Codice Schengen Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/codice-schengen/ geopolitica etc Mon, 14 Nov 2022 10:05:34 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 n. 22 – Regolamento sullo screening: il nuovo patto europeo sulla migrazione e l’asilo (II) https://ogzero.org/n-22-regolamento-sullo-screening-il-patto-europeo-sulla-migrazione-e-lasilo-ii/ Mon, 14 Nov 2022 10:05:34 +0000 https://ogzero.org/?p=9491 Lo studio e l’esposizione delle proposte di regolamento europeo che fanno da corollario al nuovo patto sulla migrazione, se possibile, ancora più restrittivo e rappresentante di chiusure all’accoglienza, completa e integra le speculazioni dell’articolo precedente. Qui si leggono disposizioni “disumanitarie”, che inaspriscono con fantasie al limite della tortura psicologica, che rispondono evidentemente a criteri puramente […]

L'articolo n. 22 – Regolamento sullo screening: il nuovo patto europeo sulla migrazione e l’asilo (II) proviene da OGzero.

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Lo studio e l’esposizione delle proposte di regolamento europeo che fanno da corollario al nuovo patto sulla migrazione, se possibile, ancora più restrittivo e rappresentante di chiusure all’accoglienza, completa e integra le speculazioni dell’articolo precedente. Qui si leggono disposizioni “disumanitarie”, che inaspriscono con fantasie al limite della tortura psicologica, che rispondono evidentemente a criteri puramente disincentivanti. Nelle pieghe delle modifiche, delle proposte, dei regolamenti che l’UE targata Von Der Layen si rintracciano tentativi di blindare le frontiere, ma anche di demandare ai paesi di prima accoglienza la solidarietà a cui persino Fortress Europe non può sottrarsi, né esternalizzare. Quindi è impossibile riformare come vorrebbero i paesi del blocco Sud, ed è per questo che si creano casi come quelli della Ocean Viking, o si minacciano altre infamità per giungere a una trattativa giocata sui destini delle persone in movimento (Pom). Allora si riprendono slogan come “taxi del mare” (riprendendo un’improvvida uscita di Di Maio) per definire l’azione di vascelli solidali, denunciando ideologicamente l’operato delle ong; o si invita a portare i salvati in Tunisia, guarda caso proprio dove si vuole implementare il sistema di hotspot esternalizzati per impedire l’arrivo in Europa, o retrivi scontri fondati su cifre – anche malamente – taroccate. 

Con questa documentata appendice, fondata sulla lettura dei documenti giuridici e su dati reali, Fabiana intendeva conferire un sostegno all’articolo dedicato alle conseguenze delle proposte di modifica al Regolamento europeo per il riconoscimento dell’asilo e protezione, ne ha ottenuto un contributo autonomo che travalica il tecnicismo analizzato e disinnescato, andando a scoperchiare motivi e strategie sottesi a rendere impossibile il Diritto internazionale che a buon senso darebbe scampo in Europa a chi fugge dai danni che l’Europa produce nei paesi di provenienza. Ma la strategia prevede che il Diritto sia affossato, anzi sommerso…


Procediamo con lo screening a casa loro

Due delle cinque proposte che accompagnano il patto sulla migrazione e l’asilo – presentato dalla Commissione europea il 23 settembre del 2020 – sono la Proposta di regolamento sullo screening e appunto quella relativa alla modifica della procedura di riconoscimento e di revoca della protezione internazionale. In particolare, con la Proposta di regolamento sullo screening dei migranti si prevede una procedura “preingresso di accertamento” lo screening appunto – in merito all’identità, alla nazionalità, allo stato di salute, alla vulnerabilità e alla pericolosità sociale del migrante finalizzata – come candidamente dichiarato nella sua presentazione dalla Commissione europea – a individuare «il prima possibile i cittadini dei paesi terzi che abbiano scarsa possibilità di ottenere protezione internazionale all’interno dell’UE». Alla registrazione dell’identità quindi si accompagna in questa fase l’inserimento dei dati biometrici dei migranti mediante le banche dati pertinenti.

 

regolamento sullo screening

Truccare le regole fingendo una terra di nessuno

La procedura però viene svolta non solo interamente in frontiera ma anche in una condizione di trattenimento del migrante e in modo rapido (la procedura di accertamento può durare fino a un massimo di 5 giorni).

L’intento della proposta è dunque quello di creare uno strumento idoneo a decidere già in frontiera a chi possa essere “consentito” di presentare domanda di protezione internazionale e chi invece “debba” essere rimpatriato immediatamente dalla “frontiera”.

Rispetto al luogo nel quale dovrebbero avvenire tali operazioni di accertamento, si precisa che quanto orchestrato dalla Commissione altro non è che una fictio iuris.
Il migrante sottoposto a tali procedure in realtà già si trova sul territorio dell’Unione e come tale sarebbe titolare di tutta una serie di diritti, sanciti dal diritto europeo oltre che dal diritto internazionale, ma affinché tale titolarità non venga attivata si opera appunto “una finzione giuridica”: si finge ovverosia che il migrante si trovi a una frontiera esterna dell’Unione altrimenti tale meccanismo sarebbe evidentemente illegittimo. Sicuramente infatti alcune persone soggette alla procedura di screening sono già alle frontiere interne. Si pensi che alcuni dei destinatari dell’ambito di applicazione di tale normativa sono persone entrate nel territorio europeo a tutti gli effetti perché attraverso operazioni di Search and Rescue (Sar)! Altri destinatari sono invece coloro che sono presenti alla frontiera esterna ma non soddisfano le condizioni di ingresso – come nel caso della mancanza del visto – e che presentano domanda di protezione internazionale.

Si precisa però che anche con riferimento a tali soggetti gli stati membri, in base al regolamento Eurodac, sarebbero chiamati a registrare le impronte e quindi si attiverebbe il regolamento “Dublino” per l’individuazione dello stato membro competente: una situazione tutt’altro che esterna all’Unione!

L’intero impianto rientra nel consueto meccanismo di rafforzare le frontiere esterne per proteggere quelle interne dell’area Schengen dai movimenti secondari dei migranti ossia quelli compiuti mediante il transito da uno stato all’altro dell’Unione.

La detenzione negli hotspot è illegittima, per ora

È previsto in questa fase un sistema di monitoraggio indipendente di dubbia efficacia visto che non prevede neanche l’accesso dell’Agenzia europea sulla tutela dei diritti umani oltre a quella dei membri e degli operatori delle ong o dei rappresentanti della società civile.

È prevista inoltre l’impugnazione del provvedimento di accertamento che abbia un esito negativo per l’accesso alla procedura d’asilo ma in questo caso è stabilito il rimpatrio immediato e il ricorso non ha effetto sospensivo.

Tale impianto giuridico richiama immediatamente l’approccio degli hotspot in Italia come quello di Lampedusa. Anche negli hotspot infatti, per prassi, vi è una fase di preidentificazione che si caratterizza dalla compilazione del cosiddetto foglio notizie – non previsto da alcuna normativa italiana – davanti alle autorità di pubblica sicurezza. Il modulo prescreening previsto nel Patto ricalcherebbe proprio il foglio notizie italiano (!) che contiene sì le generalità del migrante ma che non possiede alcun contenuto informativo sulla procedura di protezione internazionale. Inoltre, come nella procedura prescreening anche negli hotspot vi è una condizione di detenzione dei migranti. Al riguardo si precisa che qualora il regolamento in questione venisse approvato tali prassi degli hotspot diventerebbero legittime e quindi non solo lo stesso foglio notizie diverrebbe obbligatorio – proprio mediante il suo omologo ossia il “modulo preescreening” – ma il trattenimento del migrante sarebbe previsto per legge nonostante l’Italia sia già stata condannata per detenzione illegittima dei migranti negli hotspot dalla Corte di Strasburgo – sentenza Khlaifia – per aver agito in violazione dell’art. 5 della Cedu.

Proposta di modifica del regolamento procedure 2016

Dopo le procedure di preingresso – procedura di screening è prevista nella modifica anche una procedura di frontiera per il riconoscimento della protezione internazionale sempre in una condizione di trattenimento del migrante. Infatti, secondo l’art. 41 paragrafo 6, i richiedenti sottoposti alla procedura di asilo alla frontiera non sono autorizzati a entrare nel territorio dello stato membro.

Si precisa, più in generale,

che la procedura di esame alla frontiera deve essere attuata ogni qualvolta la persona è entrata irregolarmente – e chi richiede la protezione lo è nella quasi totalità dei casi perché in fuga dal proprio paese d’origine – o se ha fatto ingresso con sbarco dopo operazioni di ricerca e soccorso (Sar – Search and Rescue) o ancora nell’ipotesi in cui il migrante non sia irregolare ma comunque sia destinatario di un provvedimento di ricollocamento (art. 41).

Persecuzione preventiva di innocenti incarcerati. Disincentivazione

Ciò che risulta particolarmente assurdo è che dal momento dell’approvazione di tale norma ogni richiedente asilo dovrebbe subire 12 settimane di detenzione e di isolamento per completare non solo la procedura di riconoscimento della protezione internazionale ma – nell’ipotesi di rigetto della domanda – anche per presentare il ricorso che nella quasi totalità dei casi non ha effetto sospensivo automatico (art. 54) – e per essere sottoposto a rimpatrio forzato (art. 41 bis).

Si ricorda che ai sensi dell’art. 35 bis della proposta la decisione di rimpatrio è emanata

nell’ambito della decisione di rigetto della protezione internazionale o, nel caso sia contenuta in un atto distinto dal provvedimento di rigetto, è comunque contestuale a esso.

Se lo stato tuttavia non riesce a organizzare il rimpatrio alla frontiera nell’arco delle 12 settimane, il migrante potrà entrare finalmente nel territorio dell’Unione ma sempre con il trattamento previsto per legge per le persone in condizione di irregolarità. Inoltre, la cosiddetta “procedura accelerata”, con la proposta di regolamento in oggetto, non rappresenta più un’eccezione ma diviene «obbligatoria e sistemica» (art. 40) e al suo termine si può già decidere in frontiera per l’ammissibilità o meno della domanda.

Infatti, alle ipotesi già previste per l’applicazione della procedura accelerata – come quella in cui il richiedente tenta di eludere o elude i controlli alle frontiere o quella secondo la quale rappresenta un pericolo per la sicurezza pubblica interna – si aggiunge quella in cui

il richiedente appartenga a una nazionalità che registri un tasso di riconoscimento della protezione internazionale inferiore al 20 %

come per esempio potrebbe essere nell’ipotesi di un richiedente asilo proveniente dalla Nigeria o addirittura dall’Egitto! Si sottolinea la standardizzazione di tale valutazione che oltretutto si applica anche ai minori stranieri non accompagnati!!

La provenienza da un “paese di primo asilo” inficia la protezione

Il giudizio preliminare sull’ammissibilità o meno della domanda di protezione internazionale in frontiera è inoltre previsto anche nei casi in cui

il richiedente provenga da un «paese di primo asilo» (art. 44): ossia un paese in cui il richiedente ha già goduto e può continuare ad avvalersi non solo di una protezione ai sensi della condizione di Ginevra ma anche semplicemente di «una protezione sufficiente».

Motivo per il quale, se durante l’esame, le autorità ritengono che

il richiedente provenga da un paese in cui anche se non si applica la Convenzione di Ginevra non sussistono minacce per i motivi di cui alla Convenzione stessa, il richiedente non rischi di subire un danno grave e ancora venga rispettato il principio di non-refoulement e garantito il godimento di alcuni diritti – quali la possibilità di soggiornare o di lavorare – allora la sua domanda di protezione internazionale verrà dichiarata inammissibile.

Il potere discrezionale del funzionario. La sindrome Eichmann

Si osservi al riguardo l’enorme discrezionalità da parte delle autorità competenti nella valutazione della sussistenza di tali elementi, anche perché la qualifica di paese di primo asilo è decisa ogni anno proprio da ciascuno degli stessi paesi dell’UE con la predisposizione di specifiche liste. Il giudizio preliminare di ammissibilità si applica infine anche nell’ipotesi in cui

il richiedente provenga da un paese terzo sicuro (art. 45)

ossia un paese nel quale il richiedente può anche essere soltanto transitato ma che venga considerato sicuro non solo in quanto firmatario della Convenzione di Ginevra. E pure nell’ipotesi in cui sia semplicemente idoneo a garantire – come abbiamo visto nel caso del paese di primo asilo – una protezione sufficiente.

L’impianto supportato dagli accordi bilaterali…

In questo caso però la qualifica del paese terzo sicuro non è da rinvenirsi nelle liste predisposte dal paese membro annualmente ma viene considerato tale con una decisione della stessa Unione Europea ossia presumibilmente in base anche agli accordi informali tra questa e i paesi terzi. Tale decisione unilaterale dell’Unione viene operata anche con riferimento alla

qualifica di «paese di origine sicuro» (art. 47), nozione in cui oggi – è bene ricordarlo – si fregia la Turchia e in conseguenza della quale è sempre prevista l’applicazione della procedura accelerata.

Qualora quindi ricorresse una delle succitate condizioni le autorità competenti in frontiera dovrebbero concludere sempre per una dichiarazione preliminare di inammissibilità della domanda di protezione internazionale, in caso contrario invece si potrebbe finalmente accedere alla procedura per il riconoscimento della medesima.

L’intero impianto riporta alle prassi già consolidate nella rotta dell’Egeo: la Turchia infatti per i siriani è già stata considerata di fatto “paese terzo sicuro” perché rispettava (a fronte dei 6 miliardi di euro donati dall’Unione) il principio di non refoulment e perché dava la possibilità a questi di soggiornare legalmente sul territorio a disprezzo e in completo svuotamento di ogni norma del diritto europeo e internazionale che consentirebbe loro di beneficiare di una “forma di protezione” che si ricorda – e non ci dovrebbe essere neanche il bisogno di dirlo – è un diritto ben diverso da quello di consentire semplicemente a un individuo di lavorare nel proprio territorio!

… e da nuovi enormi Lager

Si ricorda che la Turchia – pur essendo firmataria della Convenzione di Ginevra – ha mantenuto la riserva territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato: ciò vuol dire che esso può essere riconosciuto in Turchia solo ai cittadini provenienti dai paesi dell’Unione europea. Sempre con riferimento alla rotta dell’Egeo è chiaro che una previsione della procedura d’asilo strutturata totalmente in frontiera implicherebbe la creazione di enormi campi di detenzione nei paesi di primo arrivo – compreso il nostro – come già avvenuto in Grecia a Leros, Lesbos, SamosKos Chios. Ci si chiede quindi se gli stati membri di primo ingresso e l’Unione stessa siano in grado di sostenere le spese finanziarie derivanti dalla creazione di tali centri considerato il numero dei migranti che dovrebbero essere “contenuti” in regime di detenzione.

Il contrasto degli “irregolari” eccita la Destra nostrana

È facile notare come i nazionalismi di destra al potere attualmente in diversi stati membri dell’Ue compreso il nostro – così contrari alle politiche delle istituzioni europee in particolare a quelle della Commissione – si ritrovino invece perfettamente allineati alle sue decisioni in ambito migratorio quando si tratta di ostacolare l’accesso dei migranti con l’inevitabile compressione dei loro diritti come nel caso dei due regolamenti “procedure” e “screening”.

Sarà pertanto interessante vedere se quegli stessi nazionalismi di destra che rappresentano il nuovo trend politico europeo saranno così d’accordo tra di loro, come negli alti lai per ottenere il riconoscimento della pressione migratoria insopportabile a cui sono sottosti, quando si tratterà di approvare le ulteriori proposte di regolamento che accompagnano il nuovo patto sulla migrazione e l’asilo in primo luogo la già citata Proposta di regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione, dove si prevede una «solidarietà obbligatoria».

 

(fonte voxeurope / Tjeerd Royaards)

Solidarietà obbligatoria, ma ordinaria

La proposta di regolamento in esame prevede meccanismi di “solidarietà” volontaria ma obbligatoria da parte di tutti i paesi membri nei casi di sbarchi Sar o pressione migratoria messi in atto quindi soprattutto nei confronti di paesi di primo arrivo come l’Italia. I meccanismi di solidarietà si distinguono tra ordinari e meccanismi di solidarietà speciali/straordinari. I primi rappresentano la solidarietà post sbarchi – operazioni SAR – mentre i secondi sono quelli che si applicano nelle ipotesi di pressione migratoria (art. 50 e seguenti) (oltre che nelle condizioni di crisi e di forza maggiore che vedremo in seguito nello specifico regolamento). I meccanismi ordinari di solidarietà (art. 45, 1) più nello specifico sono:

il ricollocamento delle persone non soggette e trattenute nel corso di procedure di frontiera; la “sponsorizzazione” di cittadini di paesi terzi in condizioni di soggiorno irregolare; il ricollocamento di beneficiari di protezione internazionale entro 3 anni dall’ottenimento della stessa; l’aiuto in termini di “Capacity bulding measures”- ossia il supporto di uno stato membro ad un altro – con riferimento alle misure di sviluppo delle capacità in materia di asilo, accoglienza, rimpatrio.

Con «misure straordinarie di solidarietà» (art. 45,2) che come detto si applicano alla pressione migratoria si intendono invece due sole misure:

il ricollocamento di richiedenti asilo soggetti questa volta alla procedura di frontiera e il ricollocamento di cittadini di paesi terzi in ipotesi di soggiorno irregolare.

Procedimentalizzare la solidarietà ordinaria

Per quanto attiene alla procedura nell’ipotesi di pressione migratoria lo stato membro richiede il riconoscimento alla Commissione di tale situazione. La Commissione in questo caso deve adottare un report finalizzato a condurre una conseguente attivazione degli altri stati membri. Come visto nel caso di pressione migratoria si allarga lo spettro dei destinatari dei ricollocamenti e sono previsti tempi ridotti per la loro attuazione.

Esclusione di Sar e ingressi non autorizzati per procedura

Tutto ciò premesso è chiaro come si escludano dai candidati ai ricollocamenti – previsti nelle procedure ordinarie – i soggetti arrivati a seguito di operazioni di ricerca e soccorso perché sottoposti alla procedura di frontiera (e i soggetti arrivati tramite ingressi non autorizzati). Più in generale il tentativo di questo regolamento è quello di procedimentalizzare la solidarietà ordinaria (artt.47-49). La procedura in primo luogo prevede che la Commissione emani un report annuale nel quale dichiari se uno stato membro dell’Unione sia soggetto ad arrivi ricorrenti e determina ciò che serve a tale stato.
Tale report viene notificato poi agli altri stati con l’invito a contribuire. Gli stati a loro volta notificano alla Commissione i contributi con un piano di risposta indicando, o i ricollocamenti o le misure di sviluppo e capacità o i ricollocamenti di vulnerabili. Una di queste tre misure è necessariamente obbligatoria ma ogni stato liberamente può scegliere.

Solidarietà corretta in salsa ricollocamenti e rimpatri

In seguito la Commissione, con una valutazione discrezionale, se ritiene che le offerte degli altri stati sono sufficienti per la creazione di una “riserva di solidarietà” con un atto di esecuzione ratifica le offerte degli stati (art. 48). Tuttavia, se le offerte non sono sufficienti o meglio sono significativamente inferiori rispetto alle necessità dello stato, la Commissione convoca il “Forum di solidarietà”: gli stati a questo punto possono adottare i piani di aiuto rivisti dalla Commissione che in questo caso vengono messi in un atto di esecuzione.
Invece, se gli stati si rifiutano di rivedere i propri piani di aiuto, la Commissione stessa adotterà un atto di esecuzione nel quale deciderà cosa devono fare gli stati che si sono mostrati “poco generosi”; in particolare, se la discrepanza totale tra quanto offerto e quanto necessario allo stato è maggiore del 30 per cento, ogni altro stato membro sarà obbligato a versare il 50 per cento di una quota minima di solidarietà da intendersi in termini di numero di ricollocamenti, di sponsorizzazione dei rimpatri o di entrambe le misure (meccanismo correttivo della solidarietà).

In particolare, con sponsorizzazione di rimpatri si intende il meccanismo mediante il quale uno stato che non ha nel proprio territorio migranti in condizione di irregolarità da rimpatriare sostenga il rimpatrio di cittadini di paesi terzi irregolari che si trovano in un altro stato membro. Il sistema non appare invero immediatamente efficace considerando che per i primi 8 mesi comunque lo stato membro beneficiario della sponsorizzazione mantiene la responsabilità giuridico-amministrativa del cittadino del paese terzo da rimpatriare mentre lo stato cosiddetto sponsor si impegna piuttosto a un’assistenza da remoto di tipo materiale, logistico e finanziario, mentre nell’ipotesi di rimpatri volontari si occupa della policy dialogue con il paese terzo e offre assistenza durante il viaggio o sull’esecuzione. Se trascorso tale periodo lo stato sponsor non assicura le misure di rimpatrio di cui sopra il rimpatrio diventa ricollocamento: si procede non più al rimpatrio del cittadino del paese terzo ma al ricollocamento del migrante dello stato terzo nel territorio dello stato sponsor. Anche qui tuttavia potrebbe essere sufficiente la mera segnalazione dello stato sponsor che il cittadino del paese terzo potrebbe rappresentare un pericolo per la sicurezza interna per potersi rifiutare di eseguire il ricollocamento. È opportuno dunque analizzare ora più nello specifico la Proposta di regolamento concernente le situazioni di crisi e di forza maggiore.

 

regolamento sullo screening

Ma cos’è questa “crisi”?

Con la nozione di crisi si intende l’esistenza di una situazione eccezionale di afflusso massiccio di cittadini di paesi terzi arrivati in uno stato membro oppure un numero elevato di sbarchi che interessa uno stato UE in esito ad operazioni SAR – Search and Rescue – la cui entità in proporzione all’indice demografico e al prodotto interno lordo di quello stato rende inefficace il suo sistema di asilo e di accoglienza e potrebbe implicare gravi conseguenze sul funzionamento del sistema comune d’asilo in ambito europeo.

Va preliminarmente sottolineato che non vi è nel testo del regolamento alcun riferimento circa le misure che lo stato membro abbia messo effettivamente in campo per gestire i flussi migratori e per prevenire la situazione di crisi. Tale omissione come è facile intuire lascerebbe un ampio margine alla possibilità degli stati membri di strumentalizzare l’attivazione dei meccanismi che discendono dalla situazione di crisi con il chiaro intento di impedire l’ingresso dei migranti nel proprio territorio.
Nel caso di crisi la procedura si struttura in tal modo: lo stato membro presenta una richiesta motivata alla Commissione che – in base alle informazioni che essa stessa provvede a raccogliere, alle informazioni raccolte dall’Eauu e ovviamente a quelle di Frontex – valuta se la richiesta dello stato di crisi sia fondata. Qualora venga ritenuta tale la Commissione emana un atto di esecuzione dello stato di crisi senza che però alcun soggetto esterno e indipendente possa compiere attività di monitoraggio o contestazione in riferimento a tale decisione.

In concreto con l’atto di esecuzione la Commissione autorizza lo stato membro all’applicazione di particolari misure relative alle procedure d’asilo e di rimpatrio per un periodo di 6 mesi estendibile a 1 anno. Infatti il termine per la sola registrazione delle domande d’asilo in caso di crisi potrà essere esteso fino a 4 settimane e prorogato fino a 12 settimane! Il sistema è alquanto pericoloso poiché inevitabilmente vi sarebbero garanzie più limitate in merito ai diritti dei richiedenti asilo considerato che tutta la procedura della richiesta d’asilo in situazione di crisi verrebbe comunque svolta in frontiera e in una condizione di privazione della libertà per tutti i cittadini la cui nazionalità in questo caso vede un tasso di riconoscimento della protezione pari o inferiore al 75 per cento.

Inoltre, anche il rimpatrio sarebbe previsto in frontiera: in questo caso i tempi dell’intera procedura che prevede sempre una condizione di trattenimento dell’individuo – data anche la novità dell’introduzione della presunzione del rischio di fuga del migrante – potrebbero ulteriormente estendersi a livello temporale. Se a fronte di tale svuotamento dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo tuttavia ci si vuole davvero impegnare a trovare degli aspetti positivi di tale procedura – che comunque non bilanciano tale compressione delle tutele giuridiche dell’individuo – questi possono ravvisarsi nella previsione della concessione di una nuova forma di protezione: ossia la cosiddetta “protezione immediata” e nel «rafforzamento dei meccanismi di solidarietà» (art. 2) ma solo se la crisi è in atto e non se vi è un rischio imminente di crisi, nonostante anche il rischio sia compreso nell’art. 1 che definisce l’ambito di applicazione del regolamento. Rispetto al rafforzamento dei meccanismi di solidarietà: i ricollocamenti in questo caso verrebbero previsti

«anche se i richiedenti asilo sono sottoposti alla procedura di frontiera; ai migranti irregolari; a coloro ai quali è concessa la protezione immediata e infine alle persone sottoposte a misure di rimpatrio sponsorizzate da un altro stato membro».

La protezione immediata invece è concessa agli sfollati esposti a un rischio eccezionalmente alto di subire violenza indiscriminata nel proprio paese e se non possono farvi ritorno. Dopo che la Commissione infatti – per mezzo di una decisione di esecuzione – dichiara l’esistenza di una situazione di crisi sulla base degli elementi di cui all’art. 3 stabilisce la necessità di sospendere le domande di protezione internazionale – definendo il periodo di tale sospensione – e di concedere la protezione immediata.

Rispetto alla condizione di forza maggiore, al Considerando 7 del regolamento, si fa riferimento all’«esistenza di circostanze “anormali ed imprevedibiliin ambito migratorio che sfuggono al controllo degli stati membri e le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate neanche con l’impiego di tutta la dovuta diligenza». (La Commissione come esempi cita l’ipotesi dell’emergenza epidemiologica da Covid 19 e la crisi al confine tra Grecia e Turchia nel 2020).

Nel caso di “forza maggiore” tuttavia diversamente dallo stato di crisi la procedura non si attiva con una richiesta dello stato membro che deve passare al vaglio della Commissione bensì con una semplice «dichiarazione unilaterale dello stato» per cui appaiono ancora più evidenti i margini di discrezionalità che possono insinuarsi in tale procedura. Con la dichiarazione di una situazione di “forza maggiore” infatti lo stato dichiara che

«non sarà in grado di rispettare i termini per la procedura di richiesta asilo per cui potranno essere estesi fino a quattro settimane».

Non solo, rispetto al diritto del richiedente a una risposta in merito alla propria domanda d’asilo, lo stato

«dichiara che non sarà possibile rispettare i termini della procedura in termini di “presa (e ripresa) in carico” del richiedente e i limiti previsti per il trasferimento del medesimo verso lo stato competente in base al regolamento Dublino. Infine, lo stato dichiara che non sarà possibile rispettare neanche l’obbligo dell’attuazione delle misure di solidarietà che quindi potranno essere sospese fino a 6 mesi».

Anche in questo caso l’unico aspetto positivo è la previsione della concessione al migrante della protezione immediata – già menzionata con riferimento alla situazione di crisi – che deve essere concessa

«nell’evenienza della sospensione della domanda di protezione internazionale e sulla base della quale il cittadino del paese terzo possederà gli stessi diritti sociali ed economici del titolare di protezione sussidiaria».

In ogni caso al termine del periodo di sospensione gli stati dovranno valutare nel merito la domanda di protezione internazionale.

In conclusione, dall’analisi di tali proposte di regolamento sorprende non solo la mancanza, ancora una volta, di qualsiasi previsione di vie legali per l’accesso al territorio dell’Unione che non siano legate alla domanda di protezione internazionale – visto che in molti casi si presuppone la sua inammissibilità – ma quanti sforzi, e quali elucubrazioni ed acrobazie giuridiche si riescano a ideare pur di non rispettare principi fondamentali sui diritti degli individui che – prima ancora che nelle Convenzioni internazionali e nel diritto europeo – sono sanciti all’interno di ordinamenti nazionali come il nostro in particolare nella Costituzione all’art. 10 co. 3 e che i partiti nazionalisti qualificandosi come tali dovrebbero per coerenza rispettare e fare rispettare senza alcuna condizione di sorta in quanto principio immodificabile come deciso dai nostri padri costituenti.

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n. 18 – Tra mare e boschi alpini. La frontiera che uccide (II) https://ogzero.org/la-cancellazione-del-diritto-alla-mobilita/ Wed, 13 Apr 2022 19:20:10 +0000 https://ogzero.org/?p=7034 Movimenti secondari dei flussi migratori si riscontrano, oltre che tra Francia e Inghilterra, anche in prossimità dei confini italo-francesi, più specificatamente in Alta Val di Susa e a Ventimiglia. Nella frontiera Nordovest dell’Italia con la Francia si registra un’importante corrente migratoria che ogni anno nell’ultimo triennio ha visto il transito di circa 100.000 persone e […]

L'articolo n. 18 – Tra mare e boschi alpini. La frontiera che uccide (II) proviene da OGzero.

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Movimenti secondari dei flussi migratori si riscontrano, oltre che tra Francia e Inghilterra, anche in prossimità dei confini italo-francesi, più specificatamente in Alta Val di Susa e a Ventimiglia. Nella frontiera Nordovest dell’Italia con la Francia si registra un’importante corrente migratoria che ogni anno nell’ultimo triennio ha visto il transito di circa 100.000 persone e che vede intensificarsi la repressione poliziesca che bloccano gli autobus in transito, bloccano le persone in movimento in situazioni fatiscenti e pericolose, applicando la cancellazione del diritto alla mobilità grazie a una legislazione europea che va sancendo un po’ alla volta la cancellazione del Codice Schengen e il “collaborazionismo transfrontaliero” tra polizie. Fabiana Triburgo, Emilie Pesselier, Chiara Maugeri e Daniela Trucco uniscono le loro competenze e i loro materiali in questo articolo, corredato dalle riprese video girate da Stefano Bertolino fonte di notizie anche sul passaggio del Colle dell’Agnello e nella sua provvidenziale presenza sui Balzi Rossi nel 2015, lungo il confine meridionale italo-francese, che vede da un lato e dall’altro persone solidali e squadracce intolleranti.


La rotta secondaria Ventimiglia-Menton

La rotta migratoria dalla città di Ventimiglia alla città di Menton – primo avamposto del confine meridionale francese con l’Italia – viene percorsa sia con il treno che transita tra le stazioni delle due città, sia in macchina – principalmente avvalendosi dei passeurs e infine a piedi mediante il cosiddetto “Passo della Morte”, il sentiero non indicato sulle cartine topografiche – in prossimità della località italiana di Grimaldi, frazione del comune di Ventimiglia – che attraversa Francia e Italia e che in passato ha visto il passaggio dei migranti provenienti dal conflitto civile dell’ex Jugoslavia ma anche quello di persone che più generalmente fuggivano da persecuzioni come Sandro Pertini da quella fascista e gli ebrei da quelle razziali del 1938.

Mappa della zona con indicati gli uffici della polizia di frontiera italiana e francese, il posto di sostegno Kesha Niya, il passaggio del Passo della Morte e il valico di confine Ponte San Ludovico. Fonte: Serena Chiodo e Anna Dotti (Rosa Luxembourg Stiftung, Bruxelles).

L’imbuto che raccoglie rotta balcanica e mediterranea

La rotta è percorsa prevalentemente da migranti provenienti dall’Africa subsahariana dopo aver attraversato la rotta del Mediterraneo centrale ed essere transitati o aver soggiornato in Italia; minore invece è la percentuale al momento dei migranti che tenta di percorrerla dopo aver attraversato quella dei Balcani – soprattutto cittadini afghani. Il motivo prevalente che caratterizza i movimenti secondari, tuttavia, è quello di legami familiari o affettivi che evidentemente non vi sono nel primo paese di approdo.

Nell’analisi delle caratteristiche peculiari di tale rotta secondaria è opportuno porre attenzione alla nuova proposta di modifica normativa del Codice frontiere Shengen avanzata dalla Commissione europea il 14 dicembre del 2021.

Disposizione di legge: cancellare il diritto alla mobilità

L’intenzione di chi scrive è quella di dare un contributo di sensibilizzazione rispetto a un contingente tentativo di aggiramento delle normative europee e internazionali vigenti, attraverso l’introduzione di nuove disposizione di legge volte a impedire in ogni modo i flussi migratori all’interno del territorio dell’Unione; non solo quindi alle frontiere esterne – come si è visto nella maggior parte degli articoli riguardanti le attuali correnti migratorie – ma anche a quelle interne all’Unione, come già parzialmente approfondito anche nel precedente articolo riguardante il confine italo-francese Oulx-Monginevro/Briançon. La proposta infatti, qualora venisse approvata dal Parlamento e dal Consiglio europeo, potrebbe essere foriera di importanti conseguenze giuridiche, sia rispetto al Regolamento Dublino – più specificatamente in merito al trasferimento di un cittadino di un paese terzo da un paese all’altro dell’Unione – sia in relazione a un maggior ricorso a dispositivi di alta tecnologia per il tracciamento dei movimenti secondari – con scarsa tutela dei diritti della persona – sia infine a una maggiore attribuzione di poteri alla cooperazione delle forze di polizia dei paesi membri nelle zone di frontiera già interessate da numerosi respingimenti, con riferimento al confine italo-francese circa 24.000 nell’anno 2021. Non solo, cambierebbe la condizione di legittimità di una serie di situazioni di fatto consolidatesi a livello geopolitico – al momento solo considerate cattive prassi – che coinvolge in particolare in questo caso il confine italo-francese a Ventimiglia/Menton e a Oulx/Briançon (oltre a quello austro-sloveno e austro-tedesco) interessato negli ultimi anni da un ripristino continuo dei controlli temporanei alle frontiere interne da parte della Francia. Tale analisi giuridica – pur se chiaramente limitata – è doverosa visto che ancora oggi indirettamente si consente che un migrante possa morire folgorato al di sopra di un treno in viaggio dalla stazione di Ventimiglia o come accaduto per due migranti deceduti il 2 aprile scorso, essere travolti da un furgone nell’autostrada A20 a Bordighera, la città appena prima di Ventimiglia andando verso Nizza – nel tentativo disperato di attraversare il confine tra due paesi membri dell’Unione.

Pattugliamento bilaterale e cooperazione poliziesca transfrontaliera

Tali argomentazioni acquisiscono una valenza ancora più grave se si pensa che il transito delle merci e dei servizi – diversamente da quello delle persone – non registra alcun tipo di controllo alle frontiere interne dell’Unione e ciò nonostante entrambi i movimenti – secondo la versione ancora attuale del Codice Shenghen (n. 399 del 2016) – siano ugualmente sottoposti al principio di libera circolazione. Si pensi che a partire dal 2015 – anno in cui diversi paesi sono stati interessati dal flusso di “importanti” movimenti migratori e nel quale si è registrata la crisi del sistema Shengen, Francia, Germania e Austria – nonostante il limite di 2 anni previsto per la reintroduzione degli stessi – hanno ripristinato per ben 268 volte i controlli alle frontiere interne, facendo ricorso ad accordi bilaterali di riammissione e di cooperazione delle diverse forze di polizia, come il già citato accordo di Chambery, tra Francia e Italia, applicato ovviamente anche ai flussi migratori di cittadini terzi dell’Unione che transitano sulla rotta Ventimiglia-Menton, ora sotto la lente di questa analisi. La Commissione tuttavia, anziché impedire tali prassi illegittime, con la proposta di modifica normativa del regolamento Shengen del dicembre 2021, le ha consolidate – e questo si evince sia dai “considerando” che dall’“articolato” della presente proposta legislativa – stabilendo da una parte che la decisione del ripristino dei controlli alle frontiere possa essere adottata dagli stati anche unilateralmente, senza ancora prevedere alcuna sanzione in caso di proroga continua dei controlli, dall’altra spingendo affinché gli stati ricorrano sempre più a misure alternative al controllo delle frontiere interne.

La polizia respinge con la violenza i migranti al confine italo-francese.

Tra queste in primo luogo si annovera (al considerando 25) il pattugliamento bilaterale dei confini e la cooperazione transfrontaliera delle forze di polizia che si precisa possa portare – rispetto ai movimenti secondari – ai medesimi risultati del ripristino dei controlli.

Inoltre (al considerando 26), con una contestuale proposta di modifica della direttiva rimpatri (2008/115/CE) – più specificatamente l’art.6 paragrafo 3 che così modificato prevede la facoltà per gli stati di concludere nuovi accordi e intese bilaterali da notificare alla Commissione – viene di fatto introdotta la legittimazione delle riammissioni informali (al momento oggetto di diversi procedimenti giurisdizionali tra cui quello pendente dinanzi al Tribunale di Roma riguardante le riammissioni attuate al confine italo/sloveno e momentaneamente sospese)trasformandole in “formali”, mediante le disposizioni normative che prevedono il rilascio di una copia del provvedimento alla persona con la possibilità di presentar ricorso ma senza che questo abbia un effetto sospensivo del provvedimento di riammissione (Procedura di cui all’allegato XII al codice frontiere Shengen punti 5,6,7).

Legittimato arbitrio

Verrebbe in questo modo dunque resa legittima la possibilità di trasferire i migranti da uno stato membro all’altro, qualora venissero intercettati in prossimità di un confine interno. Al riguardo si sottolinea quanto labile sia l’espressione “cittadino di un paese terzo fermato nelle immediate vicinanze delle frontiere interne” (contenuta nell’articolo 23 bis – “Procedura per il trasferimento di persone fermate alle frontiere interne”) rispetto a un’eventualità così compressiva della libertà del migrante quale quella di essere riammesso nello stato di provenienza. Si incentiva inoltre l’utilizzo della sorveglianza tecnologica delle frontiere interne che secondo la Commissione, non deve essere equiparato al controllo delle frontiere (considerando 21), ragione per cui l’impiego di droni e di scansioni termiche – utilizzati spesso per controllare le aree e i confini – non sarebbe soggetto a tutti quei limiti temporali e motivazionali previsti invece per il ripristino dei controlli dei confini interni. Nello specifico si aggiunge che le attività di controllo effettuate sulla base di tecnologie di monitoraggio e sorveglianza generalmente utilizzate nel territorio al fine di affrontare le minacce alla sicurezza pubblica o all’ordine pubblico «non sono assimilabili ai controlli alle frontiere interne, senza però stabilirne i limiti della loro applicazione» (art. 23).

Frontex: il diritto d’asilo a rischio valutazione

Altra questione da sottolineare è l’accresciuto ruolo che viene conferito da tale proposta di modifica ad alcune istituzioni dell’Unione. In base all’art. 27 – come emendato dalla proposta – qualora il ripristino temporaneo dei controlli sia legato a «movimenti secondari di persone prolungati nel tempo, la notifica relativa a essi deve essere sì svolta dallo stato membro ma deve includere qualsiasi informazione che derivi dalle agenzie interne all’Unione: Frontex appunto. Essendo l’agenzia UE specificatamente demandata a svolgere la Risk Assessment (la valutazione dei rischi) dei movimenti secondari».

Non è difficile comprendere come questo possa essere particolarmente pericoloso per il rispetto del diritto d’asilo alle frontiere.

Inoltre all’art. 28 si prevede un nuovo ruolo di impulso della stessa Commissione nelle ipotesi di ripristino temporaneo dei controlli, in particolare nei casi in cui vi sia una minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna che riguardi la maggioranza degli stati membri e che metta a repentaglio il funzionamento globale dello spazio Shengen: in questo caso la Commissione può presentare essa stessa al Consiglio una proposta per l’adozione di una decisione di esecuzione che autorizzi il ripristino dei controlli alle frontiere interne. L’unico punto di tale macchinoso impianto normativo – che lascia la possibilità di muovere contenziosi strategici relativi ai controlli che oggi si basano sul racial profiling (profilo razziale) riguardanti anche il confine italo-francese di Ventimiglia – è quello del succitato art. 23 (al punto iii) attraverso il quale la Commissione, invitando gli stati a implementare le misure alternative, ossia i controlli di polizia transfrontaliera, stabilisce che questi non possano essere considerati controlli alle frontiere interne solamente se pensati ed eseguiti in maniera distinta dai controlli sulle persone alle frontiere esterne dell’Unione, «anche nell’ipotesi in cui vengano attuati alle stazioni degli autobus o più genericamente nei poli di trasporto che collegano i vari stati o a bordo dei servizi dei passeggeri». È noto invece che al confine Ventimiglia/Menton, a partire dal 2015, si attuino sistematicamente respingimenti dei migranti alla frontiera dalla Francia e vere e proprie deportazioni dall’Italia nei Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) collocati in altre regioni come quelli di Taranto o di Torino. Rispetto a quest’ultimo si ricorda Musa Balde il ragazzo guineano di 23 anni morto suicida nel maggio del 2021 nel Cpr di Torino dopo essere stato vittima di una grave violenza in strada proprio a Ventimiglia. Rispetto ai respingimenti l’attività di osservazione collettiva e di sostegno ai migranti alla frontiera Ventimiglia/Menton è svolta dal già citato CAFI – Coordination d’actions aux frontières intérieures, in partenariato con l’Anafé – Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers.

Il supporto legale ai migranti e i rigetti dei loro ricorsi

L’Anafé svolge tanto un’attività operativa di osservazione e di supporto legale per i migranti alla frontiera quanto un’attività di tipo politico ossia di advocacy e sensibilizzazione rispetto ai respingimenti contraddistinti dai Refus d’entrée e ai trattenimenti alla frontiera eseguiti dalla Paf (Police aux frontières). Nello specifico l’avvocato Emilie Pesselier coordinatrice dell’Anafé durante la riunione online organizzata a marzo con la dottoressa Chiara Maugeri di Médecins du Monde – ex coordinatrice del programma di migrazione alla frontiera transalpina – ha riferito che, a partire dal 2015, quando la Francia ha “chiuso le frontiere” è iniziata l’attività di sostegno e accompagnamento, rispetto ai contenziosi individuali dell’associazione a favore dei migranti che si affianca ad attività di formazione sul quadro normativo vigente in materia. Dal 2017 si registra la denuncia delle violazioni dei diritti da parte dell’Anafé rispetto alle intercettazioni dei migranti compiute dalla Paf che notificando il refus d’entrée – senza alcun rispetto dei diritti di informazione come quello alla mediazione culturale e all’assistenza legale – respingono i migranti direttamente verso l’Italia o li accompagnano alla stazione di polizia a Menton qualora i respingimenti non possano essere eseguiti – ossia dalle 19 alle 7 di mattina – perché, essendo chiusa la stazione di polizia italiana, la riammissione da parte dell’Italia non sarebbe possibile.

Si specifica che nell’attesa che la polizia italiana sia nuovamente “disponibile”, i migranti pernottano esposti alle intemperie in strutture prive delle superfici di copertura, sprovviste di servizi igienici, senza accesso all’acqua e in condizioni di promiscuità tali da non consentire il distanziamento sociale previsto per il virus da Covid 19. L’avvocato Pellier ha poi segnalato due importanti pronunce emesse dai tribunali francesi: in particolare dal Tribunale amministrativo di Nizza e dal Consiglio di stato francese. Con la sentenza n. 1800699 del 23 febbraio 2018 il Tribunale amministrativo di Nizza, dietro a un ricorso che aveva per oggetto un provvedimento di non ammissione nel territorio francese, ha dichiarato l’illegittimità dello stesso da un lato per il mancato rispetto del diritto fondamentale a richiedere asilo dall’altro per l’assenza di protezione in Francia per i minori stranieri non accompagnati, sistematicamente respinti verso l’Italia dalla Paf senza alcuna considerazione rispetto alla loro minore età.

Tuttavia, nonostante tale pronuncia va detto che continuano i respingimenti dei minori stranieri che siano accompagnati o meno.

Respingimenti!

Al riguardo è necessario richiamare un’altra sentenza riguardante il ricorso presentato da una donna straniera respinta alla frontiera con il figlio di cinque anni dalla Paf: in questo caso a pronunciarsi è il Consiglio di stato francese che ha rigettato il ricorso con l’ordinanza n. 440756 del primo luglio del 2020, sostenendo nelle argomentazioni che al confine italo-francese sia rispettato il diritto d’asilo potendo la donna presentare la sua domanda in Italia! Per di più a tale pronuncia si è fatto riferimento al fine di rigettare successive richieste di liberazione provvisoria di alcuni richiedenti asilo respinti, con il pretesto che non fosse soddisfatta alcuna esigenza per l’adozione di una decisione di urgenza – avendo questi libero accesso alla domanda d’asilo in Italia.

Da allora le persone respinte alla frontiera non hanno avuto più alcuna possibilità di presentare ricorsi urgenti ma solo nel “merito” dinanzi al tribunale competente ossia facendo ricorso a procedure che possono durare fino a due anni prima dell’emissione di una pronuncia.

La vicenda legata ai respingimenti al confine Ventimiglia/Menton, quando la Francia ha ripristinato i controlli alle frontiere nel 2015, ha chiaramente dispiegato i suoi effetti anche in Italia accendendo però un esempio di resistenza memorabile da parte della società civile e dei migranti stessi unitisi nel presidio No Borders in contestazione delle politiche di riammissione, da parte della polizia italiana in collaborazione con la polizia francese e più in generale delle politiche europee in ambito migratorio. Il presidio è stato considerato da Guglielmo Mazzia nel libro Presidio permanente No Borders Ventimiglia. Diario 13 giugno/30 settembre, uno dei più potenti e vincenti eventi politici degli ultimi anni. La ricostruzione delle origini del Movimento è stata possibile grazie al professor Broglio autore del libro Bucare il confine al quale si rimanda e il giornalista Stefano Bertolino, autore di alcuni reportage, uno dei quali famoso perché l’agente digos ripreso riassumeva tutta la brutalità offensiva dei metodi polizieschi.

Per individuarle occorre tornare indietro all’11 giugno del 2015 quando, in seguito al G7 dello stesso anno tenutosi in Baviera, la Francia ripristina improvvisamente i controlli alle frontiere interne iniziando a respingere circa 80 migranti al giorno: la Paf li identifica e – a volte anche sulla base di uno scontrino di un acquisto in Italia in possesso del migrante – decide per il loro respingimento appellandosi al succitato accordo di Chambery del 3 ottobre del 1997 e al Regolamento Dublino che come detto individua la competenza degli stati membri dell’Ue a trattare la domanda d’asilo sulla base del criterio del primo paese di arrivo del migrante.

Dopo l’estate 2015: tra Balzi Rossi e Campo Roja

I migranti decidono per questo di occupare gli scogli, i cosiddetti Balzi Rossi al confine tra i due paesi, dando vita alla protesta We are not going back; la Gendarmerie schiera quindi i blindati mentre da Ventimiglia non transitano più i treni verso la Francia accrescendo la presenza di migranti bloccati nella stazione. Nei giorni successivi, con l’arrivo della digos e della polizia in assetto antisommossa con scudi e manganelli, il presidio No Borders diviene un presidio permanente. Tuttavia, il 16 giugno del 2015 la polizia alla presenza dei media italiani procede allo sgombero della scogliera e i migranti vengono deportati sulle macchine della polizia italiana e sui pullman della Croce Rossa verso la città di Ventimiglia. Con la manifestazione non autorizzata del 20 giugno dello stesso anno contraddistinta dallo striscione “Siamo tutti cittadini del mondo no frontiere, no borders” iniziano le deportazioni dei migranti nei Cpr del Suditalia ma si unisce anche il supporto al presidio del collettivo di Bologna Eat the Rich. L’8 agosto si tiene l’assemblea nazionale sostenuta da varie associazioni e ong tra cui Médecins du Monde, Amnesty International e Arci Camalli Imperia. Il sindaco Ioculano nel mentre si dimette dal Pd denunciando la mancata posizione politica del partito sulla vicenda e chiede per l’ennesima volta al ministro degli Interni Alfano lo sgombero definitivo del presidio e del campo.

Il mese successivo tuttavia anche il Consiglio regionale della Liguria si schiera per lo sgombero del presidio che inizia il 30 settembre del 2015 con l’intervento della polizia italiana. Ai Balzi Rossi cittadini europei e migranti continuano l’occupazione resistendo per 12 ore fino a quando si concretizza un accordo: i migranti verranno rilasciati senza essere identificati e i manifestanti europei verranno portati in questura. Il presidio commenta così la sua “fine”: «Hanno distrutto un luogo, una casa, un riparo per molti. Hanno distrutto un presidio ma non un percorso di lotta perché Ventimiglia non è solo un luogo. Ventimiglia è un’idea di resistenza che poggia su una rete di solidarietà consolidata in questi 3 mesi e mezzo e che nessuna ruspa e nessuno sgombero riuscirà a smantellare». Da quel momento in poi vi saranno diversi tentativi di riorganizzazione: tra questi si segnalano sia i campi informali presso la chiesa di San Nicola e quella delle Gianchette, sia l’accoglienza del Campo Roja aperto il 16 luglio del 2016 e a oggi uno dei simboli del fallimento della coordinazione politica tra municipalità, prefettura e ministero degli Interni con riferimento alle politiche di accoglienza a Ventimiglia. Rispetto a ciò si sottolinea il contributo della dottoressa Daniela Trucco ricercatrice presso l’Università di Nizza e le testimonianze della dottoressa Annalisa Trombetta. In particolare, la dottoressa Trucco ha sviluppato un’analisi dell’amministrazione della città di Ventimiglia nel periodo di tempo intercorrente dal 2014 al 2019, comprese le ronde civiche di cittadini in opposizione al transito e bivacco coatto dal respingimento dei migranti.

La conseguenza dei continui rapporti altalenanti di cooperazione e opposizione tra prefettura e amministrazione comunale si evidenzia soprattutto rispetto alla gestione del sistema di accoglienza cittadino a favore dei migranti.

In conseguenza del ripristino dei controlli alle frontiere interne della Francia, infatti, sono stati aperti tre centri di accoglienza: quello emergenziale nel giugno del 2015 su mandato della prefettura e d’intesa con il Comune e con la compagnia ferroviaria, gestito dal Comitato regionale della Croce Rossa e chiuso nel maggio del 2016 proprio su iniziativa dell’amministrazione comunale; quello aperto con il benestare del vescovo di Ventimiglia-Sanremo Antonio Suetta a fine maggio del 2016 e chiuso nell’agosto del 2017 – inizialmente tollerato sia dal Comune che dalla Prefettura – sulla base di un’ordinanza emessa dal sindaco Enrico Ioculano e infine il Campo Roja aperto dalla Prefettura nel 2016, in collaborazione con l’allora amministrazione comunale guidata dal sindaco Ioculano (nonostante sia stato firmatario di discutibili ordinanze relativamente all’accesso a cibo e acqua da parte dei migranti), collocato ai margini della città e gestito sempre dalla Croce Rossa italiana ma definitivamente chiuso il 31 luglio del 2020, su richiesta della Prefettura, dal sindaco Scullino appartenente alla coalizione di centro-destra, rieletto nel 2019 dopo aver governato la città dal 2007 al 2012.

La conseguenza di tale decisione ormai da due anni è nota ma volutamente non visibile come sempre accade in tali circostanze: i migranti oggi si trovano a vivere ai margini della città riuscendo ad accedere ai beni essenziali soltanto tramite la Caritas diocesana, stazionando in prossimità delle rive del fiume Roja ed esposti ai pericoli derivanti dai periodici straripamenti, nell’abbandono totale delle istituzioni in mezzo ai rifiuti in accampamenti definibili più che informali, improvvisati.

È la quiete agghiacciante e senza riflettori, nostalgica di quella tempesta di resistenza che per un breve periodo aveva posto attenzione alla sofferenza degli individui su questa rotta cercando di elevarla a strumento per l’affermazione di diritti che ancora oggi però evidentemente restano incompiuti.

L'articolo n. 18 – Tra mare e boschi alpini. La frontiera che uccide (II) proviene da OGzero.

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