Federazione russa Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/federazione-russa/ geopolitica etc Sat, 02 Sep 2023 22:54:11 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 n. 2 – L’Assemblea Generale tra diritto di veto, immobilismo e sessioni speciali https://ogzero.org/assemblea-generale-onu-tra-diritto-di-veto-e-immobilismo/ Thu, 13 Jul 2023 11:07:30 +0000 https://ogzero.org/?p=11288 Prosegue la serie di contributi di Fabiana Triburgo che analizzano con approccio giuridico gli organismi sovrastatali come l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Questo saggio in particolare si concentra sulle risoluzioni adottate in sessioni speciali dall’Assemblea Generale in occasione del conflitto russo-ucraino e sulle contraddizioni insite nel potere di veto della Russia quale membro permanente nel […]

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Prosegue la serie di contributi di Fabiana Triburgo che analizzano con approccio giuridico gli organismi sovrastatali come l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Questo saggio in particolare si concentra sulle risoluzioni adottate in sessioni speciali dall’Assemblea Generale in occasione del conflitto russo-ucraino e sulle contraddizioni insite nel potere di veto della Russia quale membro permanente nel Consiglio di Sicurezza. Probabilmente le stesse discussioni assembleari porteranno a una riconsiderazione del diritto di veto per superare l’immobilismo del Consiglio di Sicurezza.


La questione che viene lecito porsi – analizzati i limiti che determina l’apposizione del diritto di veto – è se questo possa essere in qualche modo superato o meglio “aggirato” da un altro organo fondamentale delle Nazioni Unite ovverosia l’Assemblea Generale. Se infatti rispetto al conflitto russo-ucraino è emerso l’immobilismo totale del Consiglio di Sicurezza – proprio a causa del diritto di veto esercitato dalla Russia quale membro permanente – l’Assemblea Generale si è riunita molteplici volte in sessione straordinaria per deliberare in merito a tale “Operazione speciale” così come definita dal leader del Cremlino. D’altra parte, se il Consiglio di Sicurezza – secondo l’art. 24 – è il principale organo delle Nazioni Unite al quale vengono demandati il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, la Carta delle Nazioni Unite, in particolare all’art. 11 par. 2 e più in generale all’art. 14, conferisce in tale ambito anche all’Assemblea Generale un ruolo rilevante pur non essendo essa titolare di quei poteri coercitivi implicanti o meno l’uso della forza, propri del Consiglio di Sicurezza.

L’Assemblea Generale infatti, nel caso del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, può soltanto emettere atti privi di forza vincolante aventi il carattere delle raccomandazioni ma può esercitare quelle funzioni conciliative di cui al capo VI della Carta – così come d’altronde il Consiglio di Sicurezza – che si esplicitano attraverso l’istituzione di buoni uffici, di attività di mediazione o di negoziato nei confronti dei paesi membri. D’altro canto, anche l’Assemblea Generale come il Consiglio può disporre le cosiddette “misure temporanee” di cui all’art. 40 della Carta come per esempio le richieste di “cessate il fuoco”, di liberazione pacifica dei prigionieri e d’invito agli stati a non introdurre le armi nei conflitti tra loro. Infine, spetta all’Assemblea Generale in siffatte situazioni quel potere di inchiesta di cui all’art. 34 della Carta pur se, diversamente da quanto avviene nel caso del Consiglio di Sicurezza, esso non può essere finalizzato all’applicazione delle misure coercitive di cui sopra nei confronti degli stati come definite dagli artt. 41 e 42.

Uniting for Peace: come superare l’immobilismo del Consiglio di Sicurezza Onu

Inoltre, benché le risoluzioni dell’Assemblea non abbiano carattere cogente è bene ricordare che lo stato che non adempie le prescrizioni contenute in esse è sottoposto a specifiche responsabilità non solo dinanzi all’Assemblea ma anche dinanzi alla Corte di Giustizia delle Nazioni Unite, in particolare nell’ipotesi in cui uno stato membro si ritenga leso,  come nel caso dell’Ucraina, dallo stato destinatario delle prescrizioni. In tale quadro di funzioni e poteri dei due organi delle Nazioni Unite occorre richiamare la già citata risoluzione dell’Assemblea Generale n. 377 meglio conosciuta come “Uniting for Peace emessa nel 1950 ma quanto mai attuale in considerazione dell’intervento armato russo in Ucraina. La risoluzione allora venne emanata infatti proprio in considerazione dell’immobilismo del Consiglio di Sicurezza nella guerra di Corea del 1950 ed essa, al di là delle conseguenze che abbia poi effettivamente determinato in relazione a tale conflitto – considerata la forte opposizione che ha ricevuto dagli stati socialisti che ha portato anche gli altri stati membri a desistere – ha comunque introdotto un principio innovativo rispetto ai tradizionali poteri che sono conferiti dalla Carta all’Assemblea Generale. La risoluzione n. 377, al momento ancora in essere, stabilisce infatti che se il Consiglio di Sicurezza non può contare sull’unanimità dei suoi membri permanenti – tale da non poter esercitare le sue funzioni per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale – l’Assemblea Generale nei casi in cui possa esservi una minaccia o un atto di aggressione deve considerare immediatamente la questione al fine di adottare raccomandazioni approfondite ai membri delle Nazioni Unite incluso, in caso di rottura della pace o di un atto di aggressione, l’uso delle forze armate proprio per mantenere o ripristinare la pace e la sicurezza internazionale.

La sessione che diede vita alla risoluzione 377 denominata “Uniting for Peace”.

Più verosimilmente rispetto a quest’ultimo potere di disporre misure coercitive come quelle implicanti l’uso della forza si ritiene che la risoluzione ad oggi – anche rispetto al conflitto russo ucraino – sia più agevolmente invocabile affinché l’Assemblea eserciti pienamente (in caso di immobilismo del Consiglio di Sicurezza) quei poteri conciliativi di cui al capitolo VI della Carta che le sono propri. Tale risoluzione inoltre appare particolarmente rilevante perché ha depotenziato il principio della litispendenza tra i due organi sancito con riferimento già alla sola funzione conciliativa dell’Assemblea dall’art. 12 della Carta.

Secondo tale articolo infatti l’Assemblea non può svolgere le funzioni conciliative rispetto a una determinata questione qualora essa sia già pendente dinanzi al Consiglio di Sicurezza o in esame in seno a questo, proprio in ragione della primaria responsabilità in materia secondo il già citato art. 24.

Tale precetto non riguarda la semplice iscrizione a ruolo di una questione dinanzi al Consiglio ma piuttosto le ipotesi nelle quali il Consiglio stia già discutendo in merito a una specifica questione o se ne stia occupando o ancora se vi sia anche la sola probabilità che se ne occupi. Per tale principio le sessioni straordinarie d’urgenza dell’Assemblea, che come vedremo più nel dettaglio rispetto al conflitto russo-ucraino sono state molteplici dopo un’assenza lunga oltre quarant’anni, devono comunque essere richieste dal Consiglio di Sicurezza e dovrebbero avere il carattere dell’eccezionalità.

La condanna all’aggressione: prima risoluzione speciale, non per tutti

La prima risoluzione dell’Assemblea Generale in sessione speciale a essere stata adottata è quella del 2 marzo del 2022 di condanna dell’aggressione russa dell’Ucraina con la contestuale richiesta di cessazione immediata delle ostilità (A/ES-11/L.1). La richiesta che l’Assemblea Generale si riunisse in sessione speciale è stata avanzata dal Consiglio proprio in conseguenza dell’apposizione del veto russo in seno ad esso, veto che la Federazione Russa non può apporre invece nelle delibere assembleari che vengono adottate a maggioranza semplice o dei due terzi degli stati membri come nel caso – secondo quanto stabilito dal paragrafo 2 dell’art. 18 della Carta delle Nazioni Unite – delle raccomandazioni che riguardano il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. La risoluzione è stata adottata con 141 voti a favore, 38 astenuti e 5 contrari ossia, oltre alla Russia, la Bielorussia, la Corea del Nord, la Siria e l’Eritrea.

Tra gli astenuti vi sono diversi paesi asiatici tra cui la Cina, coerente alla propria linea di non interferenza negli affari interni delle singole nazioni e alleato ideologico della Federazione Russa secondo il cosiddetto patto implicito del conferimento primario della prosperità che promette il benessere sociale collettivo in cambio del controllo politico e sociale della società. Così come la Cina anche l’India si è astenuta dal voto: come vedremo in seguito entrambe le nazioni nella quasi totalità delle successive delibere assembleari manterranno questo “non schieramento”.

La risoluzione del 2 marzo 2022 sull’aggressione russa all’Ucraina (fonte Dipartimento della Difesa)

Si ricorda che India e Russia hanno una partnership consolidata nel tempo che si fonda principalmente nella concessione di petrolio e di armi da parte della Federazione Russa anche se quest’ultima è ben consapevole che l’India mantiene dei margini di manovra anche con i paesi occidentali suoi oppositori. Tali relazioni economiche tra i due paesi si sono intensificate dallo scoppio della guerra in Ucraina, poiché per la Russia l’India rappresenta sia un’importante soluzione alternativa alle sanzioni occidentali che l’hanno portata a un pressoché totale isolamento economico che un limite all’espansionismo nell’area da parte della Cina. D’altra parte, l’India oltre a giovare del prezzo a ribasso del petrolio offerto dalla Russia – dalla quale dal 2% delle importazioni dallo scoppio del conflitto ha raggiunto oggi la soglia del 23% delle importazioni dell’oro nero – ambisce anche a un sostegno della Federazione Russa nell’ottenimento di un seggio permanente all’interno del Consiglio di Sicurezza. Non solo, l’importazione delle armi dalla Federazione Russa da parte dell’India risale all’inizio del regime sovietico ed è continuato anche dopo il suo crollo. Basti pensare che le stesse forze armate indiane sono di formazione sovietica e molti ufficiali del paese si sono formati nelle accademie dell’Impero comunista. Particolarmente rilevante è anche l’astensione di ben diciassette paesi africani emblema dell’impegno delle milizie di Wagner – nate nel 2013 con il nome di “Corpi Slavi” formalmente indipendenti ma finanziate e gestite dal Cremlino – che hanno operato oltre che in Siria e in Ucraina anche in molteplici paesi del continente africano da quasi un decennio, beneficiando come contropartita delle risorse del sottosuolo di tali paesi in particolare delle miniere di oro, di diamanti e di uranio, come nel caso del Sudan nel quale i mercenari di Wagner ancora presenti nel paese inizialmente offrirono sostegno al presidente Omar al-Bashir presidiando il confine con il Sud Sudan.

Lo schieramento dell’Asia in particolare (fonte Ispi).

Lo schieramento nel continente africano (fonte Ispi).

La seconda risoluzione e le conseguenze umanitarie

La seconda risoluzione dell’Assemblea Generale in sessione speciale è quella relativa alle conseguenze umanitarie causate dall’aggressione russadel 21 marzo 2022 (A/ES-11/L.2) avanzata dalla stessa Ucraina e appoggiata da altri novanta paesi membri sostenitori e adottata anche in questo caso con un un’ampia maggioranza ossia con 140 voti a favore mentre 38 sono stati i paesi membri che si sono astenuti e 5 ad aver votato contro. Con il termine conseguenze umanitarie l’Assemblea Generale fa riferimento più specificatamente all’assedio perpetrato dalla Federazione Russa in diverse città dell’Ucraina nonché ai bombardamenti che non solo hanno colpito civili ma anche strutture pubbliche come scuole e ospedali nonché infrastrutture idriche e igienico-sanitarie. Inoltre, nella risoluzione la Federazione Russa – considerate le conseguenze umanitarie già causate – viene richiamata al rispetto di puntuali prescrizioni per il futuro, come la tutela dei civili e la protezione di quelli in fuga, compresi gli stranieri, dei beni essenziali per la loro sopravvivenza e infine di porre fine agli assedi nelle città ucraine. Alla Russia viene chiesto inoltre il rispetto del diritto internazionale umanitario compresa la Convenzione di Ginevra e il suo protocollo addizionale. Allo stesso tempo gli altri stati membri vengono invitati a finanziare gli aiuti umanitari delle Nazioni Unite in Ucraina e a incoraggiare i negoziati attraverso la mediazione e il dialogo politico.

Il rappresentante russo presso l’Assemblea delle Nazioni Unite ha definito tale risoluzione “una manipolazione umanitaria” e ha richiamato in modo provocatorio l’intervento armato della Nato nella Repubblica federale di Jugoslavia con l’inizio – il 24 marzo del 1999 – dell’Operazione Allied Force rispetto alla quale il Consiglio di Sicurezza aveva espresso il proprio voto contrario.

Fuori dal Consiglio dei Diritti umani e le conseguenze effettive

La successiva risoluzione dell’Assemblea Generale in sessione speciale è quella che ha disposto la sospensione della Russia dal Consiglio dei Diritti umani. Questa, adottata con la maggioranza dei due terzi dei votanti, è intervenuta in seguito all’emersione di foto che ritraevano nella città di Bucha innumerevoli corpi di civili morti abbandonati lungo le strade e la presenza di fosse comuni. La Russia, a parte la Libia – in conseguenza della repressione delle proteste nel 2011 da parte di Gheddafi poi “destituito” – è l’unico paese nella storia a essere stato sospeso dal Consiglio dei Diritti umani delle Nazioni Unite, dopo essere stata eletta soltanto l’anno precedente proprio dall’Assemblea Generale con un mandato di tre anni. Ciò che tuttavia non può essere ignorato è che tale risoluzione ha registrato un numero di voti a favore nettamente inferiore rispetto alle due precedenti risoluzioni assembleari. I voti a favore in tale circostanza sono stati infatti 93 a fronte dei circa 140 voti delle altre risoluzioni e non è un caso poiché questa è di fatto la prima delibera dell’Assemblea Generale a implicare con la sua adozione conseguenze effettive nei confronti della Federazione Russa.

Il 16 settembre 2022 la Russia viene sospesa dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo.

Il dibattito formale dopo l’esercizio del diritto di veto

L’ulteriore risoluzione dell’Assemblea Generale mandato permanente per un dibattito dell’Assemblea Generale in caso di veto del Consiglio di Sicurezza” del 26 aprile 2022 (A/ 77/L.52) – adottata senza votazione – è stata definita invece storica in quanto ha affrontato nuovamente la questione del diritto di veto ma in modo del tutto innovativo.  L’Assemblea Generale infatti con tale risoluzione ha stabilito che il proprio personale convochi una riunione formale dell’organo assembleare, composto da tutti i paesi membri delle Nazioni Unite, entro 10 giorni dalla data dell’apposizione del diritto di veto da parte di uno o più membri del Consiglio di Sicurezza, nella quale si discuta sulla situazione per la quale è stato posto il veto sempre purché essa non si riunisca in seduta straordinaria d’urgenza sulla medesima questione. L’Assemblea Generale ha proseguito con l’invito rivolto al Consiglio di Sicurezza a presentare un rapporto speciale dell’uso del veto – qualora venga apposto in seno a esso – almeno 72 ore prima che la discussione abbia inizio. Il testo della risoluzione è stato proposto dal Lichtestein e sponsorizzato da 83 paesi membri tra cui tre membri permanenti più specificatamente Francia, Regno Unito e Stati Uniti.

La proposta francese di sospensione del diritto di veto

La Federazione Russa ha espresso contrarietà rispetto a tale delibera assembleare adottata senza votazione in quando secondo la sua opinione l’apposizione in seno al Consiglio di Sicurezza del veto è ancora utilizzata come extrema ratio. Interessante la posizione di un altro membro permanente rispetto a tale risoluzione, la Francia che, dopo aver sottolineato di aver utilizzato il veto “soltanto” 18 volte dal 1945 e di non averlo apposto per più di tre anni, ha precisato tuttavia che  l’Assemblea in questo modo diverrebbe il giudice del Consiglio di Sicurezza e dei suoi membri richiamando ancora una volta invece l’opportunità dell’adozione della propria proposta di riforma rispetto all’uso del veto secondo la quale esso dovrebbe essere sospeso da parte di ogni membro permanente del Consiglio di Sicurezza nelle ipotesi di atrocità di massa, genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Di estrema importanza è poi la risoluzione assembleare del 12 ottobre 2022 (A/ES-11-4) di condanna della Russia per i referendum nel Donbass rubricata come risoluzione “sull’integrità territoriale dell’Ucraina in difesa dei principi della Carta delle Nazioni Unite” adottata con il voto favorevole di 143 paesi membri.

Nel testo della risoluzione vengono richiamate le prime due risoluzioni dell’Assemblea Generale sul conflitto in Ucraina – già analizzate in precedenza – sottolineando la salvaguardia dell’integrità territoriale di ogni stato secondo il diritto internazionale per cui deve considerarsi illegale qualsiasi acquisizione territoriale di uno stato nei confronti di un altro che si sia determinata mediante la minaccia o l’uso della forza armata. Il riferimento in concreto è ovviamente quanto avvenuto con i referendum indetti dalla Federazione Russa di annessione degli oblast‘ di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia aventi esito positivo come dichiarato dalla Russia il 29 settembre 2022 e in conseguenza dei quali – con atti esecutivi della Federazione Russa – sono stati dichiarati indipendenti i territori ucraini di Zaporizhzhia e Kherson. Tali referendum si sarebbero tuttavia svolti non solo con l’intimidazione nei confronti dei civili da parte delle autorità nominate in modo illegittimo dalla Russia nei territori occupati, ma anche in condizioni non idonee a garantire una partecipazione democratica al voto tali da integrare la piena violazione del diritto internazionale in materia. La risoluzione adottata richiama inoltre le vicende storiche antecedenti che hanno interessato la Russia e l’Ucraina ossia gli scontri nel Donbass tra il 2014 e il 2015 tra l’esercito ucraino e i cittadini ucraini insorti per il rifiuto nel 2013 da parte dell’allora presidente ucraino di dar seguito ai patti di libero scambio con l’Unione Europea. Scontri nei quali si era inserita la Federazione Russa con il tentativo di ripristinare il controllo su alcune porzioni del territorio ucraino e ai quali era seguita la proclamazione unilaterale delle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk nel Donbass. Con l’accordo di Minsk del 2015 – mai attuato in concreto – sottoscritto da Russia, Ucraina e Germania veniva tuttavia sancito il cessate il fuoco, la liberazione di prigionieri e l’impegno dell’Ucraina a riformare la propria costituzione garantendo piena autonomia alle Repubbliche separatiste, che però continuavano a essere parte del territorio dell’Ucraina e sottoposte alla sua autorità, nonché il ritiro di forze armate e di veicoli militari stranieri.

Con tale risoluzione dunque vengono dichiarati illegali e invalidi i suddetti referendum per cui si invitano tutti gli stati della comunità internazionale, le agenzie delle Nazioni Unite e tutte le organizzazioni internazionali a disconoscere quanto proclamato dal Cremlino il 29 settembre 2022 in quanto tali referendum non hanno determinato alcuna variazione del territorio ucraino.

Vale la pena ricordare che il 16 settembre 2022, prima della dichiarazione del Capo del Cremlino sull’esito dei referendum, la Russia cessava di essere parte della Convenzione europea per i Diritti dell’Uomo così come stabilito dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.

Il meccanismo di risarcimento

In una successiva sessione speciale più specificatamente il 14 novembre 2022 l’Assemblea Generale ha invece adottato una risoluzione con la quale ha raccomandato l’istituzione di un meccanismo di riparazione dei danni causati dalla Federazione Russa con la guerra in Ucraina e l’istituzione di un registro internazionale dei medesimi finalizzato ad archiviare prove e documenti a supporto delle richieste di risarcimento da parte ucraina. L’obbligo di riparazione avrebbe a oggetto oltre gli ingenti danni anche le perdite e le lesioni causate a persone fisiche e giuridiche nonché allo stato ucraino più in generale. Con la risoluzione inoltre viene chiesto alla Russia non solo di provvedere al pagamento dei danni ma anche di interrompere le operazioni militari e ritirare le proprie truppe in Ucraina. La risoluzione è stata adottata anche in questo caso con un numero di voti più ristretto delle iniziali delibere assembleari specificatamente con 94 voti a favore e circa 73 astenuti.

Il mancato schieramento di un numero così elevato di paesi membri è l’emblema della difficoltà della comunità internazionale a essere maggiormente schierata e coesa quando la votazione sulle risoluzioni dell’Assemblea Generale implichi delle conseguenze di fatto o di diritto rispetto alla Russia.

In tale ipotesi infatti è chiaro che la votazione a favore della suddetta risoluzione significhi indirettamente ammettere la responsabilità della Federazione Russa per le violazioni del diritto internazionale e umanitario integrate con l’invasione del territorio ucraino dalle quali appunto discenderebbe l’obbligo di riparazione dei danni.

Tuttavia il giorno precedente la ricorrenza di un anno dall’invasione russa dell’Ucraina l’Assemblea Generale è intervenuta con la risoluzione del 23 febbraio 2023 sul ritiro immediato della Russia dal territorio dell’Ucraina. Essa, più nel dettaglio, contiene nel testo la richiesta di una pace corretta, giusta e duratura in Ucraina, della cessazione delle ostilità, il ritiro immediato delle forze militari russe dal territorio ucraino oltre al riconoscimento della sovranità, dell’unità e dell’integrità dell’Ucraina. La risoluzione è stata adottata con 141 voti a favore 32 astenuti tra cui India e Cina – per cui valgono le precedenti considerazioni in merito agli interessi geopolitici ed economici dei due paesi con la Russia – e 7 voti contrari, ossia oltre la Russia, la Bielorussia, la Corea del Nord, l’Eritrea e il Mali. Rispetto a quest’ultimo paese si rileva che qui sono fortemente presenti i mercenari appartenenti al gruppo di Wagner mediante un accordo con la giunta golpista di Bamako.

La cooperazione rafforzata

Infine, ad aprile di quest’anno vanno menzionate due attività particolarmente rilevanti dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. In primo luogo, si registra a un anno di distanza dalla storica risoluzione precedentemente analizzata sul diritto di veto, adottata senza votazione da parte dell’Assemblea Generale, che i paesi membri delle Nazioni Unite si sono nuovamente incontrati in seduta assembleare per discutere sull’uso del diritto di veto all’interno del Consiglio di Sicurezza e su come intervenire affinché l’Organizzazione delle Nazioni Unite sia più efficiente.

In secondo luogo, l’Assemblea Generale ha adottato una rilevante risoluzione rubricata come “Cooperazione tra le Nazioni Unite e le organizzazioni regionali e altre organizzazioni: la cooperazione tra le Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa” proposta da 48 stati membri tra cui la stessa Ucraina. Significativo quanto enunciato nel testo della risoluzione nel quale viene fatto riferimento alle sfide che l’Europa si trova oggi ad «affrontare dopo l’aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina e prima ancora contro la Georgia» in considerazione anche della cessazione dell’appartenenza della Federazione Russa al Consiglio d’Europa che «richiedono una cooperazione rafforzata tra le Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa in particolare al fine di ripristinare e mantenere tempestivamente la pace […]». La risoluzione è di straordinaria importanza non tanto per il numero dei voti a favore con la quale è stata adottata ossia 122 paesi su 145 paesi votanti, ma perché

per la prima volta tra questi si annoverano Cina e India che approvando il testo della risoluzione hanno ammesso ufficialmente l’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina che implica la violazione dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica di quest’ultima.

In conclusione tutte le dinamiche dell’Assemblea Generale finora analizzate si sono inserite in modo poliedrico nella stasi del Consiglio di Sicurezza accrescendo inevitabilmente l’importanza del ruolo di tale organo nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale non solo poiché le votazioni delle risoluzioni in seno a esso sono divenute l’unica cartina al tornasole delle mutevoli posizioni dei paesi membri delle Nazioni Unite nello scacchiere internazionale rispetto alla guerra russo-ucraina ma anche poiché probabilmente le stesse discussioni assembleari porteranno a una riconsiderazione del diritto di veto come è avvenuto con la succitata storica risoluzione dell’Assemblea Generale del 26 Aprile del 2022 che ha perfezionato quella prima breccia nella Carta delle Nazioni Unite operata oltre settant’anni fa (!) dalla risoluzione “Uniting for Peace” nell’immobilismo del Consiglio di Sicurezza durante la Guerra Fredda.

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La carne da cannone imparerà mai a sfuggire al macello? https://ogzero.org/la-carne-da-cannone-imparera-mai-a-sfuggire-al-macello/ Sun, 23 Oct 2022 12:11:03 +0000 https://ogzero.org/?p=9239 Khinstein, un consigliere di Putin, ha dichiarato che la Rosgvardiya metterà sotto maggiore sorveglianza gli uffici di reclutamento di carne da cannone dopo i molti attacchi subiti: evidentemente la propaganda delle operazioni speciali produce invece una consapevolezza sempre più estesa della necessità di boicottare la coscrizione, un recupero da parte dei civili di quella resistenza […]

L'articolo La carne da cannone imparerà mai a sfuggire al macello? proviene da OGzero.

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Khinstein, un consigliere di Putin, ha dichiarato che la Rosgvardiya metterà sotto maggiore sorveglianza gli uffici di reclutamento di carne da cannone dopo i molti attacchi subiti: evidentemente la propaganda delle operazioni speciali produce invece una consapevolezza sempre più estesa della necessità di boicottare la coscrizione, un recupero da parte dei civili di quella resistenza di stampo novecentesco contro qualunque aspetto abbia attinenza con il mondo militare. A un istintivo moto di sottrazione al reclutamento in una guerra zarista cominciano a moltiplicarsi gli episodi di sabotaggio. Questo si spiega anche con l’analisi della provenienza di classe e dalla periferia dell’impero degli arruolati; e proprio da questo prende spunto Yurii per illustrare in una cavalcata attraverso il territorio della Federazione e i luoghi della diaspora, inseguendo resistenza, controinformazione antimilitarista contrapposta alla propaganda del Cremlino… mobilitazioni di madri, mogli, figlie. Ma Yurii non tralascia nemmeno l’arruolamento ucraino, altrettanto subdolo perché si affida a una censura preventiva di chi si fa passare per la parte buona del conflitto; tuttavia l’impegno internazionalista di Assembly scoperchia la bugia dell’unità nazionale che si regge solo come contrasto all’aggressore. 


La mobilitazione “parziale” dell’esercito della Federazione russa imposta da Putin il 21 settembre ha fatto entrare il conflitto russo/ucraino in un una nuova fase che pone non poche domande sia sulla consistenza e reale tenuta dell’esercito della Federazione che sui particolari caratteri di classe e sulle ricadute sociali della guerra stessa.

La propaganda e la guerra ai poveri

I contorni stessi della mobilitazione di carne da cannone sono rimasti vaghi. Formalmente il ministro della difesa russa Sergej Shojgu ha parlato di 300.000 uomini ma resta aperta l’incognita dell’ormai famosi punto 7 del decreto di Putin che si sussurra dovrebbe prevedere il suo ampliamento fino a un milione di uomini in caso di necessità (era già stato previsto l’aumento di 137.000 membri combattenti dell’esercito entro il 1° gennaio 2023).
Il maggiore successo di reclutamento è avvenuto, senza sorpresa alcuna, nelle regioni più povere e degradate del paese. Già ci s’avvicina al 100% dei riservisti programmati presenti nei campi di addestramento o addirittura ormai al fronte, carne da cannone proveniente da regioni come la Cecenia (reddito pro capite annuo 2170 dollari), dal Kabardino- Blakaria (2670 dollari), dalla Buritia (3650 dollari), dall’Altaj (3730). Si tratta di popolazioni anche con tassi di scolarità tra i più bassi della Federazione e quindi più indifesi di fronte alla propaganda sciovinista dei mass-media e dei social network.

Una recente indagine ha portato alla luce che il 69% dei russi non è mai stata all’estero, mentre oltre il 50% non ha neppure il passaporto. Nelle regioni più povere la mancanza di passaporto supera l’80%. Non si è mai viaggiato all’estero per mancanza di mezzi materiali ma anche per mancanza di curiosità culturale. Sono loro la vera “carne da cannone” che hanno alimentato lo sforzo bellico putiniano negli ultimi 8 mesi.

Le cose cambiano radicalmente quando si arriva nelle capitali storiche della Russia, San Pietroburgo e Mosca. Nella città sulla Neva hanno risposto alla lettera di mobilitazione solo il 18% dei riservisti, a Mosca peraltro sono state chiamate a servire la nazione in Ucraina solo 14.000 persone ma buona parte di queste al momento della chiamata avevano già preso la strada dell’esilio. Non è certo un segreto che chi ha seguito la via della fuga appartiene socialmente – in buona parte – a quegli strati della società che potremmo definire “ceto medio” e che condividono “valori occidentali”. Le lunghe teorie di uomini che si sono visti nei primi giorni della mobilitazione attraversare le frontiere con ogni mezzo disponibile però non sono solo giovani; spesso si tratta di intere famiglie che abbandonano il paese definitivamente.

Renitenti a Volgograd

Esposizione infame a Volgograd delle foto dei renitenti

«Non voglio e non posso attendere – ci dice Igor 32 anni di Samara – quando cambierà qualcosa in Russia. Proverò a ricostruirmi una vita in Germania se riuscirò a raggiungerla».

Per ora è andato in Kazakistan e da lì spera di avere un visto europeo, con lui la moglie e il figlio di tre anni. Anche l’emigrazione verso Israele per chi ha sangue ebraico è molto gettonata:

Valerij è ora in Tajikistan: “Si tratta del paese in cui la vita costa di meno, ma sto preparando i documenti per volare a Tel Aviv e ottenere il passaporto israeliano».

Ma quasi nessuno degli oltre 30.000 che hanno fatto per ora richiesta del passaporto d’Israele intende fermarsi lì: «Troppo difficile inserirsi lavorativamente», dice ancora Valerij che sogna i paesi scandinavi.

Il dissenso al minimo sindacale

La decisione della dirigenza di tenere le frontiere aperte (ma nel Donbass con la dichiarazione della Legge marziale sono state prontamente chiuse) si basa su un calcolo cinico: più oppositori e refrattari alla leva se ne andranno, meno potenziali movimenti interni no-war potranno svilupparsi nel futuro. Si tratta tuttavia di calcoli che potrebbero rivelarsi superficiali, se la guerra dovesse continuare a lungo e la lista dei morti e degli invalidi diventasse insostenibile. Del resto le manifestazioni delle donne in Daghestan contro l’invio dei mariti e dei figli al fronte come carne da cannone la dice lunga su come si stia incrinando la narrazione putiniana sulla guerra. Non era mai avvenuta una mobilitazione spontanea di donne musulmane all’interno dei confini della Federazione russa e segnala quanto potrebbe essere inedita la crescita del femminismo in Russia.

I residenti del villaggio di Endirey in Daghestan hanno bloccato l’autostrada federale La polizia spara in aria a Khasavyurt-Makhachkala, dove le donne avevano inscenato una protesta contro la “mobilitazione parziale” dei loro uomini

Allo stesso tempo è evidente che i caratteri del rifiuto della guerra, per certi versi, assumono caratteristiche diverse da quelli della Prima guerra mondiale e pongono in modo nuovo la questione della lotta contro la guerra. Il’ja Budraytskis uno dei più importanti attivisti e intellettuali russi di sinistra, che ha deciso malgrado tutto di restare nel paese, ritiene che «ci sono importanti cose che chi ha deciso di emigrare può comunque fare». Come per esempio creare dei collegamenti stabili sia con gli altri fuoriusciti nei diversi paesi, naturalmente con chi sta in Russia al fine di giungere a una piattaforma comune di chi è contro la guerra. E allo stesso tempo produrre dei materiali di propaganda per chi è andato al fronte, lo sviluppo sistematico di una controinformazione sull’andamento reale del conflitto (anche se ricordiamo che ai reclutati russi a differenza di quelli ucraini sono stati tolti gli smartphone).

Straccioni mercenari, la carne da cannone

Come già nel caso dei contractors e dei “volontari” reclutati nei mesi precedenti, la parziale mobilitazione è stata selettiva in termini di classe anche sotto altri profili: non è casuale che la maggior parte dei mobilitati (secondo i dati ufficiali 230.000) sono attratti dalla possibilità di ricevere paghe da 200.000 rubli al mese (media nazionale 50.000) e moltissimi benefit quali la possibilità di formazione professionale e la possibilità di acquistare una casa a tassi agevolati nel dopoguerra.

Per esempio il governatore della Yugra, Natalija Komarova, ha deciso di fissare la paga del mobilitato a ben 250.000 rubli e altrettanti al momento della smobilitazione. Alle Sakhalin, in Chukotka e Yamal, si va anche oltre: pagano subito 300.000 rubli a testa. In Jakutia, il presidente Aisen Nikolajev ha addirittura emanato un decreto speciale in cui si afferma che, oltre a vari benefici, le famiglie dei residenti mobilitati riceveranno anche una somma forfettaria di 200.000 rubli. È stata diffusa un’altra promessa del presidente della Crimea Sergej Aksenov: ogni coscritto riceverà anche 200.000 rubli dalle autorità dell’unità militare in cui è stato arruolato. Il denaro dovrà arrivare sulla carta entro cinque giorni. Sembra che siano stati promessi 100.000 rubli ciascuno nelle regioni di Belgorod, Irkutsk, Kursk, Omsk, Tula, Adjgea e in diverse altre regioni.

La mobilitazione ha anche il suo lato industriale: andare a combattere spesso significa abbandonare posti di lavoro che sono comunque utili allo sforzo bellico neozarista nelle retrovie.

Gli operai della fabbrica non hanno voglia di combattere. A poco a poco dal fronte vengono a conoscenza della mancanza di tutto ciò di cui hanno bisogno e che devono comprare tutto a proprie spese, che vengono portati al fronte senza preparazione. Non ci sono nemmeno persone che hanno lasciato [il paese].

Dicono: «Dove potremmo andare? Siamo operai. Nessuno vuole gente come noi, cazzo» (l’intervistato si definisce operaio, ma si tratta di un ingegnere della difesa); e aggiunge: «L’atteggiamento dei soldati all’ufficio di arruolamento militare è brutale, ci chiamano “usa e getta”, prendono tutti indistintamente. Come se ci stessero preparando per il macello… Le persone sono diventate nervosissime, ci sono molti casi di depressione. Di fronte alla morte la loro paura della repressione svanisce», afferma un tecnico di una fabbrica di San Pietroburgo.

Molti, tuttavia, accettano il loro destino con fatalismo (tipicamente russo) e non sembrano essere pienamente consapevoli del grado di pericolo. Un fatalismo che molti pagano con la vita: secondo i servizi segreti britannici (che forniscono gli unici dati “equilibrati”) a settembre le perdite russe sarebbero state di oltre 16.500 uomini a cui aggiungere almeno 35.000 feriti).

La propaganda nazionalista di Kyiv basata sulla censura

“Dall’altra parte della barricata” le informazioni sono assai più ridotte. Da una parte sembra funzionare bene una certa censura “preventiva” messa in atto dal ministero della difesa ucraino, dall’altro, i fenomeni di diserzione e anche di malcontento tra le truppe sembrano essere più limitati temporaneamente. In questo senso l’arma della mobilitazione nazionalista sembra aver funzionato molto più per Zelenskij che per Putin e un certo grado di motivazione a combattere è presente sia nell’esercito regolare che tra le Unità Territoriali volontarie. Come ha ricordato da questo punto di vista Assembly, un gruppo libertario di Kharkhiv impegnato nella solidarietà internazionalista ma piuttosto tiepido verso la partecipazione alla “resistenza armata”:

«Dovremmo capire che l’unità nazionale degli ucraini intorno al potere di Zelenskij si basa solo sulla paura della minaccia esterna. Pertanto, gli atti sovversivi contro la guerra in Russia sono indirettamente una minaccia anche per la classe dirigente ucraina, ed è per questo che consideriamo il loro sostegno informativo un atto internazionalista».

Il malcontento sotto le braci dell’occupazione

Allo stesso tempo gli attivisti di Assembly ricordano come «nonostante l’assenza di una differenza qualitativa tra gli stati in guerra, essi differiscono quantitativamente: se tutti i soldati russi smettono di combattere, la guerra finirà, se lo fanno i soldati ucraini, finirà l’Ucraina. La zona di occupazione inizia a 20 km dalla circonvallazione della nostra città, e sappiamo cosa significa: la “scomparsa” di tutti gli abitanti almeno un po’ attivi e l’età della pietra per il resto della popolazione. Allo stesso tempo, dopo che le truppe russe hanno perso per lo più il loro potenziale offensivo, un’ondata di malcontento sociale ha iniziato a manifestarsi anche in Ucraina – ne abbiamo già parlato».

Il diritto a uscire dal paese e non partecipare al conflitto è anche rivendicato da Assembly, tuttavia la formale mobilitazione generale e la chiusura delle frontiere per i maschi in età adulta grazie alla diffusa corruzione nella società ucraina è stato spesso risolto praticamente da chi non intende fare da carne da cannone: secondo alcune fonti bastano poco più 100 dollari per “oliare” le guardie alla frontiera.
La diserzione vera e propria si è quindi concentrata nei periodi di maggiore difficoltà per l’esercito ucraino, durante la lunga offensiva russa nel Donbass di primavera scorsa. In quel periodo lo stesso presidente ucraino sosteneva che il suo esercito perdeva 200-300 uomini al giorno. Come riportava l’agenzia di stampa russa “Tass” all’epoca:

«I casi di diserzione delle truppe ucraine sono sempre più diffusi», ha dichiarato il servizio stampa del Ministero della Difesa. «Così, nei pressi del villaggio di Aleksandropil nella Repubblica Popolare di Donetsk, più di 30 militari ucraini di uno dei battaglioni della XXV Brigata aviotrasportata, dopo aver abbandonato le armi personali, hanno lasciato volontariamente le loro posizioni», si leggerà sull’agenzia russa.

Altri si erano avuti a inizio estate: il 22 giugno il Ministero russo ha dichiarato che i militari della 57a brigata di fanteria motorizzata ucraina che difendevano gli insediamenti di Gorske, Podleske e Vrubovka nella Repubblica Popolare di Luhansk, dopo aver perso oltre il 60% degli uomini, si sono rifiutati di eseguire gli ordini e hanno abbandonato volontariamente le loro posizioni.

Scarsi o nulli invece i fenomeni di fraternizzazione tra soldati dei due paesi slavi anche se alcune decine di soldati russi, dopo l’inizio della mobilitazione si sono volontariamente consegnati prigionieri alle Forze armate di Kyiv, pur di non combattere.

Il ministero della Difesa ha dichiarato che il comando ucraino è stato costretto a formare battaglioni separati di armi leggere con cittadini mobilitati non addestrati per compensare le perdite.


Questo articolo ha avuto un prequel embrionale in un intervento di Yurii su Radio Blackout  l’11 ottobre 2022. Ecco il podcast che espone ulteriormente l’analisi relativa ai tentativi di resistenza antimilitarista durante l’“Operazione speciale”:
“Quale narrazione della guerra in Ucraina esula dalla propaganda militare?”.

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Geova: repressione organizzata, discriminazione e pugno di ferro https://ogzero.org/la-situazione-contraddittoria-dei-testimoni-di-geova/ Fri, 19 Nov 2021 10:56:47 +0000 https://ogzero.org/?p=5380 La situazione contraddittoria dei Testimoni di Geova tra persecuzioni, assurde accuse, repressione e resistenza nel mondo, in particolare nell’ex Urss, nella Federazione russa, in Bielorussia e nelle repubbliche separatiste, raccontata da Yurii Colombo qui e in un ampio capitolo del suo nuovo libro pubblicato da OGzero, La spada e lo scudo.  I Testimoni di Geova […]

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La situazione contraddittoria dei Testimoni di Geova tra persecuzioni, assurde accuse, repressione e resistenza nel mondo, in particolare nell’ex Urss, nella Federazione russa, in Bielorussia e nelle repubbliche separatiste, raccontata da Yurii Colombo qui e in un ampio capitolo del suo nuovo libro pubblicato da OGzero, La spada e lo scudo


I Testimoni di Geova sono  stati spesso al centro delle polemiche in tutto mondo. I loro metodi di proselitismo, la forte coesione interna dei credenti, le prescrizioni e i divieti (come per esempio alla trasfusione), il loro rifiuto ostinato di esercitare il servizio militare hanno spinto talvolta alcuni paesi autoritari se non apertamente dittatoriali a reprimere i suoi aderenti. È abbastanza nota la vicenda della repressione dei Testimoni nella Germania nazista. Nell’ormai classico studio di Detlef Garbe del Between Resistance and Martyrdom: Jehovah’s Witnesses in the Third Reich è stato raccontato nel dettaglio come fu che a partire dal 1935 oltre 10.000 Testimoni di Geova, per la maggior parte di nazionalità tedesca, venissero imprigionati nei campi di concentramento hitleriani. Divennero riconoscibili nei lager tedeschi con l’infame segno sulle casacche di un triangolo viola. In seguito a partire dal 1939 una parte di loro furono deportati in altri paesi del Centro Europa e si stima che circa 5000 credenti perirono nelle prigioni e nei campi nazisti.

I Testimoni nel mondo

Durante il conflitto i Testimoni subirono persecuzioni anche negli Stati Uniti d’America. Successivamente vennero attaccati e subirono una significativa riduzione dei propri diritti in paesi autoritari come la Cina e Cuba (fuorilegge dal 1° luglio 1974 ma la misura è stata successivamente annullata), o come il Sud Africa; ma anche da paesi che si professano campioni della democrazia e dei diritti umani come la Francia. Oggi sono decine ancora i paesi del mondo che vietano il culto della religione avventista, mentre in molti altri la loro attività è appena tollerata.

Il caso più tragico resta quello dell’Eritrea. Qui tutti i cittadini tra i 18 e i 50 anni sono tenuti per legge a servire nell’esercito per 18 mesi. A causa del loro rifiuto di servire sulla base del loro credo religioso, i Testimoni di Geova sono stati privati nel paese africano della cittadinanza, è stato negato l’accesso alle opportunità di lavoro e ai benefici governativi, e sono stati arbitrariamente imprigionati in cattive condizioni.

A novembre 2020, c’erano in Eritrea 52 Testimoni di Geova imprigionati per aver partecipato a riunioni o cerimonie religiose, alla predicazione e all’obiezione di coscienza al servizio militare. Alcuni di questi Testimoni sono stati imprigionati per più di 20 anni. Secondo i rapporti forniti dalla congregazione, quattro Testimoni di Geova sono morti in prigione e tre anziani sono morti poco dopo il loro rilascio, a causa delle cattive condizioni di detenzione e dei maltrattamenti da parte delle autorità carcerarie.

 

In Russia la situazione è appena migliore

La tragica epopea sotto lo stalinismo dei credenti in Geova in Urss e la reiterazione di misure repressive nei loro confronti a partire dal 2017 anche nella Federazione russa è già stata descritta in un capitolo del mio libro La spada e lo scudo pubblicato da OGzero.

Negli ultimi mesi la situazione è restata comunque complessa: sono 73 i seguaci di Geova a oggi in prigione, 31 quelli agli arresti domiciliari mentre i casi penali che li riguardano sono oltre mille.

E a fronte della determinazione dei “fratelli” di proseguire le loro attività di culto, sono frequentissimi le perquisizioni in case private.

Come abbiamo già sottolineato il divieto della pratica e dell’attività di proselitismo della “Torre di Guardia” in Russia non può essere ricondotto alla posizione di fatto preferenziale data alla Chiesa ortodossa, visto che la sproporzione tra le due religioni in termini di influenza culturale e disponibilità economiche è abissale e il culto della religione musulmana in repubbliche autonome come il Tatarstan è ampiamente tutelato. Si tratta piuttosto della convergenza di almeno tre fattori e rimandi.

Il primo è il rifiuto dei Testimoni a prestare il servizio militare.

In un paese in cui con l’esplosione della Guerra Fredda 2.0 il confronto con l’Occidente è tornato a essere un elemento fondante della narrazione propagandistica e dove il complesso militar-industriale resta uno dei pilastri dell’economia, l’esistenza di un settore – seppur minuscolo – della popolazione che ostinatamente si dichiara contro qualsiasi collaborazione quando si tratta di imbracciare le armi rappresenta potenzialmente un pericolo per la coesione sociale. Tanto è vero che i credenti vengono perseguitati formalmente non per l’attività di proselitismo quanto per “estremismo”.

Questo aspetto si collega al secondo: il timore o la percezione degli organi dell’intelligence russa che la fede in Geova sia in realtà un cavallo di Troia del governo americano per fomentare dissidenza e opposizione in Russia.

Negli anni Cinquanta del XX secolo la denuncia dei Testimoni negli Stati Uniti delle persecuzioni subite in Urss qua e là assunse i toni – secondo alcuni studiosi – della propaganda anticomunista e anche oggi il governo americano ha fatto da megafono spesso alle denunce dei Testimoni, alimentando fobie e sospetti. I Testimoni però, da parte loro, hanno sempre negato qualsiasi legame con la Casa Bianca o la Cia: «Siamo apolitici e non interferiamo negli affari interni di qualsiasi paese in cui facciamo opera di proselitismo», sostengono i vertici dell’organizzazione religiosa.

Il terzo aspetto è la compattezza solidaristica interna dei nuclei del Testimoni, un elemento in controtendenza in una società russa sempre più atomizzata.

Tuttavia un piccolo  spiraglio ultimamente sembra essersi aperto.

Si apre uno spiraglio contraddittorio

Il 28 ottobre 2021, il plenum della Corte Suprema della Federazione russa ha stabilito che i servizi divini dei Testimoni di Geova, i loro rituali e cerimonie congiunti non costituiscono di per sé un crimine ai sensi dell’art. 282.2 del Codice penale della Federazione Russa, nonostante la liquidazione delle loro persone giuridiche. Durante la riunione della sessione plenaria, il giudice relatore Elena Peisikova ha osservato che erano emersi nuovi chiarimenti in esecuzione delle istruzioni del presidente della Russia (segnali di apertura erano venuti da Putin  già nel 2018). Inoltre, durante la riunione della Plenaria, è stato osservato che i nuovi chiarimenti sono stati ripetutamente discussi nelle riunioni del gruppo di lavoro allargato con la partecipazione dell’Fsb (i servizi segreti russi). «Sembra – ha concluso il giudice relatore – che tale spiegazione consentirà di unificare la prassi esistente di applicazione dell’articolo 282.2 del Codice penale ed evitare casi di irragionevole perseguimento delle persone unicamente in relazione alla manifestazione esterna del loro atteggiamento nei confronti della religione». Un’apertura che va in controtendenza con il rigetto delle domande dei condannati della revisione dei processi e nelle colonie penali. Ultimamente le sentenze di 11 credenti condannati sono già state esaminate nei tribunali di Cassazione, ma la legislazione russa si riserva il diritto di presentare un secondo ricorso per Cassazione – alla Corte suprema della Federazione russa. La settantenne Valentina Baranovskaya inoltre, che, nonostante un ictus subito durante le indagini, si trova in una colonia, sta preparando un ricorso per cassazione alla Corte Suprema della Federazione russa, per poter essere liberata per motivi umanitari.

Valentina Baranovskaya, la Testimone di Geova che si appella alla liberazione per motivi umanitari.

 

Dennis Christensen, cittadino danese e membro dei Testimoni di Geova, colpevole di “organizzare l’attività di un’organizzazione estremista” in Russia che è stato condannato a sei anni di carcere. Christensen, pur detenendo il passaporto danese, risiede in Russia dal 1999. È stato arrestato a Oryol nel maggio 2017, un mese dopo che il gruppo religioso era stato bandito.

Fuorilegge nell’ex Urss…

Contraddittoria appare complessivamente la situazione dei Testimoni in tutta l’ex Urss. Se in Turkmenistan e Tagikistan i seguaci di Geova sono fuorilegge e rischiano sanzioni penali e amministrative, anche in Georgia la situazione resta delicata dopo che la Corte europea dei Diritti dell’Uomo aveva denunciato una decina di anni fa una strisciante discriminazione nei confronti dei Testimoni. Non appare brillante il quadro neppure in Ucraina malgrado questo paese abbia chiesto di entrare nell’Unione Europea e di voler rispettare i diritti umani. A Kryvyj Rih, nell’Ucraina orientale, dopo che le autorità avevano rifiutato di assegnare alla chiesa un terreno per costruire un tempio la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha ordinato a Kiev, nel  2019, di pagare un risarcimento alla chiesa dei Testimoni di Geova.

… e accusati di essere nazisti…

Di totale chiusura verso i Testimoni è invece l’atteggiamento dei separatisti delle Repubbliche popolari di Lugansk e di Donetsk accusata di «fornire assistenza all’Sbu (i servizi segreti ucraini N.d.R.) e ai gruppi neonazisti», come ha affermato Aleksandr Basov, uno dei responsabili della sicurezza di Lugansk. «Durante l’ispezione dei locali appartenenti all’organizzazione religiosa dei Testimoni di Geova nella città di Lugansk e nella città di Alchevsk, sono stati trovati e sequestrati materiali di propaganda contenenti simboli e attributi nazisti, così come volantini che invitano alla cooperazione con i servizi speciali ucraini», ha sottolineato Basov.

… ma liberi a Minsk

Di tutt’altro segno invece, paradossalmente, la situazione in Bielorussia. Malgrado il governo di Alexander Lukashenko resti sotto la lente d’ingrandimento delle istituzioni internazionali e dei diritti dell’uomo dopo la violenta repressione delle manifestazioni antiregime dell’estate del 2020, a Minsk e nelle altre città del piccolo paese slavo i cristiani avventisti svolgono le loro attività regolarmente, compresi i battesimi di massa negli stadi. Anzi, molti Testimoni russi, sono emigrati proprio in Bielorussia e godono della protezione del governo. Nell’aprile del 2020 il tribunale bielorusso ha rifiutato l’estradizione di un Testimone richiesta dalla polizia di San Pietroburgo che lo ricercava da tempo. E non si tratta di un’eccezione. A Brest e in altre città della Bielorussia molti russi credenti in Geova sono stati rilasciati dalla polizia dopo normali controlli e continuano la loro vita di ospiti-esuli del paese senza problemi particolari. Non si può prevedere quale sarà l’atteggiamento di Minsk nei confronti della piccola organizzazione religiosa nel futuro visti i legami politici oltre che economici sempre più stretti tra la Russia e la Bielorussia, ma a oggi l’atteggiamento delle autorità bielorusse resta quello della prudente apertura.

Pavel Yadlovsky, il presidente dell’organizzazione bielorussa dei Testimoni di Geova, attribuisce il rifiuto dell’estradizione al fatto che i Testimoni di Geova operano legalmente in Bielorussia. Sono registrati come un’organizzazione nazionale autogestita con 27 gruppi a livello di comunità in varie città. «È difficile dire [perché le richieste di estradizione sono state negate]. Forse ci sono differenze nella formulazione degli articoli sull’estremismo nella legislazione russa e bielorussa che hanno permesso all’ufficio del procuratore di prendere una tale decisione», suggerisce Yadlovsky.

L'articolo Geova: repressione organizzata, discriminazione e pugno di ferro proviene da OGzero.

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