Canada Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/canada/ geopolitica etc Sun, 31 Dec 2023 00:27:59 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 Marca-paese: capitale coloniale vs ambiente panamense https://ogzero.org/studium/marca-paese-capitale-coloniale-vs-ambiente-panamense/ Fri, 01 Dec 2023 00:53:41 +0000 https://ogzero.org/?post_type=portfolio&p=11950 L'articolo Marca-paese: capitale coloniale vs ambiente panamense proviene da OGzero.

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Cancellare l’ambiente per cancellare la cultura indigena

Cortizo doble cara 3

Insomma, nonostante gli accordi raggiunti e il disinnesco momentaneo della boma sociale, si intravedeva già nell’estate del 2022 che il livore verso la figura di Cortizo e in generale verso le istituzioni, attraversava tutto il paese. La questione dell’alto prezzo dei beni di consumo di base rimane aperta e anche la scarsità di medicine (e l’altissimo costo di quelle reperibili) mantengono alta la tensione sociale nel paese. Come se questo non bastasse, con un pessimo timing, il presidente Cortizo aveva approvato il 20 giugno 2022 (dopo aver negato la possibilità di abbassare le tasse sui carburanti) degli sgravi fiscali per il settore alberghiero (legge 314 che modifica la legge 80 del 2012) diminuendo ancora di più la sua credibilità di fronte alla popolazione. Inoltre, lo scandalo già soprannominato McCallan 18 anni che ha visto come protagonisti alcuni deputati dell’assemblea (1° luglio 2022) ha gettato ancora più benzina sul fuoco e tolto credito alle istituzioni. Uno scandalo partito da un video diventato subito virale dove si vedono i deputati del Partido revolucionario democrático (Prd) celebrare con un bottiglia di whiskey McCallan che nel paese centroamericano costa (nei supermercati) quasi 400 dollari. La sensazione generale è quella dunque di una diffusa corruzione e di una continua malversazione del denaro pubblico ad appannaggio di pochi eletti e delle grandi imprese che si beneficiano di un sistemico e atavico clientelismo.

La celebración por la reelección como presidente de la Asamblea Nacional del diputado oficialista Crispiano Adames

Depredazione ambientale e capitalismo selvaggio come “marca paese”

Chi non conosce Panama potrebbe pensare che il contesto relativo a Minera Cobre Panama nella provincia di Colón sia un caso isolato. Purtroppo non è così. Il Ciam, Radio Temblor e altre piattaforme di attivisti che monitorano e difendono i diritti della popolazione denunciano da anni uno spietato e sistematico utilizzo del capitale, spesso straniero, per operazioni di trasformazione del territorio, rurale e urbano, con il fine di massimizzare i guadagni senza considerare nessun tipo di esternalità negativa per gli abitanti della zona.

Cancellazione della cultura Ngäbe-Buglé e del suo fiume Tabasará

In termini ambientali possiamo citare per esempio il caso della dura repressione sofferta dagli indigeni Ngäbe-Buglé, come mi è occorso raccontare mentre mi trovavo a Panama nell’autunno del 2021. Il 29 ottobre di quell’anno infatti un gruppo di indigeni del popolo Ngäbe-Buglé che ancora resistevano sulle rive deli fiume Tabasará, nella zona adiacente al progetto idroelettrico di Barro Blanco, fu sgombrato con la forza dalla polizia nazionale panamense. Uomini, donne, bambini e anziani rimasero gravemente feriti (Attenzione, immagini molto forti) dall’impatto di proiettili di gomma sparati dalle guardie in tenuta antisommossa.

Il corpo di polizia che ha sgombrato con la forza le famiglie della comunità indigena Ngäbe-Buglé (ottobre 2021) – Foto di Basilio Jiménez. Radio Temblor Internacional

Il Collecttivo Voci Ecologiche – Covec denunciò in un manifesto l’accaduto, sottolineando l’ipocrisia dell’operato dell’attuale presidente di Panama, Laurentino Cortizo, che proprio nei giorni successivi agli scontri, partecipò a Glasgow alla Cop26 parlando delle misure adottate dal suo governo per rispettare la natura e i popoli indigeni:

«Il nostro impegno inizia col rispettare i popoli originari e le nostre foreste, misure attraverso le quali proteggiamo il 33% della superficie del nostro paese», dichiarava Cortizo in Scozia.

Nel documento del Covec leggiamo però che:

«La realtà è esattamente il contrario e come se questo non bastasse il governo ha appena approvato il Decreto Esecutivo N.141 del 2021 che crea i Certificati di Accreditamento di Uso del Suolo in Aree Protette con il quale punta a riconoscere diritti di proprietà (e sfruttamento) dentro le aree protette. Una chiara evidenza che il business della terra viene realizzato a esclusivo vantaggio delle multinazionali e delle imprese estrattive».

Una ennesima manifestazione di uno stato che nella zona di Barro Blanco (Caña Blanca de Tolé, provincia di Chiriquí) non riconosce ai membri della comunità indigena Ngäbe-Buglé il loro diritto di abitare un territorio al quale sono legati ancestralmente. L’azione della polizia mirava a sfollare membri della comunità indigena che abitano quelle terre da anni, una zona di “pubblica servitù” e sulla quale pende un contenzioso amministrativo non ancora risolto. Molte di quelle famiglie sono inoltre doppiamente sfollate perché avevano già perso i loro terreni a seguito della creazione della diga sul fiume Tabasará: un megaprogetto che ruota intorno alla centrale idroelettrica di Barro Blanco e che ha inondato 250 ettari di territorio, “uccidendo” lo stesso Tabasará.

Disastro ecologico-culturale

Un fiume trasformato oggi in un lago artificiale, che si trova dentro la Comarca Ngäbe Buglé, divisione amministrativa territoriale creata con la legge numero 10 del 7 marzo 1997. Le comunità indigene che abitano la suddetta Contea hanno provato a salvarlo (senza riuscirci) e con lui tutto un ecosistema purtroppo spazzato via dal progetto. La resistenza è iniziata nel 2008 (anche se fin dagli anni Settanta gli indigeni si sono fortemente opposti a interventi di sfruttamento massivo del loro territorio ancestrale) ed è proseguita con sorti alterne per anni.
Il fiume era utilizzato per la pesca di sussistenza dalle popolazioni autoctone e non (che ottenevano così un’importante fonte di cibo); ma anche in quanto luogo di svago, come di venerazione – ricco di incisioni rupestri, come fonte di acqua potabile e come mezzo di accesso e trasporto di merci ad altre città.
Inoltre i boschi circostanti, intrinsecamente dipendenti dal fiume, fornivano carne per la popolazione, legname per case, mobili, tralicci e barche, piante medicinali, materie prime per la produzione di articoli per uso personale e commerciale (come cesti, cappelli e borse). Tra i luoghi colpiti dal progetto alcuni dei punti simbolo dell’organizzazione e incontro della comunità: spazi di grande simbolismo religioso, educativo e culturale della zona, dove tra le altre attività si insegnava alle nuove generazioni la lingua Ngabere. Qui di seguito un ascolto tratto dal sito “Indomables

“Hacer las letras hablar”.

Un granello di sabbia nell’ingranaggio?

Il 28 novembre, diversi settori sociali, organizzazioni sociali e cittadini sono scesi in piazza per celebrare la sentenza di incostituzionalità emessa dalla Corte suprema di giustizia contro il contratto della Legge mineraria 406. Più di un mese di resistenza e lotta nelle strade di diversi settori, che hanno visto i settori sociali schierati compattamente contro l’estrattivismo minerario, prospettando una serie di conseguenze a livello economico, ambientale, di diritti umani e di ingovernabilità socio-ambientale ed evidenziando la mancanza di trasparenza, la corruzione e il legame di alcuni rappresentanti del governo legati a membri della famiglia con scopi commerciali con l’impresa Minera Cobre Panama, hanno ottenuto una prima soddisfazione. Il granello di sabbia nel meccanismo estrattivista sarà più risolutivo dei suoi precedenti?

Questo il comunicato su Instagram di Minera Cobre Panama:

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Un post condiviso da Cobre Panamá (@cobrepanama)

Questa società operava dal 1997 attraverso un contratto di legge in cui non vi era alcuna partecipazione dei cittadini, con irregolarità anche nello studio di impatto ambientale.
Nel 2017 la Corte Suprema di Giustizia aveva emesso una sentenza, in cui se ne dichiarava l’incostituzionalità, tuttavia l’azienda e il governo centrale non si sono mai conformati a questa sentenza, che è diventata un oltraggio alla corte ed è rimasta lettera morta. La società Minera Panama ha continuato a esportare, sfruttare e operare in questa regione del paese, in particolare nel Corridoio Biologico Mesoamericano, dove esiste anche una ricca biodiversità e un’area protetta, oltre che una cultura comunitaria.

Dighe e discariche: uccisione del fiume Tabasará

to be continued (3)

¡Ya Basta extractivismo! Dighe e discariche Merci rivolte e infrastrutture La Zona del Canale Ancestralità e gentrificazione Casco Viejo – CauseWay – Artificial Island

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]]> ¡La tierra no se vende! ¡Se ama y se defiende! https://ogzero.org/studium/panama-la-tierra-no-se-vende-se-ama-y-se-defiende/ Wed, 29 Nov 2023 00:52:51 +0000 https://ogzero.org/?post_type=portfolio&p=11922 L'articolo ¡La tierra no se vende! ¡Se ama y se defiende! proviene da OGzero.

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Panama: un ecocidio senza fine

Devastazione mineraria: neocolonialismo canadese

¡Ya Basta extractivismo!

Nel mese di settembre 2023 sono cominciate a Città di Panama (e altre zone del paese) delle proteste, all’inizio solo di poche centinaia di persone, per manifestare il dissenso alla nuova espansione dei progetti minerari nella provincia di Colón. La concessione che ha scatenato il malcontento popolare riguarda un territorio di 12.000 ettari nel distretto di Donoso, un ecosistema che include una foresta protetta e che fa parte del corridoio biologico mesoamericano: un importante santuario per migliaia di specie animali e piante.

Pochi giorni prima , il 28 di agosto, era stato dato il via ufficialmente al dibattito parlamentare di un progetto di legge per la firma del nuovo contratto tra lo Stato panamense e la filiale Minera Cobre Panamá della compagnia canadese First Quantum Minerals, negoziazione che riguarda la regolarizzazione della concessione per lo sfruttamento di una zona mineraria già in disputa dalla seconda metà degli anni Novanta.

Da quelle prime proteste – capeggiate da pochi ambientalisti, alcune ong e membri delle comunità indigene – è sorto un enorme movimento di persone che ha portato a varie giornate di sciopero nazionale e centinaia di migliaia di manifestanti sfilare per le strade di Città di Panama e nelle altre principali province del paese. Una marea eterogenea di cittadini e cittadine che al grido di Questa terra non si vende, questa terra si difende o Panama vale di più senza sfruttamento minerario hanno obbligato il presidente della Repubblica Laurentino Cortizo a «dar la cara» (metterci la faccia) e pronunciarsi.

Panama Protest

Proteste della cittadinanza contro la nuova legge mineraria – Foto Olmedo Carraasquilla Ávila per Radio Temblor

Cortizo doble cara 1

Cortizo (in scadenza del mandato nel 2024) inizialmente pubblicamente schierato a favore del contratto minerario, ha dichiarato che l’ultima parola spetterà alla Corte Suprema di Giustizia, che dovrà decidere sulla regolarità della legge 406, che garantisce per 20 anni (prorogabili) le attività di Minera Cobre Panama.

«Panama è un paese democratico dove tutti dobbiamo rispettare lo Stato di diritto e proteggere l’istituzione, che consiste nel fatto che ogni organo dello stato compia le funzioni che costituzionalmente gli corrispondono. Ciò implica che tutti noi aspetteremo i tempi che determineranno le risoluzioni della Corte suprema di giustizia».

La repressione violentissima

Queste parole, pronunciate in occasione dello sciopero generale del 16 novembre, arrivano dopo un bilancio di almeno 4 morti e numerosi feriti nelle proteste delle settimane precedenti. Le persone decedute partecipavano a blocchi stradali, realizzati nella cornice di una mobilizzazione nazionale su grande scala. E mentre due di loro hanno perso la vita investiti da veicoli che non si sono fermati di fronte ai posti di blocco improvvisati, altri due (entrambi insegnanti) sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco nella zona di Chame, da un uomo di 77 anni che non ha esitato a sparare sui manifestanti per farsi strada. Tra i feriti, spicca il caso del fotografo di 40 anni Aubrey Baxter, appartenente al collettivo Ya es Ya Panamá. Baxter, la cui storia è stata raccontata da “El País” (che lo ha intervistato) ha perso un occhio per la brutale repressione della polizia, mentre cercava di documentare le proteste il 19 ottobre scorso nella capitale del paese centroamericano.

Cartello affisso nella città di Colón (2021). Foto Diego Battistessa

Questo il tremendo racconto di Baxter al giornale spagnolo “El País”, una storia che documenta molto bene quale sia stato il primo approccio del governo Cortizo verso le proteste:

«Ero vicino all’Assemblea Nazionale (Palacio Justo Arosemena), che è il luogo in cui si riuniscono le diverse marce di protesta, ma anche dove solitamente avviene la maggior repressione. Lì sono posizionate alcune barriere e c’era un agente della Mcu (Unità di Controllo della Folla) che dominava la scena, con in mano un cannone lacrimogeno. Più vicini a me, altri agenti che avevano armi di gomma o spray al peperoncino. Non ho mai saputo cosa mi abbia accecato, perché l’oggetto non è entrato nell’occhio e quindi non è stato ritrovato e studiato. Però, a causa del suo diametro, il mio occhio è diventato completamente nero. Dato che stavo registrando, una coincidenza perché di solito non registro ma faccio solo foto, penso che sia stato l’agente che si trovava in alto a dare l’ordine di sparare. Quando ho capito ho cercato di proteggermi dietro dei pali ma mi ha raggiunto una vera e propria raffica di proiettili. Uno di questi mi ha centrato in pieno un occhio, però io non mi sono reso subito conto di cosa stesse accadendo. Un collega ha provato a chiamare un’ambulanza, ma non è stato facile. Dopo qualche metro, mentre cercavo di continuare a camminare, sono riusciti a portarmi in ospedale».

Un milione di $ al giorno per comprare una nazione

Un approccio giustificatodal denaro, parecchio denaro. Si perché i numeri che mette sul tavolo First Quantum Minerals sono numeri da capogiro secondo le fonti statali. Infatti i termini dell’accordo raggiunto dall’impresa canadese con sede a Vancouver, attribuiscono alla stessa, il diritto di sfruttare il sito minerario per almeno 20 anni, in cambio di royalties annuali di 375 milioni di dollari al governo panamense. Per cercare di dare una dimensione di quello che significa questo contratto, i portavoce della compagnia canadese spiegano che dopo il Canale di Panama, la vasta miniera di rame di Cobre Panamá (la più grande miniera a cielo aperto di tutto il Centroamerica) è il secondo maggior contributore all’economia del paese, responsabile di circa il 5% del PIL. Inoltre a Panama, una persona su 50 è impiegata direttamente o indirettamente nelle attività di questa impresa mineraria, afferma First Quantum, una cifra che corrisponde a migliaia di famiglie. Dal canto suo, nella sessione inaugurale di quel “lontano” 28 agosto 2023, fu il ministro del Commercio, Federico Alfaro Boyd, con la Commissione per il Commercio e gli Affari Economici dell’Assemblea Nazionale (AN), a presentare l’iniziativa come un contratto pieno di vantaggi per Panama. Boyd spiegava a fine agosto che il 50% dei benefici generati dall’attività sarebbe stato destinato al programma IVM della Cassa di Previdenza Sociale e il 20% sarebbe stato destinato ad aumentare le pensioni di coloro che guadagnano meno di 350 Balboa al mese (circa 350 euro). Un’altra somma significativa sarebbe stata destinata a progetti nei comuni circostanti e il 5% alla costruzione e allo sviluppo dell’Istituto per il miglioramento e il benessere degli insegnanti.

Non è questione di $, ma di qualità della vita

I manifestanti però non vogliono ragionare di cifre ma di legalità e di protezione dell’ambiente. Una opposizione ferrea all’azione arbitraria del governo, protesta che somma un costo giornaliero paese di 80 milioni di dollari (secondo le fonti ufficiali del governo) e che si nutre di slogan e striscioni che prendono di mira direttamente anche il primo ministro canadese: Justin Trudeau, questo è neocolonialismo”, facendo riferimento alle politiche d’impresa portate avanti dal governo del paese nordamericano fuori dai propri confini e che sarebbero illegali sul territorio nazionale.

I precedenti di sfruttamento

Le operazioni della filiale First Quantum Minerals non sono però nuove a Panama e infatti queste massive mobilitazioni si focalizzano contro le politiche che promuovono un estrattivismo minerario predatorio, imposto da interessi statali senza consultazioni con le comunità, molte della quali chiedono una vera e propria moratoria mineraria.

Questa situazione proviene da una concessione data dallo stato panamense attraverso la legge n. 9 del 25 febbraio 1997 (alla presidenza della repubblica sedeva Ernesto Pérez Balladares) a Petaquilla Gold, diventata poi Minera Cobre Panamá. Le operazioni di esplorazione mineraria del territorio iniziarono nel 1991: data della prima concessione per la ricerca di possibili giacimenti. Come detto, fu però nel 1997 che si approvò la legge di sfruttamento minerario con il precursore di Minera Cobre Panamá e nel 2005 si iniziò la massiva costruzione delle infrastrutture: solo nel 2009 furono autorizzate le operazioni di sfruttamento commerciale della miniera.

Durante tutto questo lungo periodo le comunità della zona denunciarono con forza che dove prima c’erano alberi, vita e un corridoio biologico funzionante, la terra diventava spoglia, l’acqua inquinata e si moltiplicavano i macchinari per l’estrazione mineraria e la distruzione senza freni dell’ambiente. A radice di ciò, il Centro di Incidenza Ambientale – Ciamong panamense costituitasi nel 2007 e dedicata alla conservazione ambientale, denunciò per incostituzionalità nel 2009 il suddetto contratto alla Corte Suprema di Giustizia. Successivamente, (come ho avuto di scrivere per “Osservatorio Diritti”) vennero denunciati più di 200 danni ambientali descritti in 13 rapporti che danno conto di oltre venti ispezioni del ministero dell’Ambiente di Panama (Miambiente), effettuate tra il 2012 e il 2019 presso la miniera di rame di Colón, gestita appunto da Minera Cobre Panamá.

I precedenti di inquinamento

Queste ispezioni hanno registrato l’inquinamento dei fiumi e del suolo, con impatti negativi sia sugli ecosistemi naturali sia sulle comunità umane, vista la presenza in grandi quantità di elementi altamente tossici come metalli pesanti e altri agenti patogeni.

Finalmente, il 21 dicembre 2017 (20 anni dopo il primo accordo tra lo stato panamense e la filiale di First Quantum Minerals) quel contratto fu dichiarato incostituzionale dalla Corte suprema di giustizia (Csj per la sua sigla in spagnolo) e quindi legalmente annullato. Secondo la Csj lo stato avrebbe infatti dovuto realizzare una gara d’appalto pubblica per dare la concessione e avrebbe dovuto far realizzare uno studio d’impatto ambientale, elementi che hanno portato al verdetto favorevole della Corte rispetto alla denuncia del Ciam.

Cortizo doble cara 2

Sembrava una vittoria per gli ambientalisti, ma di fronte alla decisione dei giudici, il governo decise di mantenere in piedi le operazioni di Minera Cobre Panamá (First Quantum Minerals aveva già investito 10 miliardi di dollari nell’operazione), non pubblicando la sentenza nella Gazzetta Ufficiale dello Stato, e rinnovando per altri 20 anni (fino al 28 febbraio 2037) la concessione mineraria. Una situazione complessa a livello legale e commerciale, dove il governo cercava di prendere tempo per trovare il modo di regolarizzare le attività della compagnia a capitale canadese, mentre nel 2021, la Csj ratificò la sentenza del 2017, respingendo ben 6 istanze d’appello. Nonostante First Quantum Minerals si sia sempre detta forte della sua posizione legale rispetto al governo di Panama, la pressione derivante dalle sentenze della Csj hanno portato a una nuova necessità di negoziare e “ripulire” il raggio di azione della compagnia nel paese centroamericano.

Ed è esattamente quello che si pretende oggi, con un accordo che risale a marzo 2023, traghettato all’Assemblea ad agosto e ratificato in fretta e furia” dal parlamento come legge 406, legge firmata lo stesso giorno da Laurentino Cortizo (il 20 ottobre scorso) e immediatamente, questa volta sì, divulgata sulla Gazzetta Ufficiale. Un vero e proprio make up legale, che regola attraverso un nuovo impianto normativo, quelle stesse pratiche distruttive che hanno già lasciato un segno devastante sul territorio: pratiche che hanno portato all’apertura di diversi processi amministrativi e di indagini del pubblico ministero per presunte non conformità in materia ambientale.

Un malessere generalizzato che viene da lontano

Le proteste di questa fine 2023 fanno eco ad altre manifestazioni, meno coperte dalla stampa internazionale, che hanno segnato il 2022 e che già facevano intuire un diffuso malessere sociale. Panama infatti nel luglio 2022 si è unita all’ondata di proteste che hanno scosso l’America Latina, con un vero e proprio “estallido social” iniziato nella città di Santiago de Veraguas, capitale della provincia di Veraguas (250 km ad ovest di Città di Panama). La ragione principale della protesta diventata poi massiva ed estesa a tutto il territorio nazionale, ha riguardato l’aumento del costo del carburante, il cui prezzo era lievitato quasi del 50% dall’inizio dell’anno. Una lunga coda della guerra in Ucraina che ha portato lo stato centroamericano ad affrontare la sua maggiore crisi economica dopo la caduta del dittatore Manuel Antonio Noriega nel 1989, con un tasso di inflazione che superava i 4 punti percentuali e con una disoccupazione al 10%. E in questo scenario post Covid 19, dove l’economia fatica a riprendersi nonostante il Canale di Panama continui a produrre 2 miliardi di dollari di gettito fiscale annuo, si stima che il 20% della popolazione (circa 800.000 persone delle 4,2 milioni che vivono nel paese) si trovi in situazione di povertà: questo dato colloca Panama come uno dei paesi con il maggior tasso di disuguaglianza nel mondo. L’economia del paese centroamericano è “dollarizzata” e questo, già prima della crisi del petrolio provocata dall’invasione russa dell’Ucraina e dalle conseguenti misure coercitive unilaterali combinate da Usa e UE, manteneva i prezzi del paniere di consumo relativamente alti per la maggior parte della popolazione.

Situazione economica insostenibile…

Nel luglio 2022 però la situazione per la gente de a piè (il popolo) è diventata insostenibile perché l’aumento del costo dei carburanti ha provocato un’impennata dei prezzi dei prodotti alimentari e delle medicine: causando situazioni critiche in molte case panamensi.

Il 17 giugno 2022 il gallone di benzina di 95 ottani (3,78 litri) aveva superato i 6 dollari. Un prezzo impossibile da pagare in un paese dove è stata stabilita dal governo del presidente Laurentino Cortizo, giusto il 31 dicembre 2021, una tabella salariale di base dove per esempio si corrispondeva a un impiegato domestico un salario di 315 dollari al mese. Inoltre gli altissimi prezzi del carburante che hanno creato un effetto a spirale su tutto il resto, arrivavano proprio mentre le grandi compagnie petrolifere fanno registrare enormi guadagni, così come denunciato dal mezzo di comunicazione indipendente panamense Antonima. Nelle settimane precedenti alle proteste era stato presentato nell’assemblea nazionale dal deputato Luis Ernesto Carles un progetto di legge che chiedeva di sospendere per almeno 3 mesi la tassa statale sui carburanti liquidi, che incide per 60 centesimi di dollaro sul prezzo finale. Il presidente panamense Cortizo però decise di porre il veto sulla proposta di legge, impedendone l’attuazione e aprendo la porta a un aumento indiscriminato del prezzo del carburante.

… e prime lotte vittoriose

Allo scoppio delle proteste inoltre il presidente di Panama non si trovava nel paese ma stava viaggiando negli Usa, precisamente a Houston. Laurentino Cortizo infatti aveva già annunciato a fine giugno 2022 che gli era stato riscontrato un cancro e per questo aveva comunicato che sarebbe andato in Texas a inizio luglio per chiedere un secondo parere. In assenza della prima carica dello stato il vicepresidente José Gabriel Carrizo non prese nessuna iniziativa e così da Santiago de Veraguas la protesta si estese presto alle altre province arrivando fino alla capitale. L’autostrada Panamericana fu bloccata da folle di manifestanti e lunghe file di Tir che provocarono de facto, l’isolamento di intere zone del paese (con casi estremi come quello della provincia di Chiriquí). Anche nei supermercati i prodotti alimentari scarseggiarono per settimane ma il popolo non cedette di un passo. Chi invece nel braccio di ferro dovette cedere el brazo a torcer (piegare il braccio) fu il presidente Laurentino Cortizo che dopo aver aperto dei tavoli di mediazione a una settimana dall’inizio delle proteste con le diverse sigle sindacali e comunità indigene, annunciò il blocco del prezzo di 10 prodotti del paniere di consumo e un ribasso dei prezzi del carburante. Un primo passo che però non ha messo d’accordo tutti i manifestanti e che è stato solo l’antipasto dell’accordo definitivo arrivato domenica 17 luglio, quando la presidenza annunciò in pompa magna di aver firmato un decreto che bloccava per tre mesi il prezzo del combustibile a 3,25 dollari al gallone. Accordi che hanno soddisfatto le delegazioni degli indigeni Ngäbe-Buglé e gli agricoltori, presenti alla firma dell’accordo in un edificio della chiesa cattolica nel distretto di San Félix, provincia di Chiriquí (nell’ovest del paese). Ma non altre frange della protesta, che occuparono lo stesso giorno la “cinta costera” (zona costiera) della capitale e che, nel caso del potente sindacato dell’edilizia, promisero di fare sentire duramente la loro voce.

“Colonialismo estrattivista e gentrificazione a Panama”.

Tre giorni dopo questo intervento su Radio Blackout la Corte suprema ha decretato l’incostituzionalità della legge mineraria 406, questa la reazione spontanea dei cittadini sollevati… almeno per ora:

La marca-paese è la sua cancellazione come cultura territoriale e ambientale…

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Marca-paese Dighe e discariche Merci rivolte e infrastrutture La Zona del Canale Ancestralità e gentrificazione Casco Viejo – CauseWay – Artificial Island

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]]> L’equilibrismo di tre pesi diversi in Nordamerica https://ogzero.org/lequilibrismo-di-tre-pesi-diversi-in-nordamerica/ Sat, 14 Jan 2023 00:52:49 +0000 https://ogzero.org/?p=10062 Dietro alla relativa eco ottenuta dall’ennesimo incontro tra i tre paesi del Nordamerica si nascondono invece tematiche annose difficilmente risolvibili: i cartelli dei narcos che sull’altra riva del Rio Bravo chiamano War on drugs e che sviluppano  business sempre diversi con l’obiettivo dei mercati anglosassoni del continente; mentre visti dalla frontiera settentrionale i flussi migratori […]

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Dietro alla relativa eco ottenuta dall’ennesimo incontro tra i tre paesi del Nordamerica si nascondono invece tematiche annose difficilmente risolvibili: i cartelli dei narcos che sull’altra riva del Rio Bravo chiamano War on drugs e che sviluppano  business sempre diversi con l’obiettivo dei mercati anglosassoni del continente; mentre visti dalla frontiera settentrionale i flussi migratori si ammassano sulla riva opposta del Rio Grande, come in un grande hub, dove comunque si riescono a spuntare salari maggiori, dove in qualche modo si può “aspettare”. Però sia gli uni – i flussi di droga – che gli altri – i flussi migratori – risalgono lungo tutto il territorio messicano a partire dalla frontiera meridionale. Infatti non manca nemmeno nell’incontro del Distrito Federal di Ciudad de México il confronto tra comunità native e afrodiscendenti – vessate e umiliate dai colonialisti e dai loro discendenti – e bianchi che diventano ancora più feroci nella difesa di privilegi anacronistici. Ma non sono rappresentate da nessuno dei partecipanti, sono pura merce di scambio: per creare difficoltà ai paesi antagonisti (non ammessi alla Cumbre di L.A.) si accettano migranti da quelle frontiere… e si sbattono le porte in faccia agli altri.
Amlo è riuscito nell’intento di apparire all’altezza dei due “amici” anglosassoni? Diego Battistessa ha analizzato la tre giorni de los tres amigos anche mantenendo accesa la luce proveniente dal continente che si apre a Sud di quel confine meridionale messicano che non trova spazio nell’economia autosufficiente del vertice.

fin qui OGzero


Dal 9 all’11 gennaio si sono riuniti a Città del Messico “I tre amici”, in spagnolo Los tres amigos. Non stiamo parlando di Alfonso Cuarón, Alejandro González Iñárritu e Guillermo del Toro, direttori di cinema messicani, conosciuti appunto come “Los tres amigos” – e nemmeno Steve Martin, Chevy Chase e Martin Short (protagonisti della omonima pellicola di John Landis del 1986 all’origine dell’espressione) –, ma bensì dei capi di stato di Canada (nella veste del primo ministro), Usa e Messico (presidenti delle reciproche Federazioni di stati). Trudeau, Biden e Lopez Obrador hanno dato vita al vertice dei leader nordamericani per stabilire delle politiche comuni su temi chiave per “i tre paesi”: in special modo migrazione, sicurezza (leggi narcotraffico) e commercio. Questo incontro trilaterale è il decimo della sua storia, iniziata il 23 marzo 2005 sotto il nome di Alliance for North American Security and Prosperity, con la riunione a Waco (Texas) di George W. Bush (USA) , Paul Martin (Canada) e Vicente Fox (Messico).

Un evento che segna questo inizio 2023 ma che affonda le radici nel 2022. Prima di addentrarci infatti dentro l’analisi di quanto discusso dai tre leader nordamericani nell’evento di Città del Messico è necessario volgere lo sguardo all’anno appena trascorso per capire con quale stato d’animo Trudeau, Biden e Lopez Obrador, si sono seduti al tavolo delle trattative.

 

Mexico – United States of America

Tensione diplomatica

In primo luogo non si può non sottolineare che questo vertice risana una frattura che si era palesata durante un altro importante summit, quello delle Americhe, celebratosi a Los Angeles dal 6 al 10 giugno 2022. Un incontro del quale vi abbiamo parlato in queste pagine  (dove ho potuto partecipare di persona) e dove, tra le altre, pesava proprio l’assenza di Andrés Manuel Lopez Obrador (Amlo). La presa di posizione del presidente messicano rispetto alla sua non partecipazione a questo importante incontro, che si celebra ogni 4 anni, riguardava l’esclusione a priori di Cuba, Nicaragua e Venezuela, paesi ritenuti antidemocratici dagli Usa. Tra il 9 e l’11 gennaio dunque, Lopez Obrador e Biden hanno potuto tornare a negoziare “face to face” in un contesto internazionale, dove strette di mano e foto di rito hanno allentato (almeno a favore di telecamera) una tensione che ancora era nell’aria.

War on drugs di Nixon: mezzo secolo fa

Non è da sottovalutare neanche quanto sono riusciti a realizzare Messico e Usa – nello specifico le autorità messicane –, lavorando insieme alla Drug Enforcement Agency (Dea) degli Stati Uniti rispetto alla lotta ai cartelli che controllano le rotte del narcotraffico. La cattura a luglio 2022 in Messico del narcotrafficante Rafael Caro Quintero (uno dei fondatori del Cartello di Guadalajara insieme a Miguel Ángel Félix Gallardo ed Ernesto Fonseca Carrillo) considerato uno dei latitanti più ricercati del mondo e reso famoso al grande pubblico per la serie Narcos, è stato un gran risultato.

Amlo antidroga

Operazione che ha fatto vedere in modo chiaro la volontà dell’amministrazione di Amlo di lottare contro questa piaga (il Messico ha dichiarato guerra al narcotraffico nel 2007) e di appoggiare le autorità Usa nella persecuzione di questi criminali. Persecuzione, cattura ed estradizione, quest’ultima proprio la più temuta dai leader dei cartelli che sanno di poter vivere una vita “alla grande” nelle carceri messicane ma di tutt’altra storia si tratta se invece la pena è da scontare in una prigione “gringa”.

La catena delle estradizioni

In questo senso il Messico nel 2022 ha estradato più di 50 criminali legati al narcotraffico, principalmente verso gli Stati Uniti, assestando duri colpi ai cartelli di Sinaloa, del Golfo, di Arellano Félix e del gruppo criminale Guerreros Unidos (quest’ultimo collegato al caso dei 43 studenti di Ayotzinapa nel 2014, episodio della politica avversa alle realtà indigene del Mexico). Oltre a Rafael Caro Quintero, altri “narcos” di spicco catturati o estradati nel 2022 sono Mario Cárdenas Guillén, uno dei capi del Cartello del Golfo (conosciuto come “M-1” o “El Gordo), Adán Casarrubias Salgado, conosciuto come El tomate, che si suppone essere il leader del gruppo Guerreros Unidos e Carlos Arturo Quintana, alias “El 80”, uno dei capi del gruppo criminale La Línea, nell’ orbita del Cartello di Juárez. E ancora Juan Francisco Sillas Rocha, uomo di fiducia degli Arellano Felix e Jaime González Durán, alias El Hummer, parte del gruppo di comando degli Zetas.

Welcome, Mr President

Insomma una collaborazione che ha portato buoni frutti e che proprio pochi giorni prima dell’inizio di questo nuovo vertice dei leader nordamericani ha avuto la sua ciliegina sulla torta. Si perché non è certo passato inosservato il tempismo con il quale, proprio 4 giorni prima dell’inizio dell’incontro trilaterale, le autorità messicane hanno realizzato un imponente operazione che ha portato alla cattura di Ovidio Guzmán, uno dei figli (“los chapitos”) dello storico capo del Cartello di Sinaloa, Joaquín El Chapo” Guzmán.

Alle 5 del mattino di giovedì 5 gennaio, diversi elicotteri, uno dei quali armato di mitragliatrice, hanno aperto il fuoco contro bersagli a terra nella città di Culiacán, stato di Sinaloa. Così è iniziato il blitz delle forze federali messicane che hanno catturato Ovidio, conosciuto anche come El Ratón” o “El Gato Negro, sul quale pendeva una taglia di 5 milioni di dollari. Il Cartello ha però reagito in modo rapido e violento, Culiacán è rimasta ostaggio di più di 50 blocchi stradali realizzati da uomini armati appartenenti all’esercito di Guzmán, criminali che hanno anche assaltato l’aeroporto per evitare che Ovidio venisse portato via dalla città.

Il governo messicano ha notificato all’amministrazione di Joe Biden l’azione portata a termine con successo, una sorta di gesto di buona volontà che Amlo ha presentato al presidente degli Stati Uniti d’America prima del suo arrivo a Città del Messico.

Lunga vita all’infame Titolo 42

Sul tema migratorio bisognerebbe scrivere un articolo a parte. È comunque chiaro che questo aspetto è stato centrale nella strategia dell’amministrazione Biden fin dall’inizio della presidenza nel 2021: basti considerare che il primo viaggio fatto dalla vicepresidente Kamala Harris (giugno 2021) riguardava proprio la questione migratoria, ed è stato realizzato tra Messico e Guatemala. Amlo è stato un buon alleato per le politiche migratorie dei democratici statunitensi che durante questi ultimi due anni hanno dovuti fare i conti con l’aumento dei flussi e della pressione verso la frontiera nord, nella misura in cui si minimizzavano (o eliminavano) le barriere per prevenire la diffusione del Covid-19.

L’esternalizzazione delle frontiere in salsa guacamole

Frontera norte

Biden nel 2022 ha cercato per ben due volte di far eliminare il famoso Titolo 42 (a maggio e a dicembre) ma in entrambe le occasioni la maggioranza repubblicana dei giudici ha fermato l’azione della Casa Bianca. Nel frattempo nell’ottobre del 2022 il governo del Messico dava per concluso il programma chiamato Quédate en Mexico (rimani in Messico): programma creato nella legislatura dell’ex presidente Donald Trump (2017-2021) che stabiliva che i migranti che volevano entrare negli Stati Uniti d’America legalmente, dovevano attendere la risoluzione delle procedure burocratiche in territorio messicano. Una misura che il Messico ha subito suo malgrado e che oltre a creare un enorme caos alla frontiera, ha generato multiple violazione dei diritti fondamentali delle persone migranti.

Nonostante ciò, il 2022 si è concluso con dei record storici di transiti migratori irregolari verso gli Usa, situazione che ha esposto il fianco di Joe Biden agli attacchi dei repubblicani che parlano di vera e propria “invasione”, minacciando di processare il segretario alla sicurezza nazionale, Alejandro Mayorkas. Da qui l’ultimo “asso nella manica” giocato dall’attuale presidente a stelle e strisce proprio pochi giorni prima del vertice dei Tre amigos: ancora una volta un piano di bastone e carota.

«Do not come!»

Proprio mentre a Culiacán l’esercito messicano battagliava con il Cartello di Sinaloa per arrestare Ovidio Guzmán, Joe Biden annunciava nuove misure per rafforzare il controllo del confine con il Messico e in cambio prometteva l’apertura di nuovi canali di immigrazione legale, soprattutto alle persone provenienti da Venezuela e Cuba (che vivono la più grande crisi migratoria della loro storia) oltre a Nicaragua e Haiti. Gli Usa, ha detto Biden, accetteranno 30.000 migranti al mese provenienti dai sopracitati paesi, a patto che queste persone in movimento possano dimostrare legami familiari con emigrati già presenti nel territorio statunitense. Allo stesso modo verrà rafforzato il controllo nella frontiera sud e non ci sarà “nessuna pietà” per chi cerca di passare il confine in modo illegale. «Do not come!» (Non venite), continua a recitare Biden, il mantra gringo che sentiamo ripetere ai democratici da giugno 2021, quando proprio in Messico lo disse Kamala Harris per la prima volta in questa amministrazione – e ribadito durante la Cumbre di Los Angeles.

Dossier top secret

Per concludere, a Biden in questi giorni non sono mancati neanche problemi interni. Infatti proprio lunedì 9 gennaio, mentre stavano iniziando i lavori del vertice si è saputo di una importante indagine che lo vede implicato direttamente. Sarebbero infatti stati trovati circa una dozzina di documenti riservati su Iran, Ucraina e Gran Bretagna nell’armadio di un ufficio che l’attuale presidente ha utilizzato mentre collaborava con l’Università della Pennsylvania (2017- 2021), periodo nel quale non ricopriva nessun incarico politico. Una volta trovati i documenti è stato informato il Dipartimento di Giustizia, che ha nominato un pubblico ministero, John Lausch (uomo scelto a suo tempo da Donald Trump), per portare avanti le indagini. Il problema (un altro) è che mentre erano in corso le indagini preliminari per determinare se sussistono gli indizi di reato, sono venuti alla luce nuovi documenti “top secret”, stipati nel garage della residenza di Biden nel Delaware, suo feudo elettorale. Ora bisogna capire se ci sono gli estremi per istruire un processo e in quel caso si staglierebbero nubi molto oscure nell’orizzonte dei democratici, visto che tra poco l’ottantenne presidente Usa dovrà far sapere se correrà per un secondo mandato nel 2024 o se lascerà il testimone del partito a qualcun altro.

Canada

Sappiamo che il Canada è un paese dal basso profilo, nel senso che non riempie di scandali i “rotocalchi” internazionali. Nonostante ciò, questa vetrina internazionale offerta da Amlo è però servita al primo ministro Justin Trudeau per sottolineare il rispetto dovuto alle comunità indigene e alla protezione dell’ambiente.

Pellegrinaggi penitenziali

Parole che riportano subito all’immagine simbolo del 24 luglio 2022, quando Jorge Bergoglio atterrava dopo un volo di 10 ore all’aeroporto canadese di Edmonton per iniziare un viaggio di 6 giorni nel quale avrebbe chiesto perdono ai rappresentanti di vari popoli indigeni (Inuit e Métis tra gli altri) per la complicità della Chiesa cattolica negli abusi perpetrati nei collegi dove venivano internati i bambini indigeni.

Più di 150.000 di loro vennero allontanati dalle loro case dal 1800 fino agli anni Settanta del secolo scorso e internati con la forza nelle scuole nel tentativo di isolarli dall’influenza delle loro famiglie e della loro cultura. Queste scuole/collegi erano finanziati dalla Chiesa cattolica e dal governo e il loro compito era quello di integrare alla forza le nuove generazioni di indigeni alla società canadese di religione cristiana. Dopo la visita di papa Francesco, il governo canadese ha effettuato una dichiarazione nella quale riteneva insufficienti le scuse del Pontefice, che non aveva fatto menzione nei suoi discorsi agli abusi fisici e sessuali perpetrati contro i bambini indigeni. Lo stesso Justin Trudeau aveva chiesto perdono alle popolazioni indigene native il 25 giugno 2021 dopo che la Federation of Sovereign Indigenous Nations (FSIN, che rappresenta nazioni indigene native a Saskatchewan) aveva riferito del ritrovamento di circa 750 tombe anonime in una fossa comune in un collegio in Canada: nel luogo dove prima si ergeva la  Marieval Indian Residential School nella provincia di Saskatchewan. Un tema ancora scottante in Canada e che ha segnato il governo di Trudeau.

I temi del vertice

«Condividiamo una visione comune per il futuro, basata su valori comuni», le parole di Biden a corollario di un incontro che si è centrato principalmente su sicurezza, economia, clima e migrazione.

Autosufficienza economica

Una delle azioni concrete è stata la creazione di un comitato di 12 membri (4 per ogni paese) per la pianificazione e la sostituzione delle importazioni in Nordamerica. L’idea è che i tre paesi possano raggiungere insieme l’autosufficienza, creando un‘unione economica forte ed efficace.

In questo senso Trudeau ha sottolineato che insieme i tre amici superano il pil dell’Unione Europea e che possono essere il volano di una «economia continentale, solida e resiliente».

Respingimenti limitati

Il tema migratorio è stato centrale e se da un lato Amlo ha chiesto a Biden di promuovere riforme per agevolare la legalizzazione di milioni di messicani che vivono e lavorano in Usa, dall’altro lo ha ringraziato per non aver costruito nemmeno “un metro” di muro (il famoso muro promesso da Trump). Il Canada, che riceve una minore migrazione di cittadini messicani, dal canto suo ha posto in marcia il programma di concessione di visti di lavoro a giornalieri messicani, un piano di mobilità regolare che già include 25.000 persone. Il focus però è stata la frontiera del Rio Bravo o Rio Grande, a seconda della riva da cui si guarda, e della pressione migratoria che viene esercitata in questo punto. Come detto in precedenza il nuovo piano di Biden è stato annunciato pochi giorni prima del vertice, spazio nel quale è stato reiterato e confermato da Amlo.

Il mercato di Fentanyl

Lopez Obrador ha poi posto sul tavolo un’altra questione, quella che riguarda il fentanyl, e la sua sempre maggiore diffusione in Usa e Canada. Si tratta di una droga molto potente, che viene confezionata in modo illegale in Messico e che viene poi esportata nel Nord del continente. Dal sito del Centers for Disease Control and Prevention:

«Il fentanyl è un oppioide sintetico che è fino a 50 volte più forte dell’eroina e 100 volte più forte della morfina. È un importante fattore che contribuisce alle overdose fatali e non fatali negli Stati Uniti. Esistono due tipi di fentanyl: fentanyl farmaceutico e fentanyl prodotto illegalmente. Entrambi sono considerati oppioidi sintetici. Il fentanyl farmaceutico è prescritto dai medici per trattare il dolore intenso, specialmente dopo un intervento chirurgico e negli stadi avanzati del cancro.
Tuttavia, i casi più recenti di overdose correlate al fentanyl sono collegati a quello prodotto illegalmente, che viene distribuito nei mercati di stupefacenti per il suo effetto simile all’eroina. Viene spesso aggiunto ad altri farmaci a causa della sua estrema potenza, rendendo i farmaci più economici, più potenti, più stimolanti e più pericolosi».

In questo senso, il presidente del Messico si è impegnato con Stati Uniti e Canada a lottare contro il traffico di fentanyl, confermando che questa attività è stata messa tra le priorità delle Forze Armate del paese latinoamericano.
Il vertice si è chiuso in un clima di cordialità e mutuo intendimento, un gioco politico di do ut des , nel quale ognuno dei tre attori ha “giocato” pensando al cortile di casa sua.

Lo scenario latinoamericano visto dal vertice dei tre amici

Durante il vertice Amlo ha chiesto a Biden e Trudeau di «porre fine a questo oblio, abbandono e disprezzo verso l’America Latina». Parole lapidarie che però rendono bene l’idea di come le forti economie nordamericane facciano “orecchie da mercante” rispetto alla situazione attuale del resto del continente, in preda a forti convulsioni sociali e attacchi profondi alle fondamenta democratiche, così faticosamente costruite negli anni passati.

Tre casi su tutti ci portano a una riflessione sullo stato della regione: Brasile, Perù e Bolivia.

In Brasile abbiamo visto l’8 gennaio migliaia di sostenitori di Bolsonaro assaltare la piazza dei tre poteri a Brasilia. Un atto di superbia morale, terrorismo interno e sdegno verso le istituzioni che ha connotato uno dei giorni più tristi per il Brasile.

In Perù, dove i fatti di dicembre che hanno portato all’arresto dell’ex presidente Pedro Castillo e la nomina della sua vice, Dina Boluarte come prima donna a dirigere il paese sudamericano, le repressioni delle proteste hanno causato decine di morti e centinaia di feriti. Il popolo che si rispecchia in Castillo, contadini e indigeni delle zone rurali, grida que se vayan todos (che se ne vadano tutti) chiedendo elezioni anticipate e la cacciata della corruzione dalle istituzioni: le forze dell’ordine rispondono con proiettili ad altezza d’uomo. Per capire il livello dello scontro basti pensare che a Lima la procura ha chiesto di indagare Boluarte per «presuntos delitos de genocidio, homicidio calificado y lesiones graves».

In Bolivia nel periodo natalizio è stato arrestato il governatore del dipartimento di Santa Cruz, (zona che fa parte della chiamata mezzaluna bianca) dove la destra conservatrice si oppone da anni a Evo Morales prima e ad Arce ora. Luis Fernando Camacho (il governatore) è stato detenuto per i fatti legati alla crisi politica che ha seguito le elezioni del 2019, la cacciata di Evo dal paese e l’insediamento di Jeanine Áñez come presidente del paese (oggi anche lei in carcere): dopo la sua cattura sono iniziate manifestazioni per chiederne la liberazione.


Proprio di questi eventi distribuiti tra Brasilia, Cuzco, Ayacucho, Arequipa, Puno e di considerazioni sui fatti boliviani di questi giorni si è parlato su Radio Blackout il 12 gennaio 2023 con Diego, concludendo ad anello il discorso, ritornando all’inizio di questo articolo:
“Sacudidas en la marea rosa”.


Insomma, uno scenario di instabilità che vede proprio nell’occhio del ciclone tre dei paesi della nuova “ondata” della Marea Rosa fare i conti con la polarizzazione sociale e politica. Se a questo aggiungiamo gli appuntamenti elettorali importanti di questo 2023, specialmente in Argentina, dove il kirchnerismo sembra partire in svantaggio per l’elezione del prossimo presidente e l’attentato sventato contro Francia Marquéz (vicepresidente) in Colombia, possiamo capire quanto il bandolo della matassa sia difficile da districare.

Un aiuto può venire da Moleskine Sur, un ottimo compagno di viaggio nei meandri delle realtà latinoamericane proiettate verso un 2023 dai risvolti molto incerti.

L'articolo L’equilibrismo di tre pesi diversi in Nordamerica proviene da OGzero.

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