prayuth è al governo dal 2014, prima al comando della giunta militare che prese il potere (il diciannovesimo golpe dopo l’istituzione della monarchia costituzionale nel 1932), poi primo ministro autonominato, infine premier di un partito che alle elezioni del 2019 ha ottenuto la maggioranza grazie a una modifica costituzionale ad hoc. Ma non è bastata a quello che ormai va definendosi come l’espressione dell’Ancien Régime: il Ffp appariva una variante troppo pericolosa perché trasmessa dai figli di una borghesia medio-alta. Non più quei “bufali rossi” com’erano sprezzantemente definite le “camicie rosse”, i popolani e i contadini dell’Isaan, la regione più povera del paese, che nel 2010 occuparono Bangkok in una protesta repressa nel sangue.

Secondo Duncan McCargo e Anyarat Chattharakul, analisti di politica thai, nel saggio Future Forward: The Rise and Fall of a Thai Political Party, quel partito guidato da un “hyperleader” che sfidava sia il potere dei militari sia delle grandi famiglie che monopolizzano l’economia (per quanto anche lui ne sia figlio)  ha avuto un effetto “più emozionale che razionale”, riuscendo a coagulare consensi che apparivano più simili a quelli di un gruppo K-pop che non a un movimento politico tradizionale. A questi si univano i “fans radical” di Piyabutr Saengkanokkul, altro fondatore dell’Ffp, attivista legale, “seguace” della Rivoluzione Francese (che in una monarchia come la thai appare una minaccia contemporanea, considerando che nel 1932, il People’s Party, un gruppo di giovani turchi ispirati agli ideali della Rivoluzione Francese rovesciò la monarchia assoluta promulgando la prima costituzione).

Le rivoluzioni francesi, del 1789 come del 1968, sembrano ispirare la contestazione. Se n’è avuta dichiarazione il 3 agosto, quando l’avvocato Anon Nampa ha proclamato la necessità della riforma della monarchia. Ancor più la sera del 10 agosto, nel campus della Thammasat University di Bangkok, quando la ventunenne Panusaya “Rung” Sithijirawattanakul ha letto il manifesto della contestazione: dieci punti che richiedevano una forte limitazione dei poteri reali. È stata anche la scenografica rappresentazione di quel momento che l’ha fatta divenire la star del movimento e inserire nella lista della Bbc delle 100 donne più “ispiratrici” del 2020.

cambiamento in chiave thai

10 richieste per il cambiamento

Dalle rivoluzioni nate a Parigi sono derivati anche gli slogan di Bangkok. “Né dio, né re, solo umano” riecheggia quelli del Sessantotto. Alla trinità “Nazione, religione, monarchia” i manifestanti hanno opposto lo slogan, “Nazione, religione, il popolo”. Il gesto simbolo delle manifestazioni, il braccio alzato con tre dita unite, ripreso dal film Hunger Games per indicare l’opposizione alla tirannide, è interpretato come l’unione dei valori di Liberté, Égalité, Fraternité della Rivoluzione Francese. La rappresentazione plastica dei fantasmi evocati dalla rivoluzione è la foto, forse casuale, che ritrae il passaggio dell’auto della regina Suthida tra due ali di manifestanti il 14 ottobre. Il volto della regina, perfettamente a fuoco dietro il finestrino, appare smarrito, quasi impaurito. Era la prima volta che una folla di manifestanti arrivava così vicino a un membro della famiglia reale, salvo quando si trattava di manifestazioni di devozione e la folla era in ginocchio.

[riproponiamo qui un’analisi di Massimo Morello che puntualizza bene i motivi della sollevazione, ringraziando Giampaolo Musumeci e Radio24 per averci permesso di utilizzare il suo intervento trasmesso all’interno della puntata di Nessun luogo è lontano del 15 ottobre 2020 («raccontare, raccontare, raccontare…»)]
Ascolta “Cosa scuote il sistema pi-nong, impalcatura della monarchia tailandese?” su Spreaker.

 

Nuovi modelli di cultura thai

«La Thailandia è in una crisi di legittimazione, d’identità senza precedenti e deve confrontarsi con una nuova generazione intelligente, che propone una visione del tutto nuova della società, che sia nella filosofia politica, nelle diversità di genere, nelle questioni etniche…», ha scritto David Streckfuss, storico del Sudest asiatico. Questa interpretazione, un po’ falsata dalla sociologia occidentale, ha fatto sì che molti paragonassero le proteste di Bangkok a quelle di Hong Kong. Forse la contestazione thai è più importante per i giovani hongkonger, che la vedono come prova del contagio democratico in Asia. In Thailandia Hong Kong è un modello soprattutto stilistico, in una forma che fonde modelli e segni della cultura pop asiatica (come le papere gonfiabili utilizzate come scudi agli idranti), l’uso di flash mob e dei social che diviene quasi una performance al pari dei video del gruppo Rap Against Dictatorship, il cui primo lavoro Prathet Ku Mi (Questo è il mio paese) è divenuto virale, mentre l’ultimo Reform è stato bloccato su YouTube thai.

La patriottica metafora malata

Nella Thailandia del Covid si ritrovano diverse storie e le loro narrazioni sono un’intricata trama di politica, economia, magia, virus, sanuk, totem e tabù. La contestazione in atto, più che politica è culturale, contesta un sistema di norme che costituisce l’impalcatura della società. Quel sistema è definibile nel rapporto pii-nong, “maggiore-minore”. Un rapporto gerarchico e di deferenza molto complesso: riguarda l’età, le gerarchie familiari, professionali, economiche, sociali, culturali. È un sistema che negli ultimi anni ha creato notevoli tensioni perché cristallizza le stratificazioni sociali, già viste come un’espressione del karma, un destino assegnato in funzione delle vite precedenti. Secondo lo studioso realista Bowornsak Uwanno, per esempio, ogni limite alla libertà d’espressione «riflette le norme etiche e culturali che ogni thai dovrebbe seguire». Seguendo tale assioma, chi richiede una riforma della monarchia è un “eretico”. Per il generale Apirat Kongsompong, ex capo di stato maggiore e oggi viceciambellano di corte, i contestatori sono individui “malati”, soffrono di chang chart, “odio verso la madrepatria”, sindrome molto più grave dello stesso Covid. Più reali le sindromi da stress e depressione che colpiscono molti manifestanti, dovute sia al rischio delle loro azioni sia alle pressioni dei genitori che li accusano di disonorarli, tanto che è stato proposto di diseredare i figli ribelli. In Thailandia, inoltre, ogni problema psicologico è marchiato da uno stigma sociale e religioso in quanto considerato effetto di un karma negativo.

cambiamento in chiave thai

Prathet Ku Mee dei Rap Against Dictatorship è diventata virale, perché sciorina tutte le storture del sistema pii-nong

Il tracollo della monarchia etica

In questa dimensione psicopolitica la situazione è resa ancor più oscura dalla presenza di un “cigno nero”, un evento imprevedibile in quanto dipendente anch’esso dall’impermanenza: la monarchia. Re Rama IX, sua maestà Bhumibol Adulyadej, scomparso nel 2016 dopo settant’anni di regno, per la maggior parte dei thai resta l’incarnazione delle virtù buddiste, un Dhammaraja, che governa secondo il Dasarajadhamma, “i principi del re virtuoso”. Nel periodo del Bhumibol consensus, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli Ottanta, riuscì a evitare che la Thailandia subisse lo stesso destino degli altri paesi dell’area, là dove la Guerra Fredda divenne incandescente. Con i suoi programmi di economia sostenibile – forse non compiuti ma certo preveggenti – e i suoi spostamenti nel paese per promuovere progetti quali la riconversione delle colture da oppio, era considerato un innovatore, forte del consenso sino alla venerazione popolare.

Come è stato osservato, la società thai si è sviluppata in uno stato di “caos controllato” e il re ha svolto il ruolo di controllore. «La sua autorità morale è enorme: per i thai è un punto di riferimento nei momenti di sfiducia nei confronti dei politici». Il che, commenta Thitinan Pongsudhirak, professore di dottrine politiche, «induce a una riflessione sulle carenze della nostra democrazia. Quando ci troviamo di fronte in un’impasse, il popolo guarda al re come il solo che può risolvere la situazione».

La crisi attuale è detonata con la morte di Rama IX. Rama X, suo figlio Maha Vajiralongkorn, non gode dello stesso favore. È sempre apparso come l’antitesi del “re virtuoso”, ma sembra credersi un Devaraja, “il dio-re”, cui tutto è concesso. Ha accentrato un enorme potere, compresa la nomina del Supremo Patriarca buddhista e il controllo del patrimonio della corona, circa 40 miliardi di dollari, con interessi in ogni settore. Sua anche la Siam Bioscience che con AstraZeneca produrrà il secondo vaccino usato in Thailandia. Per proteggere tale potere ha affidato alla guardia reale (vero e proprio corpo di pretoriani) il controllo della capitale. Inoltre il nuovo re si è alienato le simpatie popolari (e non solo) perché trascorre più tempo in Germania che in Thailandia e per un comportamento, come ripristinare lo status speciale per le concubine reali, che fa “perdere la faccia” al paese.

Ma Vajiralongkorn è anche un “Principe” in senso machiavellico, diverso da come lo descrivono molti osservatori occidentali. «La Thailandia è la terra del compromesso» ha risposto a un giornalista straniero che gli ha chiesto se e come si potesse risolvere la crisi. E negli ultimi tempi ha fatto numerose apparizioni in pubblico, quasi sempre al fianco della regina Suthida, spesso intrattenendosi con i sudditi. Un comportamento che, pare, ha fatto crescere la sua popolarità. Per ammissione dello stesso primo ministro Prayuth, è stato il re a chiedere di non ricorrere alla draconiana legge sulla lesa maestà quale forma di deterrenza.

cambiamento in chiave thai

Restart Thailand – Revolution Thai – Republic of Thailand

In questo flusso d’impermanenza, il movimento d’opposizione ha commesso un clamoroso errore. Il Free Youth Movement ha lanciato un nuovo simbolo: RT. Che ufficialmente significa Restart Thailand, per altri indica Revolution Thai. Per altri ancora il significato è più minaccioso: Republic of Thailand. Un simbolo, inoltre, rappresentato con un altro simbolo: la falce e martello (disegnate da R e T).

Come ha scritto il nostro mo du Siani: «Sovraimporre l’identità marxista al movimento è pericoloso». Perché implica quell’idea di repubblica che è lo spettro dei conservatori, perché il comunismo per la maggior parte dei thai identifica coloro “senza religione”, perché potrebbe portare a una restaurazione della monarchia assoluta o a una repressione come quella del 1976, quando furono massacrati un centinaio di studenti. Allora lo scenario geopolitico era profondamente diverso: la Thailandia era la pedina centrale nel “domino” del Sudest Asiatico tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Ma il ricordo della guerra è ancora radicato nell’inconscio collettivo. «Muoio perché ho ucciso troppi comunisti» dice Lung Bunmi Raluek Chat [Lo zio Boonmee che può richiamare le sue precedenti vite], personaggio che dà titolo al film del thailandese Apichatpong Weerasethakul, vincitore del 63° Festival di Cannes. Di fatto sembra che il riapparire di antichi spettri abbia segnato un nuovo colpo di scena. «La legge sulla lesa maestà si manifesta con un’escalation senza precedenti», ha commentato il politologo Thitinan Pongsudhirak.

 

[a proposito del reato di lesa maestà è interessante ascoltare un intervento di Sabrina Moles su Radio Blackout del 21 gennaio 2021, un paio di giorni dopo la stesura di questo articolo di Massimo Morello: un intervento che prende spunto dalla legge 112, per collocare l’episodio che vede Anchan Preelert protagonista, utilizzandolo per spiegare il contesto attuale, il momento del golpe – periodo storico in cui è avvenuto il reato contestato ad Anchan e il mondo di riferimento delle nuove generazioni]

Ascolta “Una condanna esemplare del retrivo regno del Siam” su Spreaker.

La crisi è sembrata risolversi a dicembre, quando i leader della protesta hanno annunciato una tregua durante la stagione delle festività. Secondo la maggior parte dei commentatori era la dimostrazione dei primi dissidi all’interno del movimento e una forma di ritirata di fronte all’inasprirsi della repressione. Ma potrebbe anche essere l’ennesima espressione del sanuk, il pervasivo edonismo thai.

Per il momento è difficile capire come si manifesterà l’impermanenza, perché a gennaio, con l’aumento dei casi di Covid ogni manifestazione pubblica è stata bandita e la tregua prolungata sino a metà 2021. Nel frattempo, come a metà gennaio, potrebbero verificarsi nuovi scontri, magari in seguito ai dissidi tra i gruppi del servizio d’ordine, crearsi nuove alleanze, per esempio tra studenti e camicie rosse, Thanathorn potrebbe ripresentarsi sulla scena, oppure potrebbero riapparire le camicie gialle realiste.

 

cambiamento in chiave thai

Dove andrà la loro nazione senza dirlo?

In Thailandia il futuro è nelle mani dei maghi.

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Bangkok: la reazione alla vittoria della piazza https://ogzero.org/bangkok-la-reazione-alla-vittoria-della-piazza/ Thu, 15 Oct 2020 17:35:04 +0000 http://ogzero.org/?p=1521 Un nuovo aggiornamento proviene dal Movimento di nuovo sceso in piazza in forze il 2 dicembre 2020, in occasione della sentenza della Corte costituzionale thailandese . [OGzero] Interpellato anche stavolta Emanuele Giordana lascia trapelare ammirazione per la fresca efficacia del Movimento che da febbraio supera difficoltà da pandemia e si fa gioco della polizia di Bangkok, […]

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Un nuovo aggiornamento proviene dal Movimento di nuovo sceso in piazza in forze il 2 dicembre 2020, in occasione della sentenza della Corte costituzionale thailandese . [OGzero]

Interpellato anche stavolta Emanuele Giordana lascia trapelare ammirazione per la fresca efficacia del Movimento che da febbraio supera difficoltà da pandemia e si fa gioco della polizia di Bangkok, manifestando gioiosamente e inventando strumenti utili alla difesa ma anche validi gadget sfruttati efficacemente sui social e predisposti all’adozione da parte dei media globali, confermando una proposta innovativa di proporre movimenti di protesta innanzitutto comunicativi.
Qui si trovano i 4 podcast dell’analisi di Emanuele: il primo risale all’8 ottobre, gli altri tre sono stati registrati il 2 dicembre, anche questi provengono dalle mattinate info di radio blackout

Ascolta “10 richieste per il cambiamento” su Spreaker.

Dopo la proclamazione l’8 ottobre dello stato di emergenza, la polizia ha sciolto la manifestazione accampatasi attorno al palazzo presidenziale da ieri pomeriggio quando un vasto corteo di migliaia di thailandesi ha marciato dal monumento alla democrazia nel centro di Bangkok fino alla sede dell’esecutivo chiedendo la testa del premier e una revisione della Costituzione. La polizia, che ha schierato 2000 agenti per evitare nuovi assembramenti, ha arrestato diversi manifestanti tra cui Panusaya “Rung” Sithijirawattanakul, Arnon Numpha, Parit Chiwarak and Prasit Krutharote, i volti più noti della protesta. Il decreto, firmato dal Premier Prayut, vieta riunioni pubbliche di oltre 5 persone e vieta la pubblicazione di “messaggi illegali” sui social media. La svolta di questa mattina è la risposta alla giornata di mercoledì che si è dimostrata un successo per gli organizzatori di una protesta che va avanti ormai da mesi e che, per la prima volta nella storia recente del regno siamese, mette sotto accusa anche la casa reale che la Costituzione privilegia del diritto di punire duramente la lesa maestà.

Migliaia in corteo contro Governo e privilegi

La manifestazione, che era prevista ieri alle 2 del pomeriggio di mercoledì è in realtà iniziata in anticipo, alle 8, per protestare contro l’arresto la sera prima di alcuni attivisti che si aggiravano attorno alla piazza centrale dove campeggia il monumento alla democrazia, divenuto ormai simbolo della protesta e che ieri si è riempito nuovamente di migliaia di manifestanti con l’idea di marciare sul palazzo del Governo per chiedere conto delle richieste popolari finora non esaudite (il dibattito sulla Costituzione è stato rinviato).

Quando il corteo si è mosso si è trovato di fronte le “camicie gialle”, gruppi di lealisti fedelissimi della corona che avevano organizzato – molte bandiere ma poca gente – una contro manifestazione. La polizia è intervenuta per evitare incidenti ma qualche calcio e pugno è volato. Non è stata l’unica sorpresa. Re e consorte hanno pensato bene di attraversare l’area interessata dal corteo forse per ribadire il diritto del monarca a fare le strade che più gli aggradano. Una provocazione, non è chiaro quanto studiata, ma a cui i manifestanti hanno reagito solo salutando il corteo reale con le tre dita alzate, il simbolo della protesta. Intanto la polizia bloccava gli accessi alla strada che porta verso il palazzo del Governo dove il corteo avrebbe voluto dirigersi.

Sovrani tailandesi di passaggio a Bangkok

Una vittoria della piazza

Passato il re ed esauritosi il confronto con le camice gialle (portate dalla polizia, secondo i manifestanti, lungo il tragitto che avrebbe percorso il re), il corteo è comunque riuscito a dirigersi verso il palazzo dell’esecutivo dove ha aspettato il calar delle tenebre e dove si è deciso di rimanere a vegliare gli affari del Governo per tre giorni. La prova di forza dunque è riuscita: il corteo ha avuto luogo e i numeri sono nell’ordine delle decine di migliaia. Anzi, delle centinaia di migliaia, almeno secondo alcuni manifestanti che, riportava ieri il “Bangkok Post”, rivendicano una presenza di 300.000 persone. Una valutazione forse per eccesso. La polizia comunque è rimasta ferma e adesso la palla torna nel campo del governo che, per il momento, ha deciso una repressione leggera in una battaglia che finora vede vincere la piazza.

Intanto, mentre i manifestanti iniziavano a prepararsi per la marcia, martedì sera arrivava a Bangkok il ministro degli Esteri cinese Wang Yi. La scelta del momento ha un risvolto prevalentemente economico ma, data la protesta, anche politico visto che per la Cina Prayut resta il Premier checché ne dica un movimento che assomiglia molto a quello di Hong Kong. Una visita ufficiale adesso equivale dunque a un sostegno al primo ministro con cui Bangkok ha iniziato a uscire, seppur con cautela, dalla sola sfera di influenza americana. I cinesi vogliono rafforzare i loro investimenti al Corridoio economico orientale (Eec), agenzia pubblica nata per incoraggiare gli investimenti, aumentare l’innovazione e la tecnologia avanzata in Thailandia per trasformarla in hub tecnologico. L’anno scorso – ricorda il South China Morning Post – la Cina ha sostituito il Giappone come principale fonte di investimenti esteri con scambi bilaterali che ora valgono quasi 80 miliardi di dollari. La Thailandia spera nei cinesi per superare l’impasse Covid e vendere più prodotti agricoli mentre Pechino spera che Bangkok superi finalmente i dubbi sul collegamento ferroviario ad alta velocità che dallo Yunnan – passando per Laos, Thailandia e Malaysia – arriverà a Singapore. Va anche ricordato che la Thailandia, tradizionale mercato di Washington, ha anche già acquistato carri armati, sottomarini e tecnologia militare cinese.

Le immagini sono fotogrammi tratti da servizi trasmessi su Channel News Asia.

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Richieste di cambiamento a Bangkok https://ogzero.org/10-richieste-per-cambiare-a-bangkok/ Mon, 12 Oct 2020 12:04:02 +0000 http://ogzero.org/?p=1488 Sfida all’ultima monarchia assoluta Il 14 ottobre è una giornata importante per il movimento tailandese che da mesi attraversa le piazze di Bangkok e di altre città della Thailandia chiedendo le dimissioni del premier e una riforma costituzionale che riveda la legge elettorale e limiti i poteri della monarchia, una delle più longeve del pianeta. […]

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Sfida all’ultima monarchia assoluta

Il 14 ottobre è una giornata importante per il movimento tailandese che da mesi attraversa le piazze di Bangkok e di altre città della Thailandia chiedendo le dimissioni del premier e una riforma costituzionale che riveda la legge elettorale e limiti i poteri della monarchia, una delle più longeve del pianeta. Per quella data il movimento degli studenti, che nel tempo ha raccolto consensi anche tra la classe media e tra alcuni membri dell’opposizione in parlamento, si è nuovamente dato appuntamento nella centrale piazza di Bangkok dove campeggia un simbolico monumento alla democrazia per quella che è l’ennesima prova di forza con il governo di Prayut Chan-o.Cha, un ex generale golpista che si è assicurato un nuovo mandato nel 2019 grazie a una maggioranza blindata garantita da un senato non eletto. Ma la prova di forza è anche con il re Rama X, un monarca poco amato dal suo popolo ma protetto da una delle più dure leggi contro chi diffama la casa reale, reato per cui vengono comminate pene severissime.

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Milk Tea Alliance: Bangkok come HK e Taiwan

Il movimento, che ha già dei leader consacrati come Parit “Penguin” Chiwarak e la collega Panasaya “Rung” Sitthijirawattanakul (studentessa come lui dell’università Thammasat della capitale), già passati per le maglie di una repressione che per ora li ha però lasciati in libertà, ha la sua fucina proprio alla Thammasat, dove Rung il 10 agosto ha letto un Manifesto in dieci punti in cui, per la prima volta, si faceva esplicito riferimento al re e ai suoi poteri.

Autoidentificatosi come Free Youth Movement, il movimento ha come simboli le tre dita alzate – mediate dal film di fantascienza del 2012 Hunger Games –, il monumento alla democrazia nel centro di Bangkok e una sorta di alleanza regionale (Milk Tea Alliance) con altri movimenti giovanili abbastanza simili: a Taiwan e Hong Kong soprattutto. E la piazza tailandese non sembra aver nulla da invidiare ai colleghi dell’ex colonia britannica: sfidare il re che vive nel palazzo reale di Bangkok non è meno rischioso che sfidare Pechino. La nuova sigla che fa da ombrello alle varie anime del movimento è quella del “People’s Party 2020”, un riferimento al gruppo di militari e civili che rovesciarono la monarchia assoluta nel 1932 e stabilirono un governo parlamentare. Episodio divenuto un altro simbolo della protesta.

 

Trame parlamentari tangenziali al movimento

Proprio la vicenda della contestazione monarchica, speculano gli osservatori locali, farebbe però correre il rischio di un minor consenso alla piazza che mercoledì 14 dovrà dimostrare con i numeri di averne a sufficienza per non farsi schiacciare da una repressione per ora morbida ma che in Thailandia, paese dominato oltreché dalla monarchia dalla casta militare; potrebbe essere molto dura specie se il movimento dovesse sgonfiarsi.

In realtà per ora a tirarsi indietro sarebbero solo le “camice rosse” dell’United Front for Democracy Against Dictatorship, un’organizzazione che fa riferimento al partito Pheu Thai, espressione della famiglia Shinawatra (l’ex premier-tycoon Thaksin, che fu soprannominato il Berlusconi d’Asia, e sua sorella pure lei ex premier Yingluck, entrambi in esilio). I parlamentari del Pheu Thai sarebbero divisi: alcuni vorrebbero appoggiare il movimento (come già hanno fatto uscendo dal parlamento dopo il rinvio del voto sugli emendamenti costituzionali il 24 settembre scorso) ma la de facto nuova leader del partito – Khunying Potjaman (ex moglie di Thaksin Shinawatra) – sarebbe contraria: riapparsa sulla scena nei giorni scorsi mentre scadeva il mandato della leadership del partito, ha pensato bene di farsi veder a una cerimonia reale così da far subito capire da che parte deve andare il Pheu Thai.

Restano ancora i parlamentari del Move Forward Party, erede del Future Forward Party, partito progressista squalificato dopo le elezioni del 2019 dove aveva ottenuto un’ottima affermazione. Proprio i cavilli legali con cui il Ffp fu escluso dall’arena – gli stessi con cui è stato espulso dal parlamento il suo leader, il miliardario progressista e socialdemocratico Thanathorn Juangroongruangkit – erano stati la goccia che aveva fatto traboccare il vaso dando la stura alle proteste che poi sono sempre più cresciute, nonostante le misure anticovid.

10 punti verso lo sciopero generale del 14 ottobre

Da luglio, quando le misure si sono allentate, il movimento ha ripreso fiato arrivando il 10 agosto alla famosa lettura in piazza del Manifesto in dieci punti con cui, oltre a chiedere le dimissioni di Prayut e una nuova Costituzione, il movimento criticava apertamente il ruolo della monarchia, chiedendo la divisione dei suoi beni (tra quelli personali del re e quelli della corona) e un diritto di critica che equivale nel regno a lesa maestà.

C’è da aggiungere che il Pheu Thai – al netto dei calcoli della famiglia Shinawatra che spera sempre in un ritorno di Thaksin e dunque nel perdono del monarca – aveva preso subito le distanze da quell’uscita poco consona alle regole tradizionali anche se poi si era schierato con gli studenti, appoggiando il movimento e dando battaglia in parlamento. Adesso le carte sono tutte sul tavolo e il gioco si fa sempre più impegnativo. E, per il movimento, gravido di rischi. Non certo per l’assenza delle camicie rosse quanto per la presenza di oltre 3000 agenti già schierati nella capitale.

Thailandia in Movimento

Le 10 Richieste

«These demands are not a proposal to topple the monarchy. They are a good-faith proposal made for the monarchy to be able to continue to be esteemed by the people within a democracy»

  1. Revoke Article 6 of the 2017 Constitution that forbids any accusation against the King. And add an article to allow parliament to examine wrongdoing of the King, as was stipulated in the constitution promulgated by the People’s Party.
  2. Revoke Article 112 of the Criminal Code, to allow the people to exercise freedom of expression about the monarchy and amnesty all those prosecuted for criticizing the monarchy.
  3. Revoke the Crown Property Act of 2018 and make a clear division between the assets of the King under the control of the Ministry of Finance and his personal assets.
  4. Reduce the amount of the national budget allocated to the King in line with the economic conditions of the country.
  5. Abolish the Royal Offices. Units with a clear duty, such the Royal Security Command, should be transferred and placed under other agencies. Unnecessary units, such as the Privy Council, should be disbanded.
  6. Cease all giving and receiving of donations by royal charity funds in order for all assets of the monarchy to be open to audit.
  7. Cease the exercise of the royal prerogative over the expression of political opinions in public.
  8. Cease all public relations and education that excessively and one-sidedly glorifies the monarchy.
  9. Investigate the facts about the murders of those who criticized or had some kind of relation with the monarchy.
  10. The king must not endorse any further coups.

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