capitalismo Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/capitalismo/ geopolitica etc Fri, 30 Aug 2024 11:12:03 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 Mercantilismo europeo https://ogzero.org/studium/mercantilismo-europeo/ Thu, 08 Aug 2024 22:43:25 +0000 https://ogzero.org/?post_type=portfolio&p=12904 L'articolo Mercantilismo europeo proviene da OGzero.

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Manchester al centro del vertice europeo

Nella storia della tratta transatlantica delle persone africane schiavizzate, la città di Liverpool (capitale della contea di Merseyside) ha svolto un ruolo di primo piano, insieme alla vicina Manchester (Cottonopolis). Un porto (Liverpool) che ha beneficiato direttamente del traffico di esseri umani, riuscendo ad accumulare enormi fortune e sviluppando la propria economia al costo della vita di milioni di persone.

Prima di parlare però di Liverpool, dobbiamo fare un passo indietro e cercare di capire come il Regno Unito abbia iniziato a giocare un ruolo determinante nel commercio triangolare, nome che storicamente viene dato alla rotta commerciale stabilita nell’Oceano Atlantico dal Diciasettesimo al Diciannovesimo secolo: una rotta che se vista sulla mappa, disegna una figura simile a un triangolo tra Africa, America e Europa.

Come per Gorée e Salvador de Bahia, i nuovi orizzonti geografici aperti dalle spedizioni marittime delle grandi potenze europee avevano stabilito nuove rotte, creando le basi per una fiorente rete di rapporti economici che vedeva l’Europa al centro. Gli apripista di questa nuova forma di espansione coloniale furono i portoghesi che crearono la loro base operativa in Brasile e che istituzionalizzarono il commercio di persone africane schiavizzate (in Portogallo a Lagos si istituì infatti il primo mercato europeo degli schiavi). Dopo i lusitani, fu la volta degli spagnoli e dei francesi che avevano già stabilito delle colonie in America continentale e nelle Antille, e che puntavano alla sostituzione della manodopera indigena (gli indigeni vennero sottoposti a un regime di tale sfruttamento che intere popolazioni vennero sterminate in pochi decenni) con quella dei neri africani schiavizzati. Infine dal Seicento, furono gli Inglesi, la Repubblica delle Sette Province Unite (Olanda, Zelanda, Utrecht, Gheldria, Overijssel, Frisia, e Groninga) e la Francia in piena auge, a togliere il monopolio del commercio schiavista al Portogallo, diventando così i nuovi protagonisti del commercio triangolare sull’Atlantico.

Le carte dilatano gli orizzonti… e moltiplicano le Compagnie

Da un lato, la scoperta della possibilità di poter circumnavigare l’Africa (l’arrivo al Capo di Buona Speranza da parte del portoghese Bartolomeu Dias il 12 marzo 1488) aveva aperto la “corsa” verso le ricchezze dell’India, provocando il fiorire di numerose Compagnie europee di navigazione e commerciali. Multinazionali dell’epoca che iniziarono a stabilire basi di scambio e rifornimento (e anche forti militari) lungo la costa africana, soprattutto in Africa occidentale. In questo caso, come già segnalato, l’apripista fu il Portogallo (con gli insediamenti a Sao Tomé e Principe, Fernão do Pó, l’isola di Gorée, Angola, Mozambico o Zanzibar), al quale si accodarono la Repubblica delle Sette Province Unite (Colonia del Capo, oggi in Sudafrica) e successivamente la Francia e il Regno Unito. Si trattava all’inizio di basi di appoggio, senza la pretesa di espandere il controllo delle potenze europee verso l’interno del continente africano (dove gli arabi da anni controllavano le rotte commerciali), espansione che arriverà solo in pieno 1800, ratificata posteriormente alla conferenza di Berlino del 1914, dove l’Africa venne spartita tra Francia, Regno Unito, Belgio, Portogallo, Spagna, Italia e Germania. In questo senso è importante ricordare che prima della Grande Guerra 1914-1918 (conosciuta successivamente come Prima guerra mondiale) esistevano solo due territori indipendenti in Africa: Etiopia e Liberia.

European colonial possessions in Africa, from 1600s to 1922. Figure provided by Kevin Tervala of Baltimore Museum of Art.

Dall’altro la rotta aperta da Cristoforo Colón verso il “Nuovo Mondo” nel 1492, una terra che il navigante genovese era convinto fossero le Indie e che cominciò a chiamarsi America (in onore del navigante Amerigo Vespucci) solo con la mappa del cartografo tedesco Martin Waldseemüller del 1507.

Fu in quel momento storico, con l’apertura di queste due rotte, che si posero le basi per il futuro commercio triangolare. Le stesse potenze che si disputavano le basi africane iniziarono la conquista del “Nuovo Mondo” dove però in questo caso l’apripista era stata la Spagna

Liverpool e Manchester: come la Gran Bretagna ha fondato il suo benessere sul traffico e sfruttamento degli schiavi

British delivery: le prime consegne di materiale umano

I primi africani ad arrivare nelle colonie che l’Inghilterra stava cercando di stabilire in Nordamerica, furono un gruppo di circa 20 persone schiavizzate che arrivarono nell’agosto del 1619 a Point Comfort, Virginia (vicino a Jamestown): persone (merce) sottratte da corsari britannici a una nave negriera portoghese. Fu l’inizio dell’orrore, il primo passo per la creazione della più grande e massiva impresa di disumanizzazione che la storia ricordi, operata dalla corona britannica e da uno stuolo di commercianti senza scrupoli.

The Maroons In Ambush On The Dromilly Estate In The Parish Of Trelawney, Jamaica (1810)

Un altro importante spartiacque storico si ebbe pochi anni dopo con la conquista della Giamaica da parte del Regno Unito ai danni della Spagna. Fu infatti nel 1655, quando una spedizione britannica guidata dall’ammiraglio Sir William Penn e dal generale Robert Venables riuscì a impossessarsi dell’isola, iniziando una guerra che in 5 anni eliminò ogni resistenza spagnola ancora presente (ma non quella degli schiavi liberti, chiamati Maroons, che dettero molto filo da torcere agli inglesi). La Giamaica iniziò a essere uno dei grandi “laboratori” britannici della sottomissione e sfruttamento delle persone schiavizzate dall’Africa, considerando che la popolazione dell’isola crebbe da poche migliaia al loro arrivo – alla metà del Diciassettesimo secolo – fino a 18.000 nel 1680: a quella data un abitante su due degli abitanti dell’isola erano persone schiavizzate.

 

Mare britannicum

In questo contesto venne redatto il Navigation Act del 1660, un documento che stabiliva che solo le navi di proprietà inglese potevano entrare nei porti coloniali della corona britannica. Sempre nel 1660 Carlo II concesse uno status speciale alla Company of Royal Adventurers Trading to Africa, compagnia guidata da suo fratello minore Giacomo, il duca di York (in seguito Giacomo II). Questa compagnia poteva contare sul monopolio del commercio britannico con l’Africa occidentale (che includeva oro, argento e schiavi) però fallì nel 1667 a causa di numerosi debiti accumulati. Nel 1672 tuttavia la compagnia venne ricreata, con un nuovo beneplacito reale e con il Royal African Company (Rac).

Possiamo vedere dunque che la monarchia britannica sostenne fin dall’inizio lo sfruttamento del continente africano e la tratta degli schiavi, molti dei quali venivano marchiati a fuoco con le lettere DOY, a significare “proprietà del duca di York”. Ma la responsabilità non era solo dei re e della loro corte, ma anche degli uomini d’affari e della classe mercantile di Liverpool e di Cottonopolis (Manchester ricevette questo nome per essere la capitale mondiale del commercio del cotone che proveniva dalle piantagioni del Sud degli Stati Uniti, paese nato dalle 13 colonie inglesi che nel 1776 dichiararono la loro indipendenza). Senza gli schiavi la rivoluzione industriale non sarebbe stata ciò che è stata, così come ci ricorda Eric Williams nel suo libro del 1944 Capitalismo e Schiavitù.

Un libro che spiega come la schiavitù abbia contribuito a finanziare la rivoluzione industriale in Inghilterra e di come proprietari di piantagioni, costruttori navali e mercanti legati alla tratta degli schiavi accumularono vaste fortune che permisero la fondazione di banche e di numerose industrie europee, che amplificarono la portata del capitalismo in tutto il mondo.

☞le basi dell’annessione perpetua

 

Città del Mercantilismo Scousers Ransom in Liverpool Manchester
Gorée Maison des Esclaves Perpetua schiavitù Saint-Louis
Salvador de Bahia Pelourinho Sincretismo Elevador Lacerda

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]]> Il ruolino di marcia di un sistema basato sull’escalation bellica https://ogzero.org/il-ruolino-di-marcia-di-un-sistema-basato-sullescalation-bellica/ Fri, 23 Dec 2022 15:58:01 +0000 https://ogzero.org/?p=9888 La messinscena delle prime mosse per un negoziato Consumati un po’ di arsenali, uccise 250.000 persone tra civili e militari nella pianura sarmata, misurate alleanze e potenzialità di imporre la propria supremazia, sembra che 3 incontri contemporanei lancino segnali precisi alle cancellerie internazionali: Zelensky con il cappello in mano a Washington, Putin a organizzare le […]

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La messinscena delle prime mosse per un negoziato

Consumati un po’ di arsenali, uccise 250.000 persone tra civili e militari nella pianura sarmata, misurate alleanze e potenzialità di imporre la propria supremazia, sembra che 3 incontri contemporanei lancino segnali precisi alle cancellerie internazionali: Zelensky con il cappello in mano a Washington, Putin a organizzare le truppe a Minsk, Medvedev a ricevere ordini a Pechino. Bisogna trovare una nuova area dove proseguire la guerra ibrida mondiale con lo scopo di misurarsi in preparazione del redde rationem.

Come si è arrivati qui

Si sono definitivamente composti in un unico giorno (il primo del gelido inverno nella steppa di famose ritirate della Storia) gli schieramenti e i ruoli dei singoli in questa che, come si era capito dal 24 febbraio, era la prima fase di una lunghissima guerra ibrida tra potenze – intrecciate dalla medesima ideologia neoliberista che impone complicati legami – da combattere sulla estesa scacchiera globale, con interessi ed economie dipendenti l’una dall’altra, ma a un punto di rottura dato dall’impressione di essere equiparabili e dunque entrambe le fazioni ritengono di potersi candidare al controllo globale come potenza di riferimento: gli Usa a difendere la propria supremazia, le potenze non democratiche a proporre il loro modello di sviluppo – comunque all’interno della visione capitalista del mondo.

La disposizione sul palcoscenico

E allora si usano media e incontri per marcare il territorio in vista della lenta composizione della disputa. Localmente: Biden prepara il terreno a un nuovo piano Marshall da aggiungere agli 85 miliardi già erogati per ricostruire e “mangiarsi” l’Ucraina come gli Usa hanno iniziato a fare dal 2014 di Maidan, quando Kiev era un satellite di Mosca (ha cominciato a parlarne “Fortune” già il 7 dicembre).
Intanto i russi attivano anche Lukašenka per annettersi quanto più territorio possibile e fare da cuscinetto al confine con la Nato, arrivando alle trattative con il massimo risultato possibile («La Russia fornisce alla Belarus’ petrolio e gas a condizioni molto favorevoli e preferenziali», ha commentato Interfax a proposito della visita a Minsk, ma come fa notare “ValigiaBlu“, Putin ha dichiarato che avevano concordato di «dare priorità all’addestramento delle nostre truppe… ci forniremo reciprocamente le armi necessarie e produrremo insieme nuovo materiale militare… per l’eventuale uso di munizioni aviotrasportate con una testata speciale») e arrivando gradualmente all’annessione della Bielorussia. Ognuno potrà investire in piani di ricostruzione che faranno girare denaro utile per una nuova spirale virtuosa economico-finanziaria.
Globalmente la Cina si schiera, schermendosi – probabilmente anche per partecipare agli appalti – e senza impegnarsi direttamente in questa Prima guerra del confronto del mondo contro la Nato (che Trump aveva azzerato e Biden resuscitato, investendo una quantità di miliardi inimmaginabile), detentrice di una primazia in parte erosa dal multilateralismo di forze intermedie pronte a schierarsi in modo autonomo volta per volta, come la Turchia – appartenente alla Nato! – o l’India (due specchiati esempi di democratura), o anche i paesi del Golfo sempre più impegnati in attività di maquillage, ma anche di autonomizzazione dallo schieramento filoamericano.

«Servitor vostro»

Medvedev non è omologo di Xi, ma può ricevere indicazioni che tutte le diplomazie interpretano come invito a ritornare a una situazione in cui si possano scambiare merci con minori sanzioni o dazi; la guerra si deve spostare su altri piani, in modo che la Cina possa acquisire ulteriori avanzamenti; per uscire dalla sindrome del Giappone targata 1990 – incapace di progredire con lo stesso ritmo e quindi imploso nella sua scalata al cielo. Esistono altre potenze indopacifiche che stanno crescendo d’importanza e infatti si rinnovano i periodici scontri alla frontiera himalayana con l’India.

Lukashenka non è omologo di Putin, ma si adatta bene al ruolo di subordinato nella alleanza militare – utile per mostrare quel che resta dei muscoli di Mosca per arrivare a un primo negoziato che chiuda il contenzioso in quell’area, in attesa che si sposti altrove (e si stanno ammassando armi attorno all’Iran). Intanto è utile mostrare che almeno sulla Bielorussia il Cremlino può ancora contare ed è l’area che in questo momento è geograficamente fondamentale controllare e dove accumulare minacciosi missili logistici e strumenti ipersonici.

Zelensky non è omologo di Biden, ma è il terzo fantoccio (dagli occhi umani, non come quelli da killer come Putin nei folkloristici ritratti di Biden, fintamente gaffeur) che serve ai tre potenti della terra per lanciare messaggi agli altri due. Zelenski va a prendere gli spiccioli, oltre ai Patriot da schierare contro le dotazioni nucleari collocate contemporaneamente alla frontiera bielorussa dall’esercito russo, sapendo che poi arriveranno i soldi per la ricostruzione. E rilancia le richieste nel monologo al parlamento, mancava solo un elenco alla Leporello (ma questa volta come lista della spesa); dei tre incontri quello davvero mediatico e diffuso su ogni media è il kolossal americano, dove anche i dettagli come gli abiti indossati dai due protagonisti sono funzionali a lanciare messaggi precisi e assegnare ruoli. Zelensky è il buffone di corte in ogni senso, comprendendo pure la facoltà di asserire verità scomode, ovviamente a maggior lustro del monarca e Biden non è re Lear infatti Zelensky non ha mai la medesima statura, non solo fisicamente.

Uno schema bellico inesorabile

La concomitanza dei tre eventi non si configura come complotto globale di un’oligarchia che interpreta in modi diversi il neoliberismo e che quindi trova contrapposti gli interessi delle potenze che si misurano per spartire aree di influenza e ruoli in concorrenza e individuano volta per volta territori che si prestino al confronto perché si tratta di aree di crisi incancrenite (da anni si assisteva alle provocazioni sulle pipeline ucraine; il conflitto in Nagorno Karabakh da decenni volutamente irrisolto e costantemente rinfocolato dai vincitori; come quello del Kosovo, dove sta montando da un paio di mesi la tensione che cova dalla “fine” della guerra di Clinton tra opposti nazionalismi, coccolati apposta dai rispettivi riferimenti…); oppure nuovi protagonisti molto potenti e militarmente approvvigionati e minacciosi come le petropotenze emergenti che usano vetrine diverse – per ora strategicamente collegate con una facciata culturale (il marchio Louvre nel deserto in cambio dell’acquisto di Rafele e altre connessioni vantaggiose per Parigi), velata da megaeventi sportivi (il mondiale di football invernale, imposto a suon di corruzione e interpretando in modo ancora diverso il verbo unico capitalista) e che hanno una concezione del sistema socio-politico ancora più oligarchico e fondato sull’oppressione e la cancellazione della maggior parte dei diritti civili, usando la tradizione come collante per i poteri forti interni.

Automatismi di un ruolino di marcia bellico

Piuttosto che un accordo per svolgere ciascuno un ruolo in commedia distribuito da una regia collettiva (una pièce complottista), si può concepire questo snodo epocale come il processo innescato che non può non passare attraverso tappe inevitabili costituite da molteplici guerre. Quei conflitti che, finché non hanno coinvolto equilibri europei, erano rimasti nella percezione occidentale a bassa intensità, mentre ora si manifestano con distruzioni di arsenali e migliaia di vittime civili anche in Europa, non più solo nel Sud del mondo, dove si sparge il sale sulle ferite non rimarginate mai, per suppurare periodicamente e far esplodere furiosi combattimenti utili per sostituire localmente il predatore di turno: infatti Biden è stato spinto a finanziare potentemente il continente africano per tentare di contrastare la penetrazione di Cina, Turchia e Russia, proprio mentre non è ancora del tutto sopita la guerra in Tigray ed esplode un nuovo focolaio nel Sud dell’Etiopia per l’insorgenza dell’Oromia.

Un’ipotesi che si può avanzare sulla base delle prime mosse di incontri diplomatici ad alto livello tra non omologhi, che usano gli incontri per dettare la politica delle macrofazioni e assistere alla conseguente disposizione delle alleanze, è che si cerchi ora di comporre molto lentamente la questione ucraina, lasciandola però accuratamente non del tutto risolta; contemporaneamente preparando nuovi conflitti in aree significative per il confronto tra le maxipotenze, che possano montare ben più che per una proxy war, a impattare su una nuova emergenza (energetica, lievitando prezzi per fibrillazioni borsiste? religiosa, per induzione jihadista?…) e poi confrontarsi in un nuovo scacchiere (Taiwan?) più vicino al confronto diretto e risolutivo.

Il senso del capitalismo per la guerra

Dunque fa tutto parte della vera Guerra tra Usa e Cina, che non finirà se non trovando un’uscita dal sistema capitalistico, motore mobile che necessita e si alimenta di quel costante conflitto, perché il capitalismo ha bisogno sempre di incrementare il profitto, triturandovi tutto: industria del divertimento, alimentare, consumo di beni… industria bellica.

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