estrattivismo Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/estrattivismo/ geopolitica etc Tue, 24 Dec 2024 13:59:03 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 Il rimosso della miniera https://ogzero.org/studium/il-rimosso-della-miniera/ Sat, 28 Sep 2024 10:51:35 +0000 https://ogzero.org/?post_type=portfolio&p=13318 L'articolo Il rimosso della miniera proviene da OGzero.

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Non esistono miniere sostenibili

Da questo assunto, e da un primo articolo che dava notizia di un nuovo progetto estrattivo in valle Viù, ha preso spunto questo lavoro che non è cresciuto all’interno delle pagine di OGzero, ma si è sviluppato attraverso uno scambio dialettico tra alcune persone allarmate dalla rinnovata predisposizione istituzionale alla concessione di sondaggi. Questa corsa all’oro è nuova soltanto per l’Europa, Le grosse industrie minerarie – in specie canadesi e australiane – da decenni continuano a saccheggiare, corrompere e intrigare attorno a bacini minerari in tutto il mondo (in particolare nel Sud del mondo) e concessioni mai troppo trasparenti.
I sondaggi portano in modo sotterraneo a obiettivi che spesso alla luce del sole sembrano diversi; allo stesso modo intraprendere percorsi di ricerca e analisi delle motivazioni, delle strategie e dei risultati; degli investimenti, dei profitti e della concorrenzialità tra i prodotti variamente e diffusamente estratti porta lontano e per mille filoni si finisce con scoperchiare intrighi e speculazioni che comportano devastazioni, differenti condizioni di vita per interi territori, consumo di risorse che impoveriscono e rendono sterili vallate…


Un’agorà di confronto sul tema minerario globale

Normalmente lo Studium è allestito attorno a un argomento che poi si sviluppa magari in un prodotto editoriale. Per questo lavoro del Collettivo Escombrera, dove la discussione e l’acquisizione di materiali e analisi nasce già da un’elaborazione collettiva, intendiamo mettere a disposizione questo spazio per allargare il dibattito e consentire una raccolta di dati, opinioni, situazioni, notizie… lotte di comunità decise a impedire la trasformazione del loro habitat e anche a comunità che vogliano esporre le ragioni per cui intendono consentire la devastazione o la prosecuzione di imprese minerarie sospese o abbandonate in altri periodi. Intenderemmo pubblicare i contributi che ci pervenissero – ovviamente il filtro nella pubblicazione prevede l’assenza in questi reperti (inviati ad analizzare a escombrera@anche.no) di tracce di totalitarismo, patriarcato, acritica adesione al saccheggio neoliberista, promozione di operazioni speculative più o meno nascoste.

La prima occasione di confronto sulla questione mineraria successiva alla pubblicazione è avvenuta il 6 novembre 2024 nei locali di Radio Blackout alla presenza di due membri del Collettivo Escombrera a cui si deve la pubblicazione de Il rimosso della miniera. La serata era stata introdotta dalla visione del film di Diego Scarponi Shadows of Endurance, girato nel Kentucky, nelle contee appalachiane della dismissione delle miniere di carbone, che descrive la conseguente depressione e nostalgia del periodo minerario, particolarmente attivo negli anni Quaranta e Cinquanta.

La nuova febbre dell’Europa in guerra


Il Nostalgico orgoglio estrattivista diffuso per l’Europa che aveva rimosso il suo passato di fatica, devastazione ambientale, morte sotto e sopra la miniera ha profuso il territorio di “memoria” che sta per essere rinverdita da un nuovo impulso alla concessione… con nuove e vecchie tecniche, speculazioni e intenti riattualizzati. Nuove fibrillazioni di ingegneri minerari e docenti della materia, a cui la febbre comincia a far brillare gli occhi per la possibilità di nuovi sondaggi e perforazioni.

Collettivo Escombrera

Questo testo è stato scritto da due individui, ma non sarebbe stato possibile senza un insieme di incontri, interviste, assemblee, discussioni e autoformazioni. Così come questo testo non ha avuto origine con la prima parola scritta, tantomeno si conclude con il punto finale. Per queste ragioni pensiamo che il vero autore sia un collettivo che possa continuare a raccogliere le voci e le proposte di chi si oppone ai nuovi progetti minerari, qui e altrove.



Le viscere della terra: su “estrattivismo”, Portogallo e europolitiche della guerra

Mentre si ordinavano i materiali e si producevano analisi e il volume prendeva forma una trasmissione di Radio Blackout ha dato spazio al collettivo per una chiacchierata, che ha preso spunto dalla presa di coscienza che il nuovo “interesse” alla riapertura delle miniere sono i venti di guerra globale che soffiano sopra e sotto la superficie del pianeta.

Questo il link al podcast della trasmissione di

“Macerie su macerie”

del 13 maggio 2024

A “Macerie su Macerie” un compagno presenta una ricerca su ciò che ormai – con fare pacificato – viene chiamato estrattivismo. Questa scrittura era partita come principalmente indirizzata a capire cosa si stesse muovendo rispetto alla questione estrattiva in Portogallo, i cui giacimenti di litio sono oggetto di grande interesse da parte di aziende non solo europee. Tuttavia, nel corso della ricerca e del viaggio intrapreso per visitare i territori coinvolti e incontrare i loro abitanti in lotta, i compagni coinvolti si sono resi conto che non era possibile restringere il focus del lavoro alla sola situazione iberica, né d’altronde fornire un semplice resoconto dei singoli casi e delle loro specifiche questioni. Il motivo risiede, in buona parte, nelle evidenti analogie delle situazioni, nel susseguirsi cronologico degli eventi e nelle forme che questi assumono non solo nelle politiche nazionali del Portogallo, di quelle passate e di quelle attuali, ma soprattutto nel panorama bellico generale.

Spunti e riflessioni durante la condivisione del Rimosso

Oltre alle molteplici occasioni di dibattito che gli autori su Il rimosso della miniera stanno in questa fine 2024 portando in realtà spesso criticamente analitiche del rinnovato interesse per le risorse minerarie, la discussione prosegue su pagine di testate da sempre sensibili all’argomento: “Nunatak” nella sua ultima uscita (n° 74, autunno 2024) ospita un intervento del Collettivo Escombrera.

Nunatak

numero 74 della rivista anarchica “Nunatak”.

Spunti e riflessioni durante l’elaborazione del Rimosso

Nunatak

Litio bianco e buchi neri nelle miniere della penisola iberica redatto da Ninu Bosque per “Minas Nâo” è comparso in traduzione nel numero 65 della rivista anarchica “Nunatak”.

In seguito il dibattito si è sviluppato su “Indymedia” il 22 settembre 2023:

Uno degli articoli che ha ispirato il lavoro nel suo svolgimento è stato questo, che riprendiamo qui da “Nunatak”, n° 65, estate 2022.

Lo stimolo sorse da qui

Le molte ombre e poche luci del progetto Punta Corna di Alberto Valz Gris, da cui nasce l’interesse del Collettivo Escombrera per le miniere,  è stato pubblicato su “I Camosci Bianchi”, il 17 settembre 2021.

I Camosci bianchi

Un blog sulla montagna, escursionismo, cultura e tradizioni alpine. E sul movimento delle donne solitarie.

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]]> Dighe e discariche a Panama https://ogzero.org/studium/dighe-e-discariche-a-panama/ Sat, 02 Dec 2023 23:09:38 +0000 https://ogzero.org/?post_type=portfolio&p=12012 L'articolo Dighe e discariche a Panama proviene da OGzero.

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La devastazione corre sul filo… elettrico

Un flumicidio premeditato

L’agonia del fiume Tabasará iniziò nel 2007 con la complicità dello stato panamense che autorizzò una concessione per la società Genisa – Generadora del Istmo S.A. (creata ad hoc per la realizzazione del progetto idroelettrico di Barro Blanco): società che iniziò nel 2011 i lavori di costruzione in un clima di forte tensione. Le critiche erano legate alle preoccupazioni sull’impatto del progetto nonché alla mancanza di un’adeguata consultazione pubblica e alle violazioni dei diritti umani perpetrate dalla stessa società.

Quest’ultima, dopo un lungo processo di negoziazioni iniziato nel febbraio 2015, tra alcuni rappresentanti indigeni e lo stato panamense (con intervento dell’Onu), venne estromessa definitivamente dal progetto nel 2016: quando la centrale era già stata costruita per un 95%.

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Con l’acqua alla gola

L’accordo siglato nel 2016 creò però non pochi attriti all’interno della comunità Ngäbe-Buglé, giacché non tutti i membri riconobbero la legittimità di tali accordi, che sancirono de facto l’inizio delle attività della centrale idroelettrica.
Dopo Genisa arrivò Cobra (impresa facente parte fino al 2002 del gruppo Impregilo e oggi parte del gruppo spagnolo Acs) e sul suo sito web si legge che il progetto è iniziato il 15 febbraio 2011 e si è concluso il 23 gennaio 2017: circa 6 anni di lavori. Quello che però attira di più l’attenzione è questo paragrafo che descrive le difficoltà nella realizzazione della centrale e della diga.

«La sfida più grande che venne affrontata durante i lavori fu la chiusura della diga, poiché a causa del tipo di idrologia del fiume Tabasará, c’erano inondazioni durante tutto l’anno e non c’era una stagione secca che facilitasse il getto del cancello di deviazione».

Non c’è traccia dunque delle problematiche legate all’inondazione del territorio indigeno ancestrale Ngäbe-Buglé e delle denunce dei caciques (leader indigeni) che lamentavano i danni irreparabili che avrebbero subito quasi 500 persone delle comunità di Quebrada Caña, Nuevo Palomar, Comunidad Cultural Kiad, Labramona e Calabacito, del distretto Müna, regione di Kodrí.

Non si parla neanche del movimento 10 di aprile e delle molteplici manifestazioni di protesta, blocchi stradali e scontri con la polizia che hanno caratterizzato la presidenza di Juan Carlos Varela (2014-2019). Un processo di invisibilizzazione di una resistenza costante e coraggiosa schiacciata da una centrale idroelettrica da 28,84 MW.

Indígenas panameños alzan su voz contra proyecto Barro Blanco (giugno 2016) | Foto: @jaimesaldana01

Popoli Indigeni di Panama

Quella dei Ngäbe-Buglé, che costituiscono il gruppo indigeno con la popolazione più numerosa (al censimento del 1990 superavano già i 123.000 abitanti), è una lotta che dura da anni ma il loro fronte non è l’unico aperto.

Sei Comarcas di emancipazione

A Panama, secondo i dati del censimento del 2010, sono 417.559 le persone che si riconoscono come indigene, un numero che corrispondeva per quell’anno a poco più del 12% della popolazione. Parliamo però di un gruppo molto eterogeneo che si diversifica in otto popoli indigeni: Ngäbe, Buglé, Guna, Emberá, Wounaan, Bri Bri, Naso Tjërdi e Bokota. Per questi popoli ancestrali, dopo le due indipendenze di quella che oggi è la Repubblica di Panama (nel 1821 dalla Corona spagnola e nel 1903 dalla Colombia) è iniziato un lungo e lento processo di emancipazione e rivendicazione di diritti nel nuovo spazio geografico e amministrativo del giovane paese centroamericano. Un processo fatto di accordi, scontri e rivoluzioni che ha portato il movimento indigeno a ottenere un certo grado di autonomia. A oggi infatti esistono a Panama 6 Comarcas Indigene (Contee) le cui leggi costitutive contengono il riconoscimento della tradizionale struttura politico-amministrativa di questi popoli, della loro autonomia, della loro identità e dei loro valori storico-culturali, nel sistema-stato panamense. Le 6 Contee Indigene coprono oggi un’area di 1,7 milioni di ettari e sono state create in epoche diverse: Guna Yala (1938), Emberá-Wounaan (1983), Guna Madungandi (1996), Ngäbe-Buglé (1997), Guna Wargandí (2000) e Naso Tjër Di (2020).

dighe e discariche

Parara Puru (2022). Comunità indigena Emberà sulla rive del fiume Chagres | Foto Diego Battistessa

1925. La rivoluzione Guna e la repubblica di Tule 

Una menzione speciale in questo processo di emancipazione e lotta per i diritti, merita la rivoluzione Guna scoppiata tra febbraio e marzo 1925 e che portò alla creazione dell’effimera repubblica di Tule. La ribellione fu la risposta del popolo indigeno Guna alla forzata occidentalizzazione imposta dal governo centrale che cancellava così secoli di storia dei nativi. Dopo gli scontri si arrivò a un accordo e la Comarca di Guna Yala fu la prima a essere creata. Da sottolineare che proprio dalla lingua di questo popolo indigeno arriva il concetto di Abya Yala, termine precolombiano che sempre più comunemente viene utilizzato dai popoli ancestrali e dai movimenti antiegemonici per riferirsi alle Americhe.

Territorio di Guna Yala (2021). Sulla barca di può vedere la bandiera del popolo Guna che riporta una svastica. Il simbolo, diventato manifestazione di orrore nella Germania nazista, è però antecedente al suo utilizzo da parte di Hitler | Foto Diego Battistessa

La gigantesca discarica del Cerro Patacón

Dalla devastazione idrica nelle comarcas al fuoco tossico in periferia

Non sono però solo i territori ancestrali delle popolazioni indigene a soffrire un deterioramento costante e un attacco frontale di una speculazione economica senza scrupoli: la stessa sorte è vissuta anche nella periferia della capitale e dentro la stesso Città di Panama. È il caso del Cerro Patacón, un luogo dantesco dove si concentra più del 40% della spazzatura prodotta in un paese di 4,5 milioni di abitanti, dove arrivano, al giorno, circa 2 tonnellate di rifiuti. Un centro di raccolta dei residui capitolini, meglio conosciuto come uno dei più grandi disastri ambientali e sanitari del paese centroamericano. Si tratta di un vero e proprio mostro di rifiuti, che secondo molti esperti è già collassato, con infiltrazioni nelle falde acquifere del sottosuolo, una contaminazione diretta del fiume Guabinoso che lo circonda e con frequenti incendi che liberano nell’aria miasmi tossici. La discarica copre più di 130 ettari, ma alcuni studi ambientali spiegano che la tossicità di questo gigante di rifiuti provoca un impatto negativo sui 9000 ettari circostanti: basti pensare che alcuni quartieri della capitale (Città di Panama) che si trovano a più di 3 km di distanza dalla discarica, soffrono direttamente la contaminazione area e gli effetti degli incendi che si sviluppano sul Cerro Patacón.

Pompieri lavorano nell’incendio del Cerro Patacón, La più grande discarica di Panama, considerata un disastro ambientale, che ha provocato una gran nube di fumo tossico che ammorba una parte della capitale (14 febbraio 2023) | Foto EFE/Carlos Lemos

La situazione è raccontata nel dettaglio da Errol Caballero, nell’encomiabile lavoro giornalistico del 2019 dal titolo La salud del Cerro Patacón pubblicato da Connectas – plataforma periodistica para las Americas.
In questo documento, che conta anche su materiale audiovisuale, troviamo parole lapidare che spiegano come la situazione sia completamente fuori controllo:

«La contaminazione mette a rischio la salute delle comunità vicine alla discarica di Città di Panama e le autorità stanno indagando sulla concessione della società Urbalia, per aver compromesso le fonti idriche a causa della mancanza di controlli. A sua volta, lo Stato non vigila sull’azienda, non offre soluzioni al problema e viene denunciato dagli abitanti della zona».

Una situazione già vista. Un’azienda privata che ottiene una concessione e massimizza i profitti non preoccupandosi delle esternalità negative e dell’incolumità della popolazione, uno stato inerte quando non connivente, che non fiscalizza e non effettua controlli. Nel reportage di Caballero troviamo però anche dure testimonianze, come questa:

«Jackeline Chango, 39 anni, è residente a La Isla, un quartiere marginale costruito sulle rive del Mocambo, uno dei fiumi che attraversa la zona. Quando il sistema di distribuzione dell’acqua potabile viene a mancare – come accade spesso nel settore – lei, insieme al marito Domecin e ai suoi figli, tutti di etnia indigena Emberá, si devono lavare nel ruscello. Lo fanno per necessità, sapendo che quell’acqua è completamente contaminata dalla spazzatura.
Suo figlio Kelvin, cinque anni, non era però cosciente del pericolo e mentre faceva il bagno nel ruscello ha bevuto alcuni sorsi d’acqua. Due giorni dopo hanno dovuto portarlo all’ospedale Santo Tomás, sofferente per dei dolori muscolari. I medici hanno identificato un batterio che aveva colpito uno dei polmoni. Suo padre gli ha donato sangue, ma non è bastato a salvarlo. Dopo aver subito un arresto cardiaco, Kelvin è morto a mezzogiorno del 31 dicembre, la vigilia di Capodanno».

Urbalia: basura business

La storia di questo enorme disastro che oggi incide negativamente sulla vita degli abitanti della zona e sul territorio, si fa risalire agli anni Ottanta, quando venne chiusa la vecchia discarica di Panama. Fin dall’inizio la gestione fu statale e si proiettava un’aspettativa di utilizzo di 25/30 anni della struttura di raccolta dei residui. Nel 2008 però il Consiglio Comunale della Città di Panama (organo che all’epoca aveva la potestà su queste decisioni) ordinò la concessione della discarica a una società spagnola, Urbasel Protosa. Solo due anni dopo, avvenuto un cambio di governo, l’appalto venne passato a Urbalia, mantenendo lo stesso contratto iniziale. Nel 2011 l’impresa Urbalia fu comprata dalla colombiana Interaseo SA., di proprietà di colui che viene definito lo “Zar della spazzatura”, cioè William Vélez Sierr. Già nel 2016 il Ministero dell’Ambiente di Panama aprì due procedimenti amministrativi contro Urbalia per «mancato rispetto delle misure stabilite negli strumenti di gestione ambientale» e finalmente il 27 marzo di quest’anno, le autorità statali di Panama hanno eseguito un’operazione di controllo sulla situazione del Cerro Patacón e a radice di quanto riscontrato hanno estromesso Urbalia dalle operazioni (a poche settimane dalla scadenza naturale del contratto). Attualmente vige lo stato di emergenza ambientale per il collasso di un mostro di rifiuti che continua a costare salute e vita alle persone più vulnerabili che già vivono in una situazione di estrema marginalità.

Testimoni locali di sopraffazione

Di fronte a tutto quanto letto finora, è importante poter far riferimento a voci di attivisti locali, voci lucide, che conoscono il contesto e che possono guidarci verso un’analisi di una profonda complessità, unificando tutti i territori diversamente devastati dal capitalismo. Una di queste voci è sicuramente quella di Olmedo Carrasquilla Ávila , ecologista, comunicatore sociale, attivista e dirigente di Covec che in una recente intervista per il giornale nazionale “La Estrella de Panamá” ha saputo manifestare in modo chiaro l’incoerenza dell’attuale azione di governo. Carrasquilla, intervistato nel contesto di una profonda crisi di siccità che ha colpito Panama in questo 2023, denuncia la mancanza di una politica chiara in materia socio-ambientale da parte di un governo che da un lato dichiara lo stato di emergenza ambientale per la scarsità d’acqua e dall’altra continua ad autorizzare concessioni minerarie a imprese per le cui operazioni servono ingenti quantità di acqua.

dighe e discariche

La siccità del Canale costringe a ridurre le quantità di navi che possono transitare da quel chokepointe delle catene di distribuzione

In questo podcast da “Liberation Font”, trasmissione di Radio Blackout del 13 dicembre, si trova un efficace riepilogo insieme a Diego Battistessa riguardo ai temi fin qui da lui trattati e dei molti snodi di interessi della finanza innanzitutto (che sotto traccia rappresenta l’impossibilità di concedere reale indipendenza a Panama), della gentrificazione interna, dello spolpamento predatorio di risorse da parte del colonialismo, dello sfruttamento imperialista di infrastrutture

Ma la storia affonda nei secoli

to be continued (4)

¡Ya Basta extractivismo! Marca-paese Merci rivolte e infrastrutture La Zona del Canale Ancestralità e gentrificazione Casco Viejo – CauseWay – Artificial Island

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]]> Marca-paese: capitale coloniale vs ambiente panamense https://ogzero.org/studium/marca-paese-capitale-coloniale-vs-ambiente-panamense/ Fri, 01 Dec 2023 00:53:41 +0000 https://ogzero.org/?post_type=portfolio&p=11950 L'articolo Marca-paese: capitale coloniale vs ambiente panamense proviene da OGzero.

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Cancellare l’ambiente per cancellare la cultura indigena

Cortizo doble cara 3

Insomma, nonostante gli accordi raggiunti e il disinnesco momentaneo della boma sociale, si intravedeva già nell’estate del 2022 che il livore verso la figura di Cortizo e in generale verso le istituzioni, attraversava tutto il paese. La questione dell’alto prezzo dei beni di consumo di base rimane aperta e anche la scarsità di medicine (e l’altissimo costo di quelle reperibili) mantengono alta la tensione sociale nel paese. Come se questo non bastasse, con un pessimo timing, il presidente Cortizo aveva approvato il 20 giugno 2022 (dopo aver negato la possibilità di abbassare le tasse sui carburanti) degli sgravi fiscali per il settore alberghiero (legge 314 che modifica la legge 80 del 2012) diminuendo ancora di più la sua credibilità di fronte alla popolazione. Inoltre, lo scandalo già soprannominato McCallan 18 anni che ha visto come protagonisti alcuni deputati dell’assemblea (1° luglio 2022) ha gettato ancora più benzina sul fuoco e tolto credito alle istituzioni. Uno scandalo partito da un video diventato subito virale dove si vedono i deputati del Partido revolucionario democrático (Prd) celebrare con un bottiglia di whiskey McCallan che nel paese centroamericano costa (nei supermercati) quasi 400 dollari. La sensazione generale è quella dunque di una diffusa corruzione e di una continua malversazione del denaro pubblico ad appannaggio di pochi eletti e delle grandi imprese che si beneficiano di un sistemico e atavico clientelismo.

La celebración por la reelección como presidente de la Asamblea Nacional del diputado oficialista Crispiano Adames

Depredazione ambientale e capitalismo selvaggio come “marca paese”

Chi non conosce Panama potrebbe pensare che il contesto relativo a Minera Cobre Panama nella provincia di Colón sia un caso isolato. Purtroppo non è così. Il Ciam, Radio Temblor e altre piattaforme di attivisti che monitorano e difendono i diritti della popolazione denunciano da anni uno spietato e sistematico utilizzo del capitale, spesso straniero, per operazioni di trasformazione del territorio, rurale e urbano, con il fine di massimizzare i guadagni senza considerare nessun tipo di esternalità negativa per gli abitanti della zona.

Cancellazione della cultura Ngäbe-Buglé e del suo fiume Tabasará

In termini ambientali possiamo citare per esempio il caso della dura repressione sofferta dagli indigeni Ngäbe-Buglé, come mi è occorso raccontare mentre mi trovavo a Panama nell’autunno del 2021. Il 29 ottobre di quell’anno infatti un gruppo di indigeni del popolo Ngäbe-Buglé che ancora resistevano sulle rive deli fiume Tabasará, nella zona adiacente al progetto idroelettrico di Barro Blanco, fu sgombrato con la forza dalla polizia nazionale panamense. Uomini, donne, bambini e anziani rimasero gravemente feriti (Attenzione, immagini molto forti) dall’impatto di proiettili di gomma sparati dalle guardie in tenuta antisommossa.

Il corpo di polizia che ha sgombrato con la forza le famiglie della comunità indigena Ngäbe-Buglé (ottobre 2021) – Foto di Basilio Jiménez. Radio Temblor Internacional

Il Collecttivo Voci Ecologiche – Covec denunciò in un manifesto l’accaduto, sottolineando l’ipocrisia dell’operato dell’attuale presidente di Panama, Laurentino Cortizo, che proprio nei giorni successivi agli scontri, partecipò a Glasgow alla Cop26 parlando delle misure adottate dal suo governo per rispettare la natura e i popoli indigeni:

«Il nostro impegno inizia col rispettare i popoli originari e le nostre foreste, misure attraverso le quali proteggiamo il 33% della superficie del nostro paese», dichiarava Cortizo in Scozia.

Nel documento del Covec leggiamo però che:

«La realtà è esattamente il contrario e come se questo non bastasse il governo ha appena approvato il Decreto Esecutivo N.141 del 2021 che crea i Certificati di Accreditamento di Uso del Suolo in Aree Protette con il quale punta a riconoscere diritti di proprietà (e sfruttamento) dentro le aree protette. Una chiara evidenza che il business della terra viene realizzato a esclusivo vantaggio delle multinazionali e delle imprese estrattive».

Una ennesima manifestazione di uno stato che nella zona di Barro Blanco (Caña Blanca de Tolé, provincia di Chiriquí) non riconosce ai membri della comunità indigena Ngäbe-Buglé il loro diritto di abitare un territorio al quale sono legati ancestralmente. L’azione della polizia mirava a sfollare membri della comunità indigena che abitano quelle terre da anni, una zona di “pubblica servitù” e sulla quale pende un contenzioso amministrativo non ancora risolto. Molte di quelle famiglie sono inoltre doppiamente sfollate perché avevano già perso i loro terreni a seguito della creazione della diga sul fiume Tabasará: un megaprogetto che ruota intorno alla centrale idroelettrica di Barro Blanco e che ha inondato 250 ettari di territorio, “uccidendo” lo stesso Tabasará.

Disastro ecologico-culturale

Un fiume trasformato oggi in un lago artificiale, che si trova dentro la Comarca Ngäbe Buglé, divisione amministrativa territoriale creata con la legge numero 10 del 7 marzo 1997. Le comunità indigene che abitano la suddetta Contea hanno provato a salvarlo (senza riuscirci) e con lui tutto un ecosistema purtroppo spazzato via dal progetto. La resistenza è iniziata nel 2008 (anche se fin dagli anni Settanta gli indigeni si sono fortemente opposti a interventi di sfruttamento massivo del loro territorio ancestrale) ed è proseguita con sorti alterne per anni.
Il fiume era utilizzato per la pesca di sussistenza dalle popolazioni autoctone e non (che ottenevano così un’importante fonte di cibo); ma anche in quanto luogo di svago, come di venerazione – ricco di incisioni rupestri, come fonte di acqua potabile e come mezzo di accesso e trasporto di merci ad altre città.
Inoltre i boschi circostanti, intrinsecamente dipendenti dal fiume, fornivano carne per la popolazione, legname per case, mobili, tralicci e barche, piante medicinali, materie prime per la produzione di articoli per uso personale e commerciale (come cesti, cappelli e borse). Tra i luoghi colpiti dal progetto alcuni dei punti simbolo dell’organizzazione e incontro della comunità: spazi di grande simbolismo religioso, educativo e culturale della zona, dove tra le altre attività si insegnava alle nuove generazioni la lingua Ngabere. Qui di seguito un ascolto tratto dal sito “Indomables

“Hacer las letras hablar”.

Un granello di sabbia nell’ingranaggio?

Il 28 novembre, diversi settori sociali, organizzazioni sociali e cittadini sono scesi in piazza per celebrare la sentenza di incostituzionalità emessa dalla Corte suprema di giustizia contro il contratto della Legge mineraria 406. Più di un mese di resistenza e lotta nelle strade di diversi settori, che hanno visto i settori sociali schierati compattamente contro l’estrattivismo minerario, prospettando una serie di conseguenze a livello economico, ambientale, di diritti umani e di ingovernabilità socio-ambientale ed evidenziando la mancanza di trasparenza, la corruzione e il legame di alcuni rappresentanti del governo legati a membri della famiglia con scopi commerciali con l’impresa Minera Cobre Panama, hanno ottenuto una prima soddisfazione. Il granello di sabbia nel meccanismo estrattivista sarà più risolutivo dei suoi precedenti?

Questo il comunicato su Instagram di Minera Cobre Panama:

Visualizza questo post su Instagram

Un post condiviso da Cobre Panamá (@cobrepanama)

Questa società operava dal 1997 attraverso un contratto di legge in cui non vi era alcuna partecipazione dei cittadini, con irregolarità anche nello studio di impatto ambientale.
Nel 2017 la Corte Suprema di Giustizia aveva emesso una sentenza, in cui se ne dichiarava l’incostituzionalità, tuttavia l’azienda e il governo centrale non si sono mai conformati a questa sentenza, che è diventata un oltraggio alla corte ed è rimasta lettera morta. La società Minera Panama ha continuato a esportare, sfruttare e operare in questa regione del paese, in particolare nel Corridoio Biologico Mesoamericano, dove esiste anche una ricca biodiversità e un’area protetta, oltre che una cultura comunitaria.

Dighe e discariche: uccisione del fiume Tabasará

to be continued (3)

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]]> Competizione africana tra Usa e Cina sul litio https://ogzero.org/competizione-africana-tra-usa-e-cina-sul-litio/ Sat, 07 Jan 2023 12:23:14 +0000 https://ogzero.org/?p=10014 Competizione africana tra Usa e Cina sul litio La corsa al litio nascosto nel suolo delle nazioni-minerarie africane prosegue, nonostante alcuni governi cerchino di “proteggere” l’emorragia di terre rare; certi giacimenti sono già controllati e di proprietà cinese. Forse su imbeccata americana, oppure invece solo innescando meccanismi di confronto tra poteri interni ai paesi, si […]

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Competizione africana tra Usa e Cina sul litio

La corsa al litio nascosto nel suolo delle nazioni-minerarie africane prosegue, nonostante alcuni governi cerchino di “proteggere” l’emorragia di terre rare; certi giacimenti sono già controllati e di proprietà cinese. Forse su imbeccata americana, oppure invece solo innescando meccanismi di confronto tra poteri interni ai paesi, si è operato in modo da imbrigliare l’esportazione per aggirare il monopolio che stavano costituendo i possedimenti stranieri dei minerali più ricercati. Una corsa che ha accelerato negli ultimi mesi la sua corsa, perché indispensabili nelle lavorazioni delle nuove tecnologie e dei prodotti collegati al superamento dell’energia fossile. Da un lato il bell’articolo che Marco dell’Aguzzo ha scritto per “StartMag” il 2 gennaio si sofferma sull’episodio dell’export ban del litio adottato dal governo dello Zimbabwe, con la anodina e conseguente decisione di Pechino di aprire raffinerie di litio in loco (ma episodi di precedenti cantieri lasciano immaginare che anche le maestranze saranno importate), anche se si ha notizia di una deroga al bando delle esportazioni nel caso di investimenti annosi – e dunque le miniere cinesi risulterebbero in gran parte esentate; dall’altro Giuseppe Gagliano il 6 gennaio ha ripreso l’argomento sempre su “StartMag”, approfondendo gli aspetti collegati al boom della richiesta di litio che ha fatto lievitare i prezzi di 10 volte in 2 anni, con gli episodi di corruzione (in particolare in Namibia) che hanno interessato i governi di quel paese. Abbiamo chiesto di riprendere i due articoli (le immagini non appartengono agli articoli originali) perché completano il quadro che OGzero ha realizzato nel dossier sulle armi da cui sta prendendo forma un libro dedicato al traffico nel 2022 come paradigma delle modalità dello spaccio di armi, mettendo in relazione quale compra-vendita di macchinari bellici si può riscontrare a fronte del frenetico estrattivismo in terra africana innescato dalla guerra in Ucraina e dalla conseguente diversificazione energetica.

 


2 gennaio 2023,

di Marco dell’Aguzzo

Export ban del litio in Zimbabwe

Il 20 dicembre il ministro delle Miniere dello Zimbabwe, nell’Africa meridionale, ha annunciato un divieto di esportazione di litio grezzo, un metallo utilizzato per le batterie dei veicoli elettrici.
Le esportazioni di minerali valgono circa il 60 per cento delle entrate zimbabwesi legate alle esportazioni; il settore minerario, invece, contribuisce al prodotto interno lordo per il 16 per cento.

Harare punta a sfruttare le materie prime di cui dispone per stimolare la crescita, sul territorio nazionale, di una filiera industriale completa, che non si limiti cioè all’estrazione del litio ma comprenda anche la sua raffinazione e la produzione di batterie, le due attività a maggior valore aggiunto.
Lo Zimbabwe possiede i depositi di litio più grandi di tutta l’Africa. La miniera di Bikita, la più importante del paese, contiene riserve per 10,8 milioni di tonnellate.

Dopo che lo Zimbabwe ha comunicato la decisione le aziende cinesi che hanno investito nella nazione dovranno costruirvi anche degli impianti di raffinazione del materiale.

La miniera di litio di Bikita, in Zimbabwe.

Quali sono gli interessi coinvolti?

È uno sviluppo rilevante, perché il litio è un metallo critico per la transizione energetica, essendo fondamentale per la produzione delle batterie dei veicoli elettrici. Lo Zimbabwe ne è il sesto maggiore produttore al mondo, e si pensa che possieda i depositi inesplorati più grandi di tutta l’Africa. La Cina, invece, vale da sola circa il 60 per cento della capacità di raffinazione globale.

Gli intenti dello Zimbabwe (e altre nazioni)

Attraverso il ban all’esportazione del litio grezzo, lo Zimbabwe punta a sfruttare le materie prime di cui dispone per stimolare la crescita sul proprio territorio di una filiera industriale completa: ossia di una supply chain che non si limiti all’estrazione del metallo, ma comprenda anche la sua raffinazione e la produzione di batterie, le due attività a maggior valore aggiunto.

La mossa dello Zimbabwe non è unica: anche l’Indonesia ha fatto grossomodo la stessa cosa, e con gli stessi obiettivi, con l’esportazione di nichel (un altro metallo critico per le batterie) e più recentemente di allumina (un minerale necessario alla produzione di acciaio). È un approccio che i critici hanno definito “nazionalismo delle risorse”.

Cosa comporta per gli interessi cinesi…

Le aziende cinesi che operano nell’industria zimbabwese del litio, e che in passato hanno effettuato acquisizioni di asset dal valore complessivo di miliardi di dollari, hanno due opzioni per continuare a esportare il metallo: aprire degli stabilimenti di raffinazione nel paese, oppure ottenere dal governo l’autorizzazione all’export della materia grezza per casi eccezionali.

 «L’apertura di raffinerie in Zimbabwe avrà un costo di centinaia di milioni di dollari e richiederà un periodo di due-tre anni tra costruzione e messa in servizio» (Chris Berry, presidente della società di consulenza sulle commodities House Mountain Partners, al quotidiano cinese “South China Morning Post).

… e per i prezzi…

Berry ha aggiunto che se altri paesi dovessero seguire l’esempio dello Zimbabwe, i prezzi del litio e degli altri metalli per la transizione energetica, come il cobalto, potrebbero aumentare. Negli ultimi due anni quelli del litio sono già cresciuti di circa il 1100 per cento a causa dello squilibrio tra offerta e domanda. In Cina (il mercato delle auto elettriche più grande al mondo) il prezzo spot del carbonato di litio ha raggiunto il valore record di 84.000 dollari a tonnellata lo scorso novembre.

… e per i mercati

Secondo Lauren Johnston, che si occupa dei rapporti tra Cina e Africa all’Istituto sudafricano di affari internazionali, «se un numero maggiore di paesi africani vieterà l’esportazione di minerali chiave per l’energia rinnovabili, ma non sono ancora pronti per lavorarli in patria a causa di problemi di governance, infrastrutture, energia e manodopera, questo potrebbe ostacolare lo sviluppo delle rinnovabili a livello globale».

La reazione cinese

L’anno scorso tre società estrattive cinesi – Huayou Cobalt, Sinomine e Chengxin Lithium – hanno acquisito progetti sul litio in Zimbabwe per un valore complessivo di 679 milioni di dollari. Due di queste – ossia Huayou Cobalt e Chengxin Lithium – stanno già lavorando allo sviluppo di stabilimenti di lavorazione, e dunque verranno esentate dal divieto di esportazione.

Huayou Cobalt, in particolare, ha acquisito la miniera di Arcadia, dove si estrae litio dalle rocce, dall’azienda australiana Prospect Resources per 422 milioni di dollari. Il governo zimbabwese aveva imposto a Huayou Cobalt la condizione che il minerale estratto dovesse venire lavorato nel paese per produrre batterie.

A settembre la compagnia cinese aveva detto al “South China Morning Post” che stava investendo 300 milioni nello sviluppo del sito, con l’obiettivo di aumentare la produzione di materiali per l’industria dell’auto elettrica. Aveva inoltre assicurato che non avrebbe esportato litio grezzo.

Chengxin Lithium, invece, ha speso 77 milioni per l’acquisizione dei diritti minerari nel progetto Sabi Star, nello Zimbabwe orientale, che contiene giacimenti di litio e di tantalio (un metallo utilizzato nella produzione di componentistica elettronica) perlopiù inesplorati. Ha destinato 130 milioni all’apertura di una raffineria di litio.

La Competizione USA-Cina sui metalli africani

A dicembre gli Stati Uniti hanno siglato un memorandum d’intesa con la Repubblica democratica del Congo e con lo Zambia per lo sviluppo di una “catena del valore dei veicoli elettrici”: i due paesi ospitano importanti giacimenti importanti di cobalto.

In occasione della firma del documento, il segretario di Stato Antony Blinken disse che Washington «esplorerà meccanismi di finanziamento e di sostegno agli investimenti nelle catene del valore africane dei veicoli elettrici».

Le aziende cinesi possiedono gran parte delle miniere di cobalto in Congo, che vale oltre il 70 per cento della produzione mondiale di questo metallo. Gli Stati Uniti, dunque, potrebbero voler cercare di contrastare l’enorme influenza di Pechino sul mercato delle materie prime per la transizione energetica.

Il Kivu: un non-luogo


Perché il prezzo del litio schizza in alto

6 gennaio 2023,

di Giuseppe Gagliano

L’aumento della domanda di litio manterrà alti i prezzi

Il prezzo del litio, ingrediente chiave nelle batterie dei veicoli elettrici, è salito del 1000% dal 2020 a 82.000 dollari per tonnellata a dicembre. L’aumento della domanda, man mano che la produzione di veicoli elettrici si espande, manterrà i prezzi alti.

Ci sarà carenza di litio?

Gli esperti del settore prevedono una carenza mentre le aziende occidentali e cinesi combattono con le unghie e con i denti per avere più risorse. Alla conferenza annuale Mines and Money a Londra il 29 novembre è stata sottolineata la necessità di dare priorità ai collegamenti della catena di approvvigionamento ai nuovi depositi più lo sviluppo della capacità produttiva intermedia.

Altrimenti, hanno avvertito gli esperti, la desiderata transizione energetica verde di molti paesi verso il trasporto a emissioni zero non sarebbe realizzabile entro il 2030.

Il ruolo della Cina e della Namibia

Mentre la Cina domina la produzione di batterie agli ioni di litio utilizzate nei veicoli elettrici, per le quali è il mercato più grande, rappresenta solo una piccola quantità di produzione mineraria di litio.

Infatti la Namibia e gli altri paesi africani con risorse di litio finora non sfruttate e altri “metalli per le batterie” – tra cui cobalto, grafite e nichel – sono stati presi di mira da aziende occidentali e cinesi alla disperata ricerca di nuove fonti di approvvigionamento.

Ad esempio la Lepidico australiana sta sviluppando una miniera di litio da 63 milioni di dollari e un impianto di lavorazione nei vecchi giacimenti di Helikon e Rubikon vicino a Karibib nella regione centrale di Erongo;

l’impianto in loco realizzerà concentrato per l’esportazione in un nuovo impianto di conversione chimica di 203 milioni di dollari ad Abu Dhabi. L’azienda prevede un tasso di rendimento interno annuo del 42% in 15 anni.

La Namibia indaga sulla Cina

Nel frattempo, le autorità namibiane stanno indagando sulle circostanze in cui un’azienda cinese finora sconosciuta, Xinfeng Investments, è riuscita ad acquisire una licenza al litio. La Commissione anticorruzione indipendente sta indagando sulle accuse secondo cui i funzionari del ministero delle Miniere e dell’energia (MME) hanno impropriamente facilitato l’acquisizione da parte di 50 milioni di dollari della Namibia (2,3 milioni di dollari) da parte di Xinfeng dei diritti di esplorazione e esportazione del litio vicino a Omaruru nel nord-ovest di Erongo.

Ad agosto all’azienda cinese è stata concessa una licenza mineraria fino al 2042 per metalli di base e gli addetti ai lavori affermano che i funzionari MME sono ampiamente sospettati di utilizzare i loro parenti e associati per richiedere diritti di esplorazione in aree con depositi minerari di alto valore, specialmente quando c’è interesse da parte di investitori cinesi e altri investitori stranieri.

Nel frattempo, Xinfeng ha attirato polemiche tentando presumibilmente di esportare grandi volumi di minerale di litio – tra 54.000 e 135.000 tonnellate – come “campioni di prova” in Cina senza test locali o elaborazione di prova.

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