Eurodac Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/eurodac/ geopolitica etc Mon, 14 Nov 2022 10:05:54 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 n. 22 – Il nuovo patto europeo sulla migrazione e l’asilo (I). Respingimenti, Sar, esternalizzazioni https://ogzero.org/il-nuovo-patto-europeo-sulla-migrazione-e-lasilo/ Mon, 14 Nov 2022 10:05:54 +0000 https://ogzero.org/?p=9459 L’ipocrisia europea evita di dare indicazioni precise e umanitarie, lasciando ai singoli stati la manipolazione dell’opinione pubblica più retriva e identitaria; e così i politici fanno, usando a scopo interno episodi singoli per dimostrazioni muscolari con l’ossessione per la presenza delle ong (il 12 per cento dei salvati provengono dalle loro imbarcazioni, ma sono soprattuto […]

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L’ipocrisia europea evita di dare indicazioni precise e umanitarie, lasciando ai singoli stati la manipolazione dell’opinione pubblica più retriva e identitaria; e così i politici fanno, usando a scopo interno episodi singoli per dimostrazioni muscolari con l’ossessione per la presenza delle ong (il 12 per cento dei salvati provengono dalle loro imbarcazioni, ma sono soprattuto un occhio su quello che avviene nel Mediterraneo), sia facendo leva sulla ferocia innata nella propria fazione di radice fascistoide, sia intervenendo internazionalmente per isolare la nazione rivale, restituendo però un modello che non si discosta molto per grado di accoglienza, per non esporre il fianco ai razzisti interni. I paesi già distintisi per la propensione ad adottare norme draconiane per rastrellare voti esasperati – quelli  esposti agli sbarchi (Cipro, Grecia, Malta e sovranisti italiani) – aggirano il diritto e spingono per creare hotspot (Lager); in Libia Minniti fu il primo, ora Piantedosi in Tunisia, con l’idea di creare un fortilizio contro i disperati resi tali dal neoliberismo, dalle politiche predatorie europee ed estrattiviste, da carestie nate dal cambiamento climatico provocato dall’Occidentalismo. Il governo di estrema destra italiano storna fondi della cooperazione per potenziare il controllo delle frontiere (tanto Shengen è sospeso da 9 anni). Addirittura in questi giorni l’abitudine allo squallore ha permesso l’impunità per un ministro che ha parlato di carico residuo, depositato sul fondo del setaccio per umani, schiuma ottenuta dalla valutazione del grado di vulnerabilità, che non considera come il concetto comprende non solo donne incinte, bambini e mutilati, ma anche le vittime di tortura, quelli resi deboli psichicamente dagli anni di umiliazioni, lavori in condizioni estreme, violenze, stenti, stupri, visioni apocalittiche per deserti e mari.

Il doppio articolo di Fabiana sembra fatto apposta sulle ultime idee di esternalizzazione, ma in realtà era in gestazione da un paio di mesi, perché approfondisce enormemente le dirimenti questioni giuridiche di Diritto internazionale, individuando nell’intento di questa pantomima una moltiplicazione degli accordi simili a quelli stipulati con Istanbul, fino a che il contorno delle frontiere saranno divenuti muri, cortine, filo spinato…


Premesse storiche e fallimenti

Consuetudini di confinamento e respingimenti

Il 23 settembre del 2020 la Commissione europea presentò la proposta per un nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo insieme a un pacchetto di nuove proposte di regolamenti europei alquanto preoccupanti come:

  • la Proposta di regolamento che introduce il procedimento di accertamento di preingresso ossia il cosiddetto “Regolamento screening”;
  • la Proposta che modifica la procedura in materia di riconoscimento e di revoca della protezione internazionale;
  • la Proposta di regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione;
  • la Proposta che istituisce procedure per affrontare situazioni di crisi e di forza maggiore in ambito migratorio;
  • la Proposta di regolamento che modifica il regolamento Eurodac.

Si precisa che tutte le proposte, essendo appunto “proposte di regolamento”, qualora venissero approvate dal parlamento Ue e dal Consiglio sarebbero immediatamente applicabili in ogni stato dell’Unione, non avendo il regolamento – come invece avviene per le direttive – necessità di alcuna legge di recepimento da parte degli stati membri per la propria vigenza. Ursula von der Leyen, nel corso della presidenza tedesca della Commissione UE, ha sottolineato come tale Patto mettesse d’accordo i vari stati membri e si ponesse in chiave di rottura rispetto al passato. Nulla di più falso. Non solo il nuovo Patto non introduce nulla di particolarmente innovativo ma viene meno – nella quasi totalità dei casi di richiesta di protezione internazionale – l’esame individuale della domanda; è invece affermata inequivocabilmente la logica dei campi di confinamento dei migranti; e soprattutto – ancora una volta – l’Unione fallisce nella modifica del regolamento di Dublino per l’individuazione dello stato Ue competente a trattare le richieste d’asilo.

Come primo criterio di individuazione della competenza continua infatti a essere applicato quello del paese di primo ingresso con il consueto ed evidente svantaggio per quei paesi che geograficamente sono maggiormente esposti agli arrivi dei cittadini dei paesi terzi.

Ricollocamento inesistente, rimpatri ed esternalizzazione delle frontiere

Nel nuovo Patto inoltre non vi è poi ancora alcuna previsione sul ricollocamento obbligatorio e automatico dei migranti nei paesi membri ma come vedremo solo su base volontaria e in casi eccezionali. Si persiste nell’ignorare la portata effettiva e incondizionata che dovrebbe avere il principio di solidarietà tra i paesi membri, indicata nell’art. 80 del trattato sul funzionamento dell’UE, anzi si potrebbe affermare che tale principio è stato quasi del tutto svuotato essendo prevista, come strumento di solidarietà, la cosiddetta Sponsorizzazione dei rimpatri dei cittadini dei paesi terzi ossia il finanziamento o il supporto di uno stato membro all’altro affinché i migranti possano essere espulsi più rapidamente dal territorio dell’Unione. Come noto già con l’Agenda europea del 2015, a fronte della crisi migratoria derivante dal conflitto siriano, e con il Summit della Valletta dello stesso anno, la Commissione europea aveva manifestato come la propria politica in materia di migrazione e asilo fosse volta – con la complicità di buona parte degli stati membri – al rafforzamento della dimensione esterna dell’Unione mediante il meccanismo comunemente definito “esternalizzazione delle frontiere”, ossia quelle azioni politiche, militari, diplomatiche e “giuridiche” che mirano a impedire che i cittadini dei paesi terzi arrivino nel territorio dell’Unione.

  (Elaborazione openpolis su dati Edjnet. ultimo aggiornamento: mercoledì 13 aprile 2022)

Il sotterfugio delle intese tecniche

La Commissione ben consapevole che non avrebbe potuto attuare tale sistema senza la collaborazione dei paesi terzi – perlopiù in via di sviluppo – ritenne necessario offrire loro “un incentivo” per la delega di tali attività illegittime stornando parte sostanziale dei fondi per lo sviluppo dalla lotta alla povertà alla gestione delle frontiere. È quanto avvenuto con il cosiddetto Fondo fiduciario per l’Africa – un insieme di vari piccoli fondi per lo sviluppo – istituito ad hoc con il Summit della Valletta nel corso del quale veniva rimarcato il ruolo centrale affidato ai paesi terzi nell’ambito delle politiche migratorie dell’Unione. Secondo le più consuete logiche coloniali tuttavia i paesi terzi non hanno assunto di fatto alcun ruolo nel processo decisionale di tali meccanismi ma sono stati semplicemente finanziati – facendo leva sulla loro condizione di indigenza – perché svolgessero tali attività in modo che l’Unione, i suoi organi, le sue Agenzie e gli stati dell’UE apparissero immacolati. La parvenza di legittimità giuridica di tale macchinoso impianto è stata affidata alle cosiddette intese tecniche dell’Unione o dei singoli stati membri con i paesi terzi e non invece con la sottoscrizione di accordi internazionali che non solo sarebbero dovuti passare per il parlamento per l’approvazione ma anche resi pubblici e accessibili alla società civile.

(Fonte Unione Europea 2022)

 

Criminalizzazione globalizzata dei processi migratori

Allora come oggi occorreva alla Commissione un sistema finanziario flessibile e immediato per raggiungere tali intenti. Secondo questi presupposti ideologici quindi si inserivano l’accordo Ue-Turchia del 2016 e il Memorandum Italia-Libia del 2017 già ampiamente analizzati negli articoli relativi alla rotta dell’Egeo e a quella del Mediterraneo centrale. Tale approccio non si è limitato al controllo dei confini ma si è audacemente spinto addirittura al controllo della mobilità umana come è avvenuto con il Niger e con il Gambia. In particolare, è nota la pressione che l’Unione ha esercitato nei confronti del Niger per l’emanazione di una legge – la n. 36 del 2015 – che criminalizzasse “il traffico dei migrantiper evitare lo snodo della mobilità migratoria da Agadez verso la Libia e soprattutto gli arrivi verso l’Unione mediante la rotta del Mediterraneo centrale.

Il ricatto dell’aiuto vincolato

Interessante è poi l’intesa tecnica che l’Unione nel 2018 ha sottoscritto con il governo gambiano perché si consentisse e si agevolasse la riammissione dei gambiani espulsi dal territorio europeo: più nello specifico a partire dal 2019 sulla base di tale intesa tecnica il governo gambiano si impegnava a rimpatriare i propri cittadini presenti nel territorio dell’Ue.
Da alcuni paesi dell’UE cominciavano così a partire voli charter con a bordo cittadini gambiani che nel corso del 2020 venivano sospesi in ragione della diffusione del virus da Covid-19. Il governo gambiano nel 2021 decideva però di interrompere tali flussi migratori di espulsione dall’Europa dei propri cittadini dichiarando di non avere più le capacità di sostenere un ingresso così numeroso di soggetti espulsi anche perché tale prassi stava creando disordini sociali nel paese.

A questo punto l’Unione decideva di sospendere il Codice visti nei confronti del Gambia: veniva messa in atto in tale modo una sorta di ricatto sulla base del quale

se un paese terzo contravviene all’impegno di riammissione dei propri concittadini o di altri migranti presenti nel territorio dell’Ue, non solo, non riceve l’incentivo ossia il denaro proveniente dai fondi per lo sviluppo – che si precisa sarebbe uno strumento di cooperazione e non di ritorsione – ma viene anche drasticamente ridotta la possibilità per tutti i cittadini di quel paese terzo di ottenere visti di ingresso nel territorio dell’Unione.

Proposta di regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione

La vicenda anticipa nella prassi quanto è attualmente disposto a livello normativo in una delle cinque proposte di regolamento che accompagnano il nuovo patto. In particolare, con la Proposta di regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione che verrà in seguito analizzata in modo più approfondito – si afferma il cosiddetto Principio di condizionalità nei rapporti tra paesi terzi e Unione europea. Infatti oltre all’art. 3 (“Approccio globale alla gestione dell’asilo e della migrazione”) e all’art. 4 (“Principio dell’elaborazione integrata delle politiche”) mediante i quali si regolamentano le politiche esterne dell’Unione per farle coincidere maggiormente con i suoi obiettivi interni,

all’art. 7 (“Cooperazione con i paesi terzi volta a facilitare il rimpatrio e la riammissione”) si richiama la modifica del Codice Visti del 2019 in particolare l’introduzione dell’art. 25 bis con il quale si prevede – nell’ipotesi in cui un paese terzo non sia particolarmente incisivo in termini di riammissione dei migranti irregolari – che la Commissione possa deliberatamente decidere di limitare i visti verso il territorio dell’Unione per tutti i cittadini di quel paese terzo.

Esternalizzazione a “paesi terzi sicuri” dell’iter per la concessione della protezione

La rotta libica

Comunque qualora le proposte di regolamento che accompagnano il patto venissero approvate ci si spingerebbe ben oltre. Più nello specifico la delega ai paesi terzi potrebbe non essere più circoscritta alle ipotesi già gravi del controllo delle frontiere o della mobilità umana – come nel caso del Niger – ma anche all’esternalizzazione della trattazione delle domande d’asilo. Al riguardo è interessante notare preliminarmente come le procedure di esternalizzazione si possono legare alle procedure di screening, previste da una delle proposte che accompagnano il patto e ad alcune nozioni contenute nella Proposta di modifica del regolamento sulle procedure in materia di riconoscimento e revoca della protezione internazionale che introduce – come vedremo – il concetto di protezione sufficiente con riferimento al cosiddetto “paese terzo sicuro”.

nuovo patto europeo

Al confine Tunisia-Libia

La rotta tunisina

Peraltro negli ultimi anni l’Unione europea nella prassi ha già reso moltissimi paesi di transito sufficientemente sicuri: per esempio la Tunisia che sebbene abbia sottoscritto la Convenzione di Ginevra non ha una legge interna sull’asilo. Infatti, nonostante sia presente nel suo territorio l’Unhcr che si occupa della registrazione della domanda e di tutta la procedura di protezione internazionale, di fatto il rifugiato riconosciuto tale in Tunisia non ha accesso poi ad alcun diritto, proprio per l’assenza di una normativa interna in materia (e la contingenza attuale vede una progressiva autocratizzazione del potere tunisino sotto la pressione della presidenza Saied e una delegittimazione delle istituzioni e quindi si vanno creando i potenziali prodromi – perciò proponiamo la considerazioni raccolte da Tunisi con Arianna Poletti – per accogliere un’“economia” e una filiera di strutture d’ispirazione “libica”: hotspot al di là del Canale di Sicilia).

“La periodica collera non è un rito di piazza in Tunisia”.

L’evidenza della rotta atlantica

Per comprendere meglio il rischio dell’esternalizzazione del diritto d‘asilo occorre analizzare alcune dinamiche che hanno interessato un’altra rotta ossia quella atlantica. Come noto questa rotta è stata caratterizzata negli ultimi anni da patti dell’Ue in particolare della Spagna con il Senegal, il Marocco e la Mauritania per l’intercettazione dei migranti nelle loro acque territoriali affinché venissero riammessi in tali paesi con il supporto di Frontex. L’ipotesi in cui però il migrante si trovasse già di fatto in acque internazionali rendeva illegittima tale prassi. Per tale ragione è stato previsto uno status Agreement con il Senegal che permetterà di superare la questione in merito al luogo in cui riportare i cittadini stranieri intercettati in acque extraterritoriali: più specificamente i migranti intercettati in esse si potranno riportare in Senegal in quanto definito di fatto nello status Agreement paese sicuro per i propri cittadini e soprattutto un paese sicuro per tutti i richiedenti asilo e rifugiati. Tale meccanismo è proprio quello che consente l’esternalizzazione del diritto d’asilo in paesi come il Senegal semplicemente per il fatto che è prevista una normativa interna sull’asilo, perché è presente l’Unhcr – anche se non all’interno delle Commissioni che si occupano dell’esame della domanda – e perché alla fine viene rispettato il principio di non refoulement!! Quindi l’individuo intercettato in acque internazionali dovrà fare tutta la procedura di riconoscimento della protezione internazionale in Senegal, in luogo della Spagna.

Search and Rescue

Le contestuali raccomandazioni sulle operazioni Sar e l’accresciuto ruolo delle Agenzie europee Frontex e Euaa

Ipocrita equidistanza tra ong e aguzzini libici

Rispetto alle operazioni Sar – Search and Rescue – la Commissione invece non ha ritenuto di avanzare una proposta di regolamento bensì di emanare semplicemente delle raccomandazioni che se da un lato possono essere valutate prima facie positivamente, in quanto in esse si dichiara espressamente che l’assistenza umanitaria anche svolta da ong – ossia da privati – nel corso di tali operazioni non può essere criminalizzata, in quanto conforme al diritto internazionale e al diritto di soccorso in mare, dall’altro però in esse si ribadisce che i flussi migratori in mare non si sono mai fermati e che occorre contrastare il traffico dei migranti. La Commissione deliberatamente ignora però la collaborazione con la cosiddetta “Guardia Costiera Libica” (la collaborazione con la quale è stata tacitamente rinnovata a inizio novembre 2022 per altri tre anni) che in cambio dell’addestramento e dei finanziamenti dell’Europa e dell’Italia continua a intercettare i migranti in mare per poi riportarli nei lager libici.

Tacito consenso a disattendere le regole umanitarie

Insidiosa diventa così l’altra affermazione della Commissione con la quale si ribadisce che le operazioni Sar devono essere gestite a livello normativo dagli stati come tema di politica pubblica, che finisce con consentire a un governo razzista di immaginare impunemente lo sbarco selettivo; riflettendo su tali affermazioni, da parte italiana non si può non pensare a quanto sia già stata molto grave invece la legislazione interna sul tema emanata con il cosiddettoDecreto Sicurezza bis”, ora persino peggiorato dai decreti di inizio legislatura.

Infine, appare chiaro come dalla lettura delle proposte di regolamento che accompagnano il Patto, il ruolo delle Agenzie Ue in particolare di Frontex– ossia l’Agenzia della guardia di Frontiera e costiera europea – e dell’Euaa (ex EASO) ossia l’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo – venga notevolmente accresciuto. Si precisa al riguardo che le due agenzie sono già state interessate dalle modifiche dei regolamenti che disciplinano l’ambito delle loro competenze rispettivamente nel 2019 con il Regolamento (UE) 2019/1896 del 13 novembre 2019 e nel 2021 con Regolamento (UE) 2021/2303 del 15 dicembre 2021.

Frontex manu militari nelle attività antimigratorie, congiuntamente

In particolare, ciò si evidenzia nella procedura di preingresso o screening – rispetto alla quale sarebbe stata più opportuna la previsione della presenza dell’“Agenzia Europea per i diritti fondamentali” – e nel corso dell’attivazione dei meccanismi di solidarietà visto che entrambe le agenzie sono disgregate per individuare le persone da ricollocare o da sottoporre a misure di sponsorship. Più nel dettaglio la dimensione operativa delle agenzie che prima si identificava in un’implementazione indiretta delle misure e dei provvedimenti messi in atto dagli stati in ambito migratorio ora può essere definita a tutti gli effetti un’implementazione congiunta e condivisa: ovverossia le autorità esecutive dei paesi membri implementano le azioni in ambito migratorio a fianco degli uomini delle due agenzie europee di cui sopra. Da qui addirittura anche il reclutamento da parte di Frontex di agenti di pubblica sicurezza dei singoli paesi membri per inserirli tra le proprie fila.

Euaa istruisce domande d’asilo, congiuntamente

Per quanto riguarda l’Euaa invece si può affermare che essa guadagna sempre maggiori margini per entrare nel merito delle decisioni delle domande d’asilo per cui diversamente dal passato l’istruzione della domanda d’asilo viene svolta dalle autorità nazionali degli stati membri congiuntamente a essa anche se poi la responsabilità delle decisioni rimane comunque in capo ai soli stati membri. Infatti si stabilisce con la modifica del regolamento interno dell’Agenzia Easo del 15 dicembre 2021 che essa debba assistere i paesi membri nel registrare le domande d’asilo, facilitare l’esame da parte delle competenti autorità nazionali all’esame della domanda e fornire a quelle autorità la necessaria assistenza alle domande di protezione internazionale. Viene poi accresciuta anche la dimensione di monitoraggio delle agenzie: entrambe oggi infatti hanno ampie prerogative sulla raccolta delle informazioni dei flussi migratori e sulla valutazione dello stato di “vulnerabilità” delle frontiere di ciascun paese membro nonché del suo sistema d’asilo e d’accoglienza fino al punto che – nell’ipotesi in cui si ravvisino rischi nei rispettivi settori di competenza – le due agenzie adottano raccomandazioni che gli stati membri sono chiamati a rispettare. Infine, aumenta anche la dimensione politica delle agenzie: esse sono divenute infatti importanti centri di raccolta informazioni in ambito migratorio sulla base delle quali vengono elaborate poi le decisioni politiche dell’Unione e dei singoli stati membri. Basti pensare che l’Euaa non solo può adottare indicatori per misurare l’efficacia del sistema d’asilo ai quali i paesi membri devono adeguarsi ma elabora anche le Country of Origin Information influendo non poco sulle decisioni delle singole Commissioni Territoriali.

nuovo patto europeo

(Fonte Osservatorio Diritti)

Fronte(x) disumanitario

Questo comporta la necessità, considerate le accresciute competenze anche con riferimento alla proposta del Nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo di aumentare anche la loro responsabilità (ossia la cosiddetta “accountability”), non semplicemente a livello giudiziario – per le violazioni dei diritti umani commesse dallo Staff delle agenzie nel loro operato (vedi Frontex) sulle quali ha già una funzione di monitoraggio il Parlamento UE – ma anche a livello politico, tenuto conto delle informazioni rilevanti che le due agenzie forniscono ai singoli stati sulla base delle quali spesso questi determinano il loro indirizzo politico in ambito migratorio (tanto che messo alle strette per i respingimenti operati direttamente da uomini in quel momento assunti da Frontex, Leggeri ha dovuto dimettersi dalla dirigenza dell’agenzia di stanza in Polonia).

Si aggiunge infine che, anche se è previsto un meccanismo di reclamo che ogni individuo può avanzare per la violazione dei propri diritti da parte delle due agenzie indirizzato al direttore esecutivo delle stesse, questo nei fatti continua a essere poco efficace soprattutto nei confronti degli agenti di Frontex che non fanno pienamente parte dello Staff ma che sono distaccati ossia reclutati dall’agenzia temporaneamente tra le forze di sicurezza dei singoli stati membri. Fin qui dunque il substrato sul quale sono state gettate le fondamenta per il così scarsamente coraggioso ma allarmante Patto del 2020 nonché le sue conseguenze altrettanto poco audaci rispetto alle raccomandazioni sulle operazioni di soccorso e salvataggio ma fin troppo temerarie nel già accresciuto ruolo delle Agenzie Frontex e Euaa rafforzato nelle già citate proposte di regolamento complementari a esso della cui analisi giuridica si rimanda al successivo approfondimento.

L'articolo n. 22 – Il nuovo patto europeo sulla migrazione e l’asilo (I). Respingimenti, Sar, esternalizzazioni proviene da OGzero.

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n. 22 – Regolamento sullo screening: il nuovo patto europeo sulla migrazione e l’asilo (II) https://ogzero.org/n-22-regolamento-sullo-screening-il-patto-europeo-sulla-migrazione-e-lasilo-ii/ Mon, 14 Nov 2022 10:05:34 +0000 https://ogzero.org/?p=9491 Lo studio e l’esposizione delle proposte di regolamento europeo che fanno da corollario al nuovo patto sulla migrazione, se possibile, ancora più restrittivo e rappresentante di chiusure all’accoglienza, completa e integra le speculazioni dell’articolo precedente. Qui si leggono disposizioni “disumanitarie”, che inaspriscono con fantasie al limite della tortura psicologica, che rispondono evidentemente a criteri puramente […]

L'articolo n. 22 – Regolamento sullo screening: il nuovo patto europeo sulla migrazione e l’asilo (II) proviene da OGzero.

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Lo studio e l’esposizione delle proposte di regolamento europeo che fanno da corollario al nuovo patto sulla migrazione, se possibile, ancora più restrittivo e rappresentante di chiusure all’accoglienza, completa e integra le speculazioni dell’articolo precedente. Qui si leggono disposizioni “disumanitarie”, che inaspriscono con fantasie al limite della tortura psicologica, che rispondono evidentemente a criteri puramente disincentivanti. Nelle pieghe delle modifiche, delle proposte, dei regolamenti che l’UE targata Von Der Layen si rintracciano tentativi di blindare le frontiere, ma anche di demandare ai paesi di prima accoglienza la solidarietà a cui persino Fortress Europe non può sottrarsi, né esternalizzare. Quindi è impossibile riformare come vorrebbero i paesi del blocco Sud, ed è per questo che si creano casi come quelli della Ocean Viking, o si minacciano altre infamità per giungere a una trattativa giocata sui destini delle persone in movimento (Pom). Allora si riprendono slogan come “taxi del mare” (riprendendo un’improvvida uscita di Di Maio) per definire l’azione di vascelli solidali, denunciando ideologicamente l’operato delle ong; o si invita a portare i salvati in Tunisia, guarda caso proprio dove si vuole implementare il sistema di hotspot esternalizzati per impedire l’arrivo in Europa, o retrivi scontri fondati su cifre – anche malamente – taroccate. 

Con questa documentata appendice, fondata sulla lettura dei documenti giuridici e su dati reali, Fabiana intendeva conferire un sostegno all’articolo dedicato alle conseguenze delle proposte di modifica al Regolamento europeo per il riconoscimento dell’asilo e protezione, ne ha ottenuto un contributo autonomo che travalica il tecnicismo analizzato e disinnescato, andando a scoperchiare motivi e strategie sottesi a rendere impossibile il Diritto internazionale che a buon senso darebbe scampo in Europa a chi fugge dai danni che l’Europa produce nei paesi di provenienza. Ma la strategia prevede che il Diritto sia affossato, anzi sommerso…


Procediamo con lo screening a casa loro

Due delle cinque proposte che accompagnano il patto sulla migrazione e l’asilo – presentato dalla Commissione europea il 23 settembre del 2020 – sono la Proposta di regolamento sullo screening e appunto quella relativa alla modifica della procedura di riconoscimento e di revoca della protezione internazionale. In particolare, con la Proposta di regolamento sullo screening dei migranti si prevede una procedura “preingresso di accertamento” lo screening appunto – in merito all’identità, alla nazionalità, allo stato di salute, alla vulnerabilità e alla pericolosità sociale del migrante finalizzata – come candidamente dichiarato nella sua presentazione dalla Commissione europea – a individuare «il prima possibile i cittadini dei paesi terzi che abbiano scarsa possibilità di ottenere protezione internazionale all’interno dell’UE». Alla registrazione dell’identità quindi si accompagna in questa fase l’inserimento dei dati biometrici dei migranti mediante le banche dati pertinenti.

 

regolamento sullo screening

Truccare le regole fingendo una terra di nessuno

La procedura però viene svolta non solo interamente in frontiera ma anche in una condizione di trattenimento del migrante e in modo rapido (la procedura di accertamento può durare fino a un massimo di 5 giorni).

L’intento della proposta è dunque quello di creare uno strumento idoneo a decidere già in frontiera a chi possa essere “consentito” di presentare domanda di protezione internazionale e chi invece “debba” essere rimpatriato immediatamente dalla “frontiera”.

Rispetto al luogo nel quale dovrebbero avvenire tali operazioni di accertamento, si precisa che quanto orchestrato dalla Commissione altro non è che una fictio iuris.
Il migrante sottoposto a tali procedure in realtà già si trova sul territorio dell’Unione e come tale sarebbe titolare di tutta una serie di diritti, sanciti dal diritto europeo oltre che dal diritto internazionale, ma affinché tale titolarità non venga attivata si opera appunto “una finzione giuridica”: si finge ovverosia che il migrante si trovi a una frontiera esterna dell’Unione altrimenti tale meccanismo sarebbe evidentemente illegittimo. Sicuramente infatti alcune persone soggette alla procedura di screening sono già alle frontiere interne. Si pensi che alcuni dei destinatari dell’ambito di applicazione di tale normativa sono persone entrate nel territorio europeo a tutti gli effetti perché attraverso operazioni di Search and Rescue (Sar)! Altri destinatari sono invece coloro che sono presenti alla frontiera esterna ma non soddisfano le condizioni di ingresso – come nel caso della mancanza del visto – e che presentano domanda di protezione internazionale.

Si precisa però che anche con riferimento a tali soggetti gli stati membri, in base al regolamento Eurodac, sarebbero chiamati a registrare le impronte e quindi si attiverebbe il regolamento “Dublino” per l’individuazione dello stato membro competente: una situazione tutt’altro che esterna all’Unione!

L’intero impianto rientra nel consueto meccanismo di rafforzare le frontiere esterne per proteggere quelle interne dell’area Schengen dai movimenti secondari dei migranti ossia quelli compiuti mediante il transito da uno stato all’altro dell’Unione.

La detenzione negli hotspot è illegittima, per ora

È previsto in questa fase un sistema di monitoraggio indipendente di dubbia efficacia visto che non prevede neanche l’accesso dell’Agenzia europea sulla tutela dei diritti umani oltre a quella dei membri e degli operatori delle ong o dei rappresentanti della società civile.

È prevista inoltre l’impugnazione del provvedimento di accertamento che abbia un esito negativo per l’accesso alla procedura d’asilo ma in questo caso è stabilito il rimpatrio immediato e il ricorso non ha effetto sospensivo.

Tale impianto giuridico richiama immediatamente l’approccio degli hotspot in Italia come quello di Lampedusa. Anche negli hotspot infatti, per prassi, vi è una fase di preidentificazione che si caratterizza dalla compilazione del cosiddetto foglio notizie – non previsto da alcuna normativa italiana – davanti alle autorità di pubblica sicurezza. Il modulo prescreening previsto nel Patto ricalcherebbe proprio il foglio notizie italiano (!) che contiene sì le generalità del migrante ma che non possiede alcun contenuto informativo sulla procedura di protezione internazionale. Inoltre, come nella procedura prescreening anche negli hotspot vi è una condizione di detenzione dei migranti. Al riguardo si precisa che qualora il regolamento in questione venisse approvato tali prassi degli hotspot diventerebbero legittime e quindi non solo lo stesso foglio notizie diverrebbe obbligatorio – proprio mediante il suo omologo ossia il “modulo preescreening” – ma il trattenimento del migrante sarebbe previsto per legge nonostante l’Italia sia già stata condannata per detenzione illegittima dei migranti negli hotspot dalla Corte di Strasburgo – sentenza Khlaifia – per aver agito in violazione dell’art. 5 della Cedu.

Proposta di modifica del regolamento procedure 2016

Dopo le procedure di preingresso – procedura di screening è prevista nella modifica anche una procedura di frontiera per il riconoscimento della protezione internazionale sempre in una condizione di trattenimento del migrante. Infatti, secondo l’art. 41 paragrafo 6, i richiedenti sottoposti alla procedura di asilo alla frontiera non sono autorizzati a entrare nel territorio dello stato membro.

Si precisa, più in generale,

che la procedura di esame alla frontiera deve essere attuata ogni qualvolta la persona è entrata irregolarmente – e chi richiede la protezione lo è nella quasi totalità dei casi perché in fuga dal proprio paese d’origine – o se ha fatto ingresso con sbarco dopo operazioni di ricerca e soccorso (Sar – Search and Rescue) o ancora nell’ipotesi in cui il migrante non sia irregolare ma comunque sia destinatario di un provvedimento di ricollocamento (art. 41).

Persecuzione preventiva di innocenti incarcerati. Disincentivazione

Ciò che risulta particolarmente assurdo è che dal momento dell’approvazione di tale norma ogni richiedente asilo dovrebbe subire 12 settimane di detenzione e di isolamento per completare non solo la procedura di riconoscimento della protezione internazionale ma – nell’ipotesi di rigetto della domanda – anche per presentare il ricorso che nella quasi totalità dei casi non ha effetto sospensivo automatico (art. 54) – e per essere sottoposto a rimpatrio forzato (art. 41 bis).

Si ricorda che ai sensi dell’art. 35 bis della proposta la decisione di rimpatrio è emanata

nell’ambito della decisione di rigetto della protezione internazionale o, nel caso sia contenuta in un atto distinto dal provvedimento di rigetto, è comunque contestuale a esso.

Se lo stato tuttavia non riesce a organizzare il rimpatrio alla frontiera nell’arco delle 12 settimane, il migrante potrà entrare finalmente nel territorio dell’Unione ma sempre con il trattamento previsto per legge per le persone in condizione di irregolarità. Inoltre, la cosiddetta “procedura accelerata”, con la proposta di regolamento in oggetto, non rappresenta più un’eccezione ma diviene «obbligatoria e sistemica» (art. 40) e al suo termine si può già decidere in frontiera per l’ammissibilità o meno della domanda.

Infatti, alle ipotesi già previste per l’applicazione della procedura accelerata – come quella in cui il richiedente tenta di eludere o elude i controlli alle frontiere o quella secondo la quale rappresenta un pericolo per la sicurezza pubblica interna – si aggiunge quella in cui

il richiedente appartenga a una nazionalità che registri un tasso di riconoscimento della protezione internazionale inferiore al 20 %

come per esempio potrebbe essere nell’ipotesi di un richiedente asilo proveniente dalla Nigeria o addirittura dall’Egitto! Si sottolinea la standardizzazione di tale valutazione che oltretutto si applica anche ai minori stranieri non accompagnati!!

La provenienza da un “paese di primo asilo” inficia la protezione

Il giudizio preliminare sull’ammissibilità o meno della domanda di protezione internazionale in frontiera è inoltre previsto anche nei casi in cui

il richiedente provenga da un «paese di primo asilo» (art. 44): ossia un paese in cui il richiedente ha già goduto e può continuare ad avvalersi non solo di una protezione ai sensi della condizione di Ginevra ma anche semplicemente di «una protezione sufficiente».

Motivo per il quale, se durante l’esame, le autorità ritengono che

il richiedente provenga da un paese in cui anche se non si applica la Convenzione di Ginevra non sussistono minacce per i motivi di cui alla Convenzione stessa, il richiedente non rischi di subire un danno grave e ancora venga rispettato il principio di non-refoulement e garantito il godimento di alcuni diritti – quali la possibilità di soggiornare o di lavorare – allora la sua domanda di protezione internazionale verrà dichiarata inammissibile.

Il potere discrezionale del funzionario. La sindrome Eichmann

Si osservi al riguardo l’enorme discrezionalità da parte delle autorità competenti nella valutazione della sussistenza di tali elementi, anche perché la qualifica di paese di primo asilo è decisa ogni anno proprio da ciascuno degli stessi paesi dell’UE con la predisposizione di specifiche liste. Il giudizio preliminare di ammissibilità si applica infine anche nell’ipotesi in cui

il richiedente provenga da un paese terzo sicuro (art. 45)

ossia un paese nel quale il richiedente può anche essere soltanto transitato ma che venga considerato sicuro non solo in quanto firmatario della Convenzione di Ginevra. E pure nell’ipotesi in cui sia semplicemente idoneo a garantire – come abbiamo visto nel caso del paese di primo asilo – una protezione sufficiente.

L’impianto supportato dagli accordi bilaterali…

In questo caso però la qualifica del paese terzo sicuro non è da rinvenirsi nelle liste predisposte dal paese membro annualmente ma viene considerato tale con una decisione della stessa Unione Europea ossia presumibilmente in base anche agli accordi informali tra questa e i paesi terzi. Tale decisione unilaterale dell’Unione viene operata anche con riferimento alla

qualifica di «paese di origine sicuro» (art. 47), nozione in cui oggi – è bene ricordarlo – si fregia la Turchia e in conseguenza della quale è sempre prevista l’applicazione della procedura accelerata.

Qualora quindi ricorresse una delle succitate condizioni le autorità competenti in frontiera dovrebbero concludere sempre per una dichiarazione preliminare di inammissibilità della domanda di protezione internazionale, in caso contrario invece si potrebbe finalmente accedere alla procedura per il riconoscimento della medesima.

L’intero impianto riporta alle prassi già consolidate nella rotta dell’Egeo: la Turchia infatti per i siriani è già stata considerata di fatto “paese terzo sicuro” perché rispettava (a fronte dei 6 miliardi di euro donati dall’Unione) il principio di non refoulment e perché dava la possibilità a questi di soggiornare legalmente sul territorio a disprezzo e in completo svuotamento di ogni norma del diritto europeo e internazionale che consentirebbe loro di beneficiare di una “forma di protezione” che si ricorda – e non ci dovrebbe essere neanche il bisogno di dirlo – è un diritto ben diverso da quello di consentire semplicemente a un individuo di lavorare nel proprio territorio!

… e da nuovi enormi Lager

Si ricorda che la Turchia – pur essendo firmataria della Convenzione di Ginevra – ha mantenuto la riserva territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato: ciò vuol dire che esso può essere riconosciuto in Turchia solo ai cittadini provenienti dai paesi dell’Unione europea. Sempre con riferimento alla rotta dell’Egeo è chiaro che una previsione della procedura d’asilo strutturata totalmente in frontiera implicherebbe la creazione di enormi campi di detenzione nei paesi di primo arrivo – compreso il nostro – come già avvenuto in Grecia a Leros, Lesbos, SamosKos Chios. Ci si chiede quindi se gli stati membri di primo ingresso e l’Unione stessa siano in grado di sostenere le spese finanziarie derivanti dalla creazione di tali centri considerato il numero dei migranti che dovrebbero essere “contenuti” in regime di detenzione.

Il contrasto degli “irregolari” eccita la Destra nostrana

È facile notare come i nazionalismi di destra al potere attualmente in diversi stati membri dell’Ue compreso il nostro – così contrari alle politiche delle istituzioni europee in particolare a quelle della Commissione – si ritrovino invece perfettamente allineati alle sue decisioni in ambito migratorio quando si tratta di ostacolare l’accesso dei migranti con l’inevitabile compressione dei loro diritti come nel caso dei due regolamenti “procedure” e “screening”.

Sarà pertanto interessante vedere se quegli stessi nazionalismi di destra che rappresentano il nuovo trend politico europeo saranno così d’accordo tra di loro, come negli alti lai per ottenere il riconoscimento della pressione migratoria insopportabile a cui sono sottosti, quando si tratterà di approvare le ulteriori proposte di regolamento che accompagnano il nuovo patto sulla migrazione e l’asilo in primo luogo la già citata Proposta di regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione, dove si prevede una «solidarietà obbligatoria».

 

(fonte voxeurope / Tjeerd Royaards)

Solidarietà obbligatoria, ma ordinaria

La proposta di regolamento in esame prevede meccanismi di “solidarietà” volontaria ma obbligatoria da parte di tutti i paesi membri nei casi di sbarchi Sar o pressione migratoria messi in atto quindi soprattutto nei confronti di paesi di primo arrivo come l’Italia. I meccanismi di solidarietà si distinguono tra ordinari e meccanismi di solidarietà speciali/straordinari. I primi rappresentano la solidarietà post sbarchi – operazioni SAR – mentre i secondi sono quelli che si applicano nelle ipotesi di pressione migratoria (art. 50 e seguenti) (oltre che nelle condizioni di crisi e di forza maggiore che vedremo in seguito nello specifico regolamento). I meccanismi ordinari di solidarietà (art. 45, 1) più nello specifico sono:

il ricollocamento delle persone non soggette e trattenute nel corso di procedure di frontiera; la “sponsorizzazione” di cittadini di paesi terzi in condizioni di soggiorno irregolare; il ricollocamento di beneficiari di protezione internazionale entro 3 anni dall’ottenimento della stessa; l’aiuto in termini di “Capacity bulding measures”- ossia il supporto di uno stato membro ad un altro – con riferimento alle misure di sviluppo delle capacità in materia di asilo, accoglienza, rimpatrio.

Con «misure straordinarie di solidarietà» (art. 45,2) che come detto si applicano alla pressione migratoria si intendono invece due sole misure:

il ricollocamento di richiedenti asilo soggetti questa volta alla procedura di frontiera e il ricollocamento di cittadini di paesi terzi in ipotesi di soggiorno irregolare.

Procedimentalizzare la solidarietà ordinaria

Per quanto attiene alla procedura nell’ipotesi di pressione migratoria lo stato membro richiede il riconoscimento alla Commissione di tale situazione. La Commissione in questo caso deve adottare un report finalizzato a condurre una conseguente attivazione degli altri stati membri. Come visto nel caso di pressione migratoria si allarga lo spettro dei destinatari dei ricollocamenti e sono previsti tempi ridotti per la loro attuazione.

Esclusione di Sar e ingressi non autorizzati per procedura

Tutto ciò premesso è chiaro come si escludano dai candidati ai ricollocamenti – previsti nelle procedure ordinarie – i soggetti arrivati a seguito di operazioni di ricerca e soccorso perché sottoposti alla procedura di frontiera (e i soggetti arrivati tramite ingressi non autorizzati). Più in generale il tentativo di questo regolamento è quello di procedimentalizzare la solidarietà ordinaria (artt.47-49). La procedura in primo luogo prevede che la Commissione emani un report annuale nel quale dichiari se uno stato membro dell’Unione sia soggetto ad arrivi ricorrenti e determina ciò che serve a tale stato.
Tale report viene notificato poi agli altri stati con l’invito a contribuire. Gli stati a loro volta notificano alla Commissione i contributi con un piano di risposta indicando, o i ricollocamenti o le misure di sviluppo e capacità o i ricollocamenti di vulnerabili. Una di queste tre misure è necessariamente obbligatoria ma ogni stato liberamente può scegliere.

Solidarietà corretta in salsa ricollocamenti e rimpatri

In seguito la Commissione, con una valutazione discrezionale, se ritiene che le offerte degli altri stati sono sufficienti per la creazione di una “riserva di solidarietà” con un atto di esecuzione ratifica le offerte degli stati (art. 48). Tuttavia, se le offerte non sono sufficienti o meglio sono significativamente inferiori rispetto alle necessità dello stato, la Commissione convoca il “Forum di solidarietà”: gli stati a questo punto possono adottare i piani di aiuto rivisti dalla Commissione che in questo caso vengono messi in un atto di esecuzione.
Invece, se gli stati si rifiutano di rivedere i propri piani di aiuto, la Commissione stessa adotterà un atto di esecuzione nel quale deciderà cosa devono fare gli stati che si sono mostrati “poco generosi”; in particolare, se la discrepanza totale tra quanto offerto e quanto necessario allo stato è maggiore del 30 per cento, ogni altro stato membro sarà obbligato a versare il 50 per cento di una quota minima di solidarietà da intendersi in termini di numero di ricollocamenti, di sponsorizzazione dei rimpatri o di entrambe le misure (meccanismo correttivo della solidarietà).

In particolare, con sponsorizzazione di rimpatri si intende il meccanismo mediante il quale uno stato che non ha nel proprio territorio migranti in condizione di irregolarità da rimpatriare sostenga il rimpatrio di cittadini di paesi terzi irregolari che si trovano in un altro stato membro. Il sistema non appare invero immediatamente efficace considerando che per i primi 8 mesi comunque lo stato membro beneficiario della sponsorizzazione mantiene la responsabilità giuridico-amministrativa del cittadino del paese terzo da rimpatriare mentre lo stato cosiddetto sponsor si impegna piuttosto a un’assistenza da remoto di tipo materiale, logistico e finanziario, mentre nell’ipotesi di rimpatri volontari si occupa della policy dialogue con il paese terzo e offre assistenza durante il viaggio o sull’esecuzione. Se trascorso tale periodo lo stato sponsor non assicura le misure di rimpatrio di cui sopra il rimpatrio diventa ricollocamento: si procede non più al rimpatrio del cittadino del paese terzo ma al ricollocamento del migrante dello stato terzo nel territorio dello stato sponsor. Anche qui tuttavia potrebbe essere sufficiente la mera segnalazione dello stato sponsor che il cittadino del paese terzo potrebbe rappresentare un pericolo per la sicurezza interna per potersi rifiutare di eseguire il ricollocamento. È opportuno dunque analizzare ora più nello specifico la Proposta di regolamento concernente le situazioni di crisi e di forza maggiore.

 

regolamento sullo screening

Ma cos’è questa “crisi”?

Con la nozione di crisi si intende l’esistenza di una situazione eccezionale di afflusso massiccio di cittadini di paesi terzi arrivati in uno stato membro oppure un numero elevato di sbarchi che interessa uno stato UE in esito ad operazioni SAR – Search and Rescue – la cui entità in proporzione all’indice demografico e al prodotto interno lordo di quello stato rende inefficace il suo sistema di asilo e di accoglienza e potrebbe implicare gravi conseguenze sul funzionamento del sistema comune d’asilo in ambito europeo.

Va preliminarmente sottolineato che non vi è nel testo del regolamento alcun riferimento circa le misure che lo stato membro abbia messo effettivamente in campo per gestire i flussi migratori e per prevenire la situazione di crisi. Tale omissione come è facile intuire lascerebbe un ampio margine alla possibilità degli stati membri di strumentalizzare l’attivazione dei meccanismi che discendono dalla situazione di crisi con il chiaro intento di impedire l’ingresso dei migranti nel proprio territorio.
Nel caso di crisi la procedura si struttura in tal modo: lo stato membro presenta una richiesta motivata alla Commissione che – in base alle informazioni che essa stessa provvede a raccogliere, alle informazioni raccolte dall’Eauu e ovviamente a quelle di Frontex – valuta se la richiesta dello stato di crisi sia fondata. Qualora venga ritenuta tale la Commissione emana un atto di esecuzione dello stato di crisi senza che però alcun soggetto esterno e indipendente possa compiere attività di monitoraggio o contestazione in riferimento a tale decisione.

In concreto con l’atto di esecuzione la Commissione autorizza lo stato membro all’applicazione di particolari misure relative alle procedure d’asilo e di rimpatrio per un periodo di 6 mesi estendibile a 1 anno. Infatti il termine per la sola registrazione delle domande d’asilo in caso di crisi potrà essere esteso fino a 4 settimane e prorogato fino a 12 settimane! Il sistema è alquanto pericoloso poiché inevitabilmente vi sarebbero garanzie più limitate in merito ai diritti dei richiedenti asilo considerato che tutta la procedura della richiesta d’asilo in situazione di crisi verrebbe comunque svolta in frontiera e in una condizione di privazione della libertà per tutti i cittadini la cui nazionalità in questo caso vede un tasso di riconoscimento della protezione pari o inferiore al 75 per cento.

Inoltre, anche il rimpatrio sarebbe previsto in frontiera: in questo caso i tempi dell’intera procedura che prevede sempre una condizione di trattenimento dell’individuo – data anche la novità dell’introduzione della presunzione del rischio di fuga del migrante – potrebbero ulteriormente estendersi a livello temporale. Se a fronte di tale svuotamento dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo tuttavia ci si vuole davvero impegnare a trovare degli aspetti positivi di tale procedura – che comunque non bilanciano tale compressione delle tutele giuridiche dell’individuo – questi possono ravvisarsi nella previsione della concessione di una nuova forma di protezione: ossia la cosiddetta “protezione immediata” e nel «rafforzamento dei meccanismi di solidarietà» (art. 2) ma solo se la crisi è in atto e non se vi è un rischio imminente di crisi, nonostante anche il rischio sia compreso nell’art. 1 che definisce l’ambito di applicazione del regolamento. Rispetto al rafforzamento dei meccanismi di solidarietà: i ricollocamenti in questo caso verrebbero previsti

«anche se i richiedenti asilo sono sottoposti alla procedura di frontiera; ai migranti irregolari; a coloro ai quali è concessa la protezione immediata e infine alle persone sottoposte a misure di rimpatrio sponsorizzate da un altro stato membro».

La protezione immediata invece è concessa agli sfollati esposti a un rischio eccezionalmente alto di subire violenza indiscriminata nel proprio paese e se non possono farvi ritorno. Dopo che la Commissione infatti – per mezzo di una decisione di esecuzione – dichiara l’esistenza di una situazione di crisi sulla base degli elementi di cui all’art. 3 stabilisce la necessità di sospendere le domande di protezione internazionale – definendo il periodo di tale sospensione – e di concedere la protezione immediata.

Rispetto alla condizione di forza maggiore, al Considerando 7 del regolamento, si fa riferimento all’«esistenza di circostanze “anormali ed imprevedibiliin ambito migratorio che sfuggono al controllo degli stati membri e le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate neanche con l’impiego di tutta la dovuta diligenza». (La Commissione come esempi cita l’ipotesi dell’emergenza epidemiologica da Covid 19 e la crisi al confine tra Grecia e Turchia nel 2020).

Nel caso di “forza maggiore” tuttavia diversamente dallo stato di crisi la procedura non si attiva con una richiesta dello stato membro che deve passare al vaglio della Commissione bensì con una semplice «dichiarazione unilaterale dello stato» per cui appaiono ancora più evidenti i margini di discrezionalità che possono insinuarsi in tale procedura. Con la dichiarazione di una situazione di “forza maggiore” infatti lo stato dichiara che

«non sarà in grado di rispettare i termini per la procedura di richiesta asilo per cui potranno essere estesi fino a quattro settimane».

Non solo, rispetto al diritto del richiedente a una risposta in merito alla propria domanda d’asilo, lo stato

«dichiara che non sarà possibile rispettare i termini della procedura in termini di “presa (e ripresa) in carico” del richiedente e i limiti previsti per il trasferimento del medesimo verso lo stato competente in base al regolamento Dublino. Infine, lo stato dichiara che non sarà possibile rispettare neanche l’obbligo dell’attuazione delle misure di solidarietà che quindi potranno essere sospese fino a 6 mesi».

Anche in questo caso l’unico aspetto positivo è la previsione della concessione al migrante della protezione immediata – già menzionata con riferimento alla situazione di crisi – che deve essere concessa

«nell’evenienza della sospensione della domanda di protezione internazionale e sulla base della quale il cittadino del paese terzo possederà gli stessi diritti sociali ed economici del titolare di protezione sussidiaria».

In ogni caso al termine del periodo di sospensione gli stati dovranno valutare nel merito la domanda di protezione internazionale.

In conclusione, dall’analisi di tali proposte di regolamento sorprende non solo la mancanza, ancora una volta, di qualsiasi previsione di vie legali per l’accesso al territorio dell’Unione che non siano legate alla domanda di protezione internazionale – visto che in molti casi si presuppone la sua inammissibilità – ma quanti sforzi, e quali elucubrazioni ed acrobazie giuridiche si riescano a ideare pur di non rispettare principi fondamentali sui diritti degli individui che – prima ancora che nelle Convenzioni internazionali e nel diritto europeo – sono sanciti all’interno di ordinamenti nazionali come il nostro in particolare nella Costituzione all’art. 10 co. 3 e che i partiti nazionalisti qualificandosi come tali dovrebbero per coerenza rispettare e fare rispettare senza alcuna condizione di sorta in quanto principio immodificabile come deciso dai nostri padri costituenti.

L'articolo n. 22 – Regolamento sullo screening: il nuovo patto europeo sulla migrazione e l’asilo (II) proviene da OGzero.

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