Bellingcat Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/bellingcat/ geopolitica etc Thu, 13 May 2021 13:10:59 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 L’opzione panorientale collegata alla guerra di spie panoccidentale https://ogzero.org/tensioni-diplomatiche-tra-russia-e-repubbliche-ex-sovietiche/ Mon, 10 May 2021 09:14:31 +0000 https://ogzero.org/?p=3401 La Repubblica ceca intende chiedere alla Russia almeno un miliardo di corone (39 milioni di euro), come risarcimento dei danni materiali per l’esplosione in un magazzino di Vrbětice, avvenuto il 16 ottobre 2014; Praga accusa i servizi russi Svr e Gru di essere coinvolti. Il risultato è stata l’espulsione di numerosi diplomatici dai rispettivi paesi. […]

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La Repubblica ceca intende chiedere alla Russia almeno un miliardo di corone (39 milioni di euro), come risarcimento dei danni materiali per l’esplosione in un magazzino di Vrbětice, avvenuto il 16 ottobre 2014; Praga accusa i servizi russi Svr e Gru di essere coinvolti. Il risultato è stata l’espulsione di numerosi diplomatici dai rispettivi paesi. Si tratta dell’episodio più eclatante, ma dal 2014 (piazza Maidan) si stanno moltiplicando le tensioni diplomatiche in particolare con le repubbliche ex sovietiche nell’Intermarium tra Mar Nero e Baltico.

Yurii Colombo tenta di inquadrare questi due fenomeni geopolitici che scorrono paralleli da decenni, spiegandoli strategicamente col fatto che la Russia putiniana si trova a scommettere tra Est e Ovest: la crisi dell’egemonia russa sull’area ex sovietica rappresentata da questi strappi diplomatici capziosi, da un lato; dall’altro il progressivo abbandono della diplomazia verso l’“Europa”. Può trattarsi di una spinta a una forte condivisione di intenti tra Mosca e Pechino? Un potente alleato panasiatico che per ora cerca di mantenere le mani libere per poter perseguire il suo scopo principale: fare affari con tutti. Intanto Mosca scatena una Guerra Fredda di spie… o forse è vittima della diplomazia dell’era Biden? Si tratta di una scelta strategica o un ripiego di fronte a un’implosione del vecchio impero sovietico sullo sfondo di confini porosi che mettono in scena rivalità per pozzi di… acqua, come a Vorukh?


Storiche relazioni diplomatiche tra slavi e ricadute economiche

La recente crisi tra Repubblica Ceca e Russia è stata giudicata da buona parte degli osservatori come una nuova importante tappa della nuova Guerra Fredda che contrappone la Russia ai paesi occidentali. La decisione ceca di ridurre il personale diplomatico a Mosca a soli cinque funzionari segna de facto la rottura delle relazioni diplomatiche tra i due paesi slavi (anche se come già in occasione della crisi sul caso Skrypal nel 2017 abbiamo assistito alla fronda del presidente ceco Miloš Zeman, notoriamente filorusso). Si tratta di una situazione non del tutto inedita visto che, come è stato segnalato, ci sono stati già casi del genere nel dopoguerra. Per esempio quando l’Urss ruppe le relazioni diplomatiche con Tirana ai tempi del duro scontro ideologico per la preminenza sul movimento comunista internazionale. Non si tratta del resto dell’unico caso. La Russia non ebbe relazioni fino al 1973 con l’Irlanda (a causa della cooperazione attiva dell’Irlanda con Hitler durante la Seconda guerra mondiale) con la Spagna (le relazioni diplomatiche furono ristabilite solo dopo la morte di Franco) e con il Vaticano.

 

Tuttavia si tratta di un avvenimento che potrebbe avere delle ricadute significative ed effetti a cascata in tutta l’Europa orientale e in primo luogo nei paesi baltici (dove però a rapporti politici pessimi fanno da contraltare relazioni economiche significative soprattutto nei settori del turismo e alimentare) e soprattutto in Polonia e Bulgaria. del resto le ricadute economiche sono già realtà visto che Rosatom, l’agenzia nucleare russa, è stata ora esclusa ufficialmente dalla gara d’appalto per la costruzione di due centrali in territorio ceco.

Riviste d’inchiesta: esplosione di Vrbětice

Se le accuse che sono state lanciate alla Russia si dimostrassero vere, i motivi di un casus belli ci sarebbero veramente tutti. Qualche settimana fa il portale “Bellingcat” (già noto per le sue inchieste sul caso Skypal e sull’avvelenamento di Aleksey Navalny e che fa con una certa probabilità uso di materiali delle intelligence occidentali) in collaborazione con la rivista ceca “Respekt” ha sostenuto che l’esplosione del deposito di munizioni a Vrbětice il 16 ottobre 2014, sarebbe stata opera russa e avrebbe coinvolto almeno sei agenti dell’Unità 29155 del Gru (Glavnoe razvedyvatel’noe upravlenie, il dipartimento esteri di Fsb). L’ampio articolo è ricco di dettagli. Secondo il sito britannico questa azione di diversione sarebbe stata supervisionata personalmente da uno dei comandanti in capo del Gru, il colonnello generale Andrey Averyanov, che si sarebbe recato sotto copertura in Europa centrale nel momento esatto dell’operazione e sarebbe poi tornato a Mosca poche ore dopo l’esplosione. “Bellingcat” ritiene che il generale Averyanov sarebbe “un ufficiale militare di alto rango” che, sulla base dei registri delle telefonate revisionati dalla testata giornalistica, ha una linea di comunicazione diretta sia con il capo del Gru a Mosca e sia con il Cremlino.

 

L’operazione, secondo quanto si apprende da “Bellingcat”, avrebbe coinvolto anche almeno due ufficiali del Gru che si sono recati sotto copertura diplomatica a Budapest, a circa cinque ore di macchina dal deposito di munizioni, poco prima delle esplosioni. Le informazioni sugli spostamenti degli agenti scoperti da “Bellingcat” dimostrerebbero anche che l’operazione era inizialmente probabilmente pianificata per una data precedente, ma sarebbe stata posticipata di circa una settimana, a causa di circostanze sconosciute. L’operazione sembra aver coinvolto diversi viaggi coordinati di membri dell’unità 29155 in Repubblica Ceca attraverso i paesi vicini, nonché una missione di preparazione in Svizzera.

Il coinvolgimento Fsb si allarga a macchia d’olio nella “sua” buffer-zone

L’inchiesta è particolarmente velenosa perché preannuncia altri scoop sulle presunte azioni del Fsb in Bulgaria, i cui rapporti con la Russia sono anch’essi peggiorati recentemente a causa delle “invadenze” russe mettendo in discussione la possibilità che il paese balcanico acquisti nel futuro gas russo via Turkish-stream, come sembrava possibile solo qualche mese fa.

Tuttavia il peggioramento delle relazioni tra i paesi delle cosiddette ex Repubbliche Popolari – mai stati idilliaci dopo il disfacimento della Cortina di Ferro nel 1989 – non può essere imputata semplicemente a una nuova ondata di azioni spionistiche del Cremlino, anzi rappresenta solo forse un assaggio da dare in pasto a un’opinione pubblica occidentale, pronta a vedere nuovamente nel Cremlino “l’impero del male”. Tale dinamica rimanda piuttosto al dipanarsi di una nuova fase politica lungo la linea dei confini con la Russia che può diventare foriera di rischi per la stabilità di un’intera regione.

In primo luogo si tratta della crisi di egemonia della Russia su tutta un’area iniziata negli anni Ottanta, emersa fragorosamente in Polonia ai tempi dell’ascesa di Solidarność e poi proseguita con la decisione dell’amministrazione Gorbaciov (già presa secondo Shevardnadze nel 1986) di abbandonare al loro destino quei paesi dell’Europa centro-orientale che avevano rappresentato per un trentennio una “buffer-zone” fondamentale per la difesa sovietica. Malgrado ciò, dopo il terremoto politico 1989-1991, alcuni dei paesi ex sovietici erano rimasti nell’orbita russa. In primo luogo politicamente, in modo altalenante, ma sicuramente dal punto di vista economico l’Ucraina e lo stesso si può dire, malgrado la sua associazione all’Unione Europea, della piccola Moldavia. E poi sicuramente – la Cuba d’Europa – la Bielorussia di Alexander Lukashenko che resta il principale alleato nella regione ancora oggi e perfino l’Armenia, seppur in modo più defilato. Si è sempre trattato però di relazioni segnate per questi paesi del “Vicino estero” da due elementi “diplomatici” decisivi: a) dalla necessità di avere un approccio realistico, di buone relazioni, con un vicino più potente che tende in qualche modo a costituire dei propri “confini naturali” (pressappoco quelli dell’Impero zarista); b) gli sconti e i sussidi sui prodotti energetici e tutto ciò che vi è connesso, pipeline… che la Russia può garantire.

Benessere petrolifero, furti presunti e crollo del prezzo: ruolo dell’UE al tempo di Biden

Nel primo decennio degli anni Duemila grazie al boom economico al ritmo medio di crescita del Pil del 8% annuo, determinato in primo luogo dall’esplosione del prezzo del petrolio, la Russia putiniana fu in grado di garantire questo quadro di relazioni e anzi riavvicinare in qualche misura paesi ancora più distanti politicamente (la Bulgaria, la Repubblica ceca e perfino l’ultranazionalista Ungheria di Viktor Orbán). Tuttavia a partire dal 2012 e 2013 la ruota è iniziata a girare in senso opposto e la Russia (che comunque resta inchiodata in dodicesima posizione in termini di ricchezza prodotta, un quarto in meno di quella italiana malgrado abbia due volte e mezza la popolazione dello Stivale), ha mostrato evidentemente di non poter più garantire sussidi e sconti. Le crisi politiche a Kiev e a Minsk, possono essere lette, in questo quadro, in chiave economica ancora prima che in chiave politica. La diatriba sul petrolio e gas rubati dagli ucraini già prima dell’uscita di scena di Yanukovich nel 2014 e il doppio gioco sistematicamente operato da Lukashenko nel secondo decennio dei Duemila, ne furono i chiari sintomi (e di cui le sanzioni e la chiusura semiautarchica della Russia dell’ultimo quinquennio ne rappresenta la ricaduta interna). A cui va aggiunto “il tradimento” dello storico alleato serbo, passato armi e bagagli con gli Usa, proprio a partire dalle priorità economiche ancora prima che strategiche, di ritagliarsi uno spazio in Europa.

Questa evoluzione del quadro generale si è andata a incrociare con la nuova postura di politica estera americana, con l’arrivo sulla scena di Joe Biden e il suo tentativo di “ricondurre all’ovile” un fin troppo intraprendente asse franco-tedesco (almeno nella percezione di Washington) di cui abbiamo già parlato sulle pagine di “Ogzero”.

La Germania, nell’ultima fase, ha messo in guardia gli altri paesi europei dal “clamore conflittuale” sulla Russia e si è espressa a favore dello sviluppo di relazioni di buon vicinato con Mosca per quanto Heiko Maas, ministro degli esteri tedesco targato Spd, abbia riconosciuto che i rapporti bilaterali siano “pessimi”. Tuttavia il politologo tedesco Alexander Rahr ritiene che la leadership tedesca potrebbe prima o poi farsi prendere la mano dal desiderio di alcuni paesi dell’Europa orientale di trascinare la Germania in un duro confronto con la Russia. Le prossime elezioni legislative tedesche se vedranno l’ascesa al governo dei Verdi, da sempre più duri con la Federazione che i socialdemocratici, potrebbero dare indicazioni importanti in questo senso.

Guerra Fredda: sanzioni, minacce… il pendolo oscilla a Oriente?

Che il clima in Europa non tenda al bello non c’è proprio bisogno di un meteorologo, per parafrasare Bob Dylan. Il 23 aprile scorso l’ex premier russo Medvedev, ora passato al ruolo di vice di Putin alla Sicurezza nazionale, ha pubblicato un articolo per “Ria Novosti”, in cui riconosce che «negli ultimi anni le relazioni tra Russia e Stati Uniti sono passate di fatto dalla rivalità allo scontro, sono infatti tornate all’era della Guerra Fredda. La pressione delle sanzioni, delle minacce, del confronto dei conflitti, della protezione dei propri interessi egoistici: tutto questo fa precipitare il mondo in uno stato di instabilità permanente».

Dmitry Medvedev

Ha citato però, promo domo sua, un’interessante analogia storica con la crisi dei missili a Cuba nel 1962 che segnò il punto più basso e pericoloso delle relazioni Est/Ovest nel dopoguerra. Allora come oggi gli Usa avrebbero peccato di miopia e avventurismo.
«La politica estera degli Stati Uniti in quel momento – scrive Medvedev – costrinse il nostro paese a reagire di conseguenza. Alla fine degli anni Cinquanta e all’inizio degli anni Sessanta, ciò si è manifestato nel dispiegamento di missili americani in Turchia, Vietnam del Sud e Libano. E nella maldestra politica a Cuba, che ha generato una rivoluzione, e poi nel tentativo di riprendere il controllo dell’Isola della Libertà. E in molti altri modi».

Secondo Medvedev sessant’anni fa gli Usa erano tuttavia in grado di “razionalizzare” le relazioni internazionali mentre «oggi la situazione è un po’ diversa: gli Stati Uniti sono scivolati in una politica estera instabile. Ciò si è manifestato anche nel rifiuto dell’accordo nucleare con l’Iran e il ritiro dal Trattato sui Cieli Aperti». Si tratta di una tesi di fondo della diplomazia russa, quella di una progressiva “perdita della bussola” da parte americana che a Mosca hanno iniziato a propagandare già nell’era Obama. In questo quadro, per Medvedev, è necessario costruire un contrappeso che abbia come baricentro il quadro asiatico. «Dopo il crollo dell’Urss, la parità è scomparsa per un po’. Gli Stati Uniti, avendo vissuto per un decennio e mezzo in un sistema di coordinate, quando nessun altro paese al mondo non solo non aveva un potere paragonabile, ma nemmeno aveva un ipotetico diritto di avere tale potere, hanno semplicemente perso l’abitudine di un dialogo alla pari.
La nuova amministrazione statunitense, ripristinando la sua posizione di governante mondiale e protettrice dell’Occidente collettivo (e allo stesso tempo convincendosi di questo), non ha la forza di ammettere che qualcuno al mondo possa avere capacità infrastrutturali e politico-militari potenzialmente paragonabili a loro. Per esempio, Cina o Russia. Il mondo è congelato nell’incertezza, ma l’Asia lo aiuterà» ha concluso il delfino di Putin.

Da parte russa tutto questo non è nulla di nuovo, si tratta del rilancio dell’ipotesi dell’alleanza semistrategica tra i due paesi ex comunisti in chiave antiamericana. Per ora a Pechino hanno fatto orecchie da mercante all’appello russo, ma non è detto che a medio termine questa alleanza semistrategica, non possa veramente prendere corpo.

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Navalny: il Cremlino e la Lubyanka, chi decide cosa? https://ogzero.org/il-cremlino-e-la-lubyanca-chi-decide-cosa/ Tue, 15 Dec 2020 18:13:58 +0000 http://ogzero.org/?p=2078 Chi ha avvelenato l’oppositore russo Alexey Navalny – entrato in coma il 20 agosto sul volo Tomsk-Mosca – con un agente nervino denominato dalla stampa Novichok sarebbe stato un reparto specializzato dei servizi russi. È quanto emerge dall’inchiesta condotta dai portali di giornalismo investigativo “Bellingcat” (Gran Bretagna) e “The Insiders” (Russia) con il sostegno di […]

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Chi ha avvelenato l’oppositore russo Alexey Navalny – entrato in coma il 20 agosto sul volo Tomsk-Mosca – con un agente nervino denominato dalla stampa Novichok sarebbe stato un reparto specializzato dei servizi russi.

È quanto emerge dall’inchiesta condotta dai portali di giornalismo investigativo “Bellingcat” (Gran Bretagna) e “The Insiders” (Russia) con il sostegno di “Der Spiegel” e la “Cnn”.

Controlli incrociati

L’inchiesta è particolarmente significativa perché si basa su una massa di prove indiziarie e di concatenazione di fatti così particolari e dettagliati da rendere l’ipotesi della semplice “casualità” assai remota. I due portali sono divenuti particolarmente autorevoli in questo tipo di vicende dopo aver già lavorato in tandem qualche tempo fa, riuscendo a dimostrare fattualmente la responsabilità di due agenti Fsb nell’avvelenamento nel 2018 dell’ex agente russo defected al MI5 Sergey Skripal a Salisbury.

Dopo aver analizzato i database relativi ai voli aerei e ai viaggi in treno (in Russia anche i viaggiatori delle ferrovie vengono registrati con il passaporto) di una serie di persone individuate come agenti Fsb, i giornalisti hanno scoperto i loro spostamenti in dozzine di città russe negli stessi giorni di Navalny sin dal 2017, a partire cioè dal momento in cui quest’ultimo aveva deciso di presentarsi come candidato alle elezioni presidenziali. I metodi e i sistemi con cui gli investigatori sono giunti a ottenere queste informazioni è molto particolare ed esigerà un approfondimento a parte perché dimostra quanto stia mutando il giornalismo d’inchiesta nell’era digitale. Tuttavia si può anticipare qui che il lavoro si è basato su un’analisi degli intrecci tra centinaia di migliaia di tabulati telefonici e dettagli relativi agli spostamenti che fornisce un quadro quasi completo dei legami tra i presunti avvelenatori e che conferma i loro legami con l’Fsb.

Gli otto agenti coinvolti nell’attentato alla vita di Navalny

Non una semplice “opposizione antisistema”

Fino a qui, per tornare al caso in questione, sarebbe possibile asserire che potrebbe trattarsi di semplice sorveglianza dell’attività di uno dei leader di quella che Putin chiama “l’opposizione antisistema”, cioè di qualunque partito o gruppo che non sieda in parlamento. Ma lo screening dei nomi degli agenti coinvolti rivela qualcos’altro. Stanislav Makshakov, Oleg Tayakin (“Tarasov”), Alexey Alexandrov (“Frolov”), Ivan Osipov (“Spiridonov”), Konstantin Kudryavtsev (“Sokolov”), Alexey Krivoshchekov, Mikhail Shvets (“Stepanov”), Vladimir Panyaev sarebbero un “gruppo di fuoco” di specialisti in attentati con armi chimiche. Il ruolo di pivot, secondo gli investigatori, è giocato da Makshakov, chiamato e messaggiato costantemente da tutti i membri del gruppo. Nel passato Makshakov aveva lavorato presso l’Istituto statale di Tecnologia di Sintesi organica, che dirigeva lo sviluppo di nuove forme di armi chimiche fino alla conclusione ufficiale di questi programmi in Russia nel 2017.

Il passo falso di Aleksandrov

In particolare durante il tour elettorale di Navalny in agosto che toccò prima Novosibirsk e poi Tomsk – due grandi città siberiane – e che si concluse con la tragedia sul volo Tomsk-Mosca, il politico fu seguito da Aleksandrov, Osipov e Panyaev. Durante tale viaggio i tre avrebbero – secondo lo studio – utilizzato schede sim usa e getta e quindi gli investigatori non hanno potuto stabilire i loro movimenti esatti. Malgrado ciò per due volte Aleksandrov ha acceso il suo telefono personale per diversi secondi geolocalizzandosi la prima volta vicino a un hotel a Novosibirsk dove la collega di Navalny, Maria Pevchikh, aveva prenotato una stanza, e una seconda volta, non lontano dall’hotel dove si trovava Navalny stesso.

Cambio di programma

Quando la mattina del 20 agosto Navalny fu salvato grazie all’atterraggio di emergenza e il ricovero a Omsk, Aleksandrov, Osipov e Panyaev non ripartirono per Mosca con i biglietti che avevano prenotato in precedenza, ma si trasferirono invece a Gorno-Altaisk, raggiunti nel contempo da Mosca da Tayakin. “The Insiders” e “Bellingcat” presumono che da lì si sarebbero recati all’Istituto per le Tecnologie chimiche ed energetiche, nella vicina Biysk, nella quale si trova anche l’Istituto di Scienze forensi dell’Fsb, al fine di sbarazzarsi degli abiti con le tracce del veleno.

Durante tutti i viaggi dal 2017 in poi, compreso l’ultimo, i membri del gruppo hanno contattato regolarmente per telefono anche il direttore dell’Istituto di Criminalistica, il colonnello generale Kirill Vasiliev e il vicedirettore del servizio tecnico e scientifico dell’Fsb, il generale Vladimir Bogdanov. Inoltre, Zhirov e Makshakov erano in contatto telefonico con Oleg Demidov, uno specialista di armi chimiche che in precedenza aveva lavorato presso il 33° Istituto militare di Shikhany, uno dei presunti luoghi in cui è stato sviluppato il Novichok.

I luoghi visitati da Navalny dal 2017 in cui è stato seguito dagli agenti dell’Fsb

Il terrorismo di stato

Contemporaneamente alla pubblicazione dell’inchiesta, Navalny – dal suo rifugio tedesco – ha messo online un film-documentario reperibile sul suo sito internet con sottotitoli in inglese, aggiungendo alcuni dettagli alla ricostruzione di “Bellingcat” e “The Insiders”. In particolare il blogger anti-Putin ritiene che l’agente nervino gli sarebbe stato somministrato in un cocktail “Negroni” servito nel bar dell’hotel Xander a Tomsk, nella tarda serata del 19 agosto. Navalny sostiene pure di aver subito un altro tentato omicidio a Kaliningrad, il 6 luglio scorso. Tuttavia la parte finale del video, dedicata alla denuncia politica del complotto ai suoi danni, quando parla apertamente di “terrorismo di stato”, è la più significativa dal punto di vista politico. «Quelli che mi hanno perseguitato non sono ficcanaso dell’Fsb che lavorano agli ordini di un oligarca o di un funzionario che ho offeso con le mie denunce. Un intero dipartimento dell’Fsb sotto la guida di alti funzionari ha condotto un’operazione per due anni, durante la quale hanno tentato più volte di uccidere me e i miei familiari ottenendo armi chimiche da un laboratorio statale segreto. Ovviamente un’operazione di questa portata e di questa durata non può essere organizzata da nessuno che non sia il capo dell’Fsb [Alexander] Bortnikov, il quale, a sua volta, non avrebbe mai osato farlo senza l’ordine di Putin», afferma Navalny. Una denuncia non nuova già lanciata dall’oppositore russo il 1° ottobre scorso (a cui aveva replicato piccato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov accusandolo di essere al servizio della Cia), quando forse aveva già in mano parte del materiale ora pubblicato dai due portali di giornalismo investigativo. Tuttavia, questa denuncia desta qualche perplessità. Quando Navalny il 9 agosto viene avvelenato – i principali laboratori europei lo hanno confermato – si stanno tenendo delle gigantesche manifestazioni e scioperi in Bielorussia contro uno dei più importanti alleati della Federazione russa: Alexander Lukashenko. Risulta difficile pensare, anche se non si può escludere, che in una tale situazione Putin, che è pur sempre un politico guardingo e per certi versi persino cauto, abbia autorizzato alcuni suoi uomini a gettare benzina sul fuoco. Seppure bisogna riconoscere che l’avvelenamento di Skrypal – la cui responsabilità del Fsb è ormai stata provata – avvenne a pochi mesi da quella grande vetrina che era per la Russia l’organizzazione in casa dei mondiali di calcio.

I servizi segreti agiscono autonomamente?

Esiste un’altra ipotesi che Navalny non sembra voler prendere in considerazione, è cioè che l’Fsb possa operare autonomamente dalla presidenza, sia un organo separato con “licenza di uccidere”, per citare un classico della letteratura della Guerra Fredda. Dentro quali dinamiche e per quali fini è in buona parte da capire, ma tutta la storia recente russa va in quella direzione. O magari forse Navalny lo intuisce ma resta schiacciato dalle necessità propagandistiche immediate? Non si può escludere, visto che non a caso nella parte finale della sua videodenuncia, parla inizialmente del fallimento dell’attentato contro di lui come un elemento del degrado del paese: «Tuttavia, nel complesso, è vero, l’operazione è fallita e di ciò ovviamente sono molto contento. Non c’è bisogno di essere sorpresi di questo. Per vent’anni, sotto la guida di Putin, tutto è stato degradato. E se Rogozin è responsabile per la cosmonautica e Chubais è responsabile delle nanotecnologie, allora come è possibile pensare che l’Fsb sia organizzato meglio? Cosa ti fa pensare che il Novichok funzionerà meglio del robot spaziale Fedor? […] Perché tutto è finito in pezzi nel paese e i funzionari pensano solo a dove rubare. Il sistema sta implodendo nel suo insieme, a tutti i livelli».

È un tradimento nazionale: l’appello alla “diserzione”

Navalny, infine, conclude rivolgersi direttamente all’apparato dei servizi segreti: «Vorrei dire qualche parola agli ufficiali dell’Fsb e alle forze dell’ordine in generale. Non vi vergognate di lavorare in questo sistema? Bene, è chiaro che vi siete trasformati in servitori di ladri e traditori. Per vent’anni Putin ha costantemente trasformato sia l’Fsb che il Ministero degli Affari interni in strutture il cui compito principale è aiutare lui e i suoi amici a rubare. E questo è l’unico progetto nazionale che è stato completato perfettamente. Il paese più ricco e con enormi risorse è diventato indigente. […] Non c’è bisogno di partecipare a questo tradimento nazionale. Coloro che sostengono Putin e il suo sistema non sono patrioti, ma traditori. Hanno tradito il popolo russo». Un appello alla “diserzione” – per ora destinato a restare probabilmente senza successo – ma che pone un quesito: quali sono oggi gli equilibri di potere tra Cremlino e Piazza della Lubyanka dove si trova il grande edificio che ospita gli uffici del Fsb?

 

Questo articolo inaugura una serie di articoli che Yurii Colombo produrrà per OGzero riguardanti i rapporti tra Vladimir Putin e i servizi segreti del suo paese, un’interpretazione dei meccanismi e delle strategie di potere che legano Cremlino e Lubyanka. Come si riflette questo rapporto sulle decisioni e sulla politica internazionale?

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