Barak MX Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/barak-mx/ geopolitica etc Sun, 21 Jan 2024 09:53:52 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 LA GUERRA VIENE CON LE ARMI: LO SPACCIO A NOVEMBRE https://ogzero.org/studium/la-guerra-viene-con-le-armi-lo-spaccio-a-novembre/ Thu, 05 Jan 2023 09:28:05 +0000 https://ogzero.org/?post_type=portfolio&p=9930 L'articolo LA GUERRA VIENE CON LE ARMI: LO SPACCIO A NOVEMBRE proviene da OGzero.

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Miniere di guerra di prossimità africana

In Africa subsahariana i cinque maggiori importatori di armi sono stati Angola, Nigeria, Etiopia, Mali e Botswana. Resta un grande importatore l’Egitto che con il più 73% diventa il terzo importatore di armi a livello globale (Focus di “Atlante delle Guerre”, 29 marzo 2022).

Gianni Sartori ci ha fornito un testo foriero di molteplici spunti di lettura paralleli: a cavallo tra risorse africane, compagnie minerarie, approvvigionamenti di armi e conflitti, presenti e futuri.
Alle tradizionali estrazioni del continente (oro, argento, diamanti, rame, manganese) si aggiungono le basi dei nuovi oggetti: coltan, cobalto, grafite, litio… e gli scenari sono quelli ad alta tensione di Zimbabwe, Sudafrica, Marocco, Mali, Burkina Faso, Congo…


E PER LE GRANDI COMPAGNIE GLI AFFARI VANNO A GONFIE VELE
PREANNUNCIANDO FUTURI CONFLITTI

di Gianni Sartori

Se, come recitava negli anni settanta la rivista “Hérodote” (di cui conservo gelosamente due-tre numeri dell’edizione italiana pubblicati dal mai dimenticato Bertani): «La geografia serve a fare la guerra», parafrasando possiamo aggiungere che “la geologia la determina”. O quantomeno la indirizza e alimenta.
Per cui volendo azzardare ipotesi sui futuri conflitti sarebbe opportuno munirsi di aggiornate carte minerarie.

Litio, cobalto, stagno, rame, grafite, nickel… risultano indispensabili per quella fantomatica “transizione energetica” (dove l’unico verde identificabile sembra quello dei dollari, quelli di una volta almeno) a cui tendono in maniera talvolta spasmodica compagnie minerarie e produttori di automobili. Con il continente africano che al momento sembra essere quello più ambito.

Secondo le compagnie minerarie e alcuni governi (africani e non) molte risorse minerarie (litio, rame, stagno, cobalto…) finora sarebbero state non adeguatamente sfruttate (o addirittura “trascurate”). Oggi si intende rimediare riattivando antiche miniere e aprendone di nuove (e pazienza per l’ambiente e le popolazioni indigene, ovviamente).


ZIMBABWE E LITIO

Pare che l’ex Rhodesia, oggi Zimbabwe, sia uno dei pochi paesi africani dotati di vaste riserve di Lithium. Nel senso di “litio”, il minerale (simbolo Li, numero atomico 3, peso atomico 6,94; nessun riferimento ai Nirvana quindi) essenziale per le batterie dei veicoli elettrici.
E se questo ha già scatenato le comprensibili brame delle grandi compagnie minerarie, finora aveva mobilitato soprattutto schiere di minatori individuali (“artigianali”). Sui quali tuttavia stanno calando pesanti restrizioni ministeriali. In pratica non potranno più esportare il materiale grezzo estratto, spesso fortunosamente, da terreni non necessariamente di loro proprietà e da miniere abbandonate.

Una restrizione che non dovrà interessare le miniere di livello industriale in quanto dovrebbero esportare solo materiale trattato, un “concentrato di litio”. Miniere comunque ancora in fase di realizzazione, dato che l’unica importante produttrice di litio è quella di Bikita. Nello stesso tempo il governo di Harare intende favorire aziende locali per la trasformazione in loco del minerale così che possa venir utilizzato direttamente dall’industria dei veicoli elettrici. Risale a novembre l’accordo firmato con la TsingShan Holding per un impianto in grado di produrre il concentrato di litio (“AgenziaNova”). 


100 %

Avanzamento



GENNAIO FEBBRAIO MARZO APRILE MAGGIO GIUGNO LUGLIO AGOSTO SETTEMBRE OTTOBRE Traffico 2022


Ventotto i Paesi in cui Wagner avrebbe operato, diciotto dei quali africani: Libia, Repubblica Centrafricana, Mozambico, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Mali, Madagascar e Zimbabwe tanto per citarne alcuni (“AnalisiDifesa”). E Wagner è lì solo per curare gli interessi minerari di Mosca

Il primo vertice Russia-Africa, tenutosi nel 2019, ha fatto parlare di “ritorno della Russia in Africa” dopo anni di disimpegno a sud del Sahara. Il rinvio del secondo vertice, che avrebbe dovuto tenersi alla fine del 2022 in Africa, ha apparentemente messo in luce le vulnerabilità economiche e politiche della Russia alla luce della sua guerra di aggressione contro l’Ucraina. Eppure, l’impegno diplomatico e di sicurezza della Russia in Africa sembra continuare senza sosta. Che impatto ha la guerra in Ucraina sulle relazioni della Russia con i Paesi africani? Come stanno reagendo alla guerra? Cosa possiamo aspettarci dal futuro ruolo e dalla presenza della Russia nel continente? (ISPI)

Per l’Africa, con una perdita annua di quattro milioni di ettari di foreste, questo è “mal comune” (ma senza “gaudio” ovviamente). In base agli atti recentemente pubblicati dalla National Academy of Sciences, l’aumento esponenziale delle attività estrattive in aree forestali costituisce il 47% (oltre tremila e duecento chilometri quadrati) della distruzione delle foreste tropicali dal 2000 a oggi. Soprattutto in Ghana, Tanzania, Zimbabwe e Costa d’Avorio.

Contemporaneamente anche Biden ha rivolto l’attenzione degli Usa all’Africa abbandonata da Trump (e in parte prima da Obama), convocando un summit di metà dicembre per contrastare la presenza sinorussa nel continente (ISPI): Guinea, Sudan, Mali, Zimbabwe, Burkina Faso ed Eritrea sono rimaste fouri dalla lista degli invitati. Invece Teodoro Obiang, l’autocrate guineano più longevo al mondo, risultava tra gli invitati: la Guinea equatoriale è tra i porti nevralgici per ogni tipo di merci, legali o meno.

Tutti paesi dove la tensione per il controllo di queste risorse si fa più forte, creando strategie esterne e appoggi da potenze locali. Smerci di armi… ma gli stati che intendono proteggere i loro minerali “rari” e preziosi non si dotano di armi che possono competere con le potenze interessate allo sfruttamento dele miniere, o per avversare le milizie che fanno gli interessi di quegli stati, piuttosto si dotano di elicotteri per il controllo delle rivolte della popolazione, indignata dalla corruzione e dal saccheggio di risorse nazionali.



In Zimbbwe è operativo il MiG21 nella versione J7, copia non autorizzata del Fishbed realizzata in Cina (“AnalisiDifesa”)

Nel gennaio 2022, lo Zimbabwe era al 93° posto sui 142 paesi considerati nella classifica annuale della GFP con PwrIndx di 2,2498 (laddove lo zero sarebbe “perfetto”).
Il Generale di Brigata Mike Nicholas Sango, ambasciatore dello Zimbabwe presso la Federazione Russa, ha detto che «la politica della Russia nei confronti dello Zimbabwe negli ultimi anni si è evoluta in modo positivo. L’impegno del Governo dello Zimbabwe con la Federazione Russa è storicamente radicato nel contributo del nuovo stato al raggiungimento della libertà e della nazione da parte dello Zimbabwe nel 1980» (“Africa24”).
Secondo lui, il presidente della Repubblica dello Zimbabwe, Emmerson Dambudzo Mnangagwa, ha visitato Mosca nel 2019. Da allora, ci sono state visite reciproche di ministri e parlamentari. All’inizio di giugno 2022, la presidente del Consiglio Federale, Valentina Matviyenko, ha visitato lo Zimbabwe. I militari dello Zimbabwe hanno partecipato ai Giochi dell’Esercito nel corso degli anni e ai Giochi dell’Esercito di metà agosto 2022.
E non a caso i russi hanno voluto scambiare Viktor Bout, il mercante di armi.

Russia
Mentre Washington domina il mercato globale delle armi di alta gamma e ad alta tecnologia, la Russia si è ritagliata un posto di primo piano come fornitore mondiale di armi economiche, ma a bassa tecnologia, talvolta descritte come “armi di valore”. Queste includono nuove varianti di equipaggiamenti sovietici e russi come i carri armati T-72 e T-80, pezzi di artiglieria trainati come il D-30, obici semoventi come il 2S1 Gvozdika e il 2S19 Msta, lanciarazzi multipli semoventi come il BM-27 Uragan e il BM-30 Smerch, il sistema di difesa missilistica S-300 e i veicoli corazzati per il trasporto di personale come il BMP-3 e il BTR-70.

Cina
Sebbene i paesi a basso reddito come Myanmar, Zambia e Zimbabwe acquistino solo armi di questa categoria, anche i paesi a medio reddito come Brasile, India e Thailandia, che partecipano a segmenti del mercato di fascia alta, acquistano grandi forniture di armi di valore. Nel 2022, la spesa per la difesa dei paesi principalmente africani, asiatici e latinoamericani che compongono il mercato di valore ammonterà a 246 miliardi di dollari. Dal momento che le aziende americane di solito non competono nel mercato delle armi di valore, le difficoltà della Russia hanno creato un vuoto. E il paese pronto a riempirlo è la Cina. Se non controllata, Pechino potrebbe utilizzare le vendite di attrezzature per la difesa per costruire relazioni più forti con le élite al potere e per assicurarsi basi all’estero, limitando potenzialmente la capacità di manovra delle forze armate statunitensi in tutto il mondo. L’espansione delle vendite di armi cinesi minerebbe l’influenza degli Stati Uniti nella competizione geostrategica in corso. Ma questo esito non è ancora inevitabile. Gli Stati Uniti e i loro alleati sono ancora in tempo per fornire sostituti alle armi russe a prezzi accessibili e contrastare così le ambizioni della Cina. La Cina vanta sei delle 25 maggiori aziende di difesa del mondo. Sebbene l’attuale quota del cinque per cento del mercato globale degli armamenti sia significativamente inferiore al 19 per cento della Russia, ciò indica il potenziale della Cina di espandere la propria quota di mercato. La Cina ha diversi vantaggi distinti che potrebbero permetterle di dominare il mercato del valore.
L’approccio cinese all’esportazione di armi è transazionale, libero da preoccupazioni sui diritti umani o sulla stabilità del regime. La Cina scambia armi non solo in cambio di un compenso finanziario, ma anche per l’accesso ai porti e alle risorse naturali degli stati destinatari. In parte, fornendo armi di valore come radar, missili e veicoli blindati al Venezuela e all’Iran, per esempio, Pechino si è assicurata un accesso costante al petrolio di quei Paesi. La maggior parte dei paesi dell’Africa subsahariana utilizza armi cinesi, ma le vendite alla regione rappresentano solo il 19% delle esportazioni cinesi. Oltre il 75% delle esportazioni cinesi è destinato ai paesi asiatici dove la Cina ha iniziato a espandere la propria rete di produzione industriale. Il Pakistan, per esempio, ora coproduce molti sistemi d’arma cinesi, come il carro armato Al-Khalid e il caccia JF-17 Thunder. Più di recente, oltre alle armi di valore, la Cina ha iniziato a vendere sistemi d’arma di fascia più alta a clienti importanti: ad aprile ha iniziato a vendere missili antiaerei alla Serbia e a giugno l’Argentina ha segnalato interesse per i jet da combattimento JF-17. La Cina è ora il più grande esportatore di droni al mondo e ha iniziato a vendere i suoi Wing Loong e i modelli CH-4 a clienti che prima acquistavano droni britannici, francesi, russi e statunitensi: un elenco di paesi che comprende Egitto, Iraq, Giordania e Arabia Saudita. (“ForeignAffairs”)
Secondo il “Jane’s Defence Weekly”, quasi il 70% dei veicoli militari blindati presenti in tutti i 54 paesi africani sono di origine cinese, mentre quasi il 20% di tutti i veicoli militari del continente sono stati forniti dalla Cina.
Citando un rapporto dell’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma (SIPRI), l’outlet ha sottolineato che, emergendo come quarto fornitore globale di armi, la Cina ha rappresentato il 4,6% del totale delle esportazioni di armi globali tra il 2017 e il 2021.
Di questo totale di esportazioni di armi globali, il 10% è stato destinato a paesi africani. Etiopia, Sudan, Nigeria, Tanzania, Camerun, Zimbabwe, Zambia, Gabon, Algeria, Namibia, Ghana, Burundi, Kenya e Mozambico sono stati i principali importatori di armi cinesi negli ultimi cinque anni (“Asia News International”).

Zimbabwe

«Lo Zimbabwe è forse il più longevo beneficiario africano dell’assistenza alle forze di sicurezza (SFA) da parte della Cina», affermano due ricercatori senior del Peace Research Institute di Oslo, Ilaria Carrozza e Nicholas Marsh, nello studio pubblicato sul Journal of Global Security Studies.

La Cina ha fornito addestramento militare ai membri del Fronte patriottico dell’Unione nazionale africana dello Zimbabwe, guidato da Mugabe, durante la sua lotta per la liberazione. Tra le persone addestrate c’era anche il presidente Emmerson Mnangagwa, salito al potere cinque anni fa dopo il colpo di stato che ha spodestato Mugabe.

«Questo sostegno ha contribuito a suggellare un rapporto di sicurezza tra la Cina e la leadership dello Zimbabwe che dura tuttora», si legge nello studio.

L’assistenza alle forze di sicurezza comprende donazioni, in genere di attrezzature militari e di addestramento, che mirano a migliorare la capacità delle forze di sicurezza di un paese beneficiario, ha affermato Carrozza.
Lo Zimbabwe è stato tagliato fuori dai mercati globali dei capitali nei due decenni trascorsi da quando gli Stati Uniti e altri paesi occidentali hanno imposto sanzioni ad Harare per le violazioni dei diritti umani e la confisca delle terre agli agricoltori bianchi, lasciando a Pechino il ruolo di principale finanziatore di progetti infrastrutturali come dighe idroelettriche, aeroporti e strade (SCMP).

SUDAFRICA: MEGLIO IL LITIO DEL CARBONE? DIPENDE…

di Gianni Sartori

Dal 2023 (stando a una recente dichiarazione) la Compagnia mineraria Marula Mining (All Star Minerals) darà il via alla vendita di litio a una filiale della lussemburghese Traxys. Quanto alla provenienza del minerale, sarebbe la miniera di Blesberg, in disuso da tempo e riaperta nel dicembre 2022. Anche se per ora i lavori proseguono lentamente e su piccola scala, in attesa di ulteriori perforazioni e carotaggi.

Oltre al litio (sotto forma di spodumene che qui lo contiene con percentuali tra il 6 e il 7 %), la miniera sarebbe in grado di fornire anche tantalio.

Ma in materia di miniere non son tutte rose e fiori per il Sudafrica. Le miniere abbandonate di carbone, per esempio, rappresentano – oltre che un potenziale pericolo – una documentata fonte di inquinamento per le sorgenti e le falde acquifere, una grave minaccia per la salute delle popolazioni. O almeno questo è quanto sostiene Human Rights Watch in un suo recente rapporto (The Forever Mines : Perpetual Rights Risks from Unrehabilitated Coal Mines in Mpumalanga, South Africa ) con cui accusa il governo sudafricano di non garantire la bonifica, il risanamento delle miniere abbandonate. Di non aver fatto nulla per rimediare a tale “eredità tossica”.

E ovviamente vengono messe sotto accusa anche le compagnie minerarie che «per anni hanno tratto profitti dallo sfruttamento del carbone, ignorando però le proprie responsabilità al momento di ripulire, bonificare il degrado, l’inquinamento che si sono lasciate alle spalle».

Lasciando sovente alle comunità locali l’onere di rimediare ai danni.

  1. Alla realizzazione del dossier di Human Rights Watch hanno contribuito decine di esponenti delle comunità locali (compresi i genitori dei numerosi bambini che hanno perso la vita precipitando in pozzi a cielo aperto), rappresentanti di associazioni locali e di ong, ricercatori universitari e personale sanitario. E anche molti “minatori individuali” o che operavano comunque a livello artigianale, al di fuori delle compagnie minerarie. In genere tra i residui di quelle abbandonate con gravi conseguenze per la salute. Come ha ben documentato Human Rights Watch riportando oltre 300 decessi di questi “zama – zama”. Deceduti in gran parte per il crollo dei tunnel, in minor misura per intossicazione da gas o incidenti con esplosivi). Inevitabile un raffronto con i garimpeiros di Brasile e dintorni o con i minatori (in genera persone anziane o giovanissime) che scavano (scavano?!) tra i residui, gli scarti delle miniere boliviane.

Su 2300 miniere prese in esame e classificate “ad alto rischio” (tra cui sono centinaia quelle di carbone), soltanto 27 sono state bonificate in Sudafrica. Si tratta di quelle da cui si ricavava l’amianto (in genere “amianto nero”, più nocivo, ma meno costoso da estrarre e che ha distrutto la salute di migliaia e migliaia di minatori neri).

Specificatamente per quelle di carbone, si è potuto documentare come i residui minerari esposti alle intemperie contribuiscano ad aumentare notevolmente l’acidità dell’acqua e dei terreni. Il fenomeno conosciuto come ”drenaggio minerario acido” provoca sia l’inquinamento delle acque che la sterilizzazione dei terreni, oltre a corrodere e danneggiare irreparabilmente le infrastrutture di approvvigionamento dell’acqua potabile.

Se l’UE è il principale partner commerciale del paese, la Cina è presente in misura sempre maggiore con investimenti di varia natura

Decine di compagnie minerarie sudafricane si rifiutano di rendere pubblici i loro piani sociali e di lavoro, o SLP, come richiesto dalla legge. Senza l’accesso a questi documenti, le comunità hanno difficoltà a valutare gli impegni sociali delle compagnie minerarie o a ritenerle responsabili. Questi piani dovrebbero descrivere in dettaglio come le aziende sosterranno la creazione di posti di lavoro e il miglioramento dei servizi nelle città in cui estraggono. L’organizzazione no-profit Mining Affected Communities United in Action (MACUA) stima che tra il 70 e il 90% delle miniere in Sudafrica non pubblichino i loro piani.

Fondata nel 2011, la miniera di Kolomela, a 22 chilometri dalla città di Postmasburg, nella provincia di Northern Cape, produce ogni anno oltre 9 milioni di tonnellate di minerale di ferro. Dal 2021, Kolomela, che è di proprietà della filiale locale del gigante minerario Anglo American, Kumba Iron Ore, ha respinto gli sforzi del MACUA e dei membri della comunità per ottenere una copia dello SLP 2020-2024 della miniera (“Mongabay”).

Oggi il Sudafrica non è più leader mondiale della produzione dell’oro, sebbene secondo le stime dell’US Geological Survey detenga il 50% delle risorse aurifere del pianeta, ma è ancora in testa a livello continentale. Le riserve però iniziano ad esaurirsi e il paese è passato dal 15% della produzione mondiale al 12%.

Questa situazione, con la diminuzione delle miniere e la perdita del lavoro, non ha fatto che peggiorare le condizioni di vita e di lavoro dei minatori, uomini, donne e bambini che accettano condizioni lavorative degradanti e rischiano di morire per poter sopravvivere. Una miniera dismessa è terreno fertile per minatori illegali che cercano l’ultimo filone in autonomia o con l’aiuto degli ultimi tra i disperati. Tra il 2004 e il 2015 un terzo delle 180.000 persone che lavoravano nel settore minerario sudafricano sono state licenziate. Molte sono tornate alle miniere da sole, illegalmente (“Orovilla”). Imponenti e ricorrenti scioperi hanno prodotto scontri e massacri della polizia a difesa di istituzioni e investitori cinesi ed europei, che hanno chiesto all’ex sindacalista compagno di Mandela Ramaphosa di eliminare tasse e promesse di maggiori diritti per i lavoratori: «Le lotte che lo attraversano, tanto dei minatori neri e spesso migranti quanto delle popolazioni nere locali, trascendono il più delle volte i confini nazionali, proprio a causa del carattere non-nazionale dei bersagli e delle rivendicazioni in reazione al Trade, Development and Co-operation Agreement: il piano di liberalizzazioni previsto dall’accordo ha infatti imposto leggi sul lavoro, riduzione dei salari, privatizzazione delle aziende statali, leggi sull’immigrazione e tagli alla spesa pubblica in nome di un “rilancio” dell’economia sudafricana. instaurando un regime commerciale preferenziale tra l’UE e il Sudafrica, con la creazione progressiva di zone di libero scambio (ZLS) per la libera circolazione delle merci. Questo vale sia per gli scambi commerciali, sia per gli investimenti, definendo di fatto l’UE come principale partner economico del Sudafrica. Secondo un modello ormai diffuso su scala globale e di cui l’Ue si fa promotrice, le zone economiche… Se l’UE è il principale partner commerciale del paese, la Cina è presente in misura sempre maggiore con investimenti di varia natura. Come si legge sul sito di Taung Gold, una delle principali società finanziarie cinesi attiva principalmente nel settore minerario, la Cina “è profondamente consapevole dell’importanza degli investimenti cinesi in Sudafrica”. Taung Gold è da oltre un decennio una delle molte imprese della Repubblica Popolare che investono in Sud Africa, soprattutto nel settore minerario. Tra gli esempi più significativi vi è l’acquisizione da parte del Gruppo Jinchuan e del China-Africa Development Fund del 45% di Wesizwe Platinum, una junior mining company» (“ConnessioniPrecarie”). E allora, come riportava “Il Post” nel luglio 2019, i vertici militari sudafricani avevano deciso di usare l’esercito per reprimere le proteste e gli scontri iniziati dopo che l’ex presidente Jacob Zuma era stato incarcerato nel luglio per un episodio di corruzione da parte della francese Thales: una tangente relativa all’acquisto di una partita di armi nel 1999. La difesa dell’ex presidente e del suo sistema di corruzione è solo la miccia che ha fatto esplodere la rabbia, temuta da Pretoria, ma anche da UE e Cina: «Le rivolte sono il prodotto delle disuguaglianze crescenti che la fine dell’apartheid non ha saputo ridurre, e di rivalità politiche all’interno del partito al potere, l’African national congress (Anc)»; Zuma è un populista zulu, eroico combattente da giovane, e anche questi elementi sono alla base delle rivolte contro le barriere sociali sostituite dagli stranieri al posto di quelle razziali. Alla fine si sono visti anche i carri armati Olifant e sono arrivati 25.000 soldati ad appoggiare le forze di polizia. L’ultimo bilancio avrebbe parlato di 212 vititme e migliaia di feriti e arresti.

Perciò le necessità di armi dell’esercito sudafricano deve rispondere al contenimento di rivolte interne: infatti nella più imponente esercitazione militare dell’esercito sudafricano tenutasi nel novembre 2022 (Vuk’uhlome – “alzati e armati” in lingua zulu) ha testato la capacità e lo stato di preparazione della forza terrestre, supportata dalle Forze Speciali SA, dall’Aeronautica Militare SA (SAAF), dal Servizio Sanitario Militare SA (SAMHS), dalla Divisione di Polizia Militare e dalla Divisione Servizi Legali. Durante il Distinguished Visitors’ Day dell’esercitazione sono state dimostrate numerose capacità, che vanno dalla gestione dei disordini civili al lancio di forze aeree con il paracadute, agli attacchi di precisione con razzi e artiglieria, alle operazioni di controinsurrezione, agli attacchi di fanteria… Le Forze speciali, con le loro armi e i loro veicoli, hanno svolto un ruolo importante nella battaglia simulata, che ha visto il coinvolgimento di veicoli corazzati, tra cui i carri armati Olifant.

L’Aeronautica militare ha sostenuto l’esercitazione con aerei da trasporto Cessna Caravan e C212, elicotteri da trasporto/utilità Oryx e A109 e un elicottero d’attacco Rooivalk. Quest’ultimo non ha sparato, ma due caccia-addestratori Hawk Mk 120 hanno sganciato bombe sul poligono di Lohatla. La SANDF è penalizzata da un massiccio sottofinanziamento aggravato da una lista crescente di compiti, oltre che dall’invecchiamento dell’equipaggiamento – non è chiaro quando riceverà i nuovi veicoli da combattimento di fanteria Badger da Denel. Tra le recenti acquisizioni figurano i fucili di precisione Truvelo, i lanciagranate da 40 mm Milkor, i fucili senza rinculo Carl Gustaf Saab, i veicoli con cannone antiaereo ZSU-23-2 montati su Land Cruiser e i veicoli con mortaio Scorpion da 60/80 millimetri (tutti con ogni evidenza sistemi di contenimento interni e non di difesa da potenze straniere). Una grande esposizione dell’industria della difesa ha fatto parte dell’esercitazione Vuk’uhlome, con più di mezza dozzina di aziende che hanno esposto i loro prodotti. Tra queste, Reutech (radar e torrette d’arma), Canvas and Tent (alloggi da campo), Rheinmetall Denel Munition (energia verde), Global Command and Control Technologies (soluzioni di comando e controllo), Dinkwanyana Aerospace (veicoli aerei senza pilota), OTT Solutions (veicoli corazzati, tra cui il dimostratore Ratel Service Life Extension) e Denel. Quest’ultima ha presentato i suoi veicoli da combattimento per la fanteria Badger e RG41, i veicoli corazzati per il trasporto di personale RG21 e RG31 e l’obice semovente T5-52. SVI Engineering ha portato nell’area espositiva due dei suoi veicoli blindati (Max 3 e Max 9). L’azienda ha anche fornito veicoli da mortaio Scorpion alla SANDF (“DefenceWeb”). Ma i 9 velivoli C-47TP in servizio con il 35° Squadron della South Africa Air Force sarebbero quasi tutti a terra in attesa che la società Armscor reperisca sul mercato pezzi di ricambio; le difficoltà economiche della Difesa sudafricana si riflettono pesantemente sulle capacità della SAAF che da mesi tiene a terra per mancanza di ricambi e assistenza l’intera flotta di 26 velivoli da combattimento SAAB Jas 39 Gripen (“AnalisiDifesa”).

LA COMPAGNIA MAROCCHINA MANAGEM FARA’ AFFARI D’“ORO”

di Gianni Sartori

Novità rilevanti anche dal Marocco con l’ormai centenaria compagnia Managem sempre più “leader regionale” (ma con aspirazioni evidentemente “continentali”) nell’industria mineraria africana. Da circa vent’anni va ampliando il suo raggio d’intervento in Sudan (oro), Gabon, RdC (sarà mica per il coltan?) e Guinea (ancora per l’oro).

Verso la fine di dicembre il direttore generale di Managem ha annunciato di aver sottoscritto un accordo (una transazione del valore di circa 280 milioni di dollari) con la canadese Iamgold Corporation per acquisire la proprietà di alcuni progetti di estrazione aurifera in Mali (progetto Diakha-Siribaya), Senegal (progetti Boto, Boto ovest, Daorala, Senala ovest) e Guinea (progetto Karita): una striscia unica di territorio conteso tra Senegal, Mali e Guinea: Bambouk Assets che il Marocco si è attribuito con la dichiarata intenzione di aumentare la propria produzione di oro dato che finora si era posizionata ben lontana dai livelli di produzione di compagnie come Iamgold, Endeavoure, B2Gold o Kinross Gold.

ESCALATION MAGHREBINA

A questi territori, per quanto contigui, va assicurata la sicurezza, perciò il Marocco si riarma e si fa forte delle alleanze strette con Usa e Israele.

Per un controllo capillare della sicurezza nell’estrazione mineraria la prima mossa fondamentale è il controllo dall’alto del territorio e infatti in combutta con Sabca (l’impresa marocchina dell’aerospaziale) troviamo Sabena– di Blueberry Group – e Lockhead impegnatee nel progetto di realizzare la prima officin di manutenzione dei C130, essenziale per la sovranità del Marocco. I media riferiscono di piani marocchini per l’acquisto di 22 elicotteri T129 ATAK per un valore di 1,3 miliardi di dollari. L’accordo si aggiungerebbe a un ordine per 36 elicotteri d’attacco AH-64E Apache e relative attrezzature, per un costo stimato di 4,25 miliardi di dollari. Riconoscendo l’importanza della superiorità aerea nel contrastare qualsiasi minaccia alla sicurezza nazionale che possa derivare dalla crescente instabilità del Sahel e dell’Algeria, il Marocco ha anche ordinato altre 25 unità di caccia F-16C/D Block 72, che porteranno il numero totale della flotta di F-16 del Marocco a 48 unità. L’evoluzione della strategia militare del Marocco pone inoltre particolare enfasi sulla guerra con i droni, utilizzata contro la resistenza saharawi; e proprio in seguito allo strappo di Trump con l’imposizione degli Accordi di Abraham in cambio del riconoscimento della occupazione illegittima del Sahara occidentale da parte di Rabat è stata agevolata la partnership con Israele, il cui capo di stato maggiore a luglio fece la prima visita a Rabat, secondo Reuter per rafforzare la cooperazione militare e quindi “AnalisiDifesa” informava in ottobre che l’esercito del Marocco aveva acquistato 150 UAV WanderB e ThunderB dall’israeliana BlueBird Aero Systems.
La Reuters ha riferito che gli Stati Uniti hanno proceduto con la vendita al Marocco di quattro droni MQ-9B SeaGuardian e di armi a guida di precisione per un valore di 1 miliardo di dollari. I media israeliani hanno anche riferito che il Marocco sta cercando il sistema di difesa aerea e missilistica Barak MX in un accordo del valore di oltre 500 milioni di dollari. Il Marocco ha già acquistato indirettamente gli UAV Heron di IAI e altri UAV dell’unità Bluebird di IAI, oltre a sistemi di veicoli robotici di pattugliamento di Elbit Systems e intercettatori di droni di Skylock. Negli ultimi due anni, il Marocco ha aumentato le importazioni di droni. Li ha acquistati da diversi paesi come Cina, Turchia, Francia e Israele, costituendo così una vera e propria flotta, probabilmente la più sviluppata del Nordafrica, secondo gli specialisti. (“Challenge”).

Il Marocco intende mettere in produzione droni di fabbricazione propria con tecnologia israeliana e perciò ha realizzato un partenariato con i belgi di Orizio, gruppo aerospaziale che costruirà un centro di manutenzione per F-16 e elicotteri a Benslimane. La spesa per la Difesa ha raggiunto il 5,2% del pil marocchino.


L’operazione di addestramento “Desert Shield”, svoltasi a novembre con forze congiunte russe e algerine al confine con il Marocco, coincide con un’escalation del riarmo regionale. L’Algeria ha annunciato che aumenterà a 23 miliardi di dollari il suo budget militare del 130 per cento nel 2023 per raggiungere il 12 per cento del suo prodotto interno lordo grazie all’aumento dei prezzi del gas e del petrolio. Di questi, 5 miliardi sono destinati a operazioni fuori dai confini in seguito all’estinzione dell’Operazione Barkhane nel vicino Mali a supporto della milizia Wagner. Mosca è il maggior fornitore di armi di Algeri (in particolare i carri armati T-90M, nuova versione di quelli datati 1993 e usati ancora in Siria dall’esercito russo; i missili terra-aria S-350 e Buk-M2, corrispondenti ai Barak-8 israeliani in dotazione a Rabat), che partecipa a tutte le manovre congiunte dell’esercito russo. Algeri ha stipulato un contratto di 12 miliardi di dollari per l’acquisto di caccia Sukhoi SU-75 “Checkmate” Viste le debacle delle armi russe (proprio quei residuati bellici dei BMP-1 e 2 in dotazione all’esercito algerino) può darsi che il budget sproporzionato sia volto a differenziare le fonti di approvvigionamento, ipotizza Abdelhak Bassou a “Le360”: «Questo aumento del budget potrebbe essere spiegato dal desiderio del governo algerino di calmare gli occidentali acquistando armi da loro. Un modo per soddisfare tutti. Ma è ovvio che più la Russia si isola sulla scena internazionale, più i suoi satelliti si isolano. A meno che non ci sia una svolta e l’Algeria cambi le carte in tavola».
Ad alimentare le tensioni nella regione si aggiunge anche l’Iran, alleato di Putin, che ha confermato ufficialmente la fornitura dei suoi droni all’esercito algerino e al gruppo separatista del Polisario, gli stessi usati dalla Russia nella sua guerra contro l’Ucraina (“l’Opinione”).

I due paesi sono divisi non solo dai. Fosfati saharawi, ma anche dai percorsi di gasdotti: quello algerino interrotto nell’ottobre 2021 (al momento del riconoscimento di Madrid della sovranità spagnola sul Sahara occidentale) e che transitava dal Marocco per convogliare gas in Spagna; e quello che dalla Nigeria, lungo tutta la costa atlantica, porterebbe off-shore fino in Spagna la pipeline (“JeuneAfrique”).

Dunque di nuovo sono i minerali dietro a un consistente riarmo… Come in Sahel e Centrafrica.

ESTRAZIONE ED ESPORTAZIONE IN SAHEL.
MINERALI DI VALORE DOPO L’USCITA DAI CONFINI

di Gianni Sartori
IL MALI VERSO LA LIBERALIZZAZIONE DEL SETTORE?

Mentre il regime militare del Mali annunciava la creazione di una compagnia mineraria nazionale, quasi contemporaneamente (ai primi di dicembre), dal ministero delle Miniere arrivava un comunicato con cui sostanzialmente si apriva la strada a ulteriori liberalizzazioni in materia di “permessi di esplorazione e permessi di sfruttamento minerario”.
Con ogni probabilità, viste le recenti difficoltà incontrate nel settore, lo stato ritiene così di attrarre investimenti stranieri nello sfruttamento delle risorse minerarie.

Ma non tutti esultano, ovviamente. Per esempio i portavoce del Consiglio locale della gioventù della zona aurifera di Kenieba (regione di Kayes, dove già sono attive una mezza dozzina di società minerarie) hanno protestato vigorosamente in quanto «prima di concedere i permessi di esplorazione e di sfruttamento, si deve consultare la popolazione». Soprattutto per “valutare l’impatto ambientale” e sapendo che «verranno espropriate terre coltivabili per cui alla popolazione si dovranno quantomeno offrire delle adeguate compensazioni».
Attualmente tra i minerali estratti in Mali, l’oro rappresenta il 10% del pil e circa l’80% delle esportazioni.

STERILI POLEMICHE SUL BURKINA FASO?

Da segnalare anche la polemica (strumentale?) scatenata dal presidente del Ghana Nana Akufo-Addo mentre si trovava (guarda caso) a Washington, accusando il Burkina Faso di aver ceduto alla compagnia russa Wagner una miniera d’oro a pagamento dell’intervento militare contro l’insorgenza jihadista.
Notizia immediatamente smentita da Simon Pierre Boussim, ministro di Energia, Miniere e Cave, nella conferenza stampa del 20 dicembre, organizzata con l’ITIE-Burkina (Comitato per la Trasparenza nelle Industrie Estrattive) nella capitale Ouagadougou dell’ex Alto Volta.

In realtà in Burkina Faso esiste già una presenza russa in campo minerario (si parla di tre miniere sfruttate da Nordgold). Ma qui operativa da oltre dieci anni
(“Acled”).

ESCALATION SAHELIANA

Paradossalmente la strategia di influenza della Russia in Africa si basa su interessi economici relativamente minori. Il commercio della Russia con l’Africa non supera i 30 miliardi di dollari, il che non la colloca tra i primi venti partner del continente. Quest’ultima, ricca di materie prime, non è molto complementare alla Russia. «La Russia ha firmato molti accordi di cooperazione economica dal 2014, ma pochi sono stati attuati», ha dichiarato Thierry Vircoulon, per il quale «stiamo anche aspettando di vedere se il suo ruolo nel traffico d’oro in Africa aumenterà e se le promesse forniture di petrolio si concretizzeranno».
Per Maxime Audinet: «nell’Africa subsahariana, la posta in gioco economica è secondaria per Mosca, rispetto alla posta in gioco simbolica della proiezione di potenza, anche se le sue leve, come Wagner, sono pagate a peso d’oro in cambio della loro fornitura di sicurezza attraverso l’estrazione di materie prime come oro, diamanti o legni pregiati» (“LesEchos”).

E infatti le armi presenti sul territorio sono sistemi di lancio di multimissili Aml e Sam SA-7°; elicotteri Mi-17 e siste i di difesa antiaerea ZPU-4: tutte tecnologie belliche utili per il contrasto al terrorismo jihadista e per la difesa delle miniere d’oro.

Lo stato russo cerca di estendere la propria influenza attraverso la vendita di armi: è il principale fornitore dei paesi dell’Africa subsahariana, oltre ad avere importanti contratti con Algeria ed Egitto. Poi Wagner assicura la protezione di leader o addestra soldati in molti paesi: Mali, Libia, Madagascar, Sudan, Mozambico, Repubblica Centrafricana (dove è accusato dalle Nazioni Unite di racket, stupri e torture), e probabilmente anche Burkina Faso.

Tuttavia, i mercenari hanno subito sanguinose battute d’arresto in Libia e Mozambico e il Mali sembra ora deluso dal loro coinvolgimento. Come i suoi rivali, anche lo stato russo ha firmato accordi ufficiali di cooperazione militare con una trentina di paesi, che sulla carta sono vantsggiosi ma spesso corrispondono a qualche esercitazione congiunta, senza garanzie di sicurezza reciproca. La Russia non ha ancora una base militare permanente nel continente, nonostante un progetto in Sudan.

In Sahel, ritirata Barkhane, rimangono le milizie jihadiste e la Wagner, il cui armamento sul terreno fornisce risorse alle esigenze dell’occupazione. Dal 2020 tra Libia, Mali, Burkina la Wagner ha dispiegato i caccia Mig-29 e i Su-24, ma questi non sono l’unico equipaggiamento pesante in dotazione: la Pmc russa ha ricevuto anche almeno un veicolo di difesa aerea Pantsir S1, diverso da quelli utilizzati dall’Lna e da Wagner e “prestato” dagli Emirati Arabi Uniti. Per proteggere i suoi aerei, Wagner ha utilizzato radar P-18 Spoonrest oltre a quelli dell’Lna.

Per i loro movimenti i “musicisti” di Wagner utilizzano veicoli blindati prodotti in Russia da un’azienda appartenente al gruppo di società Yevgeny Pirigozhin. Il veicolo è chiamato Valchiria, Chekan, Shchuka o Wagner Wagon[13], ed è un MRAP costruito su un telaio URAL dalla società EVRO POLIS LLC. Tra le armi importate da Wagner ci sono MRAP GAZ Tigr-M, cannoni D-30 da 122 mm e obici MSTA da 152 mm. Per quanto riguarda le armi leggere, le truppe di Wagner utilizzano AK-103 e soprattutto il fucile da cecchino Osiris T-5000. Wagner ha utilizzato alcuni droni durante le sue operazioni, in particolare Zala 421-16E e Orlan 10s. E quando si ritirano i miliziani spargono mine antiuomo MON-50, 90 e 100 (Rosa Luxemburg Stiftung).

MATERIALI GREZZI LAVORATI IN LOCO…
MA CON INVESTIMENTI STRATEGICI AMERICANI

di Gianni Sartori

LA ZLECA SI VA ESPANDENDO?

Risaliva a tre anni fa l’annuncio da parte di Albert Muchanga (commissario allo Sviluppo economico, al Commercio, all’Industria e all’Attività minerarie dell’Unione africana) di consultazioni amichevoli tra due delle maggiori entità minerarie dell’Africa: il Congo e lo Zambia. Nazioni nei cui territori sono sepolte ingenti quantità di minerali fondamentali per la produzione delle batterie per i veicoli elettrici e che ora, in base ai futuri accordi, dovrebbero poterle produrre autonomamente e direttamente.

A suo tempo per esporre i progressi di tale progetto Muchanga aveva scelto l’occasione del Mining Indaba, il maggior meeting del settore minerario africano; e fondamentale era stato l’anno scorso il ruolo di Muchanga nel veder ratificare l’Accordo sulla Zona di libero-scambio continentale africano (Zleca).


E GLI USA? DIVERSAMENTE DALLE STELLE DI CRONIN NON STANNO A GUARDARE

Gli Stati Uniti non stanno a guardare naturalmente. Firmato recentemente da Washington un accordo (un memorandum d’intesa) con Repubblica democratica del Congo e Zambia (con i maggiori giacimenti di cobalto e rame) sui metalli per le batterie.
Nell’accordo è previsto un investimento da 55 miliardi di dollari nel giro di tre anni.
Fondi elargiti dalla Minerals Security Partnership (vi aderiscono Corea del Sud, Canada, Australia, Regno Unito, Giappone, Regno Unito…) a sostegno dei sistemi sanitari, per la tutela del lavoro femminile, nella lotta ai cambiamenti climatici…
Ma anche, o soprattutto, per investire nei progetti per le auto elettriche. Allo scopo dichiarato di contrastare l’egemonia cinese (visto che Pechino, a titolo di esempio, controlla già gran parte delle miniere di cobalto nella Repubblica democratica del Congo).
Come ha preannunciato il segretario di Stato Antony Blinken: «Washington esplorerà meccanismi di finanziamento e di sostegno agli investimenti nelle catene africane dei veicoli elettrici».

In pratica verranno finanziate sia le estrazioni minerarie che la lavorazione dei metalli estratti (raffinerie e affini). Oltre alle operazioni di riciclaggio. Alla vasta operazione partecipano alcune case automobilistiche (General Motors, Ford, Tesla…) e le compagnie minerarie Albemarle e Piedmont Lithium.

ENNESIMO ECOCIDIO NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO?

Suscita preoccupazione questo ulteriore coinvolgimento della Rd C in progetti estrattivi di rilevanza internazionale.

Sia per la drammatica situazione in cui versano le popolazioni del Nordest del paese (sotto accusa l’estrazione del coltan e le milizie di M23 sostenute dal Ruanda), sia per il già bistrattato ecosistema naturale. Ça va sans dire, soprattutto nelle zone sottoposte a estrazioni petrolifere o minerarie e alla deforestazione. Anche per diretta responsabilità del governo congolese che «svende le foreste che dovrebbe proteggere» (come denunciava un portavoce di Greenpeace).

Governo e ministri sotto accusa non soltanto da parte dei “soliti” ambientalisti, ma anche da associazioni di studiosi e scienziati. Come il Consiglio per la difesa ambientale attraverso la legalità e la tracciabilità (Codelt) e l’Acedh (una Ong regionale) che hanno condotto studi approfonditi sulla foresta pluviale della Cuvette Centrale (provincia di Ituri, sotto stretto controllo militare dal maggio del 2021). Dove appunto si estrae gas, petrolio e oro. Sarebbero soprattutto le miniere aurifere, in continua espansione anche nelle aree protette, a contaminare, distruggere gli ultimi lembi di foresta pluviale dove sopravvive un mammifero raro (da “Lista rossa”), a rischio estinzione, come l’okapi. Oltre ad abbattere le piante e dragare illegalmente i fiumi, i minatori si dedicherebbero al bracconaggio.

Da quasi un decennio l’area viene sfruttata – previo accordo col governo – dalla compagnia Kimia Mining. L’anno scorso ben 205 ong locali, a cui si associava Greenpeace, avevano chiesto al governo della RdC di ritirare le concessioni minerarie alla società cinese. O almeno quelle all’interno della riserva naturale per le okapi.

ENNESIMA GUERRA MONDIALE AFRICANA

Come scrivono anche Marco Dell’Aguzzo e Giuseppe Gagliano l’intervento degli Usa va inquadrato nella necessità di disturbare gli affari minerari cinesi in Africa, in vista della produzione massiva di auto elettriche e dunque del bisogno di Litio e Cobalto: la supply chain africana derivante dall’interdizione finalmente dell’esportazione di litio non lavorato (una mossa dal sapore anticoloniale, che potrebbe, se la stesa misura venisse adottata da molti altri paesi del continente, cominciare uno sviluppo industriale – e di mercato interno – invece di essere solo suolo da depredare).

Dovranno dare lavoro in loco: potrebbe essere un passo avanti. Peccato che gli Usa si propongano essenzialmente per contrastare la penetrazione di Pechino in Africa: le aziende cinesi possiedono la maggioranza delle miniere di terre rare africane e così gli americani si frappongono, impiantando quelle industrie in loco richieste da governi che cercano così di arginare il saccheggio… il problema è che se gli americani cederanno la tecnologia per la lavorazione, si prenderanno una larga fetta del prodotto finale (una mossa essenziale per approvvigionarsi senza arricchire l’avversario) e i cinesi si faranno pagare l’estrazione dei minerali grezzi, agli africani non rimane di nuovo nulla, se non la parvenza di essere entrati a far parte del mercato e non più solo merce – nel caso venga adottata una parte di manodopera locale (che non potrà essere giocoforza specializzata). E così si torna allo Zimbabwe, da cui avevamo cominciato questo safari africano.

Ma il Congo è teatro di scontri e riedizioni di conflitti (la Guerra mondiale africana risale a pochi lustri fa e sembra prepararsi in Kivu di nuovo) che vedono contrapposte le milizie armate da Kigali (come l’M23) all’esercito di Kinshasa e alle truppe di Nairobi –ultimamente – o dell’Uganda.


I gruppi della società civile hanno condannato l’estrazione illegale di oro nella riserva naturale di Okapi, nella Repubblica Democratica del Congo. Da diversi anni, una società di proprietà cinese, la Kimia Mining, ha una concessione all’interno della riserva, rilasciata irregolarmente dal governo della RDC. I gruppi chiedono l’immediata revoca della concessione per proteggere la riserva

In una conferenza stampa tenutasi il 18 ottobre, hanno accusato la Kimia di aver ridotto la copertura forestale, inquinato i fiumi e compromesso l’habitat forestale della riserva. La riserva, inserita dall’Unesco nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità in pericolo, si estende per circa 13.700 chilometri quadrati della foresta pluviale dell’Ituri.  È anche la casa dei nomadi indigeni Efe e Mbuti, che dipendono dai fiumi che nascono nella riserva, ha dichiarato Gabriel Nenungo, coordinatore dei geologi della provincia di Ituri: «Abbiamo osservato le draghe gestite dai cinesi nel fiume Ituri e le fosse di mercurio aperte sono visibili dall’alto». L’attività mineraria ha attirato gruppi armati che trafficano in pelli di okapi e avorio.

L’esercito della RDC fornisce servizi di sicurezza alla Kimia Mining, nonostante le leggi vietino di associarlo alle operazioni minerarie. (“Mongabay”).

Novembre

29 novembre

    • I coyotes mondiali

      • Il 29 novembre Defense Security Cooperation Agency pubblicava la notizia della concessione da parte del Dipartimento di stato americano della vendita di sistemi di difesa antidrone per una spesa pari a un miliardo di dollari in cambio di 10 Fixed Site-Low, Slow, Small Unmanned Aircraft System Integrated Defeat System (FS-LIDS) System of Systems, includendo 200 Coyote Block 2 interceptors; e poi Counter Unmanned Electronic Warfare System (CUAEWS); Coyote launchers; Ku Band Multi-function Radio Frequency System (KuMRFS) radars; Forward Area Air Defense Command e Control (FAAD C2); Counter Unmanned Electronic Warfare Systems (CUAEWS).
      • Lo riportava “BreakingDefense” sottolineava come i principali contractor Raytheon, Northrop Grumman and R&D company SRC.A Marzo si leggeva nel rapporto Sipri del confronto tra il 2017-2021 con il decennio precedente e riprendiamo da lì per inquadrare questa notizia novembrina in omaggio all’esiziale mondiale di calcio ottenuto da Doha (che secondo quel dossier aveva incrementato la spesa del 227% rispetto al lustro precedente) con la corruzione di Sarkozy, Platini e Guéant prima e poi con il sostegno di parlamentari europei di sinistra che negano l’evidenza del sistema omicida e criminale del Qatar (ci limitiamo a suggerire che Messi e Mbappé giocano entrambi nel Psg, che è di proprietà dell’emiro di Doha, un caso che la finale sia per magia tra le loro due compagini?): infatti l’Atlante delle guerre riassumeva così la situazione del Medio Oriente a marzo:

        «Si stabilizzano le importazioni di armi in Medio Oriente. Dopo il forte aumento registrato nel decennio precedente (86% in più tra il 2007-11 e il 2012-16) gli stati mediorientali hanno importato ‘solo’ il 2,8% di armi in più nel 2017-21 rispetto a quello precedente. Il conflitto in Yemen e le tensioni tra l’Iran e altri stati della regione restano alla base delle importazioni di armi nell’area. L’Arabia Saudita si conferma un grande importatore, il secondo al mondo, con un 27% in più investito in armi nel periodo 2012-16, rispetto al precedente.
        Le importazioni di armi del Qatar sono cresciute del 227%, spingendolo dal 22esimo importatore di armi al sesto. Al contrario, le importazioni di armi degli Emirati Arabi Uniti sono diminuite del 41%, passando così dal terzo al nono posto. Tutti e tre questi stati, insieme al Kuwait hanno poi effettuato ingenti ordini che prevedono la consegna nei prossimi anni. Nell’area, poi, Israele ha aumentato le importazioni di armi del 19%».

    • E poi le esportazioni statunitensi verso Riyad sono aumentate del 106%. Ma a cosa serve l’enorme quantità di armi, le più disparate per ogni tipo di guerra, sparpagliate per tutta la penisola araba?

19 novembre

  • La guerra dei droni da Astana

    • La notizia in autunno sul fronte dell’approvvigionamento dei droni per le attività dell’aviazione russa è che si è raggiunto un accordo per impiantare in tempi brevi  uno stabilimento con la tecnologia iraniana direttamente in territorio russo; a rivelarlo il Washington Post, successivamente rilanciato da tutte le testate del mondo. Come sottolinea “DroneBlog”:

      questo accordo oltre che essere strategico mette in luce ancora di più il rapporto e la cooperazione militare fra Iran e Russia, che sta svolgendo un ruolo chiave in Ucraina. Se il nuovo accordo sarà pienamente realizzato, significherebbe un ulteriore rafforzamento dell’alleanza russo-iraniana. Questo accordo, oltre a migliorare la disponibilità di armi all’esercito russo, toglierebbe dall’isolamento l’Iran, dando una nuova spinta economica a un sistema interno collassato ormai da anni e alle prese con una rivoluzione in atto

  • In piena continuità con gli accordi di Astana, che tanto abbiamo analizzato in OGzero.
    E sempre “DroneBlog” scrive che «finora Teheran ha cercato di presentarsi come neutrale nel conflitto ucraino , ma si scopre che sempre più droni di fabbricazione iraniana vengono utilizzati per attaccare le città ucraine, innescando minacce di nuove sanzioni economiche dall’Occidente». E si insinua una scommessa iraniana sul sostegno che deriverebbe dall’alleanza con Mosca per ricavare valore contrattuale per gli accordi sul nucleare
  •  Peraltro l’industria iraniana dei droni si sta già diffondendo in altri paesi. L’Iran ha aperto a maggio una fabbrica in Tagikistan, che produce il drone Ababil-2, secondo l’Eurasia Times: è stato Zelensky stesso a indicare la strategia di avvicinamento a Mosca da parte di Ankara con fini collegati al Jcpoa.
  • The Guardian” il 10 novembre accusava l’Iran di aver sostenuto militarmente fin dal 24 febbraio l’alleato russo, ma ancora prima “Wired” riportava un sistema rudimentale – ma efficace – di aggiramento delle sanzioni: contanti e baratto.
  • In estate il baratto sarebbe dimostrato dall’atterraggio il 20 agosto di 2 Ilyushin IL-76 arrivati e ripartiti da Mehrabad (la città del kurdistan iraniano martirizzata il 19 novembre dalle guardie della rivoluzione): trasportava in cambio di droni armi occidentali sottratte agli ucraini, necessarie agli ingegneri persiani per carpire le tecnologie. Ipotesi suffragate da immagini satellitari diffuse da SkyNews e da dichiarazioni rilasciate al Washington Post il 29 agosto da funzionari statunitensi.

Un ultima notazione sull’asse russo/iraniano: i droni iraniani Mohajer-6 contengono molte componenti provenienti dalla tecnologia occidentale (in particolare giapponesi,  secondo James D. Brown) – quindi senza che si debbano trasferire ordigni catturati per studio – stando alle rivelazioni di “la Repubblica”; ma, a dimostrazione che lo spargimento di morte tra civili attraverso macchine a controllo remoto non comporta scelte di campo, il Blog di Antonio Mazzeo riporta un’informazione raccolta da “DefenseNews”:

    • «Il regime turco di Recep Tayyp Erdogan finanzierà la produzione di droni-elicotteri e droni-kamikaze per il mercato nazionale e l’esportazione, decisione che non potrà non essere accolta con favore anche in Italia. La società di engineering aerospaziale Titra Technoloji, con quartier generale ad Ankara, riceverà sussidi economici governativi per realizzare il primo modello di elicottero a pilotaggio remoto in Turchia. Denominato “Alpin”, il drone-elicottero sarà prodotto in dieci esemplari all’anno, “in aggiunta a 250 droni kamikaze”».

    • La Malesia ha scelto la Turkish Aerospace Industries per la fornitura di tre velivoli senza pilota, secondo quanto dichiarato dal ministro della Difesa della nazione del Sudest asiatico e ripreso da “DefenseNews”.
      TAI aveva presentato il suo Anka, un sistema di velivoli senza pilota a media altitudine e lunga resistenza, alla fiera della difesa e dell’aerospazio LIMA nel 2019. Il 18 agosto 2022 il re malese Al-Sultan Abdullah ha visitato le strutture di TAI ad Ankara, in Turchia. Il 7 ottobre TAI ha annunciato un memorandum d’intesa per una collaborazione con il MIMOS, il centro di ricerca e sviluppo della Malesia. Ma perché la Malesia è alla ricerca di queste macchine da guerra? Le forze armate e la Guardia Costiera della Malesia sono impegnate nella lotta alla pirateria lungo le sue coste, inoltre è loro demandato a livello internazionale il controllo e l’antiterrorismo nel Mare di Sulu (tra la Malesia orientale e le Filippine meridionali, dunque all’interno del quadro anticinese del noto contenzioso nel mar cinese meridionale sulle Spratly Island e nello strategico controllo dello Stretto di Malacca).
  • La famiglia di droni Anka è in grado di svolgere missioni di ricognizione, acquisizione e identificazione di obiettivi e raccolta di informazioni. È dotata di tecnologie elettro-ottiche/infrarosse e radar ad apertura sintetica. Il produttore afferma che i velivoli hanno capacità di volo autonomo e possono decollare e atterrare da soli.La famiglia di UAV ha un’apertura alare di 17,5 metri e una lunghezza di 8,6 metri, e ha un tetto di servizio di 30.000 piedi. Possono rimanere in volo all’altitudine operativa di 18.000-23.000 piedi per più di 30 ore.
    • A metà ottobre il Kazakistan e la Turchia hanno annunciato l’intenzione di sviluppare una “cooperazione strategica a lungo termine” che preveda la coproduzione di satelliti e altri sistemi spaziali.
    • «Questo è il primo passo di una forte cooperazione con il Kazakistan nel campo dello spazio. Il memorandum d’intesa che abbiamo firmato con le società Kazsat e Ghalam sulla creazione di una cooperazione strategica a lungo termine nei settori dei satelliti e dello spazio sarà vantaggioso per il nostro paese e la nostra nazione» (Ismail Demir, Tai)

    • Infatti in maggio, secondo le informazioni di “DefenseNews“, era stato firmato un protocollo tra Kazakhstan e Turchia per la coproduzione di droni da gettare sul mercato Asean e produrre in quella che è la prima fabbrica di Bayraktar fuori dai confini turchi, con contratto che prevede anche manutenzione e riparazione. E quell’accordo faceva seguito a quello di aprile con il Kirghizistan che aveva firmato per primo un accordo per l’acquisto di un numero imprecisato di droni armati: infatti  Bishkek aveva pregato Ankara di soprassedere alla vendita dei letali droni a Dushanbe, alla luce delle tensioni sul confine (e questo spiega la rincorsa al riarmo dei due paesi dell’Asia centrale, sfruttata da Ankara per raddoppiare le vendite).
  • Il drone può essere equipaggiato con armi come il lanciamissili a lancio aereo Roketsan Smart Micro Munition e la capsula missilistica guidata Cirit da 2,75 pollici nelle due stazioni d’armamento sotto l’ala per ingaggiare veicoli leggermente corazzati, personale, rifugi militari e stazioni radar a terra. Un evidente monito per le mire espansionistiche di Mosca.
    • L’aggressività non solo verso il mercato della industria bellica turca si appropria anche di ricerche straniere, come quelle che consentono al criminale Erdoğan di arrivare al drone-elicottero: infatti Antonio Mazzeo spiega che questo velivolo è un sistema a pilotaggio remoto che potrà essere impiegato a fini civili ma soprattutto per missioni bellico-militari di intelligence e ricerca e soccorso. Il prototipo del drone-elicottero è lungo 7 metri, alto 2,35 e ha un diametro del rotore di 6,28 metri; ciò gli consente di essere trasportato in veicoli di medie dimensioni. Il suo peso non supera i 540 kg compresi apparecchiature elettroniche e carburante. L’”Alpin” ha una velocità di crociera di 160 km/h e può coprire un raggio d’azione fino a 840 km di distanza, a un’altitudine di 5000 m. L’autonomia di volo varia dalle due alle nove ore, secondo la portata del carico a bordo.
      Ma perché abbiamo usato il verbo “appropriarsi”? La risposta è nel Blog di Antonio Mazzeo (che cita “DefenseNews”):
    • «L’Alpin è basato sull’elicottero italiano ultraleggero con equipaggio umano Heli-Sport CH-7». Il CH-7 è realizzato infatti dalla Heli-Sport S.r.l. di Torino, azienda fondata dai fratelli Igo, Josy e Charlie Barbaro e specializzata nel design e produzione di velivoli ad ala rotante di ridotte dimensioni. La società si dichiara però del tutto estranea dalla vicenda.

    • In effetti l’Alpin nasce da un accordo tra la Titra turca e la Uavos californiana per convertire il CH-7 in elicottero a pilotaggio remoto: la trasformazione dei velivoli italiani in droni-elicotteri è stata avviata dalla statunitense Uavos, mentre il primo test di volo è stato effettuato nel dicembre del 2020 nei cieli della Turchia.

«L’Alpin è stato progettato per andare incontro alle richieste specifiche ed uniche della Turchia e agli interessi speciali della sua industria nazionale per operare come sistema a pilotaggio remoto in una varietà di scenari complessi nei campi civili e della sicurezza», riporta la nota emessa da Uavos a conclusione delle attività sperimentali in territorio turco. «L’elicottero convertito è indispensabile per l’industria logistica dei velivoli senza pilota per trasportare carichi in zone difficili da raggiungere e sfornite di campi di atterraggio». E viene subito in mente la configurazione del Rojava.

La Turchia – benché socio alla pari nelle concertazioni strategiche di Astana – produrrà entro due anni i tanto decantati Bayraktar TB2 in Ucraina: benché più leggeri e meno efficienti nel contrasto di un attacco aereo, i droni turchi secondo l’Agi saranno già in grado di contrastare quelli iraniani.

    • «l’Ucraina ha un ruolo di primo piano nella catena di approvvigionamento di Baykar, in particolare con il nuovo drone pesante Akinci e il jet da combattimento senza pilota Kizilelma, attualmente in fase di sviluppo, montano entrambi motori ucraini MotorSich» (“Analisi Difesa”).

Secondo Barayktar molto presto i droni turchi TB2 e Akinci potranno colpire con buona efficacia oggetti in volo grazie all’integrazione del sistema di difesa Sungur prodotto da Roketsan, mentre i droni iraniani sono pesanti e rumorosi, sono obiettivi facili perché volano a bassa quota.

Invece quelli turchi sono stati opzionati anche dal governo polacco, che ha ricevuto a ottobre 6 dei 24 TB2 comprati.

19 novembre

    • Comprare gas dalla Tunisia con veicoli militari antimigranti

      • LaLa Francia ha portato a Djerba 200 milioni di prestiti in occasione della Organisation internationale de la Francophonie; ma ha anche consegnato alla Tunisia il primo lotto di una donazione comprendente cento veicoli militari fuoristrada Masstech T4 prodotti da Technam in occasione della ventinovesima sessione della Commissione militare franco-tunisina svoltasi dal 15 al 17 novembre nella capitale del paese nordafricano e documentata da “Tuniscope”; i veicoli sono palesemente utili nel contenimento dei migranti. L’ambasciata di Francia a Tunisi sulla propria pagina Facebook ha precisato che durante i lavori della commissione è stato tratto “un bilancio molto soddisfacente” in termini di cooperazione bilaterale per il 2022. In particolare, sono state svolte 60 attività in Francia o Tunisia.Ma quella più interessante è volta a ristabilire l’asse militare tra le due sponde mediterranee:

        «Per Saied – afferma il politologo francese Vincent Geisser rilanciato da “Africanews” – ospitare questo vertice è “un successo” perché lo porterà fuori dal suo isolamento almeno temporaneamente. È una sorta di pacificazione nei suoi rapporti con i suoi principali partner occidentali, userà questo evento per legittimare una svolta autoritaria fortemente criticata».

    • In cambio la Francia cerca di comprarsi gas in quella che era la sua casa coloniale.

  • Questo veicolo, costruito a partire da un telaio Toyota Land Cruiser HZJ76, è blindato, dotato di griglie di protezione contro le proiezioni e di cinque punti di armamento. È in servizio con l’esercito francese sul territorio francese e in OPEX nel Sahel. Viene utilizzato anche dall’esercito reale giordano (“MenaDefense”)

10 novembre

  • Corsa al riarmo in Africa

    • Nel dossier dell’“Atlante delle guerre” a marzo si leggeva: «In Africa subsahariana i cinque maggiori importatori di armi sono stati Angola, Nigeria, Etiopia, Mali e Botswana. Resta un grande importatore l’Egitto che con il più 73% diventa il terzo importatore di armi a livello globale».

    • L’Etiopia ha usato abbondantemente le sue dotazioni prima di arrivare agli accordi di metà novembre: dopo due anni e un numero imprecisato di morti compreso tra mezzo milione e un milione di vittime (qui un intervento di Matteo Palamidessa raccolto da Radio Blackout).

    “Il genocidio atroce e diffuso nel Corno d’Africa”.

  • Il Mali (e il Sahel nella sua integrità) è alle prese con la necessità di difendersi dai tagliagole jihadisti dotati di armi sofisticate e dunque gli eserciti – affrancatisi da operazioni coloniali francesi, ma così indeboliti – cercano di procurarsi strumenti per liberarsi dalla tenaglia dell’insorgenza, come ci ha raccontato Edoardo Baldaro:
  • Collegata a questa situazione è la notizia lanciata da un tweet postato il 5 novembre da “Spoutenik en Français” (palese indirizzo filorusso) relativa alla richiesta a Mosca per l’acquisto di due elicotteri da parte del Burkina di Ibrahim Traoré nel quadro di un trattato di cooperazione con la Russia di Putin (che affonda le radici nei legami intrecciati tra paesi africani che hanno avviato il proprio distacco dall’Occidente con l’appoggio dell’Urss).

Gli elicotteri sono tra le macchine a uso bellico più ambite nel continente, come documenta Antonio Mazzeo nel suo blog il 10 novembre facendo cenno a una triangolazione di 6 velivoli T-129 “Atak” prodotti in Turchia da Turkish Aerospace Industries su licenza di AgustaWestland (della infinita galassia Leonardo spa) per il governo nigeriano al costo di 61 milioni di dollari. Come sottolinea Mazzeo, la versione turca dell’“Atak” (in uso in Siria, Iraq, Filippine e in futuro in Pakistan) sfodera nuovi sistemi di individuazione e tracciamento dei bersagli ed è dotato di razzi non guidati da 70 mm e missili anticarro L-Umtas.

  • «Nel bilancio della difesa nigeriano per il 2023 è previsto anche uno stanziamento di 4,5 milioni di dollari per l’acquisto di due elicotteri AW109 “Trekker, prodotti in Italia da Leonardo SpA. nel corso di un seminario delle forze armate nigeriane tenutosi a Ibom lo scorso 27 ottobre, il capo di Stato maggiore dell’Aeronautica Oladayo Amao avrebbe confermato l’intenzione di acquisire 24 caccia bimotori M-346 “Master” realizzati negli stabilimenti di Varese-Venegono di Leonardo» (“DefenceWeb”).

  • L’AW109 aveva già riscosso un enorme successo ad agosto al Labace brasiliano:
  • «L’AW109 Trekker, il primo gemello leggero di Leonardo a offrire un carrello di atterraggio a pattino, mantiene la cellula dell’AW109 Grand, l’ampia cabina e le prestazioni di prim’ordine, offrendo al contempo un maggiore carico utile a un costo competitivo, dimostrando così di essere perfettamente in grado di soddisfare i severi requisiti degli operatori in termini di capacità ed economicità. L’AW109 Trekker è dotato di una cabina di pilotaggio in vetro di ultima generazione di Genesys Aerosystems che può essere configurata in base alle esigenze del cliente» (“DGualdo”, un sito evidentemente promozionale di Leonardo)

  • Oltre all’indubbio affare per Leonardo, si può ipotizzare che il gigante africano immagini un innesco di conflitti nell’area… e forse l’odore di bruciato comincia a farsi più forte nella situazione del Nord Kivu, come illustrato in questo intervento di Massimo Zaurrini:
  • “Rischio di Terza guerra mondiale africana dei Grandi Laghi?”.
  • Dunque la Nigeria si sta riarmando potentemente, è sufficiente elencare i prodotti opzionati, prenotati, comprati, acquisiti che riporta “DefenceWeb”, oltre ai T-129 citati da Mazzeo e ai due AW109: gli Stati Uniti hanno approvato la possibile vendita di 12 AH-1Z alla Nigeria nell’ambito di un potenziale accordo da 997 milioni di dollari che include armi ed equipaggiamenti (nonostante i forti dubbi riguardo il mancato rispetto dei diritti umani del regime di Abuja); riceverà due aerei da trasporto C295 da Airbus, agognati dal 2016. La proposta di bilancio della Difesa nigeriana per il 2023 include finanziamenti per la manutenzione degli L-39ZA, degli Alpha Jet e propone 2,7 miliardi di dollari per tre aerei da sorveglianza/attacco MF 212 costruito dalla Magnus Aircraft nella Repubblica Ceca e 3 miliardi (6,8 milioni di dollari) per tre elicotteri Bell UH-1D.
    La BVST ((Belspetsvneshtechnika, ditta bielorussa) ha già collaborato con l’aeronautica nigeriana, fornendo la manutenzione degli elicotteri Mi-35 e l’addestramento; ora ha trasformato gli MF212 in velivoli armati ideali per compiti di sicurezza interna, sorveglianza e pattugliamento. A quanto pare, può essere equipaggiato con un gimbal elettro-ottico iSKY-30 HD e con missili R-60-NT-L o R-60-NT-T-2. In Ottobre il capo di stato maggiore Odalayo Amao aveva già dichiarato che l’Aeronautica militare nigeriana prenderà in consegna due turboelica Beechcraft King Air 360, quattro aerei di sorveglianza Diamond DA 62 e tre veicoli aerei senza pilota (UAV) Wing Loong II. Oltre a dozzine di velivoli ordinati tra il 2016 e il 2021.

Peraltro il mercato africano – ovviamente con le sue richieste. Le disponibilità di spesa e i bisogni commisurati alla tipologia di conflitti che nell’enormemente vasto territorio che costituisce condizioni di combattimento differenti – mette sul piatto finanziamenti corrispondenti alla percezione di pericolo o di preparazione di guerre e quindi mette in piedi una propria frequentata fiera. La biennale Africa Aerospace and Defense Expo di Centurion in Gauteng (Sudafrica) si è tenuta a fine settembre, proiettando in questi ultimi mesi di 2022 le prospettive di collocazione su piazza del nuovo bombardiere B-21 Northtorpe, forse non a caso presentato in Sudafrica per le sue prerogative di deterrenza, come spiega “BreakingDefense” nelle parole del generale dell’aeronautica Jason Armagost riguardo il sistema Sentinel di cui il bombardiere è parte: « Sentinel sarà altamente resiliente e flessibile. Non solo per la nostra sicurezza, ma anche per garantire i nostri partner e alleati in tutto il mondo. Si tratta di una capacità evolutiva e sono state prese decisioni deliberate su come renderla efficiente con l’infrastruttura che abbiamo, e su come modernizzare la capacità per rimanere flessibile con sistemi di missione aperti e un’architettura digitale per evolvere con ambienti di minaccia in evoluzione», sembra la descrizione del panorama fluido africano. Il B-21 verrà definitivamente svelato il 2 dicembre assicura “MilitaryTimes”: probabilmente i paesi del continente africano non si potranno permettere questo bombardiere presentato a casa loro, ma potranno svuotare gli arsenali dei bombardieri che diventeranno obsoleti dopo l’avvento di questa macchina.

Più alla portata delle casse africane è il drone greco Archytas e soprattutto il Mwari aircraft con scopi multipli e infatti già venduto a molti paesi africani; e di quei paesi elencati all’inizio di questa scheda il Botswana probabilmente prenoterà i suoi droni in funzione antimigratoria, e allo scopo i droni presentati alla fiera sudafricana descritta nel video della scheda di ottobre fanno al caso.

AW109 Trekker

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La guerra nei mercati

I paesi importatori di sistemi d’arma

L’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma (SIPRI) ha registrato 163 stati come importatori di sistema d’arma nel quinquennio 2017–21. I cinque maggiori importatori di armi sono stati India, Arabia Saudita, Egitto, Australia e Cina, che insieme hanno rappresentato il 38% del totale delle importazioni. La regione che ha ricevuto il maggior volume di sistemi d’arma nel periodo 2017–21 è stata quella di Asia e Oceania (43% del totale mondiale), seguita da Medio Oriente (32%), Europa (13%), Africa (5,8%) e Americhe (5,5%). Tra il 2012–16 e il 2017–21, i flussi di armi verso l’Europa e verso il Medio Oriente sono aumentati (rispettivamente del 19% e del 2,8%), mentre sono diminuiti quelli verso l’Africa (–34%), le Americhe (-36%), l’Asia e l’Oceania (-4.7%). La maggior parte dei 163 stati importatori era direttamente coinvolta in conflitti armati violenti o in tensioni con altri stati in cui i sistemi d’arma importati hanno giocato un ruolo importante.

I paesi esportatori di sistemi d’arma

Il SIPRI ha registrato 60 stati come esportatori di sistema d’arma nel quinquennio 2017–21, ma la maggior parte di essi sono piccoli esportatori.
«I primi 25 stati in classifica hanno fornito il 99% delle esportazioni totali con i primi cinque stati in classifica— Stati Uniti (USA), Russia, Francia, Cina e Germania—responsabili del 77% delle esportazioni. A partire dal 1950, USA e Russia (o Unione Sovietica prima del 1992) sono sempre stati di gran lunga i principali fornitori di sistemi d’arma. Nel periodo 2017–21, le esportazioni statunitensi sono state maggiori di quelle russe del 108% mentre nel periodo 2012–16 erano superiori del 34%, un divario destinato ad aumentare. Sempre nel 2017–21 le esportazioni statunitensi hanno coperto il 39% del totale mondiale ed erano superiori del 14% rispetto al 2012–16. Al contrario, le esportazioni della Russia sono diminuite del 26% e le sue quote sul totale mondiale sono crollate dal 24% nel 2012–16 al 19% nel 2017–21».


Il posizionamento del grande esportatore Corea del Sud

Secondo il “SIPRI”, i primi quattro esportatori di armi tra il 2017 e il 2021 sono Stati Uniti, Russia, Francia e Cina, con quote globali rispettive del 39, 19, 11 e 4,6%. La Corea del Sud si è classificata all’ottavo posto con il 2,8%, ma l’amministrazione di Yoon vuole che rientri tra i primi quattro.

SCMP segnala che la Corea punta a superare la Cina nelle esportazioni militari e in effetti ci sta riuscendo ampiamente. In realtà gli ambiti e i mercati sono diversi: nel 2021, quasi il 70% delle esportazioni totali di armi della Cina è stato destinato al Pakistan, mentre la Nigeria si è piazzata al secondo posto con l’8%; nessun paese europeo ha acquistato armi dalla Cina; recentissimo è il contratto favoloso della Rpc con i sauditi. Comunque «si prevede che le tensioni regionali aumenteranno ulteriormente la spesa militare nei prossimi anni e la Corea del Sud è considerata una fonte di armi “molto attraente”». E in effetti si parla di 17 miliardi di dollari di vendite di armi nel 2022 (il doppio dello scorso anno), ringraziando la guerra in Ucraina.

Il posizionamento del grande importatore Polonia

Infatti seguendo il flusso delle armi per scovare le guerre in preparazione, nel 2021 la Polonia aveva speso solo in Sudcorea 7,5 miliardi acquistando armi, a cui si aggiungono 10 miliardi di spesa nei primi 10 mesi del 2022 da parte di Varsavia, perché ci sono pochi paesi in grado di produrre armamenti con così poco preavviso. E dopo il missile ucraino sulla cascina polacca di confine “DefenseNews” informa che Varsavia ha accettato di schierare sulla frontiera i Patriot offerti da Christine Lambrecht, ministra della Difesa tedesca, che ha aggiunto anche Eurofighter Tycoon.

Strategie di fidelizzazione

Non deve stupire la generosità, perché in realtà cerca di inseguire (timidamente) la strategia statunitense che ha investito 8 miliardi di armamenti forniti all’Ucraina, facendo così promozione per i prodotti più efficaci e così acquisendo quote di mercato di armi presso l’Europa orientale e baltica che si approvvigionava in precedenza presso le produzioni europee in vista di un graduale svecchiamento degli arsenali postsovietici, inserendosi così nel processo di riempimento dei magazzini anche svuotati dai paesi limitrofi all’Ucraina per rifornire Kyiv di armi ex sovietiche, più adatte per contrastare la tipologia degli omologhi sistemi di offesa di Mosca.

La catena militare

Ma la fidelizzazione derivante dalla promozione statunitense, mentre ha coronato un completo successo con le repubbliche baltiche e gli altri di Visegrád, ha invece fatto solo parzialmente breccia sul governo polacco, nonostante si proponga come cane da guardia di Washington in ambito europeo: proprio per questa ambizione il governo polacco fa spazio nei magazzini passando agli ucraini gli S-300 di produzione russa, retaggio del passato (come per Bratislava che già a marzo aveva accettato i patriot tedeschi, offrendo in una catena infinita gli S-300 a Kyiv), preludio per l’acquisto di 6 Patriot direttamente dagli Usa, annunciati da Błaszczak, il ministro polacco che rastrella armi dovunque riesce, in particolare dalla Corea del Sud, culminando in ottobre con un contratto da 3,55 miliardi di dollari intercorso tra Polonia e Hanwha Aerospace per l’acquisto di centinaia di sistemi di artiglieria a razzo K239 Chunmoo; il ministro della Difesa polacco Mariusz Błaszczak aveva elogiato i lanciatori Chunmoo, che sono molto simili ai sistemi Himars statunitensi ordinati precedentemente dalla Polonia.

L’intreccio Polonia / Sud Corea

Il governo sovranista di Kaczyński già prima dello scoppio della guerra si candidava a diventare una potenza militare e soppiantare il ruolo della “pacifista” Germania in ambito Nato e ora sta riuscendo nell’intento, a dar retta a “Politico“:

«Sebbene la Germania, tradizionalmente alleato chiave dell’America nella regione, rimanga un perno come hub logistico, gli infiniti dibattiti di Berlino su come far risorgere le sue forze armate e la mancanza di una cultura strategica hanno ostacolato la sua efficacia come partner».

Specularmente – e in modo complementare, visti gli scambi tra le due potenze locali – il governo di destra sudcoreano ha come traguardo quello di superare nella classifica dei maggiori esportatori di armi la Cina. E ci sta riuscendo; entrambe cambiano così il loro peso politico specifico nelle rispettive sfere.

La spesa per la difesa della Polonia nel 2022 ha già raggiunto la cifra record di 58 miliardi di zloty (12,7 miliardi di dollari), Varsavia ha in programma di aumentarla ulteriormente, avendo annunciato ad agosto di voler destinare circa il 3% del suo prodotto interno lordo, ovvero circa 21 miliardi di dollari, alla difesa nel 2023.
Sebbene nessuno metta in dubbio l’ambizione della spesa polacca, alcuni si interrogano sulla sua fattibilità e sulle motivazioni politiche che la spingono. Entro il 2035, il paese intenderebbe spendere 524 miliardi di złoty per il settore militare (forse una trappola per il prossimo governo).

Secondo l’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma (SIPRI), l’aumento delle spese militari della Polonia rispecchia una tendenza globale.
Ma la bulimia polacca è viziata sia dalle divergenze con Bruxelles sui diritti civili europei, sia dalla spesa a buon mercato assicurata dalle produzioni di Seul:

«L’attrattiva della Corea è che le sue attrezzature militari sono generalmente più economiche delle alternative americane ed europee e possono produrle in tempi stretti. Gli acquisti sono ovviamente un pugno nell’occhio ai sogni di “autonomia strategica” del presidente francese Emmanuel Macron, che immagina un’Europa in grado di difendersi con armi di produzione propria (probabilmente francese)» (“Politico“).

L’incremento esponenziale e costante della spesa per le armi

I dati dell’Istituto mostrano che nel 2021 la spesa militare globale ha superato per la prima volta i 2000 miliardi di dollari. Si tratta del settimo anno consecutivo di aumento delle spese militari a livello globale.

Kim Mi-jung ha detto che le vendite finali di armi della Corea del Sud per il 2022 potrebbero essere ancora più alte, dato che nel prossimo mese potrebbero essere firmati accordi con la Malesia e l’Arabia Saudita: «Gli armamenti coreani hanno un buon rapporto qualità-prezzo, in termini di prestazioni, e il paese dispone anche di basi produttive in grado di produrre un’ampia gamma di articoli, dall’artiglieria semovente agli aerei, il che rende la Corea molto attraente» (Kim Mi-jung, ricercatore dell’industria della difesa presso il Korea Institute for Industrial Economics and Trade).



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85 %

Avanzamento



Ottobre

26 ottobre

  • Collaborazione israelo-marocchina

    Definitivamente sdoganata dalla amministrazione Trump, la almeno trentennale ”amicizia” interessata tra Tel Aviv e Rabat ha trovato nel biennio successivo agli Accordi di Abramo intercorsi tra i due stati una grande impennata di ordinativi e collaborazioni, che possono condurre solo a un contenzioso sempre più belligerante con l’Algeria da un lato e dall’altro la penetrazione degli interessi di Israele nel quadrante occidentale del Mediterraneo attraverso la testa di ponte offerta dall’alleanza con il Marocco..

  • AnalisiDifesa” ha dato notizia dell’acquisto da parte del Marocco di  150 droni WanderB e ThunderB dall’israeliana BlueBird Aero Systems che erano stati testati durante l’esercitazione Maroc Mantlet 2022, dove si insisteva sull’uso dual: infatti sono macchinari adottati per la sicurezza delle frontiere e la protezione dei convogli e… delle forze armate e a sostegno dell’artiglieria.
  • L’accordo prevede addirittura una produzione parziale in Marocco e il periodico marocchino “Le Desk” attribuisce un valore di 50 milioni all’operazione, titolando sulla presenza di decine di droni della BlueBird israeliana già acquisiti dalle Forces armées royales (Far) a febbraio al costo di 500 milioni di dollari (Reuters); contestualmente il Marocco ha negato l’informazione divulgata da Amnesty International, secondo la quale avrebbe acquistato il sistema spyware Pegasus di Nso.
  • Quei droni possono caricare munizioni circuitanti Harop prodotti da IAI (costo 22 milioni, continuando nella spesa marocchina sul mercato delle armi israeliano) e si prevede l’acquisto di Hermes 450; sempre da Israele la marina marocchina intende acquisire Elbit Hermes 900. In estate anche militari di Tsahal hanno partecipato per la prima volta alle esercitazioni African Lion organizzate dall’esercito americano. Questo è potuto avvenire nonostante proprio a luglio le pressioni del senato americano avessero richiesto di spostare altrove l’esercitazione che periodicamente avviene in Sahara occidentale, proprio per il contenzioso con la Repubblica democratica araba del Saharawi (Rasd), che «potrebbe essere una nuova polveriera» (“DefenseNews”): l’esercitazione si è normalmente svolta nel Sahara occupato, potenza della lobby ebraica?
  • I UAV israeliani andrebbero ad aggiungersi a 3 Harfang francesi, sistemi controdroni Skylock israeliani, 13 Bayraktar TB2 turchi; gli Emirati hanno donato al regno marocchino 3 droni di fabbricazione cinese Wing Loong II; alla General Atomics americana sono stati ordinati 4 MQ9 Reaper Sea Guardian.Sempre “Le Desk” aveva dato notizia della dotazione di droni da parte del Polisario in risposta a questo stormo marocchino, in particolare un drone frutto dell’elaborazione Yabhon United 40, la cui evoluzione algerina ha ottenuto il Al-Jezair 54.
  • Intanto Minurso, la missione Onu nell’area, ritiene di non essere più in grado di svolgere la sua capacità di interposizione, nonostante sia stata prorogata fino al 31 ottobre 2023.

24 ottobre

  • Diversivi mediorientali

    In questioni mediorientali spesso si riesce a ricomporre un puzzle mettendo di seguito partecipazioni, agenzie relative a esercitazioni comuni che esibiscono alleanze e poi movimenti di truppe reali e dichiarazioni, che permettono interpretazioni su uno scenario di conflitti tra potenze locali che possono sfociare a breve in confronti aperti.

    La notizia del 24 ottobre dell’agenzia saudita è che l’Arabia Saudita dal 1° al 25 novembre prende parte con le proprie forze aeree all’esercitazione militare “Aerial Warfare and Missile Defense Centre 2022” che si tiene presso la base di Al Dhafra, negli Emirati Arabi Uniti. L’ applicazione del concetto di azione congiunta in un ambiente di guerra simile alla guerra reale si tiene congiuntamente alle forze di Emirati, Oman, Usa, Gran Bretagna, Francia… dunque una esplicita scelta di campo e di alleanza. Soprattutto per quel che riguarda l’aumento della tensione con Tehran (perché invece per le decisioni dell’Opec che potevano creare difficoltà all’esportazione petrolifera russa i sauditi si sono schierati con il Cremlino).

  • Se poi si va a consultare “Defaiya.com” si possono repertoriare serie di notizie relative a molte acquisizioni di armi. Il varo del primo gruppo di 79 pattugliatori medi ad alta velocità francesi (partecipanti alle esercitazioni di Al Dharfa) della classe Couach da parte delle Forze Navali Reali Saudite, dunque flessibili e leggeri, velocissimi per gareggiare con le imbarcazioni dei pasdaran iraniani (i vascelli includono una sofisticata combinazione di sistemi elettronici come dispositivi di tracciamento, sensori ottici e termici, scambio di informazioni e navigazione marina che consentono loro di svolgere compiti di ricerca, monitoraggio e follow-up attraverso un sistema elettronico altamente intelligente).
  • «Queste imbarcazioni rappresentano un’aggiunta qualitativa alle capacità della RSNF, in quanto contribuiranno ad aumentare il livello di prontezza militare e di sicurezza, a rafforzare la forza di sicurezza marittima nella regione e a proteggere gli interessi vitali e strategici del regno, sottolineando la costante attenzione e il sostegno illimitato della saggia leadership saudita e del ministro della Difesa per sviluppare le forze armate al servizio del paese» (contrammiraglio Yahya bin Mohammed Asiri).

  • A completare il quadro ci sono le dichiarazioni congiunte di funzionari statunitensi (altri partecipanti alle esercitazioni di Al Dharfa) e sauditi al “Wsj” riguardo a informazioni di intelligence su un imminente attacco da parte dell’Iran contro obiettivi nel regno, ponendo le forze armate americane, e altre in Medio Oriente, su un livello di allerta elevato che sfociano immediatamente in potenziali estensioni del conflitto a Iraq (Erbil, in particolare, suggerisce “Formiche.net”). Salvo poi venire in aiuto di Mosca entrambi i contendenti, secondo il “Washington Post”: sia Teheran (droni) che Riyad (mantenendo elevati i prezzi del greggio). Il diversivo che infiammerebbe ulteriormente il quadrante mediorientale dimostrerebbe la necessità dei turbanti di stornare l’attenzione dall’insurrezione interna e dalla fornitura di droni all’esercito russo. Gli Stati Uniti hanno anche affermato che gli iraniani stanno addestrando operatori di droni russi in una base nella Crimea occupata dai russi. Il Centro nazionale di resistenza ucraino, parte delle Forze per le operazioni speciali ucraine, ha riferito questa settimana che gli addestratori di droni iraniani stavano aiutando i russi a coordinare gli attacchi dei droni a Mykulichi, vicino a Gomel, nella Bielorussia meridionale. Il primo vicepresidente iraniano Mohammad Mokhber e alti funzionari della sicurezza iraniana si sono recati in visita a Mosca il 6 ottobre dove, secondo la Reuters, hanno concordato nuove forniture di armi.
  • «I russi hanno chiesto più droni e missili balistici iraniani con una maggiore precisione, in particolare la famiglia di missili Fateh e Zolfaghar», ha detto uno dei diplomatici iraniani… e si torna agli Shahed-136 della scheda del 13 ottobre. Merce di scambio con i sofisticati S-400, già motivo di scontro tra Turchia e Usa:
  • «Anche Israele ha subito crescenti pressioni per aiutare l’Ucraina, poiché la guerra di Putin è sempre più vista come un terreno di prova per droni e armi iraniane che potrebbero essere rivolte contro Israele, uno Stato che l’Iran ha ripetutamente giurato di distruggere.
    L’Iran potrebbe sperare di ribaltare il rifiuto opposto in passato dalla Russia di fornirgli sistemi di difesa aerea S-400 e jet da combattimento avanzati, mosse che metterebbero in allarme l’Arabia Saudita e potenzialmente la Turchia» (“Washington Post”).

18 ottobre

  • SHORt Air Defence: Ucraina come banco di sperimentazioni

    Mentre l’esercito degli Stati Uniti testa i primi prototipi di Stryker di Leonardo Drs, l’esercito russo schiera i sistemi Sam (Surface-to-Air Missile): Tor-M2 con le stesse modalità, che vanno ad affiancare gli Iskander 9K720 e i nuovi Strela-10.
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  • Mentre la Nato (cfr. 11 ottobre) testa fuori dai contesti di guerra guerreggiata i suoi Shorad, intorno a Kherson il sistema russo di difesa si accreditava presso “Il Faro sul mondo” a luglio con un bottino che comprendeva in una giornata l’abbattimento di un elicottero MI8, 9 droni turchi e 10 Hymars. Propaganda in entrambi i casi, come dimostra questo video diffuso dall’esercito russo il 18 ottobre.
  • Oltre a coprire le truppe dai missili, questo sistema di difesa aerea resiste anche ai droni turchi Bayraktar e ad altri bersagli aerei (“Altervista“). Al di là della propaganda il Tor-M2, noto con il nome di rapporto Nato SA-15 Gauntlet, è un sistema missilistico terra-aria di fabbricazione russa completamente automatizzato, prodotto nello stabilimento di Izhevsk Kupol di Almaz-Antey, per fornire un’efficace difesa aerea.
  • Nell’esercito russo, spiega “Defense-Blog“, il set di sistemi di difesa aerea ТOR-М2 comprende quattro batterie di quattro veicoli da combattimento 9А331М ciascuna (per un totale di 16 veicoli da combattimento). Il munizionamento dei SAM 9А331М TOR-М2 prevede 16 nuovi missili guidati antiaerei 9М338К; progettato per abbattere aerei, elicotteri e missili da crociera, antiradar e altri missili guidati. Invece Il SAM Strela-10 è progettato per l’osservazione visiva e la distruzione di obiettivi aerei a bassa quota.
  • Lo Strela-10, noto con il nome di segnalazione Nato SA-13 Gopher, è un sistema missilistico mobile terra-aria a corto raggio. Il sistema è destinato principalmente a colpire minacce a bassa quota, come gli elicotteri. L’SA-13 è basato sullo scafo del veicolo multiscopo cingolato MT-LB. Lo scafo dell’MT-LB è interamente blindato in acciaio saldato con il compartimento dell’equipaggio nella parte anteriore, il motore immediatamente dietro il compartimento dell’equipaggio sul lato sinistro e il compartimento delle truppe nella parte posteriore dello scafo.

13 ottobre

  • Droni. Guerre del presente combattute dai robot (e subite dai civili)

    Quasi un incubo per Isaac Asimov, tanto che se applicassimo le sue leggi della robotica ai droni forse coglieremmo la portata profetica della grande fantascienza scritta durante la ribellione degli anni Sessanta e Settanta alla minaccia di guerra globale conseguente a quella in Vietnam (l’Ucraina dell’epoca, invasa militarmente da una grande potenza). Il 13 ottobre sono stati avvistati droni in avvicinamento nei cieli norvegesi, attualmente il paese che fornisce la maggior  parte del gas agli utenti europei: il primo drone è stato avvistato mentre sorvolava l’impianto di trattamento del gas di Kårstø, nel Sudovest della Norvegia, dopo questo episodio altri se ne sono susseguiti e 7 russi sono stati arrestati dagli scandinavi per questa “invasione”. Quella attività sembra inedita, ma i droni sono protagonisti in tutti i palcoscenici di guerra o di semplice confronto armato o di intelligence; dare conto di ogni episodio riportato dai mezzi di comunicazione è impossibile, molti non sono diffusi ma si può tentare un’esposizione delle molte applicazioni degli strumenti “unmanned”, limitandoci a quelle delle ultime settimane, tentando così un repertorio di nuovi robot.

  • Gli ucraini portano i trofei di 9 droni kamikaze iraniani Shahed 136 (“Geranium” in Russia, “Martiri” in Iran) abbattuti – veicoli nati da apparecchi anglo-americani abbattuti studiati e fabbricati sulla ricerca derivante dalla preziosa cattura; “Washington Post” e Cnn hanno riferito in estate che l’Iran aveva inviato un lotto di veicoli aerei senza pilota in Russia. Secondo le testate, Teheran aveva inviato i droni Mohajer-6, Shahed-129 e Shahed-191 in Russia il 19 agosto.
  • I droni di fabbricazione iraniana utilizzati dall’esercito russo per distruggere impianti di produzione di energia elettrica ucraini e spargere il terrore sono quindi saliti alla ribalta della invasione dell’Ucraina quando i russi hanno cominciato a farne un uso terroristico. La Nato ha assicurato che verranno forniti sistemi di difesa dagli attacchi di stormi di droni che costano tra gli 8000 e i 20.000 dollari (i più cari), ben sapendo che nemmeno gli scudi israeliani assicurano la completa distruzione di una flottiglia di Uav; infatti, contando sull’esaurimento degli stoccaggi di droni autoprodotti dai russi, lo sforzo sarà probabilmente anche quello di intercettare le forniture da parte della Iran Aircraft Manufactoring Industrial Company. Non a caso abbiamo citato il governo di Tel Aviv: proprio la fornitura di munizioni circuitanti Shahed 136 (il dubbio è relativo alla quantità di produzione che Tehran è in grado di assicurare di questi velivoli) ha mosso Israele a consegnare sistemi di difesa a Kyiv contro questi sciami di droni, scegliendo di schierarsi nel campo opposto agli odiati pasdaran, forse perché i droni più efficaci sono quelli turchi e quelli sono venduti all’Ucraina. E così – secondo “Formiche.net” Tzahal fornisce intelligence su droni, informazioni su spostamenti di truppe e sui droni può mutare il reciproco accordo di non interferenza russo-israeliano (plausible deniability).
  • Peraltro sono tante le tecnologie e molti i produttori di marchingegni senza equipaggio: occupano il paesaggio bellico più fosco che si può immaginare, pervaso di stormi di droni, forse i prodotti più ambiti e alla portata dello stato più squattrinato, utili sia per arrecare danni al nemico e scatenare il panico, ma anche per soffocare proteste, controllare intere aree… Questi dispositivi senza pilota sono forse il business più innovativo della filiera; e propone sia merci “popolari”, fabbricate anche facilmente da gruppi di insorti (per esempio gli houti yemeniti con know how iraniano, o hezbollah che attinge alla stessa tecnologia), sia quelle sofisticate come il nuovo drone sommergibile da 50 tonnellate Orca XLUUV della marina americana, raccontato da “NavalNews” (il cui costo è di 242 milioni di dollari e ancora a livello di prototipo, i costi sono lievitati: all’inizio della pandemia erano stati stanziati 274 milioni per 5 sottomarini Orca).

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    • Tre anni fa le peculiarità di questo enorme robot rispondevano a determinate applicazioni: posa- cacciamine, guerra asimmetrica elettronica e missioni “hunter killer”, dotato di missili Mk. 46 e le caratteristiche erano spingerli verso una zona operativa, lasciarli vagare, stabilire comunicazioni criptate. Gli UUV grossi sono più autonomi rispetto ai minori che costituiscono una rete di droni marittimi tra americani e sauditi in funzione anti-iraniana (“WSJ”), o – sempre con il medesimo nemico – quei nuovissimi Saildrone Explorers di un’esercitazione congiunta Usa/Uk (“NavyTimes”), utile per controllare vasti tratti di mare, perché possono stare a lungo in mare tra Suez, Gibuti, Hormuz, ma bisognosi di navi di supporto nelle vicinanze, come rilevava “Si Vis Pacem Para Bellum”, un sito molto appassionato all’arte della guerra, ma forse questo coinvolgimento non basta a spiegare il titolo datato febbraio 2020 Il nuovo robot wolfpack della marina militare di Orca sarà pronto per la guerra … e invece ha un ritardo di 3 anni, e non è ancora pronto che già c’è la guerra.
    • Altrettanto sofisticato sarebbe il “bat drone”. Non si tratta di uno sciame di piccoli droni travestiti da pipistrelli, ma di una nuova cellula da combattimento: l’MQ-28 Ghost Bat della divisione australiana della Boeing.
      Il Ghost Bat è un drone da combattimento, destinato a essere controllato da piloti umani. Lo descrive “Task & Purpose”: «Il design è pensato per essere modulare, in modo da poter essere modificato per determinate missioni».L’acquisizione fa parte di un più ampio sforzo dell’Air Force per sviluppare il programma Next Generation Air Dominance, il termine con cui si indica lo sviluppo di aerei di sesta generazione. Fondamentale sarà l’uso di gregari robotici, o come li chiama l’Air Force, velivoli collaborativi da combattimento. Le forze armate stanno testando e mettendo in campo dispositivi senza equipaggio come parte degli sforzi per modernizzare le proprie forze. Alcuni, come i minuscoli droni a vela, sono già in uso presso la Marina. L’Assured Positioning, Navigation and Timing / Space Cross-Functional Team dell’Esercito, che fa parte dell’Army Futures Command, ha recentemente testato un drone Airbus Zephyr S presso il Yuma Proving Grounds in Arizona (e in altre località, anche oltreoceano) che ha raggiunto il record di 64 giorni di volo prima di cadere improvvisamente dal cielo.
    • Come sempre poi nel capitalismo, la differenza è fatta dallo smercio nella gamma media che rappresenta nel volume di numeri il vero affare mondiale. E ormai ogni stato si va dotando di una flotta di droni, applicabili nei contesti più disparati. Spesso si tratta di produzione domestica interna a cominciare dalla risposta greca ai droni turchi, Archytas, il drone a decollo e atterraggio verticale (VTOL) presentato alla Thessaloniki International Exhibition (“GreekCityTimes”), una tipica collaborazione tra Forze Armate e Università, “utile” per monitorare i confini e accompagnare le fregate in funzione di difesa da droni nemici.
    • Presentato anche alla Africa Aerospace and Defense Expo di Pretoria insieme al Mwari, venduto dal Paramount Group ad alcune forze aeree africane: anche le sue caratteristiche prevedono ricognizione e precisione di tiro, potendo caricare molteplici sistemi
  • Ma la produzione maggiore di droni è per conto terzi: cioè macchine sfornate per l’esportazione. Alcune per recapitarle agli ucraini (i Phoenix Ghost di Aevex Aerospace, gli RQ-20 Puma e gli Switchblade dell’AeroVironment, di cui scrive “Military.com”), altre sono autentici oggetti del desiderio, come i 18 Bayraktar Tb2, turchi agognati dalla Romania, che a inizio settembre aveva stanziato secondo Reuters 300 milioni di dollari per il loro acquisto.
  • Un esempio diverso sono gli stormi di droni con intelligenza artificiale pilotati attraverso il 5G, che consentono di intercettare e geolocalizzare segnali a basso potenziale, sperimentati da Lockheed e Verizon il 28 settembre (“DefenseNews”). Il Pentagono ha ottenuto quasi 338 milioni di dollari per il 5G e la microelettronica nell’anno fiscale 2022. Ha richiesto 250 milioni di dollari per l’anno fiscale 2023. Ha potuto farlo, trovando una legittimazione dallo sviluppo tecnologico dei missili balistici cinesi (DF-26) e nordcoreani (Hwasong-12), già capaci di raggiungere la base di Guam, che dall’ultima parata militare in occasione del 70° anniversario della Cina popolare può essere nel mirino anche dei droni ipersonici WZ-8 in dotazione al Pla, come scriveva “The Diplomat” ad agosto, contro i quali è indispensabile trovare contromisure.
    • L’esercito israeliano poi sta promuovendo una guerra con i droni come metodo meno sanguinoso per controllare la Cisgiordania. I palestinesi di Gaza sanno che non è così; infatti l’uso di droni è sempre più spesso in funzione di ordine pubblico e per soffocare insurrezioni, rivolte, assembramenti. Non è un caso che l’esordio ufficiale in Cisgiordania i droni lo hanno visto quando una nuova resistenza non riconducibile a nessun protagonista più o meno controllabile: La Tana dei leoni, che è una realtà priva di leader, senza riferimenti religiosi, né indotta dalle forze di occupazione stesse – come Hamas, che fu alimentata agli esordi da Tel Aviv –; nell’incapacità di contrastare questi giovani stufi di occupazione e sopraffazione non c’è altra risposta che una guerra automatizzata in grado di fornire rapide soluzioni a un ciclo di violenza deplorevolmente (per l’Idf) cronico. “Zeitun” ha fatto una piccola ricerca storica dell’utilizzo di droni da parte di Idf:

    • Israele è stato un precoce pioniere nella tecnologia dei droni. Nel 1968 un maggiore della direzione dell’intelligence militare israeliana, Shabtai Brill, applicò mini-telecamere alla fusoliera di aerei a controllo remoto, del tipo di quelli fatti volare dai bambini nel cortile di casa, per sorvegliare clandestinamente i confini con l’Egitto. Nel 1982, all’inizio della guerra del Libano, le Industrie Aerospaziali di Israele produssero droni di sorveglianza di livello militare che potessero volare insieme a jet da caccia per identificare obiettivi e guidare missili.

      Oggi Israele si autodefinisce una “superpotenza dei droni”. La polizia di frontiera utilizza droni per irrorare con gas lacrimogeni i manifestanti nel complesso della moschea di Al Aqsa. In Cisgiordania i soldati disperdono la folla dai posti di controllo con un drone che spara impulsi sonori contro i bersagli, lasciando i dimostranti intontiti e nauseati. Agenti dell’intelligence militare guidano droni da riconoscimento sulla città di Gaza per definire le coordinate esatte da bombardare.

      Molti palestinesi hanno già vissuto per anni all’ombra della guerra con i droni. La loro presenza a Gaza è talmente pervasiva che ai droni ci si riferisce correntemente come a “zanana”, che significa “ronzio”, evocando il costante rumore degli apparecchi che si librano proprio sopra il tetto di casa, come un minaccioso sciame di api.

      Quando lo scorso anno l’esercito ha annunciato il primo stormo di droni mossi da intelligenza artificiale, “The Intercept ha documentato 192 civili uccisi in soli 11 giorni di combattimenti letali.

12 ottobre

  • Le ambizioni polacche di supremazia

    La quantità abnorme di armi di ogni tipo in transito sul territorio polacco svolge solo il ruolo di hub, oppure bisogna registrare un riarmo di dimensioni gigantesche per le dimensioni del paese. Ovviamente, oltre alla scelta di Varsavia di proporsi come potenza locale, va considerata l’enorme importanza della collocazione della Polonia, soprattutto per la Nato che gioca sul sentimento antirusso di una nazione profondamente sovranista.

  • 12 ottobre è arrivato il primo B2 in Polonia, Il Northrop B-2 Spirit è un bombardiere strategico Questo aereo può trasportare 16 missili da crociera con testate nucleari. Carico di combattimento fino a 27.000 chilogrammi. Una data storica: sancisce l’ambizione di divenire una potenza militare nell’area non solo orientale dell’Europa, avendo fatto la scelta di proporsi a modello sia del costume sovranista, sia dotandosi dei mezzi per imporlo.
  • .
  • La Polonia, oltre a rappresentare il nuovo modello per il sovranismo di estrema destra – perché appare agli occhi sovranisti meno impresentabile di Orban – è uno snodo per le armi destinate a Kyiv: dal crowdfunding che a luglio aveva raccolto 4,9 miliardi di dollari per comprare un  Bayraktar TV2 per le forze armate dell’Ucraina (quel drone può trasportare due missili guidati Umta con un raggio di lancio fino a 8 km o quattro bombe di precisione Mamma-C / Mamma-l); la vicinanza al paese aggredito ha spostato l’asse europeo (non solo militare) più a Est e la nazione di Duda e Kaczynski si propone come hub (uno nuovo a est di Ramstein) e laboratorio di conservatorismo reazionario, meglio tollerato dagli americani che mal digeriscono certe impuntature di indipendenza dell’asse franco-tedesco. Ma il nazionalismo è funzionale anche alla servitù militare. Il 4 settembre “Military Times” informava della vendita degli Abrahams in consegna per il 2025 alla Polonia da parte di General Dynamics Land System (il che dimostra quanto le previsioni per una durata della guerra non tanto breve, come dimostrano le dichiarazioni dei massimi contendenti, che hanno lanciato questa guerra per procura, fondata su tipi di armi come gli Abrahams).
    Faceva eco “Defense News” che riportava anche l’entità della spesa (1,1 miliardi di dollari) in cambio di 250 carri armati M1A2 SEPv3.
  • Ma la Polonia non si è fermata all’approvvigionamento di terra, ha acquisito pure 96 elicotteri AH-64E – Apache (per dare una comparazione l’Australia a maggio ne ha comprati 29 dalla Boeing) pagati 1,4 miliardi di dollari e l’annuncio è stato ufficializzato alla fiera delle armi Mspo tenutasi all’inizio di settembre in Polonia, come riportato da “Breaking Defense”. E anche dare spazio a una sede fieristica sul proprio territorio ha un significato di approdo tra gli stati che contano nella filiera delle armi.
    Questo perché Apache e Abrahams lavorano congiuntamente: gli elicotteri

 «saranno schierati per la prima volta presso la 18ª Divisione meccanizzata. Non tutti, ma le prime unità. Questo proprio in seguito al fatto che la 18ª Divisione sarà equipaggiata con i carri armati Abrahams. Questi elicotteri funzionano benissimo con i carri armati Abrahams. Insieme, costituiscono una forza enorme. Una forza di resistenza, perciò vogliamo usarli come deterrente per il nostro avversario», ha dichiarato Błaszczak in una dichiarazione rilasciata dal ministero della Difesa polacco» (“DefenseNews”).

    • Sempre durante l’Expo documentata da “BreakingDefense” Adam Hodges, Capture Team Lead for Vertical Lift International Sales di Boeing Defense, Space & Security, ha dichiarato ai giornalisti che l’azienda sta offrendo alla Polonia “l’AH-64EV6, con capacità MUM-T, proponendo ad aziende polacche il sostentamento locale, quindi altro denaro europeo sperperato in spesa militare, funzionale all’interoperatività polacco-americana.
    • Boeing ha stabilito importanti collaborazioni con il governo e l’industria polacchi, in particolare partnership con il Polish Armaments Group che continuerà a espandersi con l’implementazione di attività di formazione e supporto con l’industria locale.
    • Mentre atterravano a Malbork (a un centinaio di chilometri da Kaliningrad) 4 cacciabombardieri Eurofighter dell’Italian Air Force nell’ambito dell’operazione Nato antiRussia…
    • … la Polonia in quei giorni di fine luglio stava siglando accordi con la Corea del Sud che sommavano a circa 14,5 miliardi di dollari di investimenti, per l’acquisto di 1000 carri armati K2 della Hyundai Rotem, 672 obici semoventi K9 della Hanwa Defense e 48 aerei da combattimento leggero Rokaf FA-50. Notizia confermata anche da “Breaking Defense”. Andando ancora più indietro nel tempo, a maggio, la Polonia aveva deciso di investire in nuove dotazioni di M142-Himars e Patriot: infatti prima del 24 febbraio il Dipartimento di Stato aveva concesso di approvvigionare l’esercito polacco per dotazioni pari a 6 miliardi di dollari.
      Contemporaneamente Varsavia aveva avanzato la richiesta a Seul per acquisire altri lanciamissili K239 della Chunmoo (e l’affare si è concluso a metà ottobre con l’acquisto di 300 di queste batterie di artiglieria coreana), omologhi al prodotto della Lockheed (che ha difficoltà a stare dietro alle richieste del mercato di Himars). Infatti la Lituania ha stanziato un budget di 148 milioni di dollari per comprare M142 Himars, droni e Javelin, dopo il successone ucraino
    • Una notizia di “Defense News” del 17 settembre riportava l’esistenza di due contratti per l’acquisto di 48 aerei d’attacco leggero FA-50 dalla Corea del Sud, con i primi 12 jet che saranno consegnati l’anno prossimo e altri 36 negli anni 2025-2028, per abbandonare completamente l’uso degli aerei MiG-29 e Su-22. La Polonia sta aumentando la propria potenza per diventare la potenza di riferimento anche militare dell’area soppiantando la Germania con l’ausilio degli Usa.
    • Politico”ha riassunto alcune delle commesse di acquisto di sistemi di arma da parte del bulimico esercito polacco:
    • «La Polonia ha firmato un accordo da 23 miliardi di złoty (4,9 miliardi di euro) per 250 carri armati Abrams dagli Stati Uniti questa primavera – una rapida sostituzione per i 240 carri armati di epoca sovietica inviati all’Ucraina. La sua aeronautica militare è equipaggiata con F-16 statunitensi e nel 2020 Varsavia ha firmato un accordo da 4,6 miliardi di dollari per 32 caccia F-35.
      Ma il fulcro della sua recente spesa militare è stata la Corea, dove ha firmato una serie di accordi per l’acquisto di carri armati, aerei e altre armi. Finora la Polonia ha ordinato dalla Corea armamenti per un valore compreso tra i 10 e i 12 miliardi di dollari, ha dichiarato Mariusz Cielma, redattore e analista di “Nowa Technika Wojskowa”, un sito web di notizie e analisi sulla tecnologia militare. Gli ordini includono 180 carri armati K2 Black Panther, 200 obici K9 Thunder, 48 aerei d’attacco leggero FA-50 e 218 lanciarazzi K239 Chunmoo. A completamento delle forniture immediate, i coreani dovrebbero fornire un totale di 1000 carri armati K2 e 600 obici K9 entro la metà e la fine degli anni Venti. Varsavia ha ordinato elicotteri italiani Leonardo per 8 miliardi di złoty, ma l’accordo prevedeva che gli elicotteri fossero prodotti in Polonia.».

11 ottobre

  • SHORt Air Defence: Ucraina come banco di sperimentazioni

    L’Esercito degli Stati Uniti ha equipaggiato un plotone del 5° battaglione, 4° reggimento di artiglieria da difesa aerea, in Europa, con quattro dei primi prototipi di Stryker A1 (sviluppato in 19 mesi da Leonardo Drs). L’Esercito è prossimo a schierare il primo battaglione completo entro la fine dell’anno con l’aggiunta di sistemi M-SHORAD (che comprende anche il lanciamissili veicolare Stinger di Raytheon Technologies), ha dichiarato a “DefenseNews” il generale Maurice Barnett, comandante generale del 10° Comando di difesa aerea e missilistica dell’Esercito in Europa, in un’intervista rilasciata all’esposizione annuale dell’Associazione dell’Esercito degli Stati Uniti.
    .

  • E il primo plotone di sistemi Shorad basati su Stryker A1 ha attraversato Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia, arrivando a testare l’impianto di difesa aerea a corto raggio sul Golfo di Finlandia. Il sistema offre una maggiore protezione rispetto ai vecchi Avenger grazie a una incredibile capacità di sparare in movimento, continuando la stessa protezione aerea e missilistica negli spostamenti, anche su distanze notevoli.
  • Nell’ambito di uno sforzo più ampio per rafforzare la capacità di difesa aerea in Europa, il 6 ottobre l’esercito americano ha attivato il quartier generale della 52ª Brigata di artiglieria per la difesa aerea a Sembach, in Germania. Il quartier generale collegherà tutte le forze di difesa aerea e missilistica dell’Esercito e riferirà direttamente al 10° AAMDC, che è stato aggiornato a un comando a una stella nel 2019.

Stryker A1

7 ottobre

  • C-Uas: la necessità di sviluppare il contrasto a ogni drone

    L’Esercito degli Stati Uniti ha creato l’Ufficio congiunto per il contrasto ai piccoli sistemi aerei senza pilota per affrontare la proliferazione dei droni avversari. Il Jco è nato dopo che l’allora Segretario alla Difesa Mark Esper, nel 2019, ha designato l’Esercito come agente esecutivo per le attività di contrasto agli Uas; gli ufficiali del Comando per le operazioni speciali alla Special Operations Forces Industry Conference, ospitata in Florida dalla National Defense Industrial Association. Il tenente colonnello responsabile del programma di controproliferazione del comando aveva dichiarato in maggio a “DefenseNews” che il Socom sta cercando un dispositivo di contromisura elettronica multimissione di prossima generazione. Il bilancio di ricerca dell’Esercito dello scorso anno ha posto l’accento sull’architettura tattica per la guerra elettronica, includendo una richiesta di aumento della spesa per il programma Multi-Function Electronic Warfare, il programma Terrestrial Layer System-Brigade Combat Team, l’Electronic Warfare Planning and Management Tool e il Terrestrial Layer System-Echelons Above Brigade.

  • L’intento è di trovare opzioni per siti di spedizione portatili, smontati e fissi per il dispositivo di contromisura elettronica multimissione di prossima generazione. Il Corpo dei Marines e il Socom dispongono di un sistema esistente chiamato Modi, prodotto dalla Sierra Nevada Corporation e utilizzato dall’esercito e dai Marine (“C4irsnet” riporta questa direzione nella ricerca del contrasto ai droni), il problema è la difficile maneggevolezza (pesa 20 chili) che ha suggerito gli investimenti per la ricerca, vista l’estensione dell’utilizzo di droni in tutti i quadranti.
  • Per ora l’esercito statunitense tiene corsi, i cui moduli consentono di avvalersi di queste armi di difesa da macchine Uas:

 «Non si può avere solo una capacità c-UAS ovunque. Bisogna essere in grado di sfruttare qualsiasi capacità si abbia: abbiamo essenzialmente massimizzato la capacità di quel sistema per dargli un doppio ruolo, sia che si tratti di abbattere razzi o mortai; ora possono abbattere anche i droni.

  • Il dispositivo anti-UAS DroneDefender ha unito una tecnologia innovativa a un design efficiente per una sicurezza sicura, affidabile e comprovata dalle minacce aeree (così il testo promozionale di Battelle). Il dispositivo interrompe rapidamente il controllo remoto del drone aggressore, neutralizzandolo in modo che non possa avvenire alcuna azione a distanza, compresa la detonazione, riducendo al minimo i danni che può provocare il drone e il rischio per la sicurezza pubblica.Il DroneDefender, che utilizza una soluzione non cinetica per difendere lo spazio aereo dagli UAS, come quadcopter ed esacotteri, opera senza compromettere la sicurezza o rischiare danni collaterali. Il sistema, leggero e facile da usare per due ore di seguito e con un peso contenuto sotto gli 8 chili, assicura la distruzione dei droni a controllo remoto e del loro GPS

1°-14 ottobre

  • Teatro No: come adeguare la nuova realtà di guerra a una Costituzione di pace, o viceversa

    Gli Stati Uniti non sono riusciti a trasformare il cosiddetto Quad, che comprende Giappone, Australia e India, in una versione asiatica dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico, ma hanno continuato ad allenarsi con molti stati dell’Indo-Pacifico.

  • Stripes” dà notizia che dal 1° al 14 ottobre si sono tenuti gli addestramenti combinati realistici “Rimpac22”con i mitici Himars insieme agli F-35BS in Hokkaido (coinvolte pure le forze militari filippine e coreane). Svolgono il ruolo di esibizione muscolare che s’incunea nelle strategie che regolano gli equilibri nell’Indo-Pacifico.
    Il “Kamandag” – abbreviazione di “Kaagapay Ng Mga Mandirigma Ng Dagat”, ovvero “Cooperazione dei guerrieri del mare” – è iniziato nel 2017 come sostituzione dell’esercitazione di sbarco anfibio su larga scala “Phiblex”. Inizialmente era incentrata sull’assistenza umanitaria e sulla risposta ai disastri.
    L’addestramento ha coinvolto la nave d’assalto anfibio USS “Tripoli” che trasporta i caccia stealth F-35B Lightning II del Marine Fighter Attack Squadron 121
    I Marines hanno anche volato con MV-22 Ospreys, CH-53 Sea Stallions, UH-1Y Venoms, AH-1Z Vipers e KC-130J Super Hercules durante le esercitazioni. L’F-35B è la versione a decollo corto e atterraggio verticale del caccia d’assalto congiunto, progettato per il supporto aereo dei Marines a terra.I Green Knights avevano già schierato 14 jet a bordo della Tripoli durante un pattugliamento del Pacifico quest’estate e inviato altri aerei in Australia per l’esercitazione biennale “Pitch Black”, che ha coinvolto oltre 100 aerei di 17 nazioni in agosto e settembre. Il Giappone è stato coinvolto con 1400 uomini soprattutto per addestramento agli Himars, AT-4 e Javelin, a cui si affiancano sistemi giapponesi di multilancio di razzi (Type 12 Surface-to-Ship Missile – 12SSM della Mitsubishi).
  • Le esercitazioni sono da intendersi in risposta a quelle congiunte operate a luglio dagli eserciti russo e cinese a stringere l’arcipelago nipponico che aveva richiamato “Formiche”, che veva seguito gli spostamenti delle navi russe (il cacciatorpediniere “Marshal Shaposhnikov”, la corvetta “Gremyashchiy” e la nave da supporto “Pechanca”) che avevano avvolto in una tenaglia l’arcipelago, con il supporto della fregata cinese “Jaingwei II”, intorno alle isole Shenkaku/Diayou, contese, come le Paracel. La Russia ha aumentato il livello di ingaggio dei conflitti antinipponici per le altrettanto disputate isole Kurili/Spor e Putin aveva estromesso la Shell e due aziende giapponesi da ogni pretesa di partecipare all’estrazione del gas intorno alle Sakhalin e già a giugno una ventina di navi militari vi erano state mandate in esercitazione prima che il premier nipponico Fumio Kishida prendesse il volo per il vertice Nato di Madrid:
  • In totale si sono mosse venti navi da guerra, di cui 4 cinesi e 16 russe. La crociera cinese è durata dal 12 al 19 giugno, poi le quattro navi (un cacciatorpediniere classe Type 055, uno di classe Type 052D e una nave di rifornimento Type 901 e una nave spia Type 815) hanno preso il largo per il Pacifico. Quelle cinesi si sono mosse in diversi momenti, ma sempre in quegli stessi giorni: tra le corvette e i cacciatorpedinieri impiegati, due di classe Udaloy, insieme ad alcune delle corvette della classe Steregushchiy, e al “Marshal Krylov” ha fatto rifornimento ovest dal Mare di Okhotsk verso il Mar del Giappone, durante esercitazioni nel Mar Cinese Orientale e nel Mar delle Filippine

 «È una dimostrazione di forza che trova due ordini di contesti internazionali come ragione. Il primo è più ampio, generale: il Giappone sta costruendo un proprio standing all’interno dell’Indo Pacifico riscoprendo una dimensione da potenza regionale, mentre sta contemporaneamente integrando sempre di più le sue attività con quelle occidentali. E tutto mentre il Giappone ha una linea sempre più chiara nei confronti della difesa di Taiwan davanti alle ambizioni cinesi».

  • E infatti negli stessi giorni il cacciatorpediniere portaelicotteri “Izumo”, ammiraglio della Flotta di autodifesa di Tokyo, ha condotto un’esercitazione congiunta con il cacciatorpediniere “USS Sampson” e ricevuto rifornimento in mare dalla “USNS Rappahannock“. Contemporaneamente, la fregata della marina indiana “Satpura”, quella filippina “Antonio Luna”, l’indonesiana “Gusti Ngurah Rai”, quella della Repubblica di Singapore “Intrepid” e a la corvetta “Lekir” della Royal Malaysian Navy si sono raggruppate per dirigersi verso le Hawaii, dove si trova il quartier generale dell’Indo Pacific Command americano.

  •  «Kishida ha chiaramente segnalato che il Giappone non rimarrà ai margini delle crisi globali. Più che mai sta dimostrando un impegno diplomatico schierato e e si sforza di proteggere la stabilità regionale e l’ordine internazionale basato sulle regole. Ciò si riflette sulla sua presenza allo Shangri-La Dialogue (evento internazionale organizzato a Singapore dall’IISS dove il premier giapponese ha presentato la sua “Vision for Peace”) e nella prevista partecipazione al vertice Nato di fine giugno. L’alleanza del Giappone con gli Stati Uniti è ancora una volta in primo piano nei calcoli strategici di Tokyo sull’Indo-Pacifico» (Elli Katharina Pohlkamp, European Council on Foreign Relations – Ecfr).

  • E si esplicita in particolare nel ruolo di capofila locale nel contrasto dell’atteggiamento aggressivo di Pechino verso Taipei, come segnalava “Formiche” in settembre agganciando l’impegno al riarmo giapponese – e come già documentato in questo Maxistudium di OGzero a maggio e agosto – e ai budget da capogiro per la Difesa nipponica (più di 40 miliardi su 788 del Bilancio delle spese nazionali) in cui sono inseriti anche capitoli di spesa per missili terra-nave a lungo raggio, o Ssm, dotati di un raggio di tiro di circa mille chilometri ottimo deterrente verso le minacce esterne.Un nuovo giro di boa attende poi una decisione essenziale di Tokyo, che sancirebbe definitivamente il cambio epocale da 70 anni a questa parte, perché è evidente che se si ritiene indispensabile cambiare la Costituzione perché pacifista, significa che in una contingenza storica di guerra si sente il bisogno di passare a una Costituzione bellicosa: una follia che decreterebbe l’ingresso in un’epoca di guerra ed è proprio quello che “AgenziaNova” riporta il 18 novembre. La notizia viene riportata proprio come conseguenza del fatto che il Giappone non ha potuto rifornire Kyiv con i missili anticarro richiesti (Type 12 Surface-to-Ship Missile – 12SSM della Mitsubishi), perché la Costituzione impedisce al Giappone di esportare sistemi e tecnologie di difesa.

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Vecchie e nuove servitù militari: No Trespassing

Stiamo scivolando sempre più in una mentalità che accetta l’orrore di considerare il cambiamento di morale, di narrazione dei rapporti tra “nazioni” e del valore degli aggettivi belligeranti che segnano una cesura… e marcano anche un cambio nel significato e nell’uso di territori strategicamente sottratti al paese su cui insistono per consegnarli a potenze straniere che le rendono off limits (NO TRESPASSING) e proiettate in funzione di aggressione al nemico, riempiendoli di ordigni, macchine belliche, sistemi di controllo e di logistica nelle azioni operative in zona di guerra, come Sigonella che ha partecipato sia nell’episodio che ha visto l’affondamento della Moskva, sia nell’attacco al porto di Sebastopoli del 28 ottobre.
Da settembre e poi anche in ottobre si è resa palese nell’economia della guerra europea l’importanza dello schieramento, delle alleanze e la necessità della potenza globale di riferimento di “occupare” territorio, di “invadere” sovranità, di “ottenere” mezzi adiacenti alla trincea… la servitù in tutte le sue forme.



La servitù nucleare in Italia

Servitù militare e Italia sono quasi una tautologia, visto che dal punto di vista dell’esercito americano si tratta di una enorme portaerei che si allunga nel Mediterraneo e ospita gli ordigni nucleari sia a Ghedi (in provincia di Brescia) che ad Aviano (Pordenone), non a caso dislocate nel Nordest, fin dalla Guerra Fredda considerato un avamposto: Ghedi è dotato di velivoli (Tornado e F-35 italiani), atti a trasportare le bombe nucleari (un centinaio quelle americane già disponibili), mentre ad Aviano sono dislocate le famose bombe nucleari per l’impiego tattico B-61 (da 45-60 kilotoni), che gli americani si trasportano in piena autonomia, imponendo un limite militarmente invalicabile nel territorio italiano


Aviano e Ghedi (il Nord nucleare); contratto milionario a Sigonella per potenziare il Comando della task force aeronavale Usa nel Mediterraneo per Conti Federal Service (il Sud a supporto di missioni fulminee piratesche). Il canale dei Navicelli (il Centro magazzino logistico)


La servitù delle forniture in Italia

Ma oltre a Sigonella (e il Muos) a Sud e le basi delle bombe nucleari a Nord esiste da anni Camp Darby e il Canale cinquecentesco dei Navicelli vi riveste un valore strategico per l fatto che attraversa la base militare che completamente blindato com’è diventa fondamentale per trasportare senza occhi indiscreti e in territorio completamente no trespassing le armi in arrivo al porto di Livorno e da lì alla darsena interna a Camp Darby, allargata permettendo l’incrocio di due navi.
E sono servitù militari anche gli agganci all’industria militare statunitense per esempio con il legame a filo doppio tra Leonardo (industria di stato e ora anche di governo, con la cooptazione di Crosetto al ministero della Difesa) e Lockheed: infatti i vertici dell’esercito scodinzolano al partner americano intravedendo la possibilità di bissare la collaborazione pluriennale sugli F-35 anche per quel che riguarda il nuovo progetto dei nuovi elicotteri a doppio rotore X2


La Sardegna assediata (le esercitazioni nelle Isole); le servitù oceaniche (il Portogallo) e quelle del Mediterraneo orientale:


La servitù delle esercitazioni

Altre servitù possono essere considerate le esercitazioni: infatti Nato decide e per 15 giorni i cieli e i flutti teatro delle “simulazioni” (anche nucleari e annunciate) diventano oggetto di espropriazione e aree pericolose, che poi lasciano residui e radiazioni, un territorio devastato e inquinato.
In questo tempo di guerra le esercitazioni “programmate” fioccano: a metà settembre la Sardegna era circondata come Taiwan un mese prima. Aree di guerra, in mare, in cielo e nei poligoni di Teulada, Quirra e Capo Frasca, esercitazioni speciali, visto che dal 24 febbraio le esercitazioni programmate erano state annullate, tutte tranne quelle collegate al “warfighting”. «Accentrare arsenali aerei, navali e terrestri in Sardegna, per giunta in questo contesto storico, significa proiettarla in uno scenario di provocazioni internazionali pericolose e incontrollabili. Mai come oggi la presenza delle servitù militari trasformano l’Isola in una vera e propria colonia militare».
E quella servitù era contemporanea alla esibizione di muscoli aerei di “Steadfast Noon”, ospitata dal Belgio a Kleine Brogel, una infrastruttura Nato adibita a ospitare armi tattiche B61-12cfino a 50 kilotoni in dotazione a F-35 “Lighting II” (quelli collaudati ad Amendola in provincia di Foggia quest’estate): altri scenari di guerra, esplicitamente nucleari, specularmente riflessi in Grom, l’esercitazione nucleare organizzata dal Cremlino.
Per quel che riguarda la servitù navale il Portogallo ha assistito allo spettacolo del Neptune Strike a Oeiras, quartier generale del Strike Force Nato con a capo la portaerei nucleare George H.W. Bush.
In questa ridda di esercitazioni non poteva mancare il quadrante più sensibile del Mediterraneo orientale e infatti in Grecia, durante un’esercitazione Nato che ha visto la partecipazione di 200 soldati americani e 650 tedeschi, si sono testati i missili tedeschi Patriot Mim-104, un sistema missilistico mobile antiaereo modulare di repentina installazione.
Troviamo questa moltiplicazione di esercitazioni, servitù e riattivazione di quelle esistenti a ridosso del fronte e si aggiunge l’elemento che abbiamo affrontato con Alessandro Ajres nella puntata di Transatlantica24 dedicata alla Polonia nel momento in cui si accredita come potenza locale più affidabile e utile della Germania (che ha dovuto decidere con forte riluttanza un riarmo pesante): ovvero la ricerca di costituire un potente esercito e non ridursi solo a hub per far confluire armi in una nazione-caserma al servizio degli Usa, ancor più che della Nato (avendo già iniziato a dotarsi di un esercito efficiente e moderno fin dalla prima invasione della Crimea). Si assiste a un tentativo di sostituire la capacità militare polacca alle basi tradizionalmente tedesche intese come confini orientali.



La servitù delle collaborazioni produttive

Anche se l’evidente preparazione a un conflitto in territorio europeo predispone il Pentagono a dispiegare armi e truppe, mobilitando tutte le servitù militari preparate nei decenni. E costruendone di nuove, come il nuovo comando a Wiesbaden per supervisionare l’addestramento nei poligoni americani in Germania (dove a gennaio sono state trasferite le reclute ucraine che fin dal 2015 si addestravano sotto il comando Usa al Combat Training Center-Yavoriv vicino a Lviv) e l’approvvigionamento delle truppe (https://www.militarytimes.com/news/your-army/2022/10/03/us-may-establish-new-command-in-germany-to-arm-ukraine-report/)
E sono servitù militari anche gli agganci all’industria militare statunitense per esempio con il legame a filo doppio tra Leonardo (industria di stato e ora anche di governo, con la cooptazione di Crosetto al ministero della Difesa) e Lockheed: infatti i vertici dell’esercito scodinzolano al partner americano intravedendo la possibilità di bissare la collaborazione pluriennale sugli F-35 anche per quel che riguarda il nuovo progetto dei nuovi elicotteri a doppio rotore X2



La servitù a Oriente

Nell’altro campo – con le debite proporzioni (come dice Gabriele Battaglia: «Anche la Cina ha basi militari fuori dai confini, una a Gibuti… rispetto alle decine degli Usa») – bisogna registrare le mire di Pechino sul porto di Ream, in Cambogia, ideale per installare un sistema di controllo radar dual-use, orientato ai traffici ma soprattutto a spiare assetti militari. E i lavori fervono nello scalo: un nuovo molo, un approfondimento del porto, che già registra una parte sotto la sovranità cinese, che potrebbe ospitare un nodo del sistema satellitare BeiDou alla confluenza dell’Oceano Indiano con il Pacifico, controllando così l’intera area (https://formiche.net/2022/10/nel-fragore-di-amburgo-la-cina-in-silenzio-si-prende-un-pezzo-di-cambogia/).
Ma si possono considerare servitù ottenute anche il corollario della militarizzazione di isolotti contesi lungo tutto il Mar cinese meridionale, come le Spratly, o il progetto di collaborazione con le Salomon, persino la più esplicita formula di neutralità costituita dal rifiuto del Vietnam di ospitare basi straniere, senza citare la contesa sulle isole Nansha si può considerare una servitù accettata su territori adiacenti nella guerra del Pacifico con gli Usa (https://www.scmp.com/news/china/diplomacy/article/3198034/china-vietnam-ties-beijing-reassured-hanois-vow-reject-all-military-alliances-say-analysts).


La servitù artica

Ma la servitù più contesa e meno esibita, anzi nascosta da una ipocrita collaborazione sempre più tesa è una sorta di corsa a spartirsi le fette di quel territorio strategico e ricco di minerali preziosi in via di scongelamento: tutti i paesi europei e la Russia (che controlla il 50% del territorio artico) tradizionalmente collaboravano fino alla crisi ucraina; intanto anche gli Usa stanziano 841 milioni di dollari per il 2023 per un terzo Polar Security Cutter e altri 20 milioni di dollari per creare un ufficio per il programma Arctic Security Cutter. completando una strategia durata 10 anni per il circolo polare artico: « La nuova strategia individua quattro pilastri, tra cui una maggiore presenza militare statunitense, l’aumento delle esercitazioni con i paesi partner per “dissuadere l’aggressione nell’Artico, soprattutto da parte della Russia”, l’ammodernamento della difesa aerea del NORAD e l’aggiunta di navi rompighiaccio della Guardia Costiera, nonché una migliore mappatura e cartografia delle acque e delle condizioni meteorologiche della regione». (https://www.defensenews.com/pentagon/2022/10/07/white-house-arctic-strategy-calls-for-enhanced-military-presence/) E proprio questa presenza militare americana surriscalda il clima artico; la seconda squadra Infantry Brigade Combat, 11th Airborne Division, ha iniziato in settembre l’addestramento pratico con l’equipaggiamento Capability Set 21, che ha lo scopo di aumentare la mobilità e rendere più intuitive le comunicazioni sul campo di battaglia (https://www.c4isrnet.com/battlefield-tech/it-networks/2022/08/29/first-arctic-unit-now-training-with-modernized-us-army-networking-gear/). La sezione 7 dell’Artic Commitment Act richiede l’«eliminazione del monopolio russo sulla navigazione artica» (https://pagineesteri.it/2022/09/01/primo-piano/cambiamento-climatico-il-potenziamento-militare-degli-usa-nellartico-pone-nuovi-rischi-geopolitici-e-ambientali/). E Leonardo DRS si è aggiudicata un contratto da circa 50 milioni di dollari per la fornitura di oltre 4600 visori termici per armi alla Svezia, emblematico di come il traffico d’armi possa garantire la differenza nei dettagli per controllare il territorio e assicurare una servitù militare, un’altra forma di imperialismo coloniale.


GENNAIO FEBBRAIO MARZO APRILE MAGGIO GIUGNO LUGLIO AGOSTO OTTOBRE NOVEMBRE Traffico 2022

100 %

Avanzamento



Interessante vedere grafici eloquenti di approvvigionamenti di armi, collocandoli nei vari scacchieri regionali, che corrispondono alle aree che vedono teatri di guerra; ma si vede soprattutto come si ripartiscono gli investimenti: Russia in testa (ma il dato per singoli stati vede gli Usa abbondantemente in testa), Emirati e Maghreb a ruota se il computo viene filtrato dal confronto in percentuale sul Pil. Dei più di 2000 miliardi che sarebbe il fatturato in armi nel 2021, 800 sono stati spesi dagli Usa (e questo si vede bene dalla Top Ten dei contratti firmati dal Dipartimento della difesa americano che abbiamo pubblicato nell’editoriale di agosto), seguiti da Cina, India, GB e solo quinta è la Russia, dimostrando così chi può essere più temibile; anche se il trend vede Cina e India in notevole accelerazione rispetto a un decennio fa – e questo è un dato che sposta in quel quadrante l’attenzione massima per paventare futuri conflitti. Infatti il primo grafico dimostra una corsa agli armamenti che vede l’Asia allargare la forbice della propria fetta di traffici d’armi rispetto al resto del mondo che incrementa progressivamente e nello stesso modo la propria spesa per preparare la guerra.

World military expenditure, by region, 1988–2021. Data and graphic: SIPRI


Il nucleare irrompe di nuovo prepotente nel dibattito mondiale e così abbiamo chiesto a Piergiorgio Pescali di “rassicurarci” di fronte a Zaporizhzhia, alle scelte iraniane, alle minacce neanche velate di Putin. Ricercatore per l’Aiea, Pescali ha visitato tutte le centrali nucleari più famigerate, conosce il mondo del nucleare con obiettiva precisione, riporta dati. Possiamo continuare a preferire un mondo meno nucleare, ma gli argomenti di Pescali provengono da una conoscenza dall’interno degli ambienti saturi di atomi, rimane ampio spazio per preferire soluzioni alternative ma non si può prescindere dalle sue conoscenze che ci illustra in questo podcast proveniente da una puntata di Bastioni di Orione su Radio Blackout, cercheremo di approfondire ulteriormente il côté eminentemente militare dell’applicazione nucleare, che qui trova una ottima introduzione:

Settembre

29 settembre

  • L’obliquo  gioco di Embarghi e Sanzioni

    L’ipocrisia è palese ogni volta che si parla di embarghi che vanno applicati o deroghe agli stessi: diventa un gioco evidente che risponde al bisogno di trovare una spiegazione per una consegna disattesa per dare un segnale di scelta di campo o per sancire un’alleanza rimuovendo sanzioni e rifornendo così stati criminali con armi micidiali.

  • Da un lato si può senz’altro condividere il rifiuto della fornitura di 16 elicotteri Mi-17 da parte del governo Marcos-Duterte appellandosi a sanzioni, che servono per affrancarsi dall’abbraccio russo e schierarsi sul fronte indopacifico dalla parte americana. Ma il vero problema è che comunque finora – e forse sottobanco ancora adesso – i Filippini si approvvigionavano dagli arsenali russi e ora, senza mezzi termini stracciano un contratto con una semplice dichiarazione: «I cambiamenti di priorità resi necessari dagli sviluppi politici globali hanno portato alla cancellazione del progetto da parte della precedente amministrazione» (“BangkokPost”). E comunque gli Usa hanno offerto alternative al bisogno di elicotteri di Manila.
  • Sempre nell’area indopacifica si trovano nei primi giorni di ottobre nuove liste di ditte cinesi sanzionate dal Dipartimento della Difesa (“South China Morning Post”), che colpiscono chirurgicamente imprese produttrici di droni, ma – attenzione! – che si trinceravano dietro la duplice funzione bipolare, dove la vocazione “civile/militare” era una palese foglia di fico, ma in mezzo a tante altre produzioni orientali come occidentali. In questo caso si tratta di DJJ Technology, il più potente costruttore di droni al mondo con sede a Shenzen. Ma la duplice funzione è condivisa da tutte le ditte costruttrici di armi… o altri marchingegni apparentemente innocui come il Parrot Anafi della DJJ.
  • Un’altra richiesta di cancellazione di embargo sulle armi che è un’evidente necessità di alleanza – o almeno neutralità – è quella da parte di Abyi che si fa latore per conto della Somalia di Mohamud (legato mani e piedi al regime di Ankara, ma anche con l’Egitto, che ha un contenzioso pericoloso con Addis Abeba per la diga Gerd) di questa istanza, come riporta “Meridiano42”. Se Abyi riuscisse nell’intento disinnescherebbe una alleanza scomoda di Mogadiscio, soprattutto durante la guerra in corso contro il Tigray. Dunque gli embarghi risultano utili in particolare come merce di scambio e strategie diplomatiche, mentre il regime somalo non riesce ad avere ragione di al-Shabaab.
  • Il fatto che embarghi e sanzioni siano unilaterali li rende un’arma esclusiva dell’Occidente; infatti diventa offensiva la consapevolezza che il paravento delle sanzioni è un gioco affaristico, come quello del governo tedesco di Scholz, che approvando le esportazioni di armi verso Riyad ha interrotto l’embargo deciso nel 2018, a causa del ruolo saudita nella guerra in Yemen (“perplessità sulla vocazione democratica della famiglia saudita poi ribadite con l’assassinio di Khashoggi). Tutto rientra nel bisogno energetico scatenato dalla crisi sarmatica, come scrive “Anbamed” il 30 settembre:

 «L’Arabia Saudita, primo esportatore mondiale di petrolio, ha assunto un ruolo ulteriormente importante nel garantire fonti di energia per i paesi europei, dopo le sanzioni contro la Russia e lo stop di Mosca alle esportazioni di gas e petrolio. Uno dopo l’altro i capi di Stato occidentali si sono prostrati alla corte di Mohammed Bin Salman: prima di Scholz, Biden e Macron».

  • Mediapart” aveva rivelato il 24 settembre i garbugli internazionali che andavano permettendo al colosso di Monaco Hensoldt di aggirare l’embargo attraverso filiali straniere e di un accordo franco-tedesco.
  • Gli Usa avevano già stipulato accordi con la famiglia saudita per realizzare una rete di droni marittimi in funzione anti-iraniana insieme a Israele nel quadro degli Accordi di Abramo trumpiani e sfruttati dalla amministrazione Biden, come riportava il “Wall Street Journal”, un modello che Washington intenderebbe collaudare in Medio Oriente per esportarlo nel resto del mondo: entro la prossima estate US Navy prevede di poter contare su uno stormo di 100 piccoli droni di sorveglianza M5D-Airfox – forniti da vari paesi – che opereranno dal Canale di Suez in Egitto fino alle acque al largo della costa iraniana e forniranno informazioni a un centro di comando in Bahrein, sede della Quinta Flotta degli Stati Uniti. Evidente la necessità di operare un monitoraggio della tecnologia nucleare di Tehran.
    I droni attualmente in fase di test sono disarmati. Ma gli analisti della difesa si aspettano che la Marina si muova verso l’equipaggiamento di alcuni di essi con armi in futuro; tutto ciò nasce dalla preoccupazione per l’espansione dell’influenza dell’Iran in una delle rotte economiche più importanti del mondo. Teheran ha schierato navi e sottomarini equipaggiati con droni aerei.
    Invece la Marina degli Stati Uniti sta testando una serie di imbarcazioni senza pilota, tra cui una che assomiglia a un motoscafo e può raggiungere una velocità di quasi 90 miglia all’ora. Sta anche lavorando con droni aerei tipo Predator e con il Saildrone, che può rimanere in mare per sei mesi.
  • Saildrone

28 settembre

  • Il giro promozionale del sistema di artiglieria più desiderato

    Un sofisticato meccanismo logistico di trasporto “moltiplica” l’utilizzo dei sistemi lanciamissili aviotrasportati Himars, laddove è richiesto l’impiego immediato.
    Sistemi missilistici mobili in uso contemporaneamente grazie al delivery del sistema di arma a cui inneggiano le truppe ucraine per la risoluzione di situazioni difficili. Per ora il sistema di consegna aviotrasportato sta attuando un giro promozionale

  • L’High Mobility Artillery Rocket System (l’ormai mitico Himars) ha sparato martedì 27 settembre nel Grande Nord della Svezia durante una missione di breve durata iniziata ore prima con le truppe che hanno preso il volo a bordo di un C-130 per operazioni speciali partito dalla base aerea di Ramstein, in Germania. La missione è stata simile a quella effettuata giorni prima in Lettonia, dove gli Himars  americani sono stati inviati a sostegno delle esercitazioni di preparazione al combattimento nei paesi baltici. La Lituania  aveva già richiesto (a luglio quando Riga chiese di acquistare sistemi missilistici di difesa costiera e anche l’acquisto di sistemi di difesa aerea a medio raggio, valutando in 763 milioni di dollari gli stanziamenti in spese militari per il 2023).  una fornitura di Himars nel quadro di un cofinanziamento tra i paesi baltici per acquisti dalla Difesa americana; Durante l’estate, gli artiglieri statunitensi hanno fatto lo stesso in Danimarca. Questo ipermovimento è utile anche per lanciare segnali al “nemico”. Questa strategia di dimostrazione di muscoli, promozione commerciale e collaudo per eventuale delivery in situazione di guerra dichiarata è ben descritto da “Stars&Stripes”.

Il Pentagono ha annunciato mercoledì che stipulerà un contratto con l’industria per 1,1 miliardi di dollari in aiuti militari all’Ucraina, compresi 18 sistemi di razzi di artiglieria ad alta mobilità e altre armi per contrastare i droni che la Russia ha usato contro le truppe ucraine. (“DefenseNews”).

Le nuove armi e attrezzature, fornite nell’ambito dell’Iniziativa per l’assistenza alla sicurezza dell’Ucraina, sono destinate a soddisfare le esigenze di Kiev a medio e lungo termine e potrebbero richiedere dai sei ai 24 mesi per arrivare. L’amministrazione Biden, che ha stanziato aiuti per 17 miliardi di dollari per l’Ucraina, ha utilizzato l’autorità presidenziale di drawdown per inviare le armi più rapidamente. L’ultimo contratto comprende 18 Himars della Lockheed Martin, ma anche 12 Titan per il contrasto dei droni di fabbricazione iraniana adottati da Mosca; 20 radar multi-missione in grado di tracciare i colpi di artiglieria e di mortaio, tra gli altri oggetti in volo (l’approvvigionamento di radar è centrale in molti accordi di acquisto); 300 Humvee, i camion per trasporto di attrezzature e ordigni: evidentemente si prevede che la guerra si protrarrà almeno per un paio di anni; gli ucraini hanno ricevuto 16 Himars direttamente dal Pentagono e altri 10 dagli stati europei.

Sfruttando l’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico, il Titan è in grado di operare in modalità opzionale e di aumentare autonomamente le contromisure in qualunque situazione in cui sia individuato un ordigno volante

«Si tratta di un investimento davvero consistente, destinato a far sì che l’Ucraina disponga di ciò che le serve per il lungo periodo, per scoraggiare le minacce future», ha dichiarato un funzionario del Pentagono. «Ma non esclude in alcun modo che continuiamo a investire nelle loro forze attuali con capacità che sono disponibili oggi e che possiamo attingere oggi dalle scorte statunitensi»


  • Il vertice di Bruxelles

  • Nel frattempo a Bruxelles si sono riuniti per la prima volta i Direttori nazionali degli armamenti dei Paesi membri del Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina, coordinati dal sottosegretario alla Difesa per l’acquisizione e il mantenimento degli Stati Uniti, William A. LaPlante. Alla riunione, a cui ha partecipato anche il Segretario generale della Difesa italiano, generale Luciano Portolano, erano presenti i rappresentanti di 45 nazioni, dell’Unione europea e della Nato, ed è servito ad affrontare le sfide della base industriale della difesa e sulle opportunità di aumentare la produzione di capacità critiche per la difesa a lungo termine dell’Ucraina. Formiche.it riportando la notizia del nuovo coordinamento dei paesi dediti al sostegno di Kyiv, aggiunge anche che lUcraina si rifornirà di sistemi missilistici Himars direttamente dal produttore, quindi trattando direttamente con Lockheed Martin sgravando l Pentagono dal bisogno di fornire con propri sistemi il paese belligerante (non è chiaro chi paghi i sistemi: cioè da dove Zelensky prenda i soldi per onorare tutte queste forniture direttamente dal produttore), permettendo una catena di rifornimenti sostenibile a lungo termine. La decisione, inoltre, riduce lo sforzo imposto agli arsenali Usa per rifornire le difese ucraine ma soprattutto di aggirare la burocrazia (e il controllo) del Congresso.
  • Questo sotterfugio fa parte di un braccio di ferro tra Pentagono e Congresso che si rinnova periodicamente e in periodi di inflazione durante un impegno bellico produce tensioni come quelle descritte da “DefenseNews”, quando le pressioni del Congresso sul Pentagono per mitigare gli effetti dell’inflazione si ritorcono contro i parlamentari (e le loro lobbies in contrasto con il desiderio militarista di una quantità sempre maggiore di giocattoli)

Perché i contratti di appalto pluriennali sono raramente approvati dal Congresso? Il personale addetto agli stanziamenti non vuole rinunciare al potere di mettere in discussione le spese negli anni successivi, e i membri scelgono di non scavalcare il potente personale

  • Il Dipartimento della Difesa americano apparentemente sta proponendo soluzioni per rispondere alla richiesta di fornire “sgravi contrattuali straordinari” alle aziende con contratti a prezzo fisso che stanno subendo l’inflazione al 9%; in realtà sfrutta la situazione perché proprio LaPlante ha invitato a dare ai federali una maggiore autorità per negoziare contratti di approvvigionamento pluriennali per munizioni e sistemi missilistici, eliminando la necessità di negoziare i contratti ogni anno con il Congresso (sottraendogli il controllo sulle forniture), mantenendo le linee di produzione “calde”, migliorando la capacità americana di rifornire le scorte svuotate dalla guerra in Ucraina. Secondo il Pentagono gli appaltatori hanno bisogno di stabilità per produrre sistemi a ritmi significativi per periodi di tempo prolungati. I dollari prevedibili generano stabilità e il modo più facile per ottenerla sarebbero i contratti di approvvigionamento pluriennali nell’ottica guerrafondaia più estremista e che quindi prevede una guerra aperta di lunga durata.
  • Contratti pluriennali: gli appaltatori si assicurano ordini quinquennali

  • Con questa autorità, gli appaltatori hanno una fonte di finanziamento costante, che segnala che i loro prodotti saranno acquistati per anni e crea un incentivo a investire nella forza lavoro, nella ricerca e nello sviluppo e nelle strutture della propria azienda costruttrice di armi, che poi dovranno essere usate e distrutte per continuare a mantenere elevata la richiesta e ottemperare al contratto.
  • Il sommergibile russo Yasen-M è più lungo del Virginia Block ma porta tubi per il lancio verticale di missili più piccoli, così l’imbarcazione americana può trasportare 40 missili Cruise della classe Tomahawk contro i 32 degli avversari russi

  • Un fulgido esempio del giro di affari che può rendere a uno o all’altro dei soggetti in commedia è il missile Tomahawk Block IV. Un contratto di approvvigionamento pluriennale contenuto nella legislazione sugli stanziamenti per l’anno fiscale 2004 ha portato a una produzione di circa 357 missili all’anno, con un prezzo medio di 1,4 milioni di dollari per missile in dollari dell’anno fiscale 2002. Dopo 16 anni, il Pentagono sta nuovamente acquistando lo stesso missile Tomahawk, ma questa volta senza un contratto pluriennale. Dall’anno fiscale 20 all’anno fiscale 22, il Dipartimento della Difesa ha acquistato circa 94 missili all’anno a un prezzo medio di 2,9 milioni di dollari per missile, con un aumento del 107.
  • Per l’anno fiscale 2023 questa procedura è stata approvata solo per il cacciatorpediniere guidato classe Arleigh Burke.
  • Nonostante l’ovvia necessità di acquisti sostenuti di munizioni, nelle tranche di aiuti all’Ucraina approvate dal Congresso dall’inizio della guerra non sono stati approvati appalti pluriennali.

“I dollari prevedibili generano stabilità e i contratti di approvvigionamento pluriennali dovrebbero essere il veicolo per ottenerla”

Costretta a una pianificazione annuale, l’industria della difesa rischia di non fare gli investimenti necessari oltre l’orizzonte di un anno secondo i sostenitori della filiera produttiva, considerando che altrimenti non s’incentiverebbero le aziende a migliorare la capacità e a ridurre i costi. Un modo in cui il Pentagono ha cercato di aggirare questo controllo è stato quello di stipulare contratti per un anno in cui sono stati stanziati dei fondi e poi avere una serie di opzioni per rinnovi automatici di un anno, con l’intento di triplicare la produzione di artiglieria, per le armi che i combattenti usano quotidianamente – le bombe, i missili, i razzi… (praticamente Dr. Strangelove).


Nel corso della riunione di Bruxelles, i direttori degli armamenti sono giunti a indicare la volontà di avviare dei gruppi di lavoro volti a definire strategie multinazionali per risolvere i problemi della catena di approvvigionamento e aumentare la produzione di armi che potrebbero essere inviate in Ucraina. La delegazione statunitense ha illustrato i propri piani per aumentare la produzione di armi a lungo raggio basate a terra, sistemi di difesa aerea, munizioni aria-terra e altre capacità. E così si torna all’inizio della scheda su questi Himars portati in giro come i carri armati di Mussolini: infatti Lockheed Martin non riesce a soddisfare la richiesta di Himars e secondo “BusinessInsider” è in cerca di aziende in grado di costruire più di 100 Himars all’anno: l’Esercito prevede un programma quinquennale che richiede quasi 500 nuovi HIMARS, attualmente costruiti dalla Lockheed Martin. Per gli anni fiscali dal 2024 al 2028, l’Esercito prevede un minimo di 24 nuovi lanciatori all’anno e un massimo di 96, per un totale di 120-480 in cinque anni. L’aggiunta di 480 nuovi lanciatori raddoppierebbe quasi la dotazione mondiale di Himars. L’esercito statunitense ne ha 363 e il Corpo dei Marines altri 47. L’Esercito ha dichiarato nel 2021 – prima che la Russia attaccasse l’Ucraina – che avrebbe cercato di aumentare la sua forza a 547 Himars. La Romania ha 18 Himars e l’approvazione degli Stati Uniti per acquistarne fino a 54. Singapore ha 18 lanciatori e la Giordania 12. Singapore ha 18 lanciatori e la Giordania 12. Oltre all’Ucraina, forse l’acquirente più importante sarebbe Taiwan, che ha in programma di ordinare 29 Himars.

27 settembre

  • Littoral Freedom-variant

  • Fincantieri aveva ottenuto l’appalto per la serie Lcs (Littoral Combat Ships) attraverso la controllata Marinette Marine Corporation, all’interno del consorzio guidato da Lockheed Martin Corporation, la prima nave multiruolo fu la Freedom (che poi ha dato nome alla variante) nel 2008. La consegna approvata dalla Marina militare americana in settembre è la dodicesima fregata, la USS Cooperstown LCS-23, l’importo per la quale si legge su “AdriaEco” del 2015 avrebbe dovuto essere fissato in 279 milioni di dollari, saldati alla consegna… ma ora nessuno ha fatto cenno all’effettiva somma conferita nelle casse di Fincantieri.
  • «Il prossimo passo per Cooperstown è la cerimonia di inaugurazione a New York, seguita dal trasferimento nel suo nuovo homeport di Mayport», questo l’incipit trionfalistico di “ShipMag” nel dare notizia del varo.


  • Scheda tecnica

  • LCS è una nave progettata sia per le attività di sorveglianza e difesa delle coste che per le operazioni in acque profonde, per affrontare minacce asimmetriche quali mine, battelli diesel silenziosi e navi di superficie veloci. Le unità sono allestite in base ad una logica modulare, ed i vari moduli possono essere adattati a seconda del tipo di missione. Le unità della classe LCS hanno una velocità massima di oltre 40 nodi e si configurano come tra le navi militari monoscafo più veloci al mondo.
  • LCS è una piattaforma veloce, agile e focalizzata sulla missione progettata per operare in ambienti costieri e oceanici aperti. Facile immaginare una destinazione d’uso in funzione antiterrorismo, contro i migranti e antinarcos, anche considerando che i porti a cui sono assegnate sono sparsi lungo tutte le coste interne degli Usa, dove dovranno operare queste che sono a tutti gli effetti navi da guerra, come dalle informationi tecniche di Fincantieri:
  • COMBAT SYSTEM

    Capabilities on the LCS in all configurations include self-defense, navigation and C4I.

    SELF-DEFENSE FEATURES INCLUDE:

    • RAM (Rolling-Airframe Missile) Launching System

    • 57 mm Main Gun

    • Mine, Torpedo Detection

    • Decoy System

  • I precedenti
      • USS Minneapolis St. Paul LCS-21 (2021)USS Cooperstown LCS-23 (2021)
      • USS Freedom LCS-1 (2008)USS Fort Worth LCS-3 (2012)USS Milwaukee LCS-5 (2015)USS Detroit LCS-7 (2016)USS Little Rock LCS-9 (2017)USS Sioux City LCS-11 (2018)USS Wichita LCS-13 (2018)

        USS Billings LCS-15 (2019)

        USS Indianapolis LCS-17 (2019)

        USS St. Louis LCS-19 (2020)

        USS Minneapolis St. Paul LCS-21 (2021)

        USS Cooperstown LCS-23 (2021)

        USS Canberra LCS-30 (2022)

        USS Santa Barbara LCS-32 (2022)

    • Interessante notare l’accelerazione nelle consegne e diverse altre varianti Freedom sono in costruzione presso il cantiere navale Fincantieri Marinette Marine, nel Wisconsin. La consegna della futura USS Marinette (LCS 25) è prevista per l’inizio del 2023. Altre navi in ​​varie fasi di costruzione includono le future navi USS Nantucket (LCS 27), USS Beloit (LCS 29) e USS Cleveland (LCS 31). LCS 31 sarà l’ultima LCS variante Freedom informa “AreaDifesa”.

21 settembre

  • Pavloviana reazione alle minacce nucleari del non bluff di Putin

    La reazione immediata del sistema neoliberista di cui fa parte la Russia stessa e il mondo intero alla mobilitazione ordinata dal Cremlino è stata un’immediata ascesa dei titoli legati alla Difesa e Sicurezza nel listini di borsa europei, come riporta “Fta. E in prospettiva il mercato sposterà molte risorse finanziarie a sostegno di titoli collegati alla guerra.
    Era ovvio, ma il riflesso pavloviano a fronte dell’escalation è stato immediato e automatico: la paura nucleare ha fatto scattare i rialzi di Leonardo (5,25%), Thales (5,26%), Bae Systems (4,41%) e Rheinmetall (10,14%).

  • I fantastici quattro

  • Leonardo superando area 8 euro ha completato il piccolo doppio minimo disegnato in area 7,50 dall’8 settembre. La figura si appoggia sul 61,8% di ritracciamento del rialzo dai minimi di novembre 2021, si tratta di un sostegno molto rilevante dal quale è lecito attendersi una reazione consistente. Sopra area 8,30 atteso il test di 8,48, lato alto del gap del 29 agosto, poi resistenza a 9 euro circa.
  • BAE Systems ha disegnato dal top di luglio una figura “triangolo” rialzista. La resistenza da battere è quella degli 810 pence, oltre quei livelli target a 900 circa. Solo sotto la base del “triangolo”, a 750, le prospettive di rialzo verrebbero negate, rischio di cali verso i 650 pence.
  • Thales segue un percorso orizzontale ormai dal massimo di aprile. La rottura (se confermata in chiusura di seduta) di area 119, linea mediana della fascia, permetterebbe il test della parte alta dell’intervallo, in area 128 euro. Resistenza successiva a 140 euro circa. Sotto 115 probabile invece il test della parte bassa del trading range, supporto critico di medio periodo, a 110 euro circa.
  • Rheinmetall ha superato a 158 euro la trend line ribassista disegnata dal top di luglio e sta testando in area 167 la media mobile esponenziale a 50 giorni. Il superamento della media, se confermato in chiusura di seduta, aprirebbe la strada a movimenti verso i 200 euro. Solo con la violazione di area 140 emergerebbe nuovamente il rischio di ribassi (target a 120 almeno). Dal 31 dicembre il titolo tedesco ha guadagnato il 130% del suo valore.

In particolare è quest’ultima a guadagnare di più per la decisione da parte del governo tedesco di investire 100 miliardi di euro che quindi ci si aspetta che sia Bundeswehr a spendere in particolare nel paese buona parte del bottino.

Oltre a Thales e Rheinmetall, anche il produttore di Rafale, Dassault Aviation, il produttore di armi britannico BAE Systems, l’italiana Leonardo (l’unico subappaltatore europeo a gestire una linea di assemblaggio finale per l’F-35 di Lockheed Martin) e la svedese Saab, che sviluppa jet da combattimento (“Gripen”) e droni, sono stati tra i maggiori rialzisti della sessione europea di mercoledì 21 settembre. (“LesEchos”).


  • Parallelismi in Borsa

  • Gli annunci di Mosca hanno avuto un immediato impatto sui prezzi del petrolio che «sono tornati a salire portando il Brent a 93 dollari al barile e il Wti sopra 86 dollari al barile e favorendo anche gli acquisti sui titoli dell’industria petrolifera: a Milano in evidenza Tenaris (+3,7%) e Eni (+2,5%) ma anche nel resto d’Europa Total (10,5% al Cac40), Bp, Repsol sono tra i migliori».

MQ-Reaper

3 settembre

  • A un mese dalla “bomba” Nancy sganciata nel Pacifico

    L’ebdomadario di Lorenzo Lamperti da Taipei per China files ha subito un climax qualitativo e quantitativo di notizie sempre più collegate a strategie belliche e produzioni di armi a partire dall’invasione russa dell’Ucraina, per le evidenti analogie, ma anche le differenze che Lamperti in un pezzo di fine aprile (dove già si citava un invito americano ad aumentare il Budget militare) – riprendendo “The Economist” – enumera insieme alle affinità: con la sua guida ricostruiamo il riarmo nell’Indopacifico nelle ultime settimane.
    Procedendo a ritroso troviamo nella rassegna del 3 settembre situazioni ricorrenti da aprile e che hanno registrato una escalation dopo il provocatorio viaggio di Nancy Pelosi, su cui qualche settimana fa Lamperti nel suo “Taipei Files” registrava l’irritazione dei taiwanesi, che avevano ascritto alla strategia statunitense per alzare deliberatamente la tensione.

  • Stanziamenti e budget

  • Una delle ricorrenze è la richiesta al Congresso da parte della Casa Bianca di approvare la vendita di un pacchetto di armi destinato a Taipei dell’ammontare di 1,1 miliardi di dollari; con il corollario di polemiche, perché tra gli annunci e le consegne passano molti anni. «Il pacchetto, comprende secondo “Politico” 60 missili AGM-84L Harpoon Block II per 355 milioni di dollari, 100 missili tattici aria-aria AIM-9X Block II Sidewinder per dotare gli F-16 per 85,6 milioni di dollari e 655,4 milioni di dollari per l’estensione del contratto per un radar di sorveglianza».
AGM-84L Harpoon Block II

Harpoon Block II è un missile antinave over-the-horizon prodotto da Boeing Defence, Space & Security

  • Soprattutto questa voce relativa ai radar è particolarmente sensibile, come documentato da un dossier pubblicato dal Project2049 Institute ad aprile che sottolinea l’importanza di poter contare su una immediata allerta a fronte di incursioni improvvise. “Formiche.net” segnala che secondo il Dipartimento della Difesa Usa «l’attrezzatura è necessaria per Taiwan per “mantenere una sufficiente capacità di autodifesa” a Taiwan» e corrisponde esattamente alla fornitura che Washington ha assicurato a Kyiv. Infatti, come riporta “Scmp”, il ministro della difesa taiwanese sta cercando 541 milioni di dollari in più per i prossimi 5 anni (guarda caso in linea con gli stanziamenti del Pentagono) per mantenere e sostenere il suo sistema radar di allerta precoce a lungo raggio Pave Paws (Precision Acquisition Vehicle Entry Phased Array Warning System), che secondo il Ministero ha tracciato efficacemente i missili della Pla sparati sopra l’isola il mese scorso; i fondi sono destinati a mantenere le prestazioni operative della stazione radar Leshan dell’aeronautica militare nella contea di Hsinchu, nel nord di Taiwan; ed «è molto importante non solo per dare a Taiwan un tempo di preavviso molto necessario per contrastare gli attacchi missilistici del nemico, ma anche per fornire agli Stati Uniti le informazioni necessarie sui movimenti del Pla».
è un complesso radar di allerta precoce e sistema informatico

Long-range UHF radar di allerta precoce in Leshan.

  • Di recente la stazione ha svolto un ruolo significativo per controllare la traiettoria e i punti di atterraggio degli 11 missili della serie Dongfeng lanciati dall’Esercito Popolare di Liberazione nelle acque su tre lati di Taiwan nel mese di agosto. Costruito dalla Raytheon nel 2003, il sistema di allarme ad arco di fase per l’acquisizione di precisione dei veicoli, del valore di 1,4 miliardi di dollari, è pienamente operativo dal 2013. Situato a un’altitudine di 2600 metri, il gigantesco sistema radar è in grado di rilevare un missile lanciato da una distanza di 5000 chilometri e di seguire i proiettili in movimento in modo estremamente dettagliato, anche da una distanza di 2000 chilometri, un raggio che copre la Cina continentale, il Mar Cinese Meridionale e la Corea del Nord.

Ovvie le rimostranze cinesi per voce di Liu Penguy: «Gli Usa devono smettere di vendere armi a Taiwan poiché qualsiasi contatto militare con l’isola viola il principio di “una sola Cina”». Secondo Pengyu gli Stati Uniti «devono smettere di creare fattori che potrebbero portare a tensioni nello Stretto di Taiwan e dovrebbero dar seguito alla dichiarazione del governo Usa di non sostenere l’“indipendenza di Taiwan”» (RaiNews).

  • Il portavoce dell’Ambasciata cinese ha anche affermato che Pechino continuerà ad adottare misure molto determinate per difendere fermamente la sovranità cinese e gli interessi di sicurezza. A Pechino il Dipartimento di Stato statunitense ha risposto che le vendite sono in linea con la politica statunitense di lunga data di fornire armi difensive all’isola in rispetto della “One China” e ha descritto la «rapida fornitura di tali armi come essenziale per la sicurezza di Taiwan» (Cnn). Proprio l’aggettivo “rapida” è motivo di polemica: infatti i miliardi per approvvigionare con le armi promesse, approvate dal Congresso, prodotte, stanziate… poi vedono una data di consegna procrastinata nel tempo, come nel caso del contratto firmato il 24 agosto per la dotazione di 4 droni, la cui operatività nello Stretto di Taiwan è prevista per il… 2029 (“FocusTaiwan”, 30 agosto).E allora viene da pensare che si tratti di una messinscena – per ora – che intende contenere da parte americana una Cina che sarebbe più ostile se indebolita politicamente ed economicamente e se Xi dovesse perdere la leadership al congresso di ottobre che sta preparando da un paio di anni, ma che sarebbe altrettanto aggressiva se molto ringalluzzita da strumenti di guerra incontrastabili, mancanza di reazioni o di provocazioni mal recitate (stile Pelosi) e potendo contare su alleanze importanti

  • Droni e sistemi per difendersi da incursioni Uav

  • Un altro tassello collocato dall’industria delle armi a Taiwan è la corsa ai sistemi di difesa dai droni più sofisticati (persino ipersonici).
  • Il governo di Taipei ha deciso di incrementare la propria spesa militare del 14 per cento, arrivando al 2,4 per cento del Pil (“Scmp”). Taiwan infatti è indotta a stanziare anche un proprio budget nel settore della Difesa, parallelo a quello imposto dalle forniture Usa: giunge infatti notizia di un sistema di produzione propria. Secondo “Scmp” Taiwan ha in programma di dispiegare un sistema di difesa contro i droni da 143 milioni di dollari sulle sue 45 isole offshore per evitare le frequenti incursioni da parte dei droni della Cina continentale, una mossa sottolineata dall’abbattimento di un drone non identificato il 1° settembre; finora si tratta di droni non militari, «senza logo identificativo», come riporta Lamperti su “il manifesto”, spiegando la situazione sulle isole più vicine al Fujian (arcipelago di Kinmen, a una ventina di chilometri dalla costa cinese), dove sempre più spesso volano questi disarmati droni ambigui, perché ufficialmente non si sa a chi appartengano: « Un’ambiguità sulla quale l’altra sponda dello Stretto sembra voglia giocare, in accordo con la strategia d’estensione dell’area grigia. Obiettivo: degradare i sistemi di difesa e disturbarne il contingente militare, esercitando pressione psicologica sull’opinione pubblica. E, ovviamente, presentare un rebus sui protocolli di risposta. Un conto cosa sarebbe abbattere un drone civile e un’altra abbatterne uno militare».
    Il sistema di difesa con veicoli aerei senza pilota controllati a distanza (Uav) è stato sviluppato dal National Chung-Shan Institute of Science and Technology (Ncsist), il principale ente di ricerca e sviluppo militare dell’isola, i cui altri prodotti includono i missili di difesa aerea Sky Bow e i missili antinave Hsiung Feng. Il radar di ricerca del drone è in grado di rilevare un Uav in avvicinamento identificandolo grazie a una telecamera e al rilevamento delle frequenze. Quando è chiaro che l’intruso è un drone nemico, un sistema di disturbo elettronico ne interrompe i comandi prima che un drone di recupero Asrd catturi l’invasore con una rete.
MU-1612 Uav taiwanese

I prototipi di Teng Yun, contrassegnati con le sigle MU-1611 e MU-1612, ognuno dei quali misura 8 metri di lunghezza con un’apertura alare di 18 metri, possiedono specifiche ufficiali che indicano come i veicoli aerei hanno un raggio d’azione superiore a 1000 chilometri, una durata di volo di 24 ore e un tetto massimo di 7620 metri.

  • A maggio il ministero ha firmato un accordo con l’Ncsist per il primo lotto di sistemi di difesa al costo di 657 milioni di dollari; dovrebbero essere installati nel 2023 dando priorità alle postazioni nelle isole offshore per affrontare le “minacce della zona grigia”.
  • Un altro approccio diffuso è quello di utilizzare i droni per contrastare altri droni. Il Coyote di Raytheon ne è un esempio. Quando vola vicino al suo bersaglio, fa esplodere la sua testata per distruggere il bersaglio o lo colpisce per annientarlo senza esplodere.
  • Con l’intensificarsi della propria presenza intorno a Taiwan, il Pla ha aumentato la frequenza dei voli Uav nell’area. In un caso recente, il Ministero della Difesa giapponese ha riferito di aver avvistato un drone da combattimento e ricognizione TB-001 a media altitudine e lungo raggio (Male) al largo della costa orientale di Taiwan.

  • Il TB-001 Twin-Tailed Scorpion ha una velocità massima di oltre 300 km/h, un tetto massimo di 8000 metri, un raggio d’azione di 3000 chilometri e una autonomia di 35 ore.
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Non siamo responsabili dell’uso delle armi che vendiamo

A inizio giugno “AnalisiDifesa” titolava Segreti di Pulcinella l’articolo in cui si sbertucciava il Copasir che manteneva il segreto sulle armi donate agli ucraini dall’esercito italiano, le stesse documentate da video diffusi dai russi: «obici da 155 mm FH-70 in azione, proiettili da mortaio da 120 mm, munizioni calibro 7,62 per mitragliatrici MG42 e missili anticarro Milan, tutti surplus dell’Esercito Italiano trasferiti agli ucraini e poi caduti in mano al nemico» (inteso come russo, ma tanto sarebbero state in mano ai non meno inquietanti combattenti del battaglione Azov).
Seguendo spedizioni e trasferimenti di ordigni – ma anche esercitazioni congiunte e collaborazioni in missioni – si può redigere una mappa delle aree a rischio: scontato il corso del Don, e poi il mar Cinese meridionale, gli stretti delle Molucche e di Hormuz (Emasoh: esercitazioni antiraniane a guida italiana), completamento del muro antipolisario con la missione congiunta al largo del confine tra Marocco e Mauritania con la US Air, ma soprattutto gli equilibri di un mar Mediterraneo attraversato da traffici di umani, droga e armi; come capita in tutti i mari, visto che US Navy è disposta a versare una taglia di 100.000 dollari a chiunque fornisca informazioni relative a traffici di armi e droga nei pressi del Golfo di Aden, dove nel 2021 la marina americana ha sequestrato 9000 ordigni (il triplo del 2020) e parallelamente il corrispondente di 500 milioni in droga.
Sono 57 i conflitti già esplosi in corso nel mondo. E forse non è un caso che il 6 luglio sia stato ucciso con modalità da intelligence Hashi Omar Hassan, il capro espiatorio per la morte di Ilaria Alpi, causata dalla sua inchiesta sul traffico di armi legato al cargo Shifco carico di militari italo-croati; e, come rileva Michele Giorgio: «anche le violazioni dell’embargo sulle armi non trovano un epilogo. È del 5 luglio la notizia dell’emittente televisivo somalo “Al-Arabya”, dove si denunciava il sequestro di due barche yemenite che trasportavano armi al gruppo terroristico “Al-Shabaab”. Le barche sarebbero risultate di proprietà di un contrabbandiere somalo, Ahmed Matan, che già in passato avrebbe fornito materiale esplosivo allo stesso gruppo terroristico probabilmente direzionandole al Golfo di Aden».
In un mondo sempre meno neutrale persino due vascelli militari giapponesi si sono avventurati nel Mediterraneo, interconnettendo ancora di più i conflitti dell’Indo-Pacifico con quelli mediterranei e lo hanno fatto all’inizio di giugno nell’ambito di una cooperazione che sancisce l’allargamento della Nato al Pacifico conferendo a Tokyo la direzione di quella che si può chiamare “Nato dell’Est”, affidata alla terza più potente flotta al mondo. Questa cooperazione è significativo si sia manifestata attraverso le esercitazioni delle “JS Kashima” e “JS Shimakaz” insieme alla fregata antisommergibili italiana “Nave Margottini” (strategicamente disposta contro il nemico russo che infesta il Mediterraneo con sommergibili dotati di missili Kalib) e la fregata “Salihreis” della marina turca che ha raddoppiato le proprie unità. Un’integrazione operativa che arriva nel giorno in cui il capo di stato maggiore della Difesa giapponese, il generale Koji Yamazaki, che aveva partecipato all’incontro tra gli omologhi dell’alleanza a maggio, ha ospitato a Tokyo l’ammiraglio Rob Bauer, presidente del comitato militare della Nato. Tutto a poche settimane dalla partecipazione di Tokyo — con il premier Fumio Kishida — al vertice Nato di Madrid; e dopo che ad aprile il ministro della Difesa Yoshimasa Hayashi aveva preso parte al vertice ministeriale dell’Alleanza Atlantica.
Questo allargamento della Nato sta costruendo un bipolarismo militare scollato dal multipolarismo geoeconomico, ma che invece risponde agli interessi contrapposti della geopolitica, che agevolano la liquidità dei confini delle scelte di campo; gli schieramenti poi non tengono conto del traffico d’armi. Gli acquisti degli ordigni non tengono conto dei campi avversi; pur di piazzare qualche affare miliardario si corre il rischio di vendere armi a chi potrebbe puntarle contro chi le vende. Sembra assurdo, ma risponde alla logica per cui il costruttore vende un prodotto del cui uso non si sente corresponsabile, per questo il banchiere Draghi può scambiare contenimento di migranti in cambio di miliardi utili per pagare gli elicotteri Agusta utilizzati nello sterminio dei curdi, rimanendo oltretutto all’interno della medesima coalizione, cosa che comunque non spaventa il leader turco che vende droni in entrambi i campi e acquista aerei e sistemi antimissile contrapposti da entrambi i rivali.
E questo mese abbiamo assistito anche alla fiera dell’industria bellica parigina Eurosatory, a tre mesi dal suo omologo Word Defense Show tenuto a Riyadh; anche qui un dato interessante è quello sulla provenienza degli espositori, che registra un aumento di quelli dell’Est e del Nord europei: «i soldati e le delegazioni ufficiali non sono qui per guardare ma per fare acquisti. In funzione di bisogni concreti e a medio termine ma senza preoccuparsi dei prezzi, che anche in questo settore subiscono l’impennata del costo delle materie prime. Perché sanno che oggi, per i loro governi, la difesa e la sicurezza sono settori in cui non si bada a spese» (“Radiopopolare”)
E l’articolo più gettonato è l’Intelligenza Artificiale e la guerra del microchip.

Approfondimenti



Ospitati dall’Eirenefest abbiamo potuto raccogliere alcune idee sul traffico d’armi e su questo dossier in preparazione con Emanuele Giordana e Alessandro De Pascale: ne è scaturito un intenso racconto di alcune delle motivazioni che ci hanno spinto a raccogliere questi dati che gradualmente pubblichiamo lungo tutto questo anno fatale, mentre i nostri amici di “Atlante delle Guerre” hanno fornito analisi e dati provenienti dalle loro inchieste

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Giugno

30 giugno

    • F-35: un intero squadrone greco entro il decennio. Come se si sentisse il bisogno… oppure no? “Formiche.net” ne dà notizia attribuendo a Kyriakos Mitsotakis la richiesta di 20 caccia della quinta generazione Lockheed, a cui si potrebbe aggiungere una seconda opzione su un numero imprecisato di jet in seguito – sempre che esista ancora il Mediterraneo orientale dopo il 2030.L’anno scorso Atene ha ordinato dalla Francia 24 jet Dassault Rafale, per due miliardi e mezzo di euro, e tre fregate per la sua Marina militare, con un’opzione per una quarta fregata, per circa tre miliardi di euro. Il ministero della Difesa greco ha inoltre dichiarato la propria volontà di procedere all’aggiornamento dei suoi 38 caccia F-16: forse che il quadrante orientale del Mediterraneo è interessato a qualche sconquasso bellico prossimo venturo e i greci rispolverano il baluardo orientalista attraverso l’adesione al programma Joint strike fighter per la loro Polemikí aeroporía? Quali informazioni di intelligence allarmano le autorità elleniche? Quanto è semplice precauzione rispetto alla potenziale ambizione di Erdoğan e quanto è invece una prospettiva probabile di scontro tra potenze del quadrante che si stanno schierando attraverso serie di apparentamenti, accordi, scambi commerciali e interazioni militari (agganciandosi a una fazione, immaginando ribaltamenti indotti dagli inneschi bellici sparsi nel mondo).“Kathimerini” ritiene che l’acquisto degli F-35 «rafforzerebbe le capacità di difesa della Grecia e approfondirebbe l’interoperabilità tra Stati Uniti e Grecia nell’ambito della NATO, garantendo la stabilità regionale», ha dichiarato in un tweet l’ambasciatore statunitense in Grecia George Tsunis, a seguito di un incontro avvenuto la scorsa settimana tra Panagiotopoulos e i funzionari del Joint Strike Fighter Program Office, a cui Tsunis ha partecipato.Le autorità turche accusano secondo “Defensepost” la Grecia di stazionare truppe sulle isole dell’Egeo in violazione dei trattati di pace seguiti alla prima e alla seconda guerra mondiale.
      Atene ribatte che le truppe sono stanziate in risposta alla presenza di unità militari, aerei e mezzi da sbarco turchi sulla costa opposta [prove tecniche di belligeranza]

I caccia F35 Lightning II - Lockheed-Martin

25 giugno

        • DefenseNews” informa del fatto che Putin ha dichiarato che la Russia fornirà missili Iskander-M a capacità nucleare alla Bielorussia e modificherà i jet da combattimento del paese per consentire loro di trasportare armi atomiche tattiche. Evidente la prospettiva di un prossimo maggiore coinvolgimento di Minsk nei conflitti di Mosca.
          La decisione è stata presa unilateralmente dal Cremlino e comunicata da Putin il 25 giugno dopo un incontro con Lukashenka.
        • traffico di armi
        • Durante lo stesso incontro, il presidente bielorusso ha chiesto al premier russo di aggiornare i caccia Sukhoi Su-25 a sua disposizione per consentire il trasporto di armi nucleari, sostenendo che questo consentirebbe alle forze aeree bielorusse di monitorare le esercitazioni della Nato che si esercitano a trasportare testate e armi nucleari.
          Sottolineando – come riporta una nota dell’Agi – che nei magazzini di 6 stati europei sono stivate 200 armi nucleari tattiche con 257 aerei pronti ad armarsene, Putin ha ribadito che i jet da combattimento bielorussi potrebbero essere dotati di equipaggiamenti supplementari presso gli stabilimenti aeronautici russi e che le forze armate russe potrebbero fornire addestramento ai loro piloti.
      • I missili Iskander-M sono una variante del sistema balistico mobile a corto raggio utilizzato dalle forze armate russe in Ucraina con una “misteriosa” peculiarità tradotta da “Fanpage” e ripresa dal “New York Times” che cita fonti dell’intelligence statunitense: oltre ad effettuare manovre evasive nella fase terminale del volo, sarebbero in grado di rilasciare dispositivi di 30 centimetri (9B899) in grado di eludere i sistemi radar e antimissilistici, simili alle esche anti-radar della Guerra Fredda.

      • Ogni dispositivo produrrebbe «segnali radio in grado di confondere i radar che tentano di localizzare l’Iskander-M e conterrebbero una fonte di calore in grado di attirare i missili in arrivo».



20 giugno

        • Bacini di carenaggio e basi per la marina militare; con la nuova corsa al riarmo si stanno moltiplicando i cantieri navali, qui un paio di esempi nel quadrante indopacifico.il 20 giugno stripes.com riprende un annuncio di Austal Usa di un contratto da 128 milioni di dollari per il bacino di carenaggio galleggiante ausiliario (AFDM) della Marina degli Stati Uniti per vascelli snelli, che sarà costruito a Mobile, Alabama.
          L’AFDM ha una capacità di sollevamento di 18.000 tonnellate e un’area di lavoro libera sul ponte di 90.800 piedi quadrati.
        • traffico di armi
          Notizia significativa per portare un nuovo tassello alla costruzione del mosaico che descrive la stretta collaborazione militare tra Usa e Australia, soprattutto se si accede al sito di Austal e la descrizione che l’azienda di Perth dà di se stessa:«Austal da oltre 30 anni è un costruttore navale globale, capocommessa nel settore della difesa e partner di riferimento per le tecnologie marittime; progetta, costruisce e supporta navi rivoluzionarie per la difesa e il commercio per i principali operatori mondiali.
          Austal progetta e costruisce più di 300 navi per oltre 100 operatori in 54 paesi in cantieri navali sicuri e moderni situati in Australia, negli Stati Uniti d’America e nelle Filippine».
        • Questa commessa va ad aggiungersi all’acquisto – di cui accenna Rusty Murdaugh – per 145 milioni da parte della US Navy di due vascelli di classe T-ATS (Towing, Salvage, and Rescue Ship) in costruzione da Austal nel nuovo stabilimento all’avanguardia di produzione di navi in acciaio inaugurato in aprile.

      • Nello stesso ambito e nell’altro campo va registrata la consueta guerra satellitare volta a dimostrare come i sospetti sulla costruzione da parte cinese di una base navale a Ream in Cambogia siano fondati. Come sottolinea “Formiche.net” sarebbe il secondo avamposto di Pechino dopo la imponente presenza a Gibuti, nodi di una rete destinata ad ampliarsi. Significativi entrambi i chokepoint: uno all’imbocco del Mar Rosso e l’altro nei pressi dello stretto di Malacca, gli snodi più critici sui percorsi delle navi di Cosco, come scriveva “Nikkei Asia” il 13 maggio scorso.

      • Il governo di Phnom Penn ha subito smentito  le indiscrezioni che il “Wahington Post” aveva pubblicato il 6 giugno, sottolineando la folta presenza di personale cinese senza divisa dell’esercito popolare cinese e metteva in relazione anche l’interesse per le isole Salomone: tutto inquadrabile in un intento di ampliare la propria influenza regionale.
        Ma il Pla non sarebbe il fruitore finale della base militare che la Cina finanzia e costruisce.Infatti il “South China Morning Post” scrive che la Cina può anche contribuire al potenziamento della più grande base navale della Cambogia, ma questo non significa che le navi da guerra e le forze dell’Esercito Popolare di Liberazione vi saranno sistemate di routine, riprendendo le parole dell’ambasciatore cinese Wang Wentian: «Il progetto della base navale di Ream non è rivolto a terzi», sottolineando la ferma opposizione di Pechino ai tentativi di alcuni paesi di infangare i normali scambi con Phnom Penh. «Il progetto è un simbolo di rispetto reciproco e di comunicazione paritaria tra la Cina e la Cambogia», ha dichiarato Wang l’8 giugno durante la cerimonia di inaugurazione della base.
  • Anche questi sono traffici di dispositivi bellici, non solo le consuete armi fornite dalla industria bellica.





18 giugno

        • Fincantieri Marinette Marine, consociata americana della produttrice di navi da guerra di stato italiana, ha annunciato la costruzione della terza fregata lanciamissili della classe Constellation, la Chesapeake (FFG-64), per un valore di 536 milioni di dollari. L’AgenziaNova descrive nei particolari il programma “Constellation”: è stato assegnato nel 2020 a Fmm, con un contratto per la prima fregata con l’opzione per 9 ulteriori navi, oltre al supporto postvendita e l’addestramento degli equipaggi, del valore complessivo di circa 5,5 miliardi di dollari. Nell’ambito del programma, la US Navy prevede la costruzione di ulteriori 10 unità, per un totale di 20.Il contratto è tanto succulento che Fincantieri ha aggiornato appositamente i suoi cantieri – negli Usa, assicurando così occupazione alle maestranze oltreoceano (Fincantieri Bay Shipbuilding e Fincantieri Ace Marine, siti nel Winsconsin), per quanto dovunque siano solo braccia al soldo dei guerrafondai – per arrivare a costruire 2 fregate all’anno, dimostrando così l’imminenza della necessità di potersi avvalere di questi strumenti per una guerra alle viste.

          Esaltato il sito guerrafondaio “aresdifesa”: L’USS Chesapeake (FFG-64), terza unità dopo l’USS Constellation (FFG-62) e l’USS Congress (FFG-63), raggiungerà una velocità massima di 26 nodi e 6000 miglia nautiche di autonomia a 16 nodi.
          L’armamento della classe Constellation sarà costituito da un cannone BAE/Bofors Mk 110 da 57 mm, un sistema VLS Mk 41 a 32 celle per missili RIM-66 Standard SM2 Block IIIC, RIM-162 ESSM Block 2 e/o RIM-174 Standard ERAM, 16 lanciatori per missili antinave (Naval Strike Missile) e un sistema RIM-116 RAM a 21 celle per la difesa di punto ravvicinata. Inoltre, è prevista la predisposizione per un’arma laser fino a 150 kW di potenza.
          La dotazione elettronica sarà composta da un sistema di gestione del combattimento del tipo AEGIS Baseline 10 compatibile con il radar AN/SPY-6(V)3 Enterprise Air Surveillance Radar (EASR), un radar AN/SPS-73(V)18 di ricerca di superficie di nuova generazione, un sonar leggero trainato AN/SLQ-61, un sonar a profondità variabile AN/SQS-62 ed un sistema AN / SQQ-89F per la lotta antisommergibile, oltre la suite di guerra elettronica AN/SLQ-32(V)6 Block 2 e sistemi Mk 53 per il lancio di inganni Nulka.
          Le unità del tipo Constellation avranno a disposizione hangar e ponte di volo per un elicottero multiruolo MH-60R Seahawk e un UAS rotorcraft MQ-8C Firescout.

          Fmm è impegnata anche nei programmi Littoral Combat Ships (che vede pure Lockheed-Martin impegnata), sempre per la US Navy, e nel suo derivato sempre con Lockheed per i sauditi, la Multi-Mission Surface Combatants (Mmsc), nell’ambito del piano Foreign Military Sales degli Stati Uniti, il più imponente programma di trasferimento di armi e tecnologie belliche

17 giugno

Pressenza” ha segnalato in concomitanza con la fiera Eurosatory il numero di Alternatives Non-Violentes volto a ricordare che «le armi non sono merci come tutte le altre. Non sono beni di consumo, ma beni di distruzione. Vendere armi non è altro che esportare la guerra e aumentare la minaccia di guerra ai quattro angoli del pianeta. Significa alimentare, indefinitamente, i conflitti regionali con armi sempre più sofisticate, a scapito dei bisogni reali delle popolazioni che sono le prime vittime di queste esportazioni di armi».

Eurosatory 2022 chiude e dà appuntamento per il 2024. Non ha avuto la medesima visibilità di altre fiere, come per esempio Farnborough.
Si possono però individuare 3 ambiti precipui in cui la fiera parigina funge da levatrice a proposte letalmente rivoluzionarie in tre campi, dichiarati nel video promozionale della rassegna francese:

  1. il primo è il dominio della connettività c4sr
  2. il secondo quello dei sistemi per veicoli
  3. e poi le soluzioni per le armi intelligenti

Dei tre dominii quello che sembra al centro dell’attenzione di una guerra europea improntata ancora agli stilemi novecentisti è quello legato ai veicoli sul terreno, a giudicare dalle molte vendite e acquisizioni di carri armati denunciate nei giorni successivi; ciò nondimeno le attrezzature fondamentali sono quelle che consentono la trasmissione, meno appariscenti, ma le radio sono in grado di dare quelle informazioni per gli attacchi mirati che fanno la differenza. Ma è soprattutto il sistema della Collins Aerospace a costituire la curiosità degli addetti per gli ausili degli smartweapon: questo sistema è stato presentato per la prima volta all’Eurosatory  2022 a evidenziare una soluzione che è un’integrazione che può andarsi a coordinare con parecchie costellazioni, principalmente Leonardo allo scopo di condurre le munizioni tattiche, strategiche e Uavs sull’obiettivo. Di nuovo un sistema di navigazione compatibile con il codice M per veicoli militari terrestri, il primo disponibile in Europa: il NavHub™-200M.

NavHub-200M offre capacità di posizionamento, navigazione e temporizzazione assicurati (Apnt), migliorando al contempo la resistenza complessiva alle minacce esistenti ed emergenti ai sistemi di posizionamento globale (Gps), come il jamming e lo spoofing; include anche gli standard di interfaccia aperti e le capacità di fusione dei sensori necessarie per un percorso di aggiornamento del sistema globale di navigazione satellitare (Gnss), come quello per la costellazione europea Galileo, nonché l’interfacciamento con i principali sensori del veicolo, come l’unità di misura inerziale (Imu)

    1. Dunque si è trattato di una fiera con ogni evidenza incentrata su apparati che operano a terra, eurocentrica e con uno sguardo verso l’Ucraina.

La presenza della Francia, padrona di casa

Ancora su “Pressenza” si legge: «La Francia vende armi all’Arabia Saudita, all’Egitto, all’India, al Qatar, al Brasile e agli Emirati Arabi Uniti, paesi “dalla dubbia fama in fatto di violazioni dei diritti umani”, afferma Alice Privey, ricercatrice dell’associazione Stop Fuelling War. Apprendiamo dal suo articolo che le esportazioni di armi francesi hanno fatto un balzo del 59% dal 2012. Ci ricorda i processi di autorizzazione per la vendita di armi all’estero, sottolineando la mancanza di trasparenza e l’assenza di controllo del parlamento. Ufficialmente, l’esportazione di armi e materiale bellico è proibita in Francia… Per essere autorizzate, queste vendite devono passare attraverso il filtro di una commissione chiamata Cieemg (Commissione interministeriale per lo studio delle esportazioni di materiali bellici), composta da diversi rappresentanti dei ministeri e dell’ufficio del primo ministro. Né il parlamento né la società civile hanno accesso alle informazioni e alle decisioni di questa commissione».

La presenza dell’Italia, produttrice ed esportatrice di primo piano

AreaDifesa” ha prodotto una velina in cui è palese che le «40 realtà imprenditoriali italiane, tra le quali Fincantieri, Leonardo, Elettronica, Mbda, Iveco Defence Vehicles, Intermarine, Gem Elettronica, Rina, Polo Marconi, Beretta ed altri nonché la Federazione delle Aziende Italiane Aerospazio, Difesa e Sicurezza (Aiad)» hanno potuto avvalersi degli spazi organizzata all’Eurosatory dal governo, infatti: «Per l’Italia, le istituzioni nazionali sono rappresentate dal Sottosegretario alla Difesa, Senatore Stefania Pucciarelli, dall’Ambasciatore italiana a Parigi, Teresa Castaldo, e da una delegazione del Segretariato Generale della Difesa e Direzione Nazionale degli Armamenti, presieduta dal Generale di Divisione Rodolfo Sganga, Capo del III Reparto».

16 giugno

        • Scatenando il conflitto nell’Europa orientale si è ovviamente dato luogo a innumerevoli profitti derivanti dalla quantità di armi che senza criterio l’Occidente etichettato come liberal-democratico ha riversato, originando traffici illeciti e incontrollabili anche per le mafie di quell’area geografica. Tra le innumerevoli filiere “Left” denuncia la consegna di munizioni al torio e all’uranio impoverito provenienti da Francia – alla luce del sole – e dall’Italia, nel segreto del Copasir a guida fascista di D’Urso, per nulla all’opposizione di un governo che ha nel suo primo ministro (senza mandato elettorale, ma indicato dal presidente della repubblica rieletto) il massimo sostenitore dell’impegno bellico… e dell’approvvigionamento di armi.

        • L’abnorme quantità di armi che circola in Ucraina sta già diventando oggetto di un traffico criminale e mafioso: il mercato globalizzato dei proiettili radioattivi. Tra le armi partite dagli arsenali di parecchi paesi della Nato verso l’Ucraina (e che potremmo ritrovarci nelle nostre strade) ci sono anche i missili anticarro portatili Milan, di produzione franco-tedesca.

          I vecchi modelli di questi missili, oggetto dei trasferimenti in questione, hanno un sistema di puntamento che contiene e rilascia torio, un metallo pesante altamente radioattivo, come si sono accorti i militari esposti all’uranio impoverito della dimenticata guerra balcanica, che ha coinvolto nell’oblio anche le loro morti, e anche i sardi che vivevano nei pressi dei poligoni di Capo Teulada e Quirra, per le conseguenze devastanti dei tiri sono stati mandati a processo diversi generali, uno dei quali (Claudio Graziano) per questo è stato ad aprile promosso da Draghi alla guida di Fincantieri, industria di morte all’avanguardia in Italia.


14 giugno

        • Eurosatory 2022, risposta parigina al World Defense Show svoltosi a Riyad dal 6 al 9 marzo, si manifesta come la fiera in cui si possono ammirare i sistemi creati in contrapposizione delle potenziali nocività provenienti da quei marchingegni che hanno avuto enorme successo nei teatri di guerra ultimamente. (i droni) e che più si sono esibiti nelle altre fiere di ordigni
          In occasione di Eurosatory Leonardo presenta per la prima volta il nuovo radar multi-missione di ridotte dimensioni e pesi per impiego tattico denominato TMMR (Tactical Multi Mission Radar). Infatti TMMR è un sensore multidominio, una soluzione valida in molti scenari, come il radar israeliano DaiR, presentato nella medesima kermesse francese. “ReportDifesa” esplicita meglio l’utilizzo dell’antenna AESA e della camera elettro-ottica NERIO: soluzioni efficaci antidrone e che richiedono mobilità e rapidità di dispiegamento, ma anche per la difesa aerea a corto raggio, per la sorveglianza e protezione di piattaforme e veicoli, confini, territori e infrastrutture critiche


        • Nel linguaggio criptico degli addetti ai lavori “AnalisiDifesa” spiega con tecnicismi di cosa si tratta:  una soluzione ‘all-in-one’ costituita da un radar completamente digitale (fully digital) e ‘software defined’ in banda ‘C’ con antenna, processing ed elettronica in un solo modulo o pannello dalle ridotte dimensioni, pesi e consumi che, sfruttando le più avanzate tecnologie del settore e concezione modulare può essere impiegato come singolo modulo o diversi insieme per assicurare una completa copertura del mezzo o sito da proteggere. TMMR presenta la microelettronica applicata di ultima generazione, un’architettura d’antenna a scansione elettronica attiva (AESA, Active Electronically Scanned Array) completamente digitale con campionamento del segnale direttamente all’antenna che utilizza la tecnologia dei moduli trasmettitori-ricevitori di ultima generazione al Nitruro di Gallio (GaN, Gallium Nitride).

          Un aspetto interessante e che può gettare una nuova luce sui motivi per cui certi paesi (Kazakhstan e Ucraina) siano oggetto di attenzioni maggiori di altri (Armenia) è che i principali paesi produttori di gallio sono la Repubblica Popolare Cinese, la Germania, il Kazakistan e l’Ucraina, per il riciclaggio del gallio anche Stati Uniti, Giappone e Regno Unito.

        • Tra i radar Leonardo presenta anche il Kronos nelle versioni fissa e mobile, punto di riferimento per la sorveglianza e difesa aerea, con circa 50 unità attualmente in servizio nel mondo. Il Kronos Land è più piccolo e viene gestito da un sistema di Comando e Controllo dentro uno shelter. Può arrivare fino a 16 metri. L’altro è il Kronos Mobile Hp è più avanzato dal punto di vista tecnologico in quanto il radar ha una tecnologia GaN.

9 giugno

        • Mentre molti giustamente riprendono dal “Fatto Quotidiano” l’infamante notizia che «L’Italia diserta il meeting mondiale sull’abolizione delle armi atomiche. E riceve il primo F35 che sgancia le nuove bombe nucleari B61-12» e che di bombe nucleari B-61 gli Usa ne hanno circa 150 stanziate in 5 nazioni Nato, oltre a quelle a disposizione di Francia, GB, Usa in grado di portare attacchi nucleari a lunga gittata; “heritage” informa che la Russia ha un vantaggio di 10 a 1 sulle forze nucleari occidentali nell’ambito dei missili non strategici nucleari (NSNWs). Nel contempo di questa dimostrazione muscolare che cancellerebbe intere aree geografiche, “Defensehere” informa che l’aeronautica militare statunitense ha assegnato a Lockheed Martin, Northrop Grumman e L3Harris Technologies 2 milioni di dollari a testa per  la progettazione di una nuova arma da installare sugli F-35 in grado di distruggere i sistemi antiaerei (area denial), come lanciatori di missili balistici o da crociera, jammer di segnali satellitari, armi anti-satellite (Asat) e in generale i sistemi integrati di difesa aerea e impedire al nemico di garantirsi delle zone aeree sicure (“Formiche.net”). E questo è semplicemente prepararsi al confronto tradizionale con russi e cinesi, adoperando quegli stessi velivoli, centrali in ogni transazione (che sempre sanciscono l’alleanza stretta con gli Usa: l’oggetto del patto col diavolo) e che l’Italia sta acquistando nella loro quinta generazione per allestirli anche con quelle armi nucleari di cui parla “Il Fatto Quotidiano”. Ma un classico esempio di come si approntino armi micidiali è l’altro approccio dell’F-35, che si troverebbe a utilizzare la nuova arma Siaw solo dopo aver penetrato lo spazio aereo nemico ed essersi avvicinato all’obiettivo, sfruttando le capacità stealth proprie del caccia della Lockheed, andando a colpire quei mezzi semoventi dotati di molteplici testate lanciamissili, tipicamente da crociera e da offesa e che quindi richiamano l’impegno della ricerca per annientarli, innescando un ingaggio che si avvale di mezzi costruiti apposta per contrastare le ricerche messe in campo per costruire i mezzi di difesa a ordigni a loro volta da offesa: la spirale perfetta per la corsa al riarmo.

          Il progetto dell’Usaf era in realtà in cantiere già da tempo, ed è supportato dalle previsioni di bilancio per l’anno fiscale per il 2023 che ha stanziato, come richiesto dal Pentagono, 78 milioni di dollari per l’acquisizione di 42 sistemi d’arma; un nuovo segnale di come si stia modificando l’industria bellica, da specializzata in lotta al terrorismo in una industria in grado di fornire mezzi da adottare contro avversari considerati “near-peer” come Russia e, soprattutto, Cina

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9 giugno

        • Cominciano a configurarsi i contorni di una Nato meridionale: il Patto di Baghdad – che però tiene fuori proprio l’Iraq – sancisce il vecchio sogno statunitense come spiega bene “Anbamed”: «Tutto nel nome del contrasto ad eventuale lancio di missili dall’Iran», dove il paese dei turbanti svolge il ruolo di spauracchio scatenante che per la Nato storica è stato interpretato da Mosca. La cooperazione militare antimissilistica è già in atto da mesi, – i prodromi sono negli accordi di Abraham – ed è stata utile per il preavviso del lancio di un drone iraniano contro Israele che è stato intercettato e abbattuto nei cieli dell’Iraq. I radar sofisticati saranno installati negli Emirati, Bahrein e in altri paesi che non hanno ancora relazioni diplomatiche con Tel Aviv.
          Sbrigativo “Tellereport” annuncia uno dei primi prodotti di questi accordi arabo-israeliani: «Il primo ministro israeliano ha concluso una breve visita negli Emirati Arabi Uniti, durante la quale ha incontrato il presidente Mohammed bin Zayed. L’Iran è stato uno dei dossier discussi dalle due parti, mentre i media israeliani hanno riferito che Tel Aviv ha dispiegato un sistema radar nei paesi del Golfo». Si tratta del sistema ELM 2084 MMR, prodotto dall’azienda israeliana ELTA, che è parte del sistema di difesa missilistica David’s Sling.


Il tema è ovviamente legato alla questione del nucleare iraniano, ma soprattutto risponde alle richieste americane di creare un fronte antiraniano delle forze mediorientali, nascondendolo dietro la foglia di fico della «cooperazione bilaterale, soprattutto per quanto riguarda gli investimenti e gli aspetti economici, la sicurezza alimentare e la salute». Il dato però proviene dai dati di navigazione che hanno rivelato 5 voli cargo di due aerei “Ilyushin” di proprietà della “Fly Sky Airlines” tra gli Emirati e Israele.

L’israeliano “Channel 12” ha rivelato che l’esercito israeliano ha dispiegato un sistema radar in diversi paesi mediorientali, tra cui gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, nell’ambito di una visione di cooperazione. Il canale ha sottolineato che questo sistema è riuscito a fornire un preavviso alcuni mesi fa, quando l’Iran ha lanciato droni con trappole esplosive verso Israele, che sono stati abbattuti nello spazio aereo iracheno.

In questo contesto, il “Wall Street Journal” ha riferito che i legislatori statunitensi dei partiti democratico e repubblicano hanno presentato al Congresso una proposta di legge che prevede che il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti (Pentagono) collabori con Israele e alcuni paesi arabi per integrare le difese al fine di contrastare quelle che ha descritto come minacce iraniane.

  • Il produttore israeliano di armi Elbit Systems il 12 giugno ha inoltre presentato all’Eurosatory parigino il suo nuovo radar tattico che si avvale di intelligenza artificiale, algoritmi sofisticati e centinaia di ricevitori digitali. DaiR è in grado di tracciare migliaia di bersagli di diverse dimensioni e a diverse velocità a chilometri di distanza.

6 giugno

        • La guerra dei droni prosegue nella preparazione al confronto bellico esteso. La parte del leone è svolta da Ankara che li vende anche ai finlandesi ai quali sta minacciando di impedire l’ingresso nella Nato – si configura come estorsione –, ma oltre all’uso spregiudicato di velivoli senza pilota a basso costo per legittimare una politica aggressiva e “comprare” il silenzio riguardo al piegare a proprio vantaggio, sterminando i curdi siriani, una guerra mediatica che serve da preludio ad altre correlate anche – per ora – dalla tipologia di arma, poiché si immagina che pure in altri teatri di guerra si seguirà lo stesso canovaccio per evitare di usare quelle letali, limitandosi a massacri ristretti alle aree volta per volta interessate.
          Notando l’efficacia della flotta di droni dell’Ucraina nel contrastare l’invasione russa, il presidente taiwanese Tsai Ing-wen ha chiesto un più rapido sviluppo degli UAV sia civili che militari. Le tensioni sono in aumento perché negli ultimi mesi l’esercito di liberazione popolare cinese ha intensificato le esercitazioni militari nella regione e si sono registrate numerose sortite di jet da combattimento nella zona di difesa aerea di Taiwan.Il “South China Morning Post” ci informa che l’esercito taiwanese riceverà la prima serie di droni a corto raggio di produzione locale. Il National Chung-Shan Institute of Science and Technology, il principale produttore di armi di Taiwan, dovrebbe consegnare 14 set di veicoli aerei tattici a corto raggio senza equipaggio (UAV) nel corso dell’anno, secondo un rapporto di revisione del bilancio del ministero della Difesa recentemente inviato al legislatore. I restanti 36 sets arriveranno l’anno prossimo, consentendo la formazione di divisioni di droni per aumentare la capacità di ricognizione e di risposta in battaglia. Ogni battaglione sarà dotato di un reparto UAV di quattro persone e l’Istituto Chung-Shan sarà incaricato di contribuire alla formazione degli operatori di droni per questo ruolo.
          Il governo ha indicato un budget di 779,9 milioni di dollari taiwanesi (26,5 milioni di dollari) per l’acquisto di 50 set di droni per i suoi 23 battaglioni di armi combinate. La consegna prevista arriva mentre le forze armate taiwanesi cercano di aumentare le capacità di ricognizione e di risposta alle battaglie di fronte alle crescenti minacce di Pechino. Gli esperti di Taiwan e degli Stati Uniti, il principale fornitore di armi dell’isola, sostengono che gli UAV armati – la cui tecnologia proviene probabilmente da scambi tra le due industrie belliche – potrebbero rivelarsi efficaci nel respingere un attacco dalla Cina continentale. Ed è un piano che procede dal giugno 2019 con una previsione di spesa denunciata da “Taiwan News” di 2 miliardi e mezzo di dollari in 5 anni
        • traffico di armi

          Teng Yun 2 Cloudrider

        • La collaborazione è evidente se si pensa che Il 17 maggio l’Istituto Chung-Shan ha anche testato le capacità di volo a medio e lungo raggio del drone Teng Yun 2 (Cloudrider), in grado di essere utilizzato sia in modalità di sorveglianza che di attacco e dovrà unirsi agli MQ-9B Sea Guardian di produzione statunitense per formare una forza di combattimento a più lungo raggio. Gli Stati Uniti hanno approvato la vendita a Taiwan di quattro droni armati MQ-9B e delle relative attrezzature per un valore di 600 milioni di dollari nel novembre 2020. E infatti il Teng Yun assomiglia al drone statunitense MQ-1 Predator e può utilizzare gli stessi missili AGM-114 Hellfire da esso impiegati..




6 giugno

          • Nel momento in cui Boris Johnson affrontava il giudizio della House of Commons, i media britannici più autorevoli (Bbc e “The Guardian”) diffondevano la notizia che Londra era in procinto di inviare inizialmente 3 sistemi di rampe missilistiche multilancio di ultima generazione di produzione statunitense M270 a Kiyv, complete di corso di addestramento per le truppe ucraine; evidentemente la guerra serve anche per difendersi da tracolli interni, assumendo il ruolo del Comander in Chief.Sembra che nel gioco delle parti si alzi a turno il livello di provocazione per innescare una “escalation controllata” per arrivare a una guerra semifredda di lunga durata con focolai di battaglie aspre volte a ridisegnare le sfere di influenza e a misurare il reale peso specifico delle singole potenze: infatti questa è una consegna che fa seguito a quella già effettuata dagli Usa la scorsa settimana del proprio sistema di artiglieria a razzo ad alta mobilità (HIMARS) M142 (gli stessi per i quali l’Australia ha ottenuto dal Dipartimento di stato americano il permesso alla vendita il 7 giugno secondo “19fortyfive”, che adduce le stesse spiegazioni valide per l’integrazione di questi lanciarazzi tra le forniture dell’esercito ucraino) ha già irritato Mosca e domenica il presidente russo Vladimir Putin ha minacciato dalla Tv di stato di ampliare l’elenco degli obiettivi che la Russia attaccherà in Ucraina in risposta a questi approvvigionamenti.

      • Il sistema di razzi a lancio multiplo può sparare 12 missili terra-superficie in un minuto e può colpire bersagli nel raggio di 80 km con precisione millimetrica, molto più lontano dell’artiglieria attualmente in possesso dell’Ucraina.
        Secondo il sito di notizie americano “Politico”, l’amministrazione Biden stava ritardando il trasferimento dell’artiglieria missilistica all’Ucraina, temendo che potesse essere utilizzata per lanciare attacchi all’interno della Russia e questo interpretato dal Cremlino come una “escalation”. Questo porterebbe presumibilmente all’espansione o al prolungamento della guerra o «al ricorso da parte della Russia all’uso di armi chimiche o di altre armi di distruzione di massa». Ma con giugno ogni remora è caduta, come dopo l’affondamento della Moskva il 12 aprile l’ipotesi di prevalere sull’esercito russo può aver convinto il Pentagono a estendere il conflitto: infatti il 14 aprile alla Casa Bianca le industrie belliche coinvolte sono anche quelle che producono missili a lungo raggio, non solo quelli di una guerra localmente ristretta.

2 giugno

        • Scacchiere indopacifico, caldissimo: cantieri navali Jaingan. Immagini satellitari scattate da Planet Labs il 31 maggio e confrontate da “Center for Strategic & International Studies” dimostrano che la nuova ammiraglia (320 x 78 metri) della marina cinese è pronta al varo, nonostante i ritardi dovuti al lockdown da pandemia che ha coinvolto anche l’area di Shangai (“Scmp”, 17 aprile).
          traffico di armi

Le indicazioni per le operazioni di attracco sullo Yangtze segnalano che il 31 maggio la foce doveva essere liberata per il transito della terza portaerei in dotazione all’Esercito polare di classe Type 003 dotata nella descrizione di “InsideOver” del sistema Catobar (Catapult Assisted Take Off Barrier Arrested Recovery) costituito da 3 catapulte Emals per aerei di tipo elettromagnetico – non nucleare come le omologhe statunitensi; le due precedenti portaerei sono la Shandong (varata nel 2017) e la Liaoning (2016). In prospettiva si legge su “InsideOver” che la marina cinese – già più numerosa come unità navali – ha nei piani di sviluppo la prossima presenza di due unità a propulsione nucleare Type004.

  • Il varo è avvenuto due settimane dopo, come da questo video attestato.

1° giugno

        • Il traffico di elicotteri sembra aver avuto un exploit negli ultimi tempi: riguardo ai Chinook “AgenziaNova” riporta una doppia notizia: il Regno Unito ritarda l’acquisto da Boeing di 14 elicotteri CH-47 Chinook per risparmiare e la polemica minacciosa è che costerà ai contribuenti 300 milioni di sterline (circa 352,6 milioni di euro) perché in seguito saranno più costosi. Proprio come nelle fiere quando si lascia velatamente intuire che i prezzi lieviteranno e di cogliere le offerte speciali, solo che in questo caso si tratta dell’ufficialità proveniente da un rapporto del National Audit Office, secondo cui il ministero della Difesa starebbe peccando di “compiacimento” nella gestione del bilancio.
        • traffico di armi

          Forse per questo motivo la Bundeswehr si è fatta attirare ad acquistare 60 CH-47 al prezzo di 5 dei 100 miliardi dello stanziamento speciale del nuovo governo a guida Spd, come anticipato da “Frankfurter Allgemeine Zeitung“. Questi elicotteri sostituiranno i CH-53 che, prodotti dall’azienda aerospaziale statunitense Sikorsky (ora Lockheed), sono in servizio nella Bundeswehr dal 1972. Alle forze aeree sonbo destinati 40,9 miliardi di euro dei 100 stanziati per la guerra tedesca. Questo include l’acquisto dell’aereo americano F-35 come successore del Tornado, nonché lo sviluppo e l’acquisizione dell’Eurofighter ECR.

        • Gli elicotteri sono considerati cavalli di battaglia per il trasporto aereo rapido di veicoli, materiale e soldati e sono importanti per la difesa nazionale e dell’alleanza, ma anche per le missioni all’estero. Il CH nella denominazione del modello sta per “elicottero da carico”. Il CH-47 è facilmente riconoscibile per la sua caratteristica forma a banana e due rotori principali.


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]]> LA GUERRA VIENE CON LE ARMI: LO SPACCIO A MAGGIO https://ogzero.org/studium/7813/ Fri, 03 Jun 2022 19:29:08 +0000 https://ogzero.org/?post_type=portfolio&p=7813 L'articolo LA GUERRA VIENE CON LE ARMI: LO SPACCIO A MAGGIO proviene da OGzero.

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Rimangono 8 secondi per non sbagliare

I famosi Javelin americani in dotazione degli ucraini stanno scarseggiando, i baraktyar tb2 turchi vengono usati da tutti i coinvolti anche in campi avversi, la logistica ha ricevuto anche un’impennata di richieste come dimostrano le tante notizie relative a compravendite di elicotteri (soprattutto da trasporto truppe, come quelli per il posizionamento dei militari che hanno incrementato gli ordini per mezzi d’assalto e di sbarco)

L’occasione ghiotta di una vera guerra, con morti e coinvolgimento di civili e distruzione reale di armamenti e scambi di tecnologie e know-how tra nazioni oltre a aumentare fortemente la richiesta di costruzione e vendita di armi, ha dato una spinta ai più avanzati laboratori scientifici: abbiamo documentato in maggio anche e soprattutto l’avanzamento della ricerca applicata in particolare ai velivoli ipersonici. Che vede contrapposti gli scienziati delle due superpotenze nella costruzione dei missili che superano il muro del suono 5 volte, ma ora spunta la notizia che – come sempre nella corsa agli armamenti –, ottenuto il risultato di spingere un propulsore al punto di portare un qualsiasi ordigno da una parte all’altra del mondo in meno di un’ora, si è ricercato da parte degli scienziati del Air Force Early Warning Academy l’antidoto nella possibilità di stimare la traiettoria di un missile ipersonico a planata mentre si dirige verso un bersaglio a una velocità superiore a cinque volte quella del suono, sviluppando una tecnologia di intelligenza artificiale in grado di avviare una risposta di contrasto con un anticipo di tre minuti. Rimangono 8 secondi per non sbagliare l’intercettazione.

Neutralismo: Giappone, Svezia, Finlandia… Svizzera! Abbandonano il proverbiale neutralismo, sancendo un coinvolgimento di parte che solo la volontà di nascondersi dietro l’ipocrisia di facciata aveva salvaguardato finora e che la guerra dichiarata ha frantumato: vero cambio epocale dal 24 febbraio. Puramente mediatico, perché lo sbandierato neutralismo era solo una facciata che salvaguardava l’immagine di un mondo congelato in uno specchio ormai in frantumi da tempo e i cui frammenti non sono più in grado di restituire una visione unica per quanto multilaterale. La consapevolezza di questa quinta scenica che si dissolve ha mostrato le strategie belliche che erano in atto consentendo ai protagonisti di cercare alleanze stipulate anche attraverso l’adozione di armi di produzione nazionale che possono agevolare scelte di campo nella grande campagna acquisti in atto sullo scacchiere internazionale. Si vedano in particolare gli arcipelaghi del Pacifico meridionale o le manovre intorno all’Artico e l’estensione dell’ombrello Nato agli Scandinavi e le industrie militari coinvolte dalla Casa Bianca il 14 aprile: una riunione che prelude a guerre di più vasta portata, se richiedono i servigi di costruttori di testate a medio e lungo raggio.
E ogni protagonista recita un ruolo, corrispondente alle caratteristiche e alle ambizioni di ognuno ma uguale per tutti rispetto al carattere che sostiene ciascuno dei potenti mossi al riarmo: la hybris.

90 %

Avanzamento



Monica Quirico ci ha aiutato nella puntata di Transatlantica24 di maggio per fare il punto sul presunto neutralismo ormai sfumato nei bastioni scandinavi del non allineamento.

GENNAIO FEBBRAIO MARZO APRILE GIUGNO LUGLIO AGOSTO SETTEMBRE OTTOBRE NOVEMBRE Traffico 2022

Maggio

29 maggio

        • Mettendo in gioco notizie diverse provenienti da fonti diverse si possono ricostruire scambi e giri di soldi e traffici tra singoli stati che vedono nella guerra in Ucraina un’opportunità di rammodernamento delle risorse militari e finanziamenti. Questo è il caso della Polonia dell’accoglienza esclusiva per migranti bianchi, in cambio per esempio di 18 obici semoventi Krab, come rende noto l’agenzia di stampa “Iar”. Secondo le fonti governative polacche consultate dall’agenzia, Varsavia ha anche addestrato cento artiglieri ucraini al loro uso. Grazie all’assistenza polacca l’Ucraina dispone attualmente di almeno 24 obici semoventi occidentali. Altri sei Caesar sono stati infatti forniti dalla Francia; Germania e Paesi Bassi hanno inoltre annunciato l’invio di altri 12.
        • Sempre un’emittente polacca, “Polsat News”, il 24 maggio aveva dato notizia di una richiesta di Varsavia di altri 6 missili Patriot, confermata dal dipartimento della Difesa americana e ripresa da “AgenziaNova“:
          «Non parlerò dei dettagli, ma occorre che Kiev, possa resistere efficacemente all’invasione russa», così ha esordito il ministro della Difesa polacco, Mariusz Blaszczak, e subito dopo ha aggiunto – mettendo lui stesso in relazione la resistenza ucraina (e dunque le forniture di obici polacchi) – con le richieste di Varsavia: «è stata firmata una lettera di intenti ma questa rappresenta solo l’inizio di una trattativa nella quale “i termini di consegna devono essere ancora discussi”. Confiniamo con Kaliningrad, e quindi con la Russia, a nordest, mentre la Bielorussia è di fatto una parte della Russia. La garanzia della nostra sicurezza e ragion di Stato è che il confine sudoccidentale sia con l’Ucraina e non con la Russia”.

25 maggio

        • “Procurement militaire”: interessante il pudore che traspare dall’uso dell’espressione inglese da parte di “Insidertrend” (ripresa dalla evidente velina del ministero della Difesa), anziché il tecnico “approvvigionamenti”, o meglio ancora l’esplicito “traffico d’armi”. Quest’ultimo caso riguarda l’ineffabile generale Luciano Portolano, comandante di Segredifesa, che ha incontrato Venance Salvatori Mabeyo, comandante in capo della Tanzanian People’s Defence Force (TPDF), ovviamente «nel quadro dei consolidati rapporti bilaterali di amicizia e cooperazione tra i due paesi»: infatti, come attesta “ReportDifesa”, una volta delineato il ruolo geopolitico svolto dal porto di Dar es Salaam: «discussione si è poi incentrata sull’interesse della nazione dell’Africa orientale per il velivolo M-345, in sostituzione dei velivoli K-8, gli aeromobili C-27J e gli elicotteri AW139 e AW109».
        • AW-139 in volo in una sua funzione antincendio

        • Si tratta di prodotti di Leonardo.spa, la controllata dello stato italiano che consentirà di aumentare le sporadiche relazioni tra le due nazioni: evidente per Antonio Mazzeo su “Africa Express” l’intenzione «di inserire il governo di Dar Es Salaam tra i partner-chiave con cui rafforzare la penetrazione del Sistema Italia nel continente africano».  Infatti un paio di mesi fa l’ambasciatore italiano a Dodoma, Marco Lombardi diceva: «Grazie alla sua strategica posizione geografica ed alla sua sostenuta crescita economica, la Tanzania sta continuando ad acquisire un ruolo di rilievo nella Regione». Ecco allora che potrebbero arrivare redditizie commesse per le maggiori holding nazionali, soprattutto quelle armiere a capitale statale come Leonardo e Fincantieri SpA, chiosa Mazzeo.


25 maggio

        • Kongsberg Aviation Maintenance Services (KAMS) ha esteso il contratto in corso con l’Agenzia norvegese per i materiali della difesa (NDMA) per la revisione e la messa in vendita di un ulteriore lotto di velivoli F-16. “ADSNews” informa che il contratto di 200 milioni di corone norvegesi (circa 19 milioni di euro) comprende anche la revisione dei motori da effettuarsi presso le strutture del KAMS per garantire il mantenimento delle competenze in Norvegia.
          Questo contratto è conseguente a quello stipulato dall’Agenzia norvegese per i materiali di difesa con Draken International per la vendita di 12 ex F-16 norvegesi e sta completando la vendita di altri 32 velivoli alla Romania. In attesa dell’approvazione ufficiale delle autorità norvegesi e americane, si prevede che i primi velivoli saranno consegnati a Draken quest’anno e alla Romania nel 2023. Non è nemmeno casuale che questi accordi siano intercorsi in questo periodo in cui la Romania assume un ruolo particolare.
        • «I nostri aerei da combattimento sono tra i meglio mantenuti al mondo e la manutenzione continua e gli aggiornamenti forniti da KAMS sono stati fondamentali per questo lavoro. Sono quindi fiducioso che i nostri aerei serviranno bene Draken e la Romania per molti anni a venire. Inoltre, questo contratto contribuisce a mantenere l’esperienza industriale norvegese nella manutenzione dei velivoli da combattimento», afferma Magnus Hansvold, direttore dell’Agenzia norvegese per lo smaltimento dei materiali della Difesa.

25 maggio

        • Le esercitazioni navali cinesi attorno a Taiwan effettuate il 24 maggio insieme alla Russia (coinvolti bombardieri strategici russi Tu-95Ms e cinesi Xian H-6K, scortati da caccia Su-30 Sm russi), effettuando un pattugliamento sul Mar del Giappone in concomitanza con il vertice Quad, sono il corollario del programma di riarmo della marina, in particolare anfibio. Secondo quanto pubblicato dal sito ufficiale delle forze armate cinesi, “China Military Online”, Pechino avrebbe messo in servizio una nuova unità da trasporto militare semisommergibile capace di lanciare dei mezzi da sbarco marittimo. Secondo il sito cinese, l’unità, identificata come Hull 834 (Yinmahu), stava trasportando un hovercraft anfibio Type 958, inserito nelle unità del Comando del teatro meridionale dell’Esercito popolare di liberazione, come la maggior parte delle moderne unità della flotta anfibia di Pechino.
          Yinmahu, di classe “Hansa Sonderberg modificata”, pesa 20.000 tonnellate, misura 175,5 metri per 32,4 e trasporta mezzi da sbarco Type 958, pensati per permettere operazioni da sbarco in aree prive di strutture portuali: le dimensioni sono 57 x 25,6 metri per un peso di 555 tonnellate. I mezzi sono stati acquistati da Pechino all’inizio dall’Ucraina (Project 1232.2 della classe russa Zubr), ma dal 2014, dopo l’annessione russa della Crimea dov’erano prodotti, il contratto è passato a Mosca. Questi natanti sono in grado di portare a pieno carico tre carri armati da battaglia o 500 soldati, più o meno un battaglione. La Cina è dotata di una mezza dozzina di questi super-mezzi da sbarco.


23 maggio

        • Circa 20 paesi, tra cui l’Italia, hanno annunciato nuovi pacchetti di armi e assistenza alla sicurezza in favore dell’Ucraina. Lo ha annunciato il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, parlando in conferenza stampa a margine della riunione virtuale del Gruppo di contatto con l’Ucraina, tenutasi virtualmente oggi a quasi tre mesi dall’inizio della guerra in Ucraina. Oltre all’Italia, tra i paesi che hanno annunciato ulteriori aiuti ci sono Danimarca, Grecia, Norvegia e Polonia, ha detto Austin, precisando che la Danimarca fornirà un lanciatore di arpioni e missili per difendere la costa ucraina.
        • DefenseNews” precisa meglio i contorni dell’operazione, proprio a cominciare dagli arpioni (RGM-84L-4 Harpoon Block IIs), che non solo sono in grado di colpire vascelli in navigazione, ma anche in porto con un aggiornamento fornito dalla Boeing Advanced Harpoon Weapon Control System. Questo ulteriore palese coinvolgimento delle nazioni scandinave, oltre a dimostrare l’intensità e l’importanza del Mar Nero, dove questi arpioni sono essenziali, perché l’Ucraina, un importante produttore di grano, non ha potuto utilizzare Odessa come punto di transito per 90 giorni a causa della flotta russa.
        • «Questo blocco ha tagliato l’accesso dell’Ucraina al Mar Nero, bloccando le esportazioni di grano ucraine, soffocando la principale industria di esportazione del Paese e portando i prezzi globali dei prodotti alimentari a livelli record», ha scritto Tayfun Ozberk per Naval News.«Se l’Ucraina fosse in grado di stabilire una negazione dell’area di accesso in quest’area con missili antinave terrestri e di condurre ingaggi di successo contro le forze navali russe che entrano nella zona A2/AD, il blocco russo probabilmente finirebbe e i corridoi di trasporto verrebbero aperti».

        • Ma gli Usa non intendono intervenire direttamente. Così Mark Milley, capo di stato maggiore americano ha dichiarato: «Per quanto riguarda le nostre azioni, al momento non abbiamo mezzi navali nel Mar Nero e non intendiamo spostarceli. Ora c’è una situazione di stallo tra gli ucraini che vogliono assicurarsi che non ci sia uno sbarco anfibio intorno a Odessa e un impedimento della navigazione commerciale».
          Tuttavia oltre a questo si vuole evidentemente allargare il conflitto a latitudini baltiche (più palesemente domestiche per il Cremlino): infatti è la provenienza di questi Harpoon danesi a lasciar immaginare che la provocazione stia nel portare il conflitto nel Nord, quello che era feudo glaciale russo e invece a cominciare dal mar Baltico ormai è diventato un lago Otan e in prospettiva con la liberazione dai ghiacci delle rotte artiche si sta trasformando in zona militare presidiata, da zona della collaborazione internazionale di pace che era.
        • La quantità di armi riversate dall’occidente in Ucraina e contenute in quell’articolo di “DefenseNews”non riesce a stare in questa scheda, ma invitiamo a consultare l’articolo per la dovizia di informazioni fornite e che vengono condensate nella prossima scheda.


23 maggio

        • Riprendiamo dunque l’articolo di “DefenseNews” con l’elenco stilato dal segretario alla Difesa Lloyd Austin dei trasferimenti di armi all’esercito per procura ucraino: Italia, Grecia, Norvegia e Polonia starebbero donando sistemi di artiglieria e munizioni, ma summa cum laude è la Repubblica Ceca per il trasferimento di elicotteri d’attacco, carri armati e sistemi missilistici a Kyiv.
          La scorsa settimana il ministro ucraino della Difesa Reznikov ha dichiarato che l’Ucraina ha bisogno di carri armati e veicoli corazzati, nonché di sistemi missilistici a lancio multiplo, artiglieria pesante, aerei e missili. La lista della spesa continua con proiettili a lunga gittata, blindature e capacità aeree senza pilota. A Ramstein, il mese scorso, Australia e Canada si sono impegnati a fornire obici M777, che sono stati poi consegnati alle forze ucraine. Il Regno Unito ha consegnato missili Brimstone e un sistema di difesa aerea a corto raggio.
        • Nei giorni scorsi Biden ha firmato un pacchetto di aiuti all’Ucraina da 40 miliardi di dollari e ha inviato gli ultimi 100 milioni di dollari di obici e altre armi del precedente pacchetto da 13,6 miliardi di dollari approvato dal Congresso a marzo. Si tratta della decima tranche di aiuti statunitensi. Il pacchetto è l’equivalente dell’artiglieria di un battaglione americano – 18 obici da 155 mm, 18 veicoli tattici per trainarli e 18 tubi d’artiglieria – insieme a tre radar di contro artiglieria AN/TPQ-36, ha dichiarato il segretario stampa del Pentagono John Kirby.


20 maggio

        • Il protagonismo di Erdoğan dal 24 febbraio si è orientato verso il tentativo di ottenere il massimo di visibilità, di riconoscimenti e alzare le richieste, come quelle imposte ai paesi scandinavi; intanto ha dato prova di essere il leader più in grado di ottemperare alle richieste occidentali – come la chiusura del Bosforo come da Trattato di Montreux – ma anche senza dispiacere troppo al compare di tanti accordi di Astana, presentandosi come il più titolato a fungere da mediatore tra i belligeranti (intanto si annette altro Rojava nel silenzio di chi scambia L’adesione di Svezia e Finlandia con il territorio curdo in Siria), con uno dei quali spartisce l’area con accordi bilaterali ventennali, come pubblica “Le Point” il 3 giugno.
        • Ma soprattutto vende droni a tutti: ucraini e non… il “Centro Studi Internazionali” rileva che diversi Stati dell’Asia centrale, stanno aumentando sempre di più le proprie richieste di acquisizione per droni turchi di ultima generazione. L’anno scorso, il Kirghizistan ha firmato un accordo per l’acquisto di droni armati, diventando il primo paese dell’Asia centrale ad acquistare il sistema militare turco. In base all’accordo, il governo di Biškek ha ordinato droni Bayraktar Tb2 prodotti dall’azienda del genero del presidente turco.
          Inoltre, la Turchia e il Kazakhstan hanno concordato di avviare una coproduzione di droni turchi: il modello è il drone Anka, che sarà prodotto congiuntamente da esperti turchi e kazaki in un impianto di prossima apertura in Kazakhstan, secondo quanto dichiarato l’11 maggio dalla Turkish Aerospace Industries (Tai), produttrice dell’Anka e ripreso da “Daily Sabah”. L’azienda turca ha firmato un memorandum d’intesa con la società statale Kazakhstan Engineering per il trasferimento di tecnologia, comprese le operazioni di manutenzione e di riparazione. L’accordo farà del Kazakistan la prima base produttiva di droni Anka al di fuori della Turchia. Lo scorso novembre, il governo di Nur-Sultan ha acquistato tre unità di droni a media altitudine e lunga resistenza (Male) in seguito a un accordo stipulato a ottobre. Il drone in questione può condurre una serie di missioni, tra cui operazioni di sorveglianza, ricognizione, trasmissione di comunicazioni, acquisizione di obiettivi e tracciamento.


18 maggio

        • Esistono altre forme di fornitura per paesi magari sotto embargo. Per esempio l’Iran rifornisce la famigerata Guardia Rivoluzionaria ristrutturando vascelli adibiti ad altri compiti. Secondo l’analista della difesa Aurora Intel, l’IRGC (Guardia Rivoluzionaria Islamica), che ha una propria marina parallela a quella regolare, sta commissionando una nuova nave. L’I.R.I.S. Shahid Mahdavi (110-3) è nata come grande nave container. Ora sta subendo un refit che le conferirà un ruolo logistico bellico. Questa nave portacontainer battente bandiera iraniana era in precedenza la Dandle. È stata costruita nel 2000 e misura 240,2 metri fuori tutto e 32,2 metri di larghezza. In base all’analisi delle immagini, sembra che si trovasse fuori dalla base navale di Bandar Abbas, nell’ancoraggio civile, dalla metà del 2019. Si trovava nel suo posto definitivo dal marzo 2021. In base all’analisi delle immagini satellitari, la nave è stata portata in cantiere alla fine di gennaio 2022. I lavori sono probabilmente iniziati poco dopo.
        • La conversione prevede l’aggiunta di cannoni antiaerei con equipaggio. Si noti la bandiera dell’IRGC sulla sovrastruttura durante i lavori.

          Il blogger H.I.Sutton ha studiato a fondo le ristrutturazioni di navi iraniane viene effettuato nello stesso cantiere in cui era stata convertita la nave da base avanzata della Marina militare iraniana, l’I.R.I.N.S. Makran (441), che in origine era una nave cisterna. L’IRGC ha già tre navi da base avanzata. La I.R.I.S. Shahid-Roudaki è la più piccola, con una lunghezza di 150 metri. Le altre due sono più nascoste, la Saviz e la Behshad, e sono utilizzate come navi base nel Mar Rosso. La Behshad ha sostituito la Saviz dopo che quest’ultima è stata minata nel 2021.
          Wikiwand esibisce un elenco delle navi a disposizione della Guardia Rivoluzionaria.

16 maggio

        • La propaganda delle industrie belliche nazionali trova in India una delle manifestazioni più smaccate e che si tratti di una velina dei servizi militari indiani è dimostrato dal fatto che il medesimo testo si trova anche su “The IgMp”, dove la fonte viene dichiarata: Indo-Asian News Service (IANS). A ridosso delle elezioni vinte a Manila da Ferdinand “Bongbong” Marcos, il giorno stesso dei risultati elettorali l’“Indian Defence Research Wing” annuncia (con lo stesso testo di “India’s growing Military power”) un accordo che le Filippine avevano preso e che l’India spera venga mantenuto dal “nuovo” presidente; il memorandum era stato firmato all’indomani di un contratto da 368 milioni di dollari per i missili antinave supersonici Brahmos (come specifica “Aerotime Hub”). L’accordo tra India e Filippine è stato firmato nel gennaio 2022. Dopo l’acquisto dei missili antinave Brahmos – che l’estensore dell’articolo dichiara essere «l’arma che la Cina teme maggiormente, essendo considerato il più letale al mondo» – il governo delle Filippine sembrerebbe interessato a potenziare la propria flotta di aerei militari con l’aiuto della Hindustan Aeronautics Ltd, che aveva firmato ad aprile un Memorandum of Understanding (MoU) con la Philippine Aerospace Development Corporation (PADC) – pacta servanda sunt anche in sanscrito – che potrebbe portare all’esportazione dei velivoli leggeri: da combattimento (LCA), elicotteri da combattimento (LCH), elicotteri avanzati (ALH) e utilitari (LUH) indiani.

          Come viene spiegato da Sabrina Moles in questo podcast, la situazione si fa complessa nel Mar cinese meridionale e anche le alleanze sono in bilico, tanto che Xi è stato il primo a congratularsi con il figlio di Marcos, nonostante la Cina si opponga al riconoscimento della sentenza arbitrale che concede alle Filippine la sovranità sul Mar delle Filippine occidentali (considerandolo Zee filippina), lo stesso tratto di oceano che Pechino chiama Mar cinese meridionale.

    “A volte tornano. Marcos 2 l’amnesia”.

          • L’organo di propaganda indiano giunge a minacciare di rappresaglia interna alle Filippine un’eventuale rinuncia di Marcos; e suggerisce al neoeletto di onorare gli impegni di riarmo. Non è strano questo accanimento, perché se si proseguirà in questa direzione, si tratterà del primo ordine di esportazione del Tejas. Numerosi paesi hanno preso in considerazione l’acquisto del Tejas, in particolare la Malesia – riferisce “Aerotime Hub” – che avrebbe ricevuto l’offerta di HAL nella gara d’appalto in corso per i caccia leggeri. Ma attualmente l’aeronautica indiana rimane l’unico operatore del Tejas.
            In campagna elettorale Marcos aveva dichiarato l’intento di risolvere la diatriba con il dialogo, ma l’organo indiano gli ricorda che non è intervenuto a favore della Cina, anche se non ha aderito al Quad (di cui invece l’India è parte, proprio in funzione anticinese), che ha inviato navi da guerra per stabilire i diritti di passaggio in quella lingua di mare contesa.
            La maestria “diplomatica” dei piazzisti di armi è ancora più evidente nel sottolineare la valutazione delle antiquate armi fornite alle Filippine dalla Corea del Sud (gli FA-50PH) o gli obsoleti elicotteri turchi, con il velenoso confronto con il Pakistan che ha acquisito armamenti cinesi per contrapporsi all’esercito indiano, che si proporrebbe come terzo affidabile fornitore rispetto a Nato e Rpc.

14 maggio

      • Boeing CH-47 Chinook sono elicotteri da guerra per trasporto truppe che sono transitati dal porto di Genova tentando di mantenere l’incognito. Si trovavano sulla Bahri Houf, nave saudita e la destinazione di questi aerei costruiti dalla Boeing negli Usa era proprio l’Arabia saudita.
      • «La banchina è un’area off-limits, e il guardiano dell’agenzia marittima Delta, la società che detiene il contratto con Bahri, alza la sbarra solo per chi ha il permesso di entrare. Bahri è una società controllata dal governo saudita. Fondata nel 1978 come National Shipping Company of Saudi Arabia, è il più grande proprietario e operatore di grandi petroliere al mondo. Sebbene la sua attività principale sia il trasporto di petrolio, dal 2014 gestisce il monopolio della logistica militare di Riyadh. Delle sue 90 navi, sei sono utilizzate per il trasporto di armi. Fanno sempre la stessa rotta, dagli Stati Uniti all’Arabia Saudita, passando per l’Italia e, più raramente, per la Spagna. Un viaggio che richiede due mesi per arrivare e due mesi per tornare. Ciascuna delle navi porta il nome di una città saudita: Abha, Hofuf, Jazan, Jeddah, Tabuk e Yanbu.
        Le esportazioni di armi non sono illegali. Ma i trattati internazionali vietano i trasferimenti internazionali di armi che potrebbero essere utilizzate per commettere crimini di guerra, come gli attacchi diretti alla popolazione civile. L’Arabia Saudita è profondamente coinvolta nella guerra nel vicino Yemen. Questo conflitto rimane una delle più grandi crisi umanitarie del mondo. L’economia è stata distrutta e le infrastrutture civili distrutte. Alla fine dello scorso anno, le Nazioni Unite hanno previsto che entro la fine dell’anno sarebbero state uccise 377.000 persone, direttamente e indirettamente a causa della guerra. Otto yemeniti su dieci hanno bisogno di aiuti d’emergenza e la carestia è imminente, secondo Oxfam»(“Investigate Europe“).

      • «È facile capire quando arriverà la prossima nave Bahri. Basta guardare la fila di camionette della polizia davanti alla banchina, che sono lì per evitare proteste e occhi indiscreti», dice un camallo. Si tratterebbe di proteste contro il carico della nave: carri armati, veicoli blindati, elicotteri Apache ed esplosivi
      • Contropiano” nel darne notizia aggiunge che dopo segnalazioni e richieste di accesso agli atti, gli attivisti di Calp (@CalpGe Porto), Usb e The Weapon Watch si sono rivolti alla magistratura con un esposto

    • L’elicottero Boeing CH-47 Chinook è un elicottero per il trasporto pesante con due motori e rotori in tandem, creato dall’azienda americana di rotorcraft Vertol e prodotto da Boeing Vertol.
      Può viaggiare a 315 km/h trasportando anche 55 militari 


11 maggio

    • South China Morning Post” ha dato notizia dei test su un motore per velivoli ipersonici con propulsione esplosiva di un motore a soffio d’aria, azionato dall’esplosione di un combustibile idrocarburico a basso costo: ha raggiunto un funzionamento stabile.
      Utilizzando un carburante economico a base di idrocarburi, i ricercatori del China Aerodynamics Research and Development Center di Mianyang (nel Sichuan) affermano che il motore che produce migliaia di esplosioni controllate al secondo ha raggiunto un funzionamento stabile durante una simulazione di volo a bassa quota, sostenendo che il loro motore a detonazione rotante potrebbe alimentare un aereo o un missile a una velocità cinque volte superiore a quella del suono o più veloce, consentendo il trasporto di persone o mezzi da una parte all’altra del globo in un’ora.

11 maggio

    • Airbus Helicopters è in trattativa con l’Iraq per la vendita di 12 elicotteri H225M anche se il ministero dell’Economia di Parigi è scettico. Lo scrive in anteprima il quotidiano “La Tribune”. Secondo quanto riferisce la testata economica, il bilancio del ministero della Difesa di Baghdad non è in grado di ottemperare a un simile esborso. Nel primo trimestre del 2022 Airbus Helicopters ha registrato 56 commesse contro le 40 dei primi tre mesi dell’anno precedente: alla fine del 2021 erano stati venduti 12 Caracal agli Emirati.
    • H225M può essere equipaggiato con il sistema di armamento HForce. Quattro diversi pacchetti offrono ai combattenti una scelta di armamenti per espandere la capacità del velivolo da quella delle armi balistiche all’uso di munizioni guidate con sparo attraverso il sistema elettro-ottico (EOS) o l’helmet mounted sight display (HMSD)

10 maggio

    • Si trova su “Le Point” la conferma che l’esercito francese ha dato luogo all’acquisto di 3000 droni annunciato dal generale Hervé Gomart il 7 febbraio 2022 durante una conferenza stampa all’Association des journalistes de défense (come riportava la testata specializzata Enderi). Il costo dell’equipaggiamento di 6 unità antidroni è previsto intorno ai 33 milioni di euro per microdroni del peso inferiore a 800 grammi e minidroni da 25 chili; i droni tattici del tipo Patroller arriveranno entro la fine dell’anno.
      Si tratta di velivoli di piccolo taglio già largamente utilizzati dall’Armée de Terre e lungamente testati in Sahel nel quadro della operazione Barkhane. Il modello SMDR per i minidroni e dl NX70 per i microdroni; altri modelli, come i droni quasi-consumabili, dovrebbero anche ingrossare le fila di questi dispositivi progettati per fornire ai fanti una visione globale del campo di battaglia in pochi minuti.


7 maggio

    • Il nome adottato è inquietante: Gladius evoca un’epoca eversiva del sistema golpista massonico-istituzionale che a livello internazionale ordiva piani di attacco all’impianto liberal-democratico dell’Occidente dal suo interno (Kossiga ne era un fervido sostenitore) che avevano tutto sommato gli stessi intenti della attuale strategia bellica sovranista – in fondo sempre di fascismo si tratta. Nel caso della notizia annunciata da “AresDifesa” si tratta di un sistema di ricerca e attacco a pilotaggio remoto CUAS Gladius che verrà fornito all’esercito polacco (non a caso in prima linea al confine ucraino, dove verranno dislocati questi droni); il ministro della Difesa nazionale Mariusz Błaszczak ha approvato il contratto con WB Electronics (produttrice del Gladius) e Agenzia degli Armamenti italiana. Un accordo che prevede la consegna entro l’anno all’artiglieria polacca di 4 moduli per sistemi di ricerca e attacco costituiti da droni FT-5 dotati di teste optoelettroniche che consentono la registrazione dell’immagine, sia alla luce del giorno che in termografia – i bersagli così individuati sono attaccati dalle loitering munitions di cui l’Esercito Polacco si sta dotando.


6 maggio

    • Analisi Difesa” annuncia che Leonardo è stata scelta per gestire e monitorare la cybersicurezza dei sistemi informatici di Eu-Lisa, l’agenzia europea responsabile della gestione operativa dei sistemi IT su larga scala negli ambiti della sicurezza e della giustizia. L’agenzia, in particolare, gestisce la sicurezza interna e alle frontiere dell’area Schengen, oltre che i flussi migratori all’interno dell’Ue, comprese le politiche di asilo europee.
      Il contratto prevede la fornitura dei servizi di cybersecurity integrati per proteggere tutte le diverse sedi di Eu-Lisa, dal quartier generale di Tallin al centro operativo di Strasburgo, dal sito per la business continuity di Sankt Johann im Pongau (Austria) all’ufficio di collegamento con le altre istituzioni europee di Bruxelles.
    • Sarà il Global security operation center di Leonardo a Chieti a tenere sotto costante controllo le vulnerabilità e le minacce per anticipare gli attacchi, identificare il responsabile e rispondere agli incidenti in modo efficace, cercando di mitigarne gli impatti. I ricavi del Cyber and security academy di Genova ammontano a 3 miliardi annui.

cyber

4 maggio

    • Spizzando “Nova News” (agenzia giornalistica sempre molto ben informata in materia di “sicurezza”) si può scoprire come il ministro della Difesa giapponese Kishi ha menzionato piani di maggior coinvolgimento del Giappone rispetto alle priorità di sicurezza degli Stati Uniti, spianando la strada per una cooperazione più stretta nel campo della sicurezza informatica e di altri comparti emergenti della sicurezza nazionale. In primis droni da guerra inquadrati nelle dinamiche operative delle Forze di autodifesa, a cui l’esercito di Tokyo dovrebbe essere limitato. Infatti il Giappone ha adottato il drone di sorveglianza RQ-4B Global Hawk, ma si è tenuto lontano dai droni da combattimento; nel bilancio dell’anno fiscale 2022 ha stanziato solo 30 milioni di yen (231.000 dollari) per la ricerca su questi dispositivi. Ma in questo periodo di stravolgimenti epocali – e la contingenza sta restituendo al Giappone un nuovo ruolo nell’Indopacifico – anche il Giappone sancisce uno stato di potenziale belligerante non ufficiale e i droni sono un’opzione relativamente comoda ed economica rispetto ai jet da combattimento e ai carri armati, potendo venire utilizzati in aree troppo rischiose per i tradizionali velivoli pilotati.

      Il Giappone sta accelerando il processo di superamento del pacifismo sancito dall’art.9 della sua Costituzione postbellica. Tale processo, perseguito con convinzione dall’ex primo ministro Abe Shinzo, ha avuto un impulso dal peggioramento del quadro di sicurezza regionale e globale, e con le crescenti tensioni che oppongono il Giappone a Cina, Corea del Nord e Russia. Il governo del premier Kishida è attualmente impegnato a studiare una riforma della Strategia di sicurezza nazionale, che includerà anche la controversa proposta di dotare il Paese di sistemi d’arma per la proiezione offensiva della forza, come i missili da crociera, e potrebbe prevedere persino il raddoppio del bilancio della difesa al 2 per cento del Pil, sul modello dei paesi membri della Nato, partecipando agli ultimi due summit della Nato.
    • il Giappone ha siglato infatti un accordo col Regno Unito per lo sviluppo congiunto di motori a reazione per aerei da combattimento di nuova generazione: Tokyo è entrata così indirettamente nel novero dei paesi che partecipano allo sviluppo del caccia Tempest, un programma aerospaziale all’avanguardia che vede protagonista anche l’Italia.

RQ-4B

GENNAIO FEBBRAIO MARZO APRILE GIUGNO LUGLIO AGOSTO SETTEMBRE OTTOBRE NOVEMBRE Traffico 2022

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L'articolo All’Ovest Sahara qualcosa di nuovo… ma poco rassicurante proviene da OGzero.

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Nello scacchiere internazionale si stanno delineando le aree delle future crisi e i vari protagonisti stanno disponendosi nelle alleanze contrapposte, spinti anche da necessità energetiche e da iniziative di grandi potenze che influenzano le scelte di schieramento. Uno dei focolai del prossimo confronto tra potenze mondiali è il Maghreb, in particolare la questione del Sahara occidentale, e le forze in campo si rimescolano: la mossa spagnola di distensione con il Marocco, dopo forti tensioni tra le due coste limitrofe e contrapposte. Questa scelta ha prodotto forti cambiamenti nei rapporti tra soggetti che insistono sul Mediterraneo occidentale: se l’Italia, interessata al gas, si avvicina all’Algeria, abbandonata nella difesa del popolo saharawi dalla Spagna, quest’ultima abbraccia il Marocco, potenza africana di riferimento in ascesa, con investimenti in infrastrutture, ottimi rapporti con Israele da cui riceve anche armi sofisticate inserite nell’enorme sforzo di riarmo in una competizione strenua con la vicina Algeria, che si approvvigiona con armi russe.
In questo panorama è prevedibile che riesploda un conflitto sulla condizione saharawi, di cui si riconoscono i primi inneschi nei mesi scorsi, perciò abbiamo chiesto a Lorenzo Forlani di fare il punto per evitare di essere colti di sorpresa da una prevedibile evoluzione critica della situazione.


«Serio, credibile, realistico». Con queste inattese parole il governo spagnolo di Pedro Sanchez meno di un mese fa ha definito il piano marocchino di concessione dell’autonomia amministrativa al Sahara occidentale. Un riconoscimento de facto, quindi, della sovranità di Rabat sulla regione al confine con l’Algeria e la Mauritania, che nel giro di un mese ha generato la reazione del Fronte Polisario (FP): lo scorso 10 aprile, infatti, il movimento che dal 1976 – cioè dopo il ritiro delle truppe coloniali spagnole dall’area – persegue l’autodeterminazione del Western Sahara (WS), ha annunciato l’interruzione dei contatti ufficiali con il governo iberico, suo storico “garante” europeo (pur nel quadro di una neutralità strategica). Solo un anno fa Madrid  ne aveva accolto e curato il leader, Brahim Ghali, malato di Covid-19, innescando con la stessa Rabat una crisi diplomatica che può dirsi estinta proprio in queste settimane, col ritorno a Madrid dell’ambasciatrice marocchina, richiamata all’indomani dell’affare Ghali.

Popolo saharawi: vittima sacrificale di nuove proxy war

Una mossa, quella del FP, che secondo molti osservatori è stata in realtà decisa da Algeri, “sponsor” dei Sahrawi, che all’indomani dell’inversione di rotta da parte di Madrid, aveva richiamato a sua volta il proprio ambasciatore dalla Spagna, aprendo contestualmente il varco a migliaia di migranti verso Ceuta e Melilla. Mentre il pianeta rivolge la sua attenzione al conflitto in Ucraina, il riposizionamento quasi improvviso di questi attori regionali racconta essenzialmente di una tensione latente tra due potenze come Marocco e Algeria, e di riflesso fa luce sulla scarsa coesione dell’Unione Europea, la cui mancanza di un approccio integrato in politica estera produce posture massimaliste, proprio come quella che sembra aver improvvisamente assunto la Spagna.

Quella nel Western Sahara è la linea del fronte più lunga al mondo: un terrapieno che si estende per 2700 km nei pressi del quale si sono susseguiti scontri armati nel corso degli ultimi 50 anni, cioè da quando Rabat ha annesso la regione contesa dopo il ritiro degli spagnoli. Nel 1991 si raggiunge un cessate il fuoco tra il Fronte Polisario e Rabat, dopo il quale le Nazioni Unite avviano un processo di pace che finirà per arenarsi: il voto per l’indipendenza che era stato previsto non ha mai avuto luogo e oggi il WS è controllato all’80% dallo stesso Marocco, mentre nella città algerina di Tindouf si sono rifugiati più di 150.000 profughi Sahrawi, coinvolgendo ancor più direttamente Algeri nella disputa, specie se si considera il rischio di radicalizzazione di alcuni segmenti dello stesso popolo Saharawi, nel quale le nuove generazioni spingono per una ripresa del conflitto.

Secondo l’Onu il WS è un “territorio non autonomo”, una definizione che riassume una situazione di grande ambiguità se associata all’annunciato piano marocchino e all’autoproclamazione d’indipendenza da parte dello stesso Fronte Polisario, che invoca stabilmente il referendum per l’indipendenza programmato più di 30 anni fa. Lo scorso dicembre il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha prolungato la missione MINURSO, chiedendo la ripresa dei negoziati e inviando nuovamente il diplomatico Staffan de Mistura, il cui lavoro negli ultimi due anni era stato sostanzialmente impedito dai veti incrociati di Marocco e Algeria.

La posizione massimalista che ha improvvisamente assunto Madrid ha generato spaccature nella maggioranza di governo – con la sinistra molto critica rispetto all’”abbandono” dei sahrawi – ma rispecchia inevitabilmente la mancanza di una strategia occidentale ed europea: già nel 2020 l’ex presidente americano Donald Trump – in cambio della “normalizzazione tra Marocco e Israele – aveva riconosciuto la sovranità marocchina sul WS, contraddicendo la posizione dell’Onu, e nelle ultime settimane l’amministrazione Biden ha aggiunto confusione al quadro, dichiarando di essere favorevoli alla “autodeterminazione del popolo del Western Sahara”, pur non modificando il proprio posizionamento generale, che ribadisce la sovranità marocchina.

Potenze energivore e l’indipendentismo strabico algerino

In questo contesto è interessante seguire le mosse del governo italiano. La recente visita di Mario Draghi ad Algeri è avvenuta appena dopo la svolta spagnola sul WS ed è stata “salutata” dai media algerini come la formalizzazione di un “rimpiazzo” – anche dal punto di vista della collaborazione militare –: «Algeri ha preferito consolidare la partnership con l’Italia a danno della Spagna, che non godrà più della stessa considerazione di prima da parte dell’Algeria», si legge su Dernieres Info d’Algerie (DiaTEbb).

Il gasdotto Enrico Mattei attraversa il Mediterraneo tra Mellilah (in Libia) e Gela (in Sicilia), portando il gas algerino in Europa.

Le tensioni tra Marocco e Algeria sono anche più antiche, profonde; riflesso di assetto e orizzonti diversi, che rendono la situazione in questo quadrante regionale altamente esplosiva, soprattutto dall’ultima rottura dei rapporti diplomatici nell’agosto del 2021, con conseguente stop all’export di gas algerino verso Rabat (e poi verso Madrid), che copriva circa un decimo del suo fabbisogno. La disputa sul confine va avanti dal 1962 e storicamente, laddove Rabat – investito del ruolo di “gendarme” regionale da parte dell’UE, specie sui flussi migratori e sui fenomeni di radicalizzazione jihadista – ha volentieri sostenuto movimenti islamisti che minacciavano il potere dei militari algerini, oltre a offrire incentivi ai cittadini marocchini che vogliano trasferirsi in WS, Algeri da par suo è da decenni un esplicito sostenitore dei movimenti separatisti e rivoluzionari (ha sostenuto Che Guevara, Arafat, Mandela), pur vivendo con apprensione le ambizioni autonomiste di una sua regione, la Cabilia.

Il confine tra Algeria e Marocco è chiuso, e nei mesi scorsi la tensione si è ulteriormente alzata dopo i rumor secondo cui Rabat, servendosi di un software di spionaggio fornitole da Tel Aviv, avrebbe a lungo spiato decine di funzionari algerini. Algeri sostiene i saharawi anche per ragioni squisitamente strategiche: il WS è una regione ricca di petrolio, fosfati e diritti di pesca, un aspetto, quest’ultimo, che rende appetibile l’idea di avere un accesso all’Oceano Atlantico.

Ascesa marocchina, difficoltà algerine

Nel 2017 il Marocco è rientrato nell’Unione Africana (UA), boicottata per 32 anni proprio a causa del diffuso riconoscimento del WS. Oggi meno della metà dei membri dell’UA riconosce l’autonomia del Western Sahara: un aspetto che evidenzia anzitutto l’aumento dell’influenza marocchina, accanto alla diminuzione di quella algerina. Rabat sembra proiettata al futuro: ha le più grandi fabbriche d’auto del continente nonché i treni più veloci; ha vaccinato con due dosi oltre il 60% della popolazione e, nell’ambito della corsa al riarmo con l’Algeria, sta cercando di completare un profondo upgrading delle proprie Forze Armate, all’interno del quale ricade il recente accordo – dello scorso febbraio – con la Israel Aerospace Industries (IAI) per la fornitura dei sistemi di difesa missilistica Barak MX, per un valore di 500 milioni di dollari. Tel Aviv e Rabat a novembre 2021 avevano firmato un accordo nel campo della difesa, che impegna i due paesi a a cooperare nella condivisione di intelligence, nella realizzazione di progetti e nella vendita di armamenti.

L’Algeria, al contrario, è in una fase molto delicata: il piano per rendere l’economia meno vincolata alle entrate petrolifere è miseramente fallito; le proteste antiestablishment (Hirak, in arabo “movimento”) sono state represse; il presidente Abdelmajid  Tebboune è considerato un fantoccio nelle mani degli alti quadri militari. Di riflesso, Algeri è un gigante bellico: secondo i dati del SIPRI, nel 2020 il suo budget militare è stato il più corposo del continente, quasi 10 miliardi di dollari, il doppio di quello marocchino (che è comunque aumentato del 54% dal 2011 al 2020, e che dovrebbe arrivare a 5,5 miliardi di dollari nel 2022), e il suo esercito è numericamente secondo solo a quello egiziano; il 70% degli armamenti algerini provengono dalla Russia, e proprio quest’anno sono state calendarizzate delle forniture di armamenti da Mosca, che includono 14 jet Su-34 e gli stealth Su-57.

Ambiguità del ruolo dei governi maghrebini nel Mediterraneo occidentale

Qualunque confronto militare diretto tra i due eserciti nordafricani rischierebbe di aprire un fronte esplosivo nella regione, mettendo l’uno di fronte all’altro due paesi fondamentali nel mediterraneo, in assenza di adeguati contrappesi garantiti da un’Unione europea sempre più vittima delle strategie particolari dei suoi membri più importanti. Sarebbe forse opportuno elaborare una strategia di lungo termine che da una parte tenga conto del contributo marocchino alla sicurezza del mediterraneo ma che allo stesso tempo non consideri questo contributo come un lasciapassare per l’assertività di Rabat in WS e nei confronti di Algeri, e tantomeno come la merce di scambio per un endorsement europeo (e non più solo spagnolo) al piano marocchino sulla regione.

Il mantenimento di una posizione equilibrata nei confronti dell’Algeria è forse più complicato: questo perché i rapporti – culturali, commerciali, politici – con Algeri sono molto meno profondi che con Rabat, ma la contingenza del conflitto in Ucraina, e le conseguenti sanzioni alla Russia, hanno reso le forniture di gas algerine ancor più importanti in vista di una possibile transizione energetica. Secondo Anthony Dworkin dell’Ecfr, è nell’interesse europeo sviluppare rapporti con l’Algeria tali da allontanarla da Mosca, e ciò può essere realizzato soltanto non allineandosi con Rabat sul WS. E la delicatezza della posizione algerina si può evincere dal suo cambio di postura nel giro dell’ultimo mese: il 2 marzo si era astenuta all’Assemblea generale dell’Onu, sulla mozione di condanna dell’invasione russa in Ucraina; il 7 aprile, invece, ha votato contro l’estromissione di Mosca dal Consiglio dei diritti umani. Al tempo stesso, l’UE dovrebbe dissuadere Algeri dal rafforzare l’assistenza militare al Fronte Polisario, spingendola verso una partecipazione a un nuovo negoziato. Il 20 aprile il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha tenuto una sessione dedicata al dossier Western Sahara, nella quale Staffan De Mistura ha presentato un report sull’evoluzione della crisi.

 

L'articolo All’Ovest Sahara qualcosa di nuovo… ma poco rassicurante proviene da OGzero.

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LA GUERRA VIENE CON LE ARMI: LO SPACCIO A MARZO https://ogzero.org/studium/la-guerra-viene-con-le-armi-lo-spaccio-a-marzo/ Sun, 03 Apr 2022 22:32:23 +0000 https://ogzero.org/?post_type=portfolio&p=6957 L'articolo LA GUERRA VIENE CON LE ARMI: LO SPACCIO A MARZO proviene da OGzero.

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  • David di ArmaLite

Il marketing di Marzo eccitato dallo svuotamento degli arsenali. Sfilate primavera-estate

Se per l’editoriale di febbraio la notizia di punta era l’invasione dell’Ukraina, per quello di marzo l’evento emblematico è stata la fiera di Riyad, dove tutti gli stati che si sentono sotto attacco (ovvero l’unanimità, perché altrimenti non legittimano la spesa pubblica per i dispositivi militari) si possono riarmare. Ed è emblematico che l’esercito ucraino in questi 8 anni si sia attrezzato al punto da resistere ai carri armati mal organizzati di Mosca: non c’è da stupirsi. L’Ucraina è il nono esportatore di armi (soprattutto leggere), in particolare in Africa, dove fa da triangolazione per conto della produzione polacca che è costretta dalle regole comunitarie a non procurare armi a paesi belligeranti, ma Kyiv può – finché non entra nella EU (e forse non gli conviene); e attraverso quelle triangolazioni ha potuto riarmarsi con ordigni micidiali come i droni turchi – già risolutori in Nagorno – o sofisticati come gli Stinger americani.
La moltiplicazione di Fiere di ordigni in tutto il mondo (e a Riyadh in particolare) non può che terrorizzarci, perché è un segnale che… c’è mercato e la richiesta aumenta, come prima di ogni conflitto mondiale.
Il marketing militare poi non ha limitazioni, perché proprio l’attributo testosteronico “militare” sfonda tutte le porte e penetra qualsiasi pudore, persino quelli dell’altrimenti sacro diritto d’autore: l’immagine in copertina proviene da un articolo de “Il giornale dell’arte” (8 marzo 2022), giustamente perplesso per il fatto che si possa trascendere dalle normative che regolano l’uso delle riproduzioni artistiche (ricordate Walter Benjamin, un altro che, preconizzando il disastro nazista precedente, preferì farsi fuori da solo): quell’immagine del David “influencer” attrezzato con la protesi fallica di ArmaLite per poter essere usata ha sicuramente pagato tantissime royalties – e quelle provengono dai cadaveri che tanto sensibilizzano le coscienze – ma soprattutto quei soldi hanno pagato l’autorizzazione degli Uffizi.


Come i soldi sauditi hanno imposto l’ennesima sagra dello strumento di morte violenta: dal 6 al 9 marzo si è svolta a Riyadh la prima edizione del World Defense Show (Wds), fiera biennale internazionale in più del settore militare di cui non si sentiva l’esigenza diretta da Andrew Pearcey: 590 aziende di 42 paesi diversi. Gami, l’Autorità Generale per le industrie militari del Regno saudita, è la sigla che ha patrocinato la kermesse con i ministeri della Difesa e dell’Interno, la Guardia Nazionale e l’intelligence saudita. Mbs in persona – Mohammed bin Salman al-Saud, primo viceministro e ministro della Difesa – ha sovrinteso ai lavori che puntano a competere con altri appuntamenti dell’industria militare, della sicurezza e spaziale, come il Farnborough International Airshow o il Paris Air Show.

«Ci sono esposizioni militari in tutto il mondo e l’Arabia Saudita ha pensato bene che fosse giunto il momento di portare uno di quegli eventi qui in Arabia. Vogliamo rappresentare l’intero ecosistema della filiera militare, dalle piccole aziende che forniscono le medie aziende alle medie realtà che forniscono le grandi corporations. Ci aspettiamo di vedere ordini dai grandi player del settore, ma ci aspettiamo anche risultati entusiasmanti dai competitors più piccoli», ha detto Andrew Pearcey.

Il budget per la difesa dell’Arabia Saudita quest’anno è stato di 171 miliardi riyal (46 miliardi di dollari circa), con una diminuzione del 10% rispetto al 2021, ma è una cifra che si colloca ancora tra le prime dieci spese militari al mondo. I vertici militari sauditi, che hanno voluto appositamente l’organizzazione in terra saudita perché hanno annusato il momento propizio e il fatto che chi ospita è privilegiato nei traffici. Sia di acquisto che di vendita: 23 contratti sono stati firmati da Riyadh per 3,4 miliardi di dollari.

“I nuovi sistemi d’arma rafforzeranno la prontezza delle forze armate e i sistemi di difesa e ci saranno ricadute importanti per le industrie militari nazionali», ha commentato Khaled Al-Biyariresponsabile del settore acquisizioni del ministero della Difesa saudita«I contratti stipulati rispondono all’ambiziosa visione della leadership del Regno di rafforzamento della produzione e dell’efficienza industriale e del settore militare, nota come Vision 2030».

Lanciata dalla casa regnante con il fine di diversificare l’economia e renderla sempre meno dipendente dall’estrazione petrolifera, Vision 2030 punta in particolare a destinare entro la fine del decennio la metà della spesa militare all’acquisto di sistemi e apparecchiature prodotti da industrie localizzate nel territorio saudita. Nel corso del World Defense Show, il ministero per gli investimenti del paese mediorientale ha firmato 12 memorandum di collaborazione con altrettante aziende internazionali per promuovere progetti di ricerca e sviluppo nel settore industriale aerospaziale e militare. «Le attività di business saranno sviluppate grazie alla partnership con alcuni importanti gruppi, come Hanwha Corporation (sudcoreana)Expal Milkor (spagnola), Naval Group (francese) e  Leonardo (italiana)», riferisce “Arabnews.

Dal sito della Luiss ricaviamo poi che 2 contratti sono stati conclusi con la statunitense Raytheon Company, per 533 milioni di dollari, per rafforzare le capacità dell’aviazione del Regno. Altri due accordi, per un valore di 400 milioni di dollari, sono stati poi stretti con Thales Group, una società francese che fornisce servizi per i mercati della difesa e della sicurezza.

Tra gli altri partner riportati da “al-Arabiya” con cui il Ministero della Difesa di Riad ha stretto accordi vi è il conglomerato sudcoreano Hanwha, con il quale è stato stipulato un contratto da circa 800 milioni di dollari, per rafforzare le capacità di difesa del Regno e le catene di approvvigionamento.Un’altra intesa da 114 milioni è stata invece firmata con la cinese China North Industries Corporation Limited (Norinco) e altri due, del valore di 122 milioni, sono stati firmati con la sudcoreana Poongsan Corporation.

Antonio Mazzeo ha riepilogato tutte le armi esibite da Leonardo in quell’occasione in un articolo su “Stampalibera.it” aggiungendo che per sapere se e cosa Leonardo riuscirà poi realmente a vendere agli organizzatori e ai visitatori del World Defense Show bisognerà attendere ancora del tempo. Di certo è che proprio alla vigila della kermesse il gruppo italiano ha ottenuto due importanti successi con le autorità saudite. Il 7 febbraio, in occasione del meeting organizzato ancora dall’Autorità Generale per le industrie militari (Gapi) per lanciare la Roadmap di promozione del capitale umano dell’industria bellica nell’ambito di Vision 2030, Leonardo ha firmato con i sauditi un accordo di collaborazione nel settore della ricerca e dello scambio di know how.

Infine notazioni interessanti provengono da un articolo di “AfricaExpress”, dove si leggono nomi ricorrenti nel mondo della produzione delle armi (come si può rilevare dalla lista riprodotta qui di seguito che riporta nomi che in questo testo sono tutti citati), ed è straniante rilevare come Russia e Ucraina si trovino fianco a fianco in questa rassegna di “sporchi affari”, in quanto due tra i massimi produttori di armi al mondo:

«Tra le aziende blue chip presenti al Wds ci sono il gruppo brasiliano aerospaziale e della difesa Embraer, i giganti statunitensi Raytheon, General Dynamics e Lockheed Martin (che ha già annunciato di voler investire in Arabia Saudita più di 1 miliardo di dollari nella produzione militare) e il produttore britannico Rolls Royce. Tra i tanti espositori a contendersi la clientela anche aziende militari Russe (Almaz, IBZ, Rostec, Technodinamika, Rosoboroneexport, Russian Defence Export) e aziende miliari Ukraine (STM, STE, Progress)».

100%

Avanzamento



Die letzten Tage der Menschheit

Leader mondiali e nazionali del traffico di armi.

La corsa agli armamenti e i sistemi di addestramento. La sofisticazione della millenaria Arte della Guerra trasformata in Guerra di Robot attraverso il coinvolgimento di laboratori di ricerca… attenzione “Guerra di Robot” non “Guerra tra Robot”: i droni uccidono umani. Alcuni di questi punti si trovano in questo intervento di Antonio Mazzeo su Radio Blackout:

“Utopia del contingente da disarmare”.

GENNAIO FEBBRAIO APRILE MAGGIO GIUGNO LUGLIO AGOSTO SETTEMBRE OTTOBRE NOVEMBRE Traffico 2022

Marzo

29 marzo

  • Secondo “Athens News” la Grecia ha firmato un’alleanza difensiva con la Francia, in base alla quale ha acquistato 24 aerei (diciotto+6) Rafale di quinta generazione e 6 navi da guerra: 3 fregate Belharra e 3 corvette classe Gowind. I primi 6 aerei sono già arrivati in Grecia. La commessa è di 4 miliardi che si vanno ad aggiungere ai 3,4 miliardi dell’accordo di gennaio per la fornitura di altri 18 Rafale.
    L’incrociatore corazzato Georgios Averof è la nave più gloriosa della flotta greca, attualmente una nave museo nel parcheggio eterno di Paleon-Faliron nel sud di Atene, teatro di questa lugubre pantomima della firma.

    Battleship Averof, nave museo

    Battleship Averof è il luogo in cui sono state apposte le firme dei ministri della difesa greco Nikos Panagiotopoulos e francese Florence Parly

    L’intesa arriva mentre Atene rafforza le sue Forze Armate in risposta alle tensioni con la vicina Turchia. I caccia Rafale saranno venduti dalla società Dassault Aviation e saranno consegnati a partire dall’estate del 2024, portando la flotta dell’aeronautica militare ellenica a 24 Rafale; inoltre la marina greca acquista con questo stesso contratto tre fregate francesi Belharra di classe FDI, che saranno costruite dall’appaltatore della difesa Naval Group a Lorient, nella Francia Occidentale. La consegna è prevista entro il 2026.


26 marzo

  • “The Economist” ha annunciato il prossimo utilizzo in Ucraina di bombe volanti delle dimensioni di una baguette.
    I machisti sarmatici potranno applicarsi a una nuova canzone sciovinista, inneggiante stavolta agli Switchblade, i missili suicidi inclusi tra gli ordigni che gli Usa stanno inviando a Kyiv, dopo l’annuncio fatto da Biden il 16 marzo, relativo alla spedizione di 100 droni utili per il contenimento dell’avanzata delle truppe di terra.
    Si tratta dei droni prodotti da AeroVironment, con una precisione millimetrica e molto più sottili dei Javelin della canzone.

    La differenza tra Javelin e Switchblade è data dal fatto che il primo viene programmato per colpire un bersaglio, mentre la nuova fornitura riguarda missili che possono volare verso una pletora di potenziali bersagli e l’operatore può scegliere il più appetitoso da distruggere attraverso telecamere e rilevatori termici all’infrarosso che trasmettono via Gps le immagini. Ci sono due modelli di queste “munizioni predatrici”, entrambi in grado di confondere i radar, di interfacciarsi con altri droni e sono configurabili in pochi minuti attraverso un tablet. Rispetto ai Bayrakhtar TB2 turchi la differenza è nelle dimensioni e nel bisogno di piste di atterraggio dei velivoli costruiti ad Ankara.

    Lo Switchblade 300 è il più piccolo. Misura circa 30 centimetri e pesa quasi 2 chili e mezzo, vengono lanciati da un piccolo tubo simile a un mortaio. Con un attacco di precisione e munizioni avanzate; hanno una portata di 10 chilometri e un’autonomia di 15 minuti. La loro velocità di crociera è di 101 chilometri all’ora e la loro velocità operativa è di 161 chilometri all’ora. Volano a un’altitudine inferiore ai 152 metri. La loro testata, delle dimensioni di una granata, è efficace contro i veicoli non corazzati e i gruppi di truppe; non può penetrare la corazza dei carri armati.

    lo Switchblade 600 è più grande e più efficace contro bersagli corazzati: pesa 10 volte tanto e misura 1,3 metri; dotati di un attacco di precisione con una testata anticarro, l’altitudine operativa è meno di 200 metri,con una portata di 40 chilometri e un’autonomia di volo di 40 minuti. Le velocità di crociera e di corsa sono 113 e 185 chilometri all’ora, rispettivamente.


25 marzo

  • L’improvvisamente atlantista Erdoğan, nel pieno della sua trasfigurazione diplomatica: globale sull’Ucraina come emissario degli interessi Nato; medio orientale della normalizzazione con i paesi del golfo; le nuove relazioni distese con Israele e la riconciliazione con gli Emirati per spartirsi Libia e Corno d’Africa. In una fase simile non si possono non riallacciare gli accordi firmati nel 2018 per acquisire il sistema franco-italiano di difesa aerea e missilistica a lungo raggio SAMP/T, che erano stati interrotti per l’ostilità francese nei confronti di Ankara. E infatti “Daily Sabah” riferisce della ripresa degli incontri per l’acquisto. Il sistema è particolarmente versato nell’annientamento di Stealth, droni e missili; basato sul nuovo missile intercettore ASTER 30 B1NT, con capacità d’ingaggio anche di missili balistici a medio raggio, categoria NODONG/SHAHAAB-3, e sul nuovo radar ci sarà il Thales GF-300 della Dassault Aviation.

    Samp/NT

    Il consorzio Eurosam è composto dal produttore europeo di missili MBDA, a sua volta una joint venture tra l’Airbus e l’italiana Leonardo e la britannica BAE Systems, e l’appaltatore francese della difesa Thales, i cui principali azionisti sono lo stato francese e il produttore di jet da combattimento Dassault Aviation.


24 marzo

  • In Cina, con l’avanzamento della ricerca ipersonica a Mach 8 e oltre, la quantità di dati sperimentali da elaborare e analizzare è aumentata significativamente, Quindi i ricercatori stanno costruendo un sistema di intelligenza artificiale (AI) che può progettare nuove armi ipersoniche da solo, identificando le onde d’urto che si verificano nei test della galleria del vento per simulare le condizioni di volo estreme, anche se non hanno ricevuto istruzioni su cosa cercare.

    Secondo il team di ricerca guidato dal professor Le Jialing del China Aerodynamics Research and Development Centre di Mianyang, nel Sichuan, che ha pubblicato i suoi risultati il 16 marzo nel “Journal of Propulsion Technology”, una pubblicazione peer-reviewed gestita dall’industria cinese della difesa aerospaziale, senza intervento umano, la loro macchina AI, basata su una scheda grafica a basso costo di tre anni fa, ha impiegato circa 9 secondi per elaborare un’immagine e ha costruito una base di conoscenza propria per aiutare lo sviluppo di nuovi motori per missili ipersonici o aerei che potrebbero percorrere distanze maggiori a velocità molto più elevate.

    L’informazione del “South China Morning Post” del 24 marzo è stata ripresa dalla rivista “AI Supremacy” 4 giorni dopo. Questa conoscenza permetterebbe all’AI di prevedere il verificarsi di onde d’urto e di elaborare progetti di armi ipersoniche per controllare meglio il flusso d’aria: la precisione delle armi ipersoniche potrebbe essere migliorata di più di 10 volte se il controllo venisse tolto dalle mani dell’uomo e dato a una macchina. A.I. come ingegnere capo, generale capo e capo delle comunicazioni alla fine per “programmi speciali militari”, proprio alla fine diventa un gioco da ragazzi. Ciò significa che l’I.A., man mano che diventa più sofisticata, diventa anche esponenzialmente più pericolosa per il mondo.

    L'Intelligenza artficiale soppianta i tecnici e può accelerare di 10 volte l'analisi delle sperimentazioni nella galleria del vento

18 marzo

  • Janes” ha annunciato che il Niger ha ordinato veicoli corazzati APC dalla Nurol Makina da aggiungersi ai droni Bayraktar TB2 e agli aerei d’addestramento e attacco leggero Hurkus. Mohamed Bazoum, il presidente del Niger era stato in Turchia all’inizio di marzo visitando gli stabilimenti Baykar, che fabbricano i TB2, e poi alla Havelsan, alla Turkish Aerospace, alla Aselsan, e anche Roketsan, specializzato nella fabbricazione di missili e razzi intelligenti.

    Il Niger è la terra dei traffici illeciti: denaro, droga, armi, esseri umani. Un paese che ha fatto dell’illecito la ragione dei propri guadagni; il paese più povero al mondo, ma, Mohammadou Issoufou, ex presidente nigerino aveva speso milioni e milioni di dollari per acquistare armi, elicotteri e aerei da combattimento russi e francesi, tradendo la sua piattaforma elettorale di stampo progressista che lo ha portato al vertice dello stato, impoverendo ancora di più la sua gente. Il neoeletto Mohamed Bazoum va nella stessa direzione, non a caso sul finire del 2021 ha acquistato dalla Turchia nuovi droni. L’impegno e le spese militari prevalgono su tutto, pur di mantenere i privilegi ereditati dal suo predecessore e allora si aggiungono altri denari sperperati in questo Apc.

    APC-Nurol

    Bazoum mentre ispeziona gli Ejder Yalçin dotati di stazioni d’arma Aselsan Serdar, ma dipinti con la mimetica usata dal Comando congiunto delle forze speciali del Qatar, che ne ha fatto un grosso ordine.

17 marzo

  • Il “Daily Sabah” ha scritto che l’esercito indonesiano ha ricevuto dalla Turchia il primo lotto di Kaplan MT/Harimau Hitam medium weight tank prodotto congiuntamente da FNSS Savunma Sistemleri di Ankara e dall’indonesiana PT Pindad, con la collaborazione dell’azienda belga costruttrice della CMI Defence Cockerill® 3105, una torretta integrata sul blindato ed equipaggiata con un cannone ad alta pressione da 105 millimetri Cockerill® CT-CV 105HP; è anche dotato di un sistema IFF, Hunter Killer System per la selezione del bersaglio, e Auto Target Locking System per assistere il puntatore, inoltre il serbatoio può resistere a proiettili AP 14,5×114mm a 200 metri con 911 m/s di velocità. Il ventre del serbatoio utilizza lo scafo a V, in grado di resistere a 10 kg di mine AT sotto i cingoli e sotto il centro.
    Kaplan in turco è sinonimo di Harimau che in indonesiano significa “Tigre”.
    Si tratta della prima esportazione di carri armati dalla repubblica di Turchia dopo l’embargo tedesco sui cingolati di Ankara dovuto alle operazioni belliche in Rojava: infatti in precedenza l’industria bellica FNSS montava sul carro armato MBT motori diesel da 1500 cavalli della MTU Friedrichshafen GmbH, ora sostituito dal motore della sudcoreana Defense Industries (SSB).


15 marzo

  • “DefenseNews” dà notizia che il Dipartimento di Stato approva la possibile vendita di 8 elicotteri MH-60R prodotti dalla Lockheed Martin Rotary and Mission Systems alla Marina spagnola a fronte di un preventivo di spesa di 950 milioni di dollari. La vendita includerebbe anche una gamma di armi e sistemi – missili Hellfire aria-superficie, 100 sezioni di guida WGU-59/B Advanced Precision Kill Weapon System (APKWS) II, apparecchiature di comunicazione, 4 sonar a bassa frequenza (ALFS), radar multimodo APS-153, boe soniche e 20 motori T-700-GE-401C – per consentire la guerra di superficie, la guerra antisommergibile e la guerra elettronica da questi elicotteri già basati sulle navi della US Navy, della Royal Danish Navy, della Royal Australian Navy, della Royal Saudi Naval Forces, della Marina ellenica. Nel 2021 anche la Corea del Sud e l’India hanno opzionato questo MH-60R-Romeo, che sarebbe particolarmente adatto al sistema di combattimento Aegis della Lockheed-Martin in dotazione alla fregata di difesa aerea della classe Álvaro de Bazán in forza alla Marina spagnola.



14 marzo

  • Scholz continua a far discendere le scelte tedesche da quelle della Nato. L’agenzia Reuters ha annunciato che la Luftwaffe adotterà gli F35 di quinta generazione in sostituzione dei vecchi Tornado: la Bundeswehr – secondo quanto riportato da “Aviation Report” possiede ancora 93 Tornado, dopo aver ricevuto originariamente un totale di 357 unità, dei quali 83 sono ancora operativi ma il loro utilizzo sta diventando sempre più costoso. Infatti l’opzione americana ha avuto successo in quanto il caccia della Lockheed-Martin è più adatto in uno scenario di “nuclear sharing”, in base a quanto previsto dalla “condivisione nucleare” tra paesi della Nato: cioè sono predisposti a caricare ordigni nucleari.
    E questo acquisto di 35 velivoli (secondo il calcolo di “Deutsche Welle”)  fa seguito all’innalzamento del budget degli stanziamenti per la Difesa tedesca, innalzati a 70 miliardi di euro (il 2 per cento del pil annuo), a cui si aggiungono 100 miliardi di fondo speciale. Con questa potenza armata Berlino si prospetta come base per il costruendo esercito europeo comunitario. E cominciano dagli F-35 assemblati a Cameri (Novara).


I caccia F35 Lightning II - Lockheed-Martin

9 marzo

  • La Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha superato il 9 marzo le controversie politiche che avevano ritardato l’approvazione del finanziamento del sistema di difesa missilistica israeliano Iron Dome per una somma di 1 miliardo di dollari. A riferirlo con soddisfazione è stato il giorno successivo “The Times of Israel”. Il denaro finanzierà missili intercettori per quel sistema difensivo che si è contrapposto ai 4300 razzi sparati da Hamas in 11 giorni nel 2021, annientandone il 90 per cento.

    Il governo di Zhelensky aveva chiesto a più riprese il sistema in previsione dell’invasione russa, ma senza successo per il timore di Bennett che si potessero danneggiare le relazioni israeliane con Mosca: infatti “EurasianTimes” riporta che fu Tel Aviv a fermare un tentativo degli Stati Uniti di trasferire batterie di missili Iron Dome all’Ucraina.

    Agenzia Nova” fornisce le specifiche tecniche del sistema: creato dalle aziende israeliane, Rafael Advanced Defense Systems e Israel Aerospace Industries, con il sostegno degli Stati Uniti, l’Iron Dome è diventato operativo nel 2011. Israele ha ora dieci batterie dispiegate in tutto il paese, ciascuna con tre o quattro lanciatori in grado di sparare 20 missili intercettori. Il sistema ha poi subito evoluzioni fino ad essere adattabile alle operazioni navali.

    La Camera statunitense ha inoltre approvato un finanziamento annuale alla difesa israeliana di 3,8 miliardi di dollari per la sicurezza senza scopo di lucro.


Iron Dome, sistema di protezione missilistica in dotazione a Tzahal, pagato dal governo americano

7 marzo

  • Il 7 marzo a Sidney il governo australiano ha annunciato un preventivo di spesa di almeno 7,4 miliardi di dollari americani per la costruzione di una nuova base sulla costa orientale che possa ospitare la nuova flotta di sottomarini a propulsione nucleare, frutto dell’accordo Aukus, che il 15 settembre aveva spinto gli australiani a stracciare il contratto siglato con Parigi per la fornitura di 12 sommergibili Barracuda a propulsione diesel/elettrica del costo di 56 miliardi per mettere in conto l’acquisto dagli Usa (o dalla Gran Bretagna) di 8 sottomarini a propulsione nucleare nell’ambito dell’accordo trilaterale Aukus (Australia, Uk, Usa).

    Ne dà notizia South China Morning Post; l’esistenza della nuova base prevista per il 2040 non contempla la chiusura di quella occidentale nei pressi di Perth che ospita i vecchi SSK Collins (varati nel 1996), per i quali è previsto uno stanziamento per l’ammodernamento. A breve la Royal Australian Navy comunicherà se la scelta sarà caduta su gli Astute della Royal Navy, oppure i Virginia in servizio presso la US Navy.
    Il motivo per la scelta di tempi per l’annuncio è rivelato indirettamente dalle parole del premier australiano Scott Morrison per il quale la
    guerra in Ucraina si estenderà inevitabilmente all’Indopacifico: «Stanno crescendo la militarizzazione dell’area e gli attacchi alle democrazie liberali nella regione Asia-Pacifico e l’Australia deve affrontare l’ambiente di sicurezza più difficile e pericoloso degli ultimi 80 anni. Ci saranno anche vantaggi significativi per l’industria locale e nazionale nel supportare la nuova base e la flotta di sottomarini a propulsione nucleare». A lui fa eco Andrew Shearer con l’affermazione che il presidente cinese Xi Jinping sembra pianificare di dominare la regione Indo-Pacifica e usarla per dare luogo a un “arco di autocrazia” che sta rimodellando il mondo.



6 marzo

  • La KCNA, agenzia nordcoreana di informazione annuncia che sabato 5 marzo è avvenuto un secondo test di lancio di razzi in una settimana. L’esperimento si colloca nell’ambito dei sistemi satellitari di ricognizione per nascondere il collaudo di missili balistici vietati dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. L’esercito sudcoreano ha affermato che il missile nordcoreano lanciato da Sunan ha raggiunto un’altezza di circa 560 km e ha volato per 270 km verso il mar del Giappone. “South China Morning Post” ricorda che questi blitz di test di armi riprendono dopo un mese di relativa calma durante le Olimpiadi invernali di Pechino, e mentre il mondo sta concentrando sull’Ucraina ogni attenzione. Il lancio di domenica è il nono di Pyongyang finora quest’anno, compreso il test del suo missile più potente dai negoziati del 2017.
    La Corea del Nord, inoltre, continua presumibilmente a produrre materiali fissili per armi nucleari nel suo principale Centro di ricerca scientifica nucleare di Yongbyon. È quanto ritiene il sito web di monitoraggio statunitense “38 North”: «Le recenti immagini satellitari commerciali del Centro indicano la produzione in corso di materiale fissile, sia plutonio che uranio arricchito; queste attività, così come la graduale espansione e l’evidente occupazione di alloggi per il personale negli ultimi anni, suggeriscono tutte che il complesso è pronto per l’espansione».



4 marzo

  • Il servizio di notizie di difesa internazionale “Battlespace” annuncia l’attesa scelta della marina polacca che aveva indetto una gara per l’acquisto di una nuova classe di fregate. Se l’è aggiudicata il progetto britannico Arrowhead 140 di Babcock International.

    L’azienda londinese ha detto di aver concluso una serie di accordi di partenariato di cooperazione strategica con il consorzio PGZ-Miecznik responsabile della consegna di tre fregate dai cantieri navali della città portuale polacca di Gdynia. Anche i fornitori di sistemi chiave nel programma Miecznik sono coinvolti: Thales UK, insieme al suo partner locale OBR CTM, fornirà il sistema di gestione del combattimento Tacticos, mentre il missile Sea Ceptor di MBDA UK fornirà capacità antiaeree.
    La decisione a favore di Babcock significa che è stata declinata la proposta Meko A-300PL di ThyssenKrupp Marine Systems. Un segnale di rivalità tra le due nazioni mitteleuropee, che affonda nella storia di infiniti conflitti tra nazionalismi locali durante i quali le popolazioni sarmatiche, dei Carpazi e anche dei Sudeti si sono sempre sentite schiacciate tra Prussia e Russia.


Babcock sta costruendo cinque fregate di tipo 31 per la Royal Navy britannica utilizzando la piattaforma Arrowhead 140. E l'anno scorso pure l'Indonesia ha selezionato la Arrowhead 140 per il prossimo programma di fregate

3 marzo

  • Moses Khanyile, coordinatore del Consiglio Nazionale dell’Industria della Difesa sudafricano (Ndic), ha informato il 3 marzo il Comitato Permanente Congiunto sulla Difesa che erano state superate le remore morali alla vendita di armi verso alcuni paesi del Medio Oriente (Eau, Turchia, Oman, Arabia saudita) per i quali le consegne erano bloccate dal 2019, quando il National Conventional Arms Control Committee (Ncacc, l’organismo di controllo che il Sudafrica di Mandela si è dato a causa della tradizionale esportazione di armi immorali dell’epoca dell’apartheid) insisteva nella pretesa di verificare che i compratori non vendessero le armi a terzi belligeranti (per esempio in Yemen); il sito “Defenceweb”, vicino al ministero della Difesa sudafricano, compiaciuto ha dato notizia che sono stati così subito sbloccati 5,5 miliardi di rand in prodotti bellici da consegnare a emiratini e sauditi e altri 21 miliardi di euro di armi devono ancora essere destinati.
    Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti rappresentano almeno un terzo delle esportazioni di armi del Sudafrica e avevano rifiutato le ispezioni considerandole una violazione della loro sovranità e anche l’Oman e l’Algeria le avevano rifiutato, trovandosi con le importazioni bloccate. Contemporaneamente Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania hanno esportato in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti, tra il 2016 e il 2020, attrezzature per un valore di 135 miliardi.
    C’è stato un forte calo in termini di consumo locale di difesa, ora l’industria bellica di Pretoria può tornare a fare affidamento sulle esportazioni… in Yemen, senza infingimenti.

Mortaio 120 mm Rheinmetall - Pretoria

Mortaio 120 mm Rheinmetall – azienda tedesca sussidiaria italiana su brevetto sudafricano; l’arma usata dai miliziani antihouthi nella strage dell’ospedale di Hodeida



3 marzo

  • Primo carico di armi consegnato dall’Italia all’Ucraina: tracciato da Italmiradar, il decollo di un C-130 dell’Aeronautica Militare italiana dallo scalo di Pisa e atterrato all’hub Nato in Polonia di Rzeszow Jasionka. A più riprese “PagineEsteri” ha portato l’attenzione su questa consegna a domicilio conto terzi. Nonostante i fumosi tentativi del ministero della Difesa italiano di occultare o perlomeno secretare l’entità e il dettaglio della spedizione di armi, Antonio Mazzeo già il 1° marzo aveva ricostruito almeno la tipologia, se non la quantità: missili terra-aria Stinger; missili Spike anticarro e elicotteri; missili antitank Milan e lanciarazzi tedeschi Dynamit-Nobel Panzerfaust 3; mitragliatrici MG 42/59 e Browing cal. 12,7; munizioni calibro 7,62 Nato; sofisticati apparati elettronici “anti-IED” per individuare ordigni nascosti.
    Questi ultimi – palesemente gli unici materiali bellici non letali – sono gli unici equipaggiamenti in consegna denunciati ufficialmente dal documento della Camera che autorizzava il 25 febbraio una spesa di 12 milioni di euro, messi a disposizione dal sito “Starmag

    Documenti ufficiali Camera deputati per le armi non letali

    Documenti ufficiali Camera deputati per le armi non letali consegnate al paese belligerante Ucraina

    Per il decreto del 28 febbraio – che estende anche lo stato di emergenza a fine anno – che stanzia 110 milioni non sono stati divulgati documenti in cui si specifichi di preciso quali armi letali invece vengono regalate a una nazione impegnata in un conflitto.
    Si era spergiurato nei giorni scorsi che nessun militare italiano avrebbe messo gli stivali sul terreno. Infatti “Il Sole 24 ore” informa che 500 unità di personale altamente addestrato scelto dal Comando operativo Forze speciali appartenenti agli incursori della Marina (Comsubin), Col Moschin, alle Forze speciali dell’Aeronautica e alla Task Force 45 si vanno ad aggiungere ai 400 uomini già impiegati sul fronte Est della Nato, ossia i 240 alpini in Lettonia e i 138 uomini dell’Aeronautica in Romania


2 marzo

  • Africa-Express” dà notizia che il 2 marzo si è tenuto il dodicesimo Comitato bilaterale Italia-Algeria del settore della difesa, il direttore nazionale degli Armamenti italiani generale di corpo d’armata Luciano Portolano, insieme all’omologo algerino, generale Mohamed Salah Benbicha, il cui scopo principale era la firma su un protocollo di intenti per una joint venture tra Leonardo e l’azienda algerina Establissement Public de Caractère Industriel/Establissement de Developement des Industries Aeronautiques (Epic/Edia) per la realizzazione di uno stabilimento di elicotteri da guerra a Aïn Arnat, nella provincia di Sétif.Il Comitato bilaterale trae origine dall’accordo nel settore della Difesa tra il governo della Repubblica Italiana e il governo della Repubblica algerina democratica e popolare, firmato a Roma il 15 maggio 2003. L’incontro ha anche avuto un momento di confronto sul conflitto in Ucraina (che ha visto l’astensione dell’Algeria). L’Algeria vede l’Italia come un importante partner di riferimento, dal punto di vista degli equipaggiamenti militari, sia per l’elevata affidabilità dei prodotti italiani e sia per la disponibilità delle industrie italiane ad avviare collaborazioni che prevedano la cooperazione mediante l’interscambio, il trasferimento di tecnologie e la formazione di equipaggi, di personale tecnico e delle maestranze in Algeria…. Invece l’Italia vede l’Algeria come una prateria di gas alternativo alle pipeline che riforniscono di gas russo i serbatoi italiani, forse in cambio di tecnologie belliche (eventualmente utili per un’ipotetica guerra contro il Marocco per la questione del Saharawi)?

1° marzo

  • L’esercito statunitense aveva stanziato 50 milioni di dollari nel progetto dell’anno fiscale 2022 avviato per sviluppare una tecnologia da integrare negli armamenti in dotazione dell’esercito entro il 2023, basata sullo sviluppo e integrazione di un emettitore di microonde ad alta potenza (High-power Microwaves – HPM) in grado di neutralizzare droni in volo singolo o in stormo. Il prototipo aveva evidenziato problemi nel contenimento degli effetti collaterali di questi intercettori.

    L’arma conosciuta come THOR – ovvero Tactical High Power Operational Responder – era stata presentata già alla Kirtland Air Force Base, New Mexico, nel febbraio 2021: un’arma contraerea specificamente indirizzata all’annientamento di droni attraverso onde elettromagnetiche. “The Defense Post” ne aveva accennato nel giugno 2021,

    Il 1° marzo 2022 sempre “The Defense Post“, ha dato notizia che l’Air Force Research Laboratory ha assegnato a Leidos Inc. un contratto da 26 milioni di dollari per la prossima generazione di controdroni, chiamato da Adrian Lucero (il responsabile del progetto per Afrl) significativamente Mjölnir, che sarebbe il mitico martello di Thor nella saga scandinava, questo sistema userà la tecnologia di THOR, con miglioramenti che secondo l’AFRL lo renderanno più capace e affidabile: con una gamma migliorata e una tecnologia per rilevare e seguire i droni: i militari abbatterebbero i droni anche con pallottole tradizionali, ma le raffiche radio hanno un raggio d’azione più ampio, sono silenziose e istantanee.


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La guerra è venuta con le armi: 24 febbraio 2022 invasione dell’Ucraina

Era nell’aria come un drone, la preparazione dell’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina erano chiari; forse i calcoli geopolitici sono stati sbagliati, non considerando il fattore umano o l’improvviso interesse pretestuoso dell’Occidente a cavalcare l’opportunità di smerciare armi e fondare l’esercito europeo, sottraendo risorse allo stato sociale.
Certo invece che chi ha scatenato il delirio bellico contava su numeri ben precisi di ordigni e sistemi di offesa per una guerra novecentesca, fatta di blindati, tank, mezzi di trasporto truppe (un esercito ben equipaggiato di 150.000 uomini) risalenti ancora all’Urss, la cui linea cupa e inquietante è inconfondibile. Però l’armata russa può contare su armi di fattura recentissima, dotate di tecnologie sofisticate, come il Sukhoi-57 “Felon”, un caccia invisibile multiruolo di V generazione con cannoncino frontale, usato in Siria, integrato dal drone da combattimento S-70 Okhotnik. E poi ci sono i missili ipersonici Zircon (in dotazione sui sottomarini con una gittata di 620 miglia) e Kinzhal (montati sui Mig-16), che volano a una velocità superiore a Mach 5 (cioè 9 volte più veloce del suono) e i razzi termobarici TOS-1, che contengono solo carburante e sfruttano l’ossigeno dell’atmosfera come ossidante; il TOS-1 opera in due fasi: nella prima, l’ordigno disperde idrocarburi affinché si crei una miscela nell’aria; una volta innescata, avviene la seconda fase per cui l’aerosol infiammabile brucia rapidamente e crea una violenta corrente d’aria diretta verso il centro di una depressione creata proprio dall’ordigno. Sono sufficienti pochi millisecondi per fare sì che la nuvola si incendi, crei l’esplosione e la conseguente onda d’urto; e riesce a infiltrarsi in ripari e tunnel.
I sistemi balistici lanciati da terra, da sottomarini vanno a unirsi ai bombardieri strategici come unico strumento di deterrenza che ha Mosca: l’RS-28 Sarmat.

100%

Avanzamento

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Febbraio

24 febbraio

  • Oltre alle sanzioni sbandierate reciprocamente nel contesto della Guerra ucraina nello scacchiere indopacifico quelle registrate da “The Defense Post” che sono state imposte dalla Cina a Lockheed Martin e Raytheon Technologies per aver venduto a Taiwan manutenzione e supporto alle batterie missilistiche di difesa anitiaerea Patriot e per la proroga della manutenzione dei missili antinave a volo radente del sistema di difesa costiera Harpoon, secondo una discussa interpretazione dell’accordo del 1979 (Taiwan Relations Act) che regola la fornitura di armi al governo di Taipei. Un contratto da 100 milioni di dollari ratificato dal Dipartimento americano il 7 febbraio.

    Scaramucce, punte di spillo in un’area dove l’accumulo di armi, interessi e rapporti di forza hanno una portata ben maggiore del Risiko carpatico, a cui però si possono correlare attraverso la corsa al riarmo globale.


24 febbraio

  • Il portavoce di Umex e Simtex, Abdulnaser Al Humeidi (colonnello delle forze aeree degli Emirati) ha informato “Breaking Defenseche il ministro della difesa emiratino ha annunciato  durante la quinta edizione di Umex – la fiera delle armi di Abu Dhabi – l’acquisto di 12  addestratori avanzati L-15 della cinese Chinese National Aero-Technology Imports and Export Corporation (Catic), che si possono convertire in velivoli per combattimento leggero, con l’opzione per altri 36; con un carico utile di 3000 chilogrammi, l’aereo L15 ha sei punti di attacco per armi e può trasportare esternamente anche missili aria-aria, missili aria-superficie e bombe a guida di precisione.
    Gli Emirati avevano già interrotto l’esclusività occidentale delle forniture belliche nel 2017, quando gli Usa rifiutarono la consegna di Ucav perché Abu Dhabi li impegnava nella guerra in Yemen. Anche allora si erano rivolti a Pechino (comprando droni da combattimento Wing Loong II del gruppo cinese Chengdu Aircraft Industry Group) e a maggior ragione si ripetono stavolta che Biden ha subordinato la vendita di F-35 e MQ-9B alla cancellazione della rete 5G di Huawei.




21 febbraio

  • Il Marocco ha acquisito un nuovo sistema di difesa aerea che svolge funzioni di antimissile nel raggio di 150 chilometri. Riportato da molte testate giornalistiche, sia internazionali – come l’interessato “Globes, Israel business news”– che spagnofone (“El Espagnol”), anche perché si è scatenato un dibattito nel parlamento madrileno, visto che la collocazione del Barak MX è nei pressi dell’enclave di Ceuta, minacciando il territorio spagnolo. l paese maghrebino avrebbe investito più di mezzo miliardo di dollari nel sistema israeliano di difesa da qualsiasi minaccia aerea, dunque anche efficace contro i droni; si compone di tre parti. Nella cupola del sistema si trova la prima che gestisce una immagine aerea multispettro, coordinando le reti di operazione, impostando il lancio; la seconda parte del sistema è l’intera matrice di radar incorporati, a cui è demandato il compito di individuare la minaccia aerea; infine la componente deterrente fornita da Israel Aerospace Industries è costituita da missili a lancio verticale con copertura a 360 gradi, a intervento rapido e un radar di radiofrequenza in grado di cogliere anche oggetti in volo radente: il Barak MRAD può colpire nel raggio di 35 chilometri, il Barak LRAD arriva a 70 e infine il Barak ER colpisce a 150 chilometri di distanza (valido contro aerei da caccia, o missili da crociera come balistici).

    La collaborazione tra Israele e Marocco si allarga alla fabbricazione di droni suicidi in territorio marocchino, che si va ad aggiungere agli impianti per lo IAI Heron, un drone di spionaggio già operativo dal 2020: cioè da quando sono riprese le tensioni con l’Algeria, tanto che in febbraio la frontiera è stata militarizzata da ambo i lati. Le Forze armate reali (Far) hanno recentemente inaugurato la “Zona Est”, perché sia consentita una maggiore fluidità e libertà d’azione all’esercito (“Jeune Afrique”)




20 febbraio

  • Secondo un’agenzia “Reuters” del 20 febbraio il Dipartimento di stato statunitense ha chiarito che è consentito alle repubbliche baltiche trasferire missili e altri ordigni all’Ucraina; l’accordo per consegnare a paesi terzi armamenti permette alla Estonia di rifornire i missili anticarro a guida infrarossi FGM-148F Javelin, mentre alla Lituania di trasferire i missili Stinger all’Ucraina. Le repubbliche baltiche hanno recentemente visitato Kiev promettendo armi e il governo di Biden ha approvato a dicembre 200 ulteriori milioni di dollari per l’assistenza militare all’Ucraina da estrarre dai magazzini statunitensi (le guerre servono per smaltire gli arsenali.

    Il 21 dicembre 2021 il Dipartimento di stato statunitense aveva approvato la potenziale vendita di 30 sistemi anticarro Javelin e 341 missili FGM-148F alla Lituania per un valore di 125 milioni di dollari in previsione della crisi russo/ucraina.



FGM-148 Javelin della Lockheed Martin (LMT.N) e Raytheon Technologies (RTX.N)

18 febbraio

  • DefenseNews” ha riportato dal Singapore Airshow che si prospettano nuovi affari per il C-130J Super Hercules della Lockheed, che nella sua ultima versione ottiene una promettente attenzione in particolare da parte di potenze regionali come Indonesia (che ha appena fatto incetta di attrezzature belliche da Francia e Usa) e Nuova Zelanda: 5 apparecchi a testa sarebbero gli ordini che si vanno ad aggiungere ai 495 velivoli consegnati negli ultimi 6 decenni. A questi si vanno ad aggiungere altre potenze locali interessate all’acquisto: Bangladesh, India, Corea del Sud e Australia; quest’ultima avrebbe avviato una trattativa per 24 C-130J e anche per 6 carri armati KC-130J, sempre di fabbricazione Lockheed. La Thailandia avrebbe opzionato 3 tranche di 4 aerei ciascuna da qui al 2029.
    La domanda che sorge spontanea è a cosa si stano preparando i paesi dell’Indopacifico?



C-130J super Hercules

16 febbraio

  • Il 16 febbraio durante un’apparizione in video in occasione di una cerimonia religiosa il leader libanese di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha dichiarato che il gruppo sta producendo droni ed è in grado di trasformare migliaia di razzi in missili di precisione. La produzione sarebbe in risposta al crescente uso della tecnologia dei droni da parte di Israele, che ha spesso rivendicato l’abbattimento di droni di Hezbollah, l’ultimo episodio risaliva al 4 gennaio.
    Il 17 febbraio 2022
    un nuovo episodio della guerra di droni tra Libano e Israele: per 40 minuti un drone destinato a operazioni di spionaggio lanciato da Hezbollah sul nord di Israele è riuscito a dribblare il sistema di difesa, la cosiddetta cupola d’acciaio, ed è tornato alla base. In un tweet di Avichay Adraee, il portavoce militare dell’organizzazione sciita il drone ha le apparenze di un quadrirotore commercializzato dall’azienda cinese DJI Air 2S



Il drone di Hezbollah che il 17 febbraio ha aggirato la cupola di difesa di Israele, tornando poi alla base indenne

16 febbraio

  • Asia Times” ha lanciato l’allarme per un cargo della Qeshm Fars Airlines, una compagnia iraniana legata ai Guardiani della Rivoluzione sotto embargo decollato da Mashhad, che avrebbe di nuovo scaricato armi a Naypyidaw, dove è atterrato il 16 febbraio alle 9,24; era già stata segnalata una consegna il 21 gennaio per un altro carico di dotazioni belliche per Tatmadaw; il canale in lingua farsi “Tazheit Nizami” su Telegram paventava che si potesse trattare di una partita dei nuovi droni Qods Mohajer 6, utilizzati contro le milizie etniche.

  • Si tratterebbe soltanto di un’ulteriore aggiunta di forniture e tipologie di ordigno rispetto a questa solo parziale carrellata di sistemi di offesa acquistata dai militari birmani.

    Le forniture di varia provenienza in dotazione a Tatmadaw fino dal 2018 nella ricostruzione ufficiale dell’Ohchr, redatta dopo un anno dal golpe



15 febbraio

  • Martin Sonderegger è il capo dell’armamento della Federazione svizzera che ha guidato la delegazione di Armasuisse giunta a Cameri per incontrare l’omologo responsabile dell’approvvigionamento per l’esercito italiano, Luciano Portolano, in vista della dotazione di 36 F-35 Lightning II per l’Aeronautica di Berna per il valore di 7 miliardi, secondo le indiscrezioni di “Formiche”.
    Dopo l’Olanda sarebbe il secondo paese europeo a produrre i propri caccia su licenza della Lockheed-Martin nello stabilimento novarese, dove il valore del programma F-35 è stato ribadito anche dal Documento programmatico pluriennale (Dpp) della Difesa per il triennio 2021-2023, firmato ad agosto del 2021 dal ministro Lorenzo Guerini.

I caccia F35 Lightning II - Lockheed-Martin

13 febbraio

  • Una fornitura di missili antiaerei Stinger dalla Lituania ha raggiunto l’Ukraina; si aggiunge nelle agenzie che il ministero della Difesa ucraino consiglia di circumnavigare il Mar Nero, attribuendo la cautela alle esercitazioni navali russe che si svolgono lì. La premier lituana Ingrida Simonyte ha fatto una conferenza stampa al confine con la Bielorussia (Kapciamiestis), mentre sui palazzi di Vilnius garrivano le bandiere della Nato, la cui posizione non risulta comunque univoca. La consegna era annunciata dal 10 febbraio su “U.S.News
    «Se la Russia invadesse l’Ucraina, i lituani sarebbero costretti a chiedersi: siamo noi i prossimi? Nel 2008 il governo lituano aveva abolito la leva obbligatoria, ma nel 2015, un anno dopo l’invasione della Crimea da parte della Russia, l’ha reintrodotta. La bandiera blu con la rosa dei venti bianca dell’Organizzazione del trattato dell’Atlantico del Nord sventola davanti al palazzo del presidente Gitanas Nauseda». (Giulia Pompili, Ai confini della Democrazia, “Il Foglio”, 14 febbraio 2022: un articolo che rilancia il parallelismo tra Taipei e Vilnius nel quadro della guerra della Nato ai regimi autocratici)

Missile manuale terra-aria Stinger antiaereo fornito dal membro Nato Lituania all'Ukraina

10 febbraio

  • «C’est officiel: l’Indonésie commande 42 Rafale»


    Rilanciato da “l’Usine Nouvelle”, il tweet proviene dalla ministra della Difesa francese che poi ha proseguito precisando che si è avviata una cooperazione con Giacarta, che ha ordinato 42 aerei da caccia multiruolo Rafele e 2 sottomarini convenzionali d’attacco Scorpène del costo totale di 8,1 miliardi. L’accordo annunciato sui social a così alto livello è stato firmato dall’Amministratore delegato di Dassault Aviation, Eric Trappier, e prevede una consegna chiavi in mano, comprensiva di un sostegno logistico e un centro di addestramento attrezzato con due simulatori. L’accordo arriva quando Parigi, che si considera una potenza marittima globale, cerca di espandere i suoi legami geopolitici nell’Indo-Pacifico per reagire alla creazione della nuova alleanza strategica tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia; per questo la ministra Parly ha sottolineato l’accordo anche sui sommergibili ed Emanuele Giordana ha iniziato il suo articolo su “L’Atlante delle Guerre” proprio rievocando l’Aukus e spiegando come mai Subianto intenda triplicare la sua dotazione di sottomarini, nonostante Widodo propenda all’’equidistanza tra i contendenti nell’Indopacifico.

Sottomarino convenzionale francese Scorpène

10 febbraio

  • Reuters annuncia che il Dipartimento di stato degli Usa ha approvato la potenziale vendita di velivoli F-15ID e delle relative apparecchiature all’Indonesia, il 10 febbraio, in un accordo per un valore di 13,9 miliardi di dollari dove Boeing sarà l’appaltatore principale per gli F-15 e il pacchetto includerebbe 36 velivoli, motori di riserva, radar, addestramento per visori notturni e supporto tecnico. Come lo stesso giorno la ministra della Difesa francese annunciava la vendita di 6 Rafale, gli Usa rincorrono affermando che la proposta di vendita sosterrà gli obiettivi di politica estera e di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, migliorando la sicurezza di un importante partner regionale, ritenuto una forza per la stabilità politica e il progresso economico in un quadro aereo e marittimo molto complesso. Ma perché l’Indonesia ha bisogno di tutti questi ordigni? 

F15ID per l'Indonesia Boeing ne costruirà 16, ma perché l'Indonesia compra tutti questi ordigni volanti?

9 febbraio

  • Le Guardie rivoluzionarie iraniane (Irgc) hanno presentato il missile balistico strategico a lunga gettata, a combustibile solido, Khaybar Shekan. La notizia è stata annunciata dall’agenzia stampa “Tansim” non a caso alla vigilia della ripresa degli incontri per i negoziati di Vienna sul nucleare e durante i festeggiamenti per il 43esimo anniversario della vittoria della rivoluzione iraniana alla presenza del capo di stato maggiore delle FFAA, gen. Mohammad Baqeri. Il nuovo missile è in grado di mettere sotto tiro Israele e anche le basi americane nella regione, avendo una gettata di 1450 chilometri; il missile balistico ha una sua traiettoria predeterminata e un suo obiettivo, che possono essere guidati durante il volo per avvicinarsi il più possibile al bersaglio.




6 febbraio

  • Daily Sabah” ha ripreso una notizia diffusa da Anadolu News Agency: secondo quanto affermato da İsmail Demir, il presidente delle industrie della difesa turca (Ssb), questa ha consegnato al comando delle forze terrestri turche una nuova fornitura di droni Bayraktar-TB2 Sịha equipaggiati con il Common Aperture Targeting System (Cats), sviluppato dalla principale società di difesa Aselsan. La rilevanza è data dal fatto che il Cats è un sistema di ricognizione, sorveglianza e puntamento elettro-ottico ad alte prestazioni progettato per piattaforme aeree ad ala fissa e ad ala rotante, inclusi sistemi aerei senza pilota (Uas), elicotteri e aeromobili. In precedenza, i droni turchi utilizzavano sistemi elettro-ottici acquistati dall’estero, ma i relativi embarghi su tali esportazioni hanno portato le aziende del settore della difesa turca a sviluppare le apparecchiature con risorse locali all’interno del paese, secondo quanto affermato dal presidente delle industrie della difesa (Ssb) Ismail Demir.

4 febbraio

  • Il gruppo industriale Leonardo S.p.A. ha confermato al sito specializzato “Defense News” la consegna, pochi mesi fa, di sei caccia addestratori avanzati M-346 “Master” all’Aeronautica militare qatarina (a gennaio la notizia dell’addestramento su M-346 prodotti da Leonardo riguardava la messa a disposizione degli stessi per ufficiali egiziani). Leonardo aveva mantenuto segreta la vendita all’emirato, impegnato nella guerra yemenita.L’accordo tecnico Italia-Qatar è stato stipulato a Doha il 10 novembre 2020 e prevede la formazione dei qatarioti per i prossimi cinque anni nelle maggiori basi aeree italiane: Galatina, Decimomannu, Salto di Quirra.

3 febbraio

  • Il ministro della Difesa ucraino Oleksii Reznikov ha annunciato che è prevista la firma di un accordo per impiantare una fabbrica in territorio ucraino dove saranno prodotti motori per velivoli senza pilota di fabbricazione turca. Droni Bayraktar SİHA che Kiev aveva già acquistato e usato contro i separatisti filo-russi nell’Est.

Droni Bayraktar Siha turchi venduti all'Ukraina

3 febbraio

  • Il network qatariota Al-Arabiya ha reso noto che il Dipartimento di stato degli Usa ha approvato la vendita di 12 caccia F-16 C Block 70 della Lockheed Martin, tecnologie connesse e componenti di munizioni, compresi i kit di coda di missili guidati e relative attrezzature alla Giordania per un costo stimato di 4,21 miliardi di dollari; 31 terminali multifunzionali per sistemi di distribuzione di informazioni a basso volume (Mids-Lvt) per un massimo di 23,7 milioni di dollari sarebbero destinati all’Arabia Saudita per aggiornare i suoi sistemi di difesa missilistica; agli Emirati Arabi Uniti è stato approvato l’acquisto per 30 milioni di dollari di pezzi di ricambio e di riparazione per i suoi sistemi di difesa missilistica Homing All the Way Killer (Hawk).

terminali multifunzionali per sistemi di distribuzione di informazioni a basso volume (MIDS-LVT)

2 febbraio

  • L’Egitto acquista 200 obici semoventi K9, insieme a decine di veicoli di supporto – come i mezzi per il trasporto e rifornimento di munizioni K10 e veicoli K11 per il controllo della direzione di fuoco – dalla sudcoreana Hanwha Defense, gruppo numero uno dell’industria militare di Seul: l’accordo del valore di 1,7 miliardi di dollari è considerato storico, ma nasconde anche dinamiche politiche internazionali per evitare che il Cairo scivoli verso Cina e Russia nei giorni in cui Il Cairo si è visto bloccare una parte simbolica degli aiuti militari ricevuti annualmente dagli Stati Uniti. Ne ha dato notizia DefenseNews. L’artiglieria sudcorena è accettata negli standard Nato, di cui sia Egitto che Corea del Sud sono “major ally”, secondo la definizione della dottrina strategica del Pentagono – entrambi nominati nel 1987 da Ronald Reagan.

Obici semoventi K9 della sudcoreana Hanwa venduti all'Egitto di Al-Sisi

1° febbraio

  • A Muggiano, La Spezia Fincantieri spa consegna alla Marina Militare del Qatar il primo pattugliatore OPV – Offshore Patrol Vessel Musherib nell’ambito della commessa da 4 miliardi di euro che prevede anche un’altra unità gemella, 4 corvette e una nave d’assalto anfibia (fonte Analisi Difesa). Il Musherib ha una lunghezza di circa 63 metri, una larghezza di 9,2 metri, una velocità massima di 30 nodi, e può ospitare a bordo 38 persone di equipaggio.

  • Sempre a La Spezia giunge notizia dal parlamento che stanzierà 13,5 miliardi di euro per la realizzazione di una piattaforma galleggiante di 1300 metri quadrati  per l’addestramento dei baschi verdi alle incursioni marittime e subacquee all’estero del Comsubin della Marina militare

Il pattugliatore Musherib consegnato al Qatar da Fincantieri

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«Il segmento dei missili è proiettato verso un enorme incremento»

Nel gennaio del 2022 è stato pubblicato il rapporto relativo al mercato dei missili e razzi per velocità (subsonica, supersonica, ipersonica), produzione, tipo di propulsione (solida, liquida, ibrida, dinamoreattore, turbogetto e statoreattore), meccanismi di guida (con o senza pilota); e la proiezione verso il 2026 prevede un incremento di 4,8 per cento degli affari che passerebbero dai 58,3 miliardi di dollari del 2021 ai 73,8 del 2026

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Avanzamento

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Gennaio

31 gennaio

  • La formazione dei piloti di elicottero delle forze armate israeliane si svolgerà a bordo dei velivoli Agusta Westland AW119KX Koala prodotti nello stabilimento di Filadelfia (Usa) di Leonardo; in cambio dei mezzi di guerra di Leonardo, le forze armate italiane si sono impegnate ad acquistare tecnologia militare di produzione israeliana per lo stesso valore (molto probabilmente due aerei per le operazioni di intelligence e la guerra elettronica). Nello specifico gli israeliani doteranno i velivoli di produzione italiana con i pod di quinta generazione Litening-5 e RecceLite. L’annuncio è di “Italian Defense Technologies”, ripreso da Antonio Mazzeo sul suo blog.

    Ulteriori affari in Israele potrebbero arrivare in casa Leonardo dopo l’acquisizione del 25,1% del pacchetto azionario della società Hensoldt GmbH con sede a Monaco di Baviera, completata a inizio 2022. Hensoldt è una delle maggiori produttrici in Europa di sensori per missioni di sorveglianza, apparati d’intelligence e sistemi interamente automatizzati in campo terrestre, navale e aereo e vanta una lunga e consolidata cooperazione con IAI



30 gennaio

  • La Korean Central News Agency ha riferito di aver lanciato un missile balistico terra-terra Hwasong-12 “a medio e lungo raggio”. Il settimo test condotto nell’arco del mese di gennaio avviene dopo che lo scorso 19 gennaio  è stato deciso di riprendere «tutte le attività temporaneamente sospese», riferendosi apparentemente ai programmi per armi nucleari e missili balistici intercontinentali (Icbm) di Pyongyang. Si tratta del maggior numero di lanci missilistici nordcoreani in un solo mese, da quando Kim ha preso il potere alla fine del 2011. 

    Lo Hwasong-12 è stato classificato come un missile balistico a raggio intermedio (Irbm) con una portata di 3000-5500 km dalle autorità militari sudcoreane e statunitensi ed era già stato lanciato a settembre 2017. L’esercito sudcoreano ha detto che la prova è avvenuta nello Jagang, al confine con la Cina, e che ha volato per circa 800 km a un’altitudine massima di 2000 km prima di atterrare nel Mare Orientale


Scaduta la moratoria missilistica di Pyongyang: riprendono i test sui missili balistici: lanciati 7 Hwasong-12 in gennaio

28 gennaio

  • La cerimonia di consegna al Kuwait dei primi due cacciabombardieri Eurofighter Typhoon prodotti dal consorzio europeo Eurofighter GmbH (formato dalle holding Leonardo, BAE Systems e Airbus Defence & Space) si è svolta a Caselle il 9 dicembre 2021. Il mese successivo “Defensenews” riporta la notizia di un grosso scandalo scoppiato nel paese arabo per i prezzi gonfiati della fornitura di 28 caccia acquistati nel 2016 per 6,9 miliardi, quando i sauditi ne hanno comprati 72 per una cifra simile. L’addestramento di allievi piloti kuwaitiani sul caccia Eurofighter avviene presso il 4° Stormo di Grosseto, come informa l’articolo di Antonio Mazzeo per “Africa Express”

La corruzione nella vendita degli Eurofighter Typhoon al Kuwait da parte di Leonardo spa

25 gennaio

  • Il Dipartimento di stato americano ha approvato una possibile vendita al governo dell’Egitto di aerei C-130J-30 Super Hercules (capofila del contratto è Lockheed Martin) e relative attrezzature per un costo stimato di 2,2 miliardi di dollari. La Defense Security Cooperation Agency ha consegnato il 25 gennaio la certificazione richiesta che notifica al Congresso questa possibile vendita. E “Anbamed” informa che questa proposta di vendita è stata recepita dal Congresso l’11 marzo 2022. Un gruppo di senatori democratici avevano chiesto di condizionare le esportazioni di armi al rispetto dei diritti umani al Cairo. La vendita – comprensiva anche di 12 motori a turboelica Rolls Royce AE-2100D, 30 Embedded GPS/INS, 7 sistemi di distribuzione delle informazioni multifunzionali e altre attrezzature ed elementi di supporto logistico e di programma –è stata autorizzata con i voti di 81 senatori a favore e 18 contro.
    Nello stesso giorno, le autorità carcerarie egiziane hanno eseguito 7 condanne a morte, ma l’Egitto ha una lunga tradizione di acquisto di jet russi Sukhoi SU-35, Mikoyan MiG-29M, il Ka-52 Alligator e l’S-300VM “Antey-2500”, gli ultimi dei quali consegnati nel luglio 2021, rischiando sanzioni americane, nell’ottica di supremazia nei cieli libici al fianco del parlamento filorusso di Bengasi.

    La repentina approvazione della vendita degli Hercules ha probabilmente l’intento di sottrarre un potenziale alleato di Mosca nel Mediterraneo orientale in un momento di crisi bellica mondiale.

C-130J-Super-hercules

21 gennaio

  • Il 10 gennaio al porto di La Spezia era transitata la nave cargo saudita Bahri Yanbu, nota per portare alla petromonarchia le armi acquistate negli Stati uniti e in Europa. Cosa fosse salito a bordo della Bahri durante lo scalo spezzino non era stato possibile accertarlo. Ma il 19 gennaio la dogana senegalese ha sequestrato tre container a bordo della nave Eolika, battente bandiera della Guyana, e probabilmente diretti nella Repubblica Dominicana: conferma che dal porto dell’hub industrial-militare ligure partono armi poco trasparenti, come i tre container di munizioni per armi leggere, cal.. 9 e cal. 5.56, dalla Fiocchi Munizioni spa di Lecco, azienda di rinomanza mondiale e tra i maggiori esportatori militari italiani, oltre 140 milioni di euro di fatturato, oltre 700 dipendenti in Italia e due stabilimenti negli Stati Uniti

Il caso Eolika con i proiettili occultati della Fiocchi Munizioni ricorda il caso delle mine della Valsella Meccanotecnica

18 gennaio

  • Uno studio dell’Osservatorio Mil€x  rivela che nel 2022 la spesa militare italiana tocca la cifra di 25,8 miliardi di euro. I nuovi armamenti segnano il record di 8,3 miliardi: dai fondi per il nuovo caccia Tempest (2 miliardi), che si aggiungerà agli F-35 e ai nuovi eurodroni classe Male; dagli aerei Gulfstream per la guerra elettronica alle nuove aerocisterne per il rifornimento in volo. Una grossa fetta della torta è destinata alle nuove batterie missilistiche antiaeree per missili Aster (2,3 miliardi di euro) e ai nuovi blindati Lince: ben 3.600 rimpiazzeranno i 1.700 già in dotazione all’esercito. E poi due nuovi cacciatorpedinieri lanciamissili classe Orizzonte da circa 1,2 miliardi l’uno che saranno prodotti da Fincantieri; a questi si aggiungono una trentina di blindati anfibi 8×8 da sbarco di Iveco e Oto Melara da 10 milioni l’uno e altrettanti gommoni armati da sbarco. Lo ha rivelato “Osservatorio diritti” con un intervento di Giorgio Beretta

Il nuovo caccia di Leonardo in dotazione all'esercito italiano: avanguardia della tecnologia di guerra

17 gennaio

  • Svolta nella guerra in Yemen: gli Houthi lanciano un attacco con droni iraniani colpendo ad Abu Dhabi lo stabilimento della compagnia petrolifera Adnoc come ritorsione per una strage perpetrata da mercenari ermiratini inquadrati nelle Brigate Al Amaleqa. La situazione è descritta con precisione da Michele Giorgio per “PagineEsteri”

Qasef 2k, il drone in dotazione ai ribelli Houthi utilizzato per colpire obiettivi sauditi ed emiratini

13 gennaio

  • Viaggio africano del piazzista Erdoğan. Troviamo i dati salienti (conosciuti) di questa riunione – avvenuta il 18 dicembre –  di potentati di tutto il continente alla corte dell’autocrate turco nell’illustrazione fatta da Emanuele Giordana per “Atlante delle Guerre”

drone turco

7 gennaio

  • Velivoli M346 venduti da Leonardo per Addestramento di piloti egiziani che si troveranno a pilotare i cacciabombardieri Rafale francesi; rivelazioni tratte da “Africa Intelligence” e riportate da Antonio Mazzeo per “Pagine Esteri”

M 346FA - Aermacchi Fighters Attack (Leonardo)

5 gennaio

  • Il Marocco da alcuni mesi sta preparandosi a rinvigorire i consueti conflitti con la rivale storica Algeria, rinfocolati dal riconoscimento di Trump della giurisdizione sul territorio del popolo saharawi; un episodio di questa escalation proviene dalla nuova fornitura di droni Harop e missili Barak 8, facilitata dalla distensione tra i due paesi in seguito agli Abraham Accords, voluti da Kushner, il genero di Trump; ne dà notizia “Israel Defense”, commentato da Antonio Mazzeo, che sottolinea anche come siano inquietanti pure le relazioni tra Rabat e Tel Aviv nel settore della sorveglianza e dello spionaggio militare. Il Marocco è uno dei maggiori clienti della compagnia di cyber security and intelligence Nso Group Technology realizzatrice dello spyware Pegasus che consente di sorvegliare da remoto gli smartphone.

Barak 8 missile Sam della israeliana Iai

2 gennaio

  • Il 2 gennaio gli Houthi hanno sequestrato a 23 miglia nautiche a ovest del terminal marittimo di Ras Isa, la Rwabee, nave battente bandiera emiratina diretta in Arabia saudita e salpata da Socotra, isola controllata dagli Emirates, che attraverso al Arabiya asseriscono fosse carica di medicinali. I ribelli sostengono invece che il mercantile aveva a bordo un carico di armi e hanno diffuso alcuni video per dimostrarlo. E tutte le agenzie internazionali lo hanno rilanciato, qui il pezzo di France24


Bloccati undici marinai della ciurma della Rwabee, nave emiratina sequestrata dagli Houti a Ras Isa carica di armi per i sauditi

FEBBRAIO MARZO APRILE MAGGIO GIUGNO LUGLIO AGOSTO SETTEMBRE OTTOBRE NOVEMBRE Traffico 2022

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100 %

Avanzamento


La guerra viene con le armi: lo spaccio nel 2022

L’anno si inaugura con la paura di una guerra che avrebbe potuto essere nucleare in Europa col confronto diretto tra potenze globali, o presunte tali… e lo sviluppo di quella guerra più prossima alla sensibilità occidentale delle “proxy war” fatte combattere lontano procede tra il grottesco delle scenografie imperiali otto-novecentesche e le stragi chirurgiche di armi strategicamente digitali, fino alla “arma segreta” che non può mancare nel delirio dei guerrafondai di ogni secolo.
E infatti questo dossier nasce da un’idea di ricostruzione à rebour: monitorando il bisogno – e dunque l’acquisto – di un’arma si può ricostruire la nascita e l’area che può interessare la prossima guerra, il futuro dissidio, l’ennesimo scoppio di un conflitto.
Nel mondo infinite sono le proxy war, combattute per procura da quelle stesse potenze o altre regionali; molti sono i conflitti a sfondo religioso, che coprono la rapacità di multinazionali che affidano i loro interessi a milizie, o a stati impegnati in scontri con i vicini, o a soffocare secessioni su base coloniale; altrettante sono le lotte contro il neocolonialismo predatore.
Questi bombardamenti, le conseguenti battaglie e stragi… sono rese possibili dallo spaccio di armi: il traffico, ma anche gli accordi tra stati, gli scambi con la droga, o di favori geopolitici. Le fiere che espongono, propongono e vendono ordigni.
Abbiamo pensato di inaugurare l’anno cercando di raccogliere tutte le notizie, le inchieste, gli svelamenti che nell’anno 2022 stanno avvenendo, cercando quanti più dati possibile relativi al traffico di armi mondiale.



GENNAIO FEBBRAIO MARZO APRILE MAGGIO GIUGNO LUGLIO AGOSTO SETTEMBRE OTTOBRE NOVEMBRE




Lo spettacolo può cominciare


Il monitoraggio lungo un anno si è concluso, ottenendo una messe di dati, analisi, considerazioni che abbiamo già proposti in questo dossier, mantenendo come stella polare l’intuizione che ci aveva spinti a tentare di seguire i flussi di armi (quelli denunciati) per vedere dove confluivano e quindi dimostrare che le guerre si preparano industrialmente con largo anticipo sui pretesti politici in base a una strategia. Avevamo pensato di avviare questa attività nel novembre 2021, tre mesi prima che si manifestasse l’innesco del rivolgimento degli equilibri globali con l’“Operazione militare speciale” a rivendicare militarmente un multilateralismo effettivo con lo scopo di informare l’Occidente che la sua centralità è perduta, o almeno messa in discussione. Sicuramente è stato un anno particolare per operare questo monitoraggio, ma – andando a rileggere le schede di questi mesi – risulta palesemente emblematico di come funziona la filiera delle armi e come si concatena con le strategie geopolitiche, in funzione dei bisogni politico-militari, e con una ricerca scientifica sempre più ““dual”, a sancire una sempre maggiore militarizzazione della società civile.

Tutto questo ha fornito basi utili per passare alla consueta seconda fase degli Studium: l’approfondimento che prende corpo in un volume di più ampio respiro, realizzato in collaborazione con l’Atlante dei Conflitti  e delle Guerre del Mondo. Con questo intento OGzero ha affidato ad alcuni complici-esperti la disamina della condizione del mercato delle armi nelle singole aree, o negli aspetti legati a ricerca, logistica, produzione… strategie belliche. Gli estensori dei singoli paper sono Gabriele Battaglia, Roberto Bonadeo, Murat Cinar, Raffaele Crocco, Marco Cuccu, Alessandro De Pascale, Angelo Ferrari, Emanuele Giordana, Antonio Mazzeo, Alice Pistolesi, Eric Salerno, Carlo Tombola, Massimo Zaurrini.

Il dato che spicca rispetto alla motivazione iniziale del monitoraggio è che gli spostamenti di armi hanno assunto un movimento centrifugo di diffusione capillare con una richiesta sempre maggiore e globale (segno che il presente o probabile coinvolgimento è percepito come urgente approvvigionamento da parte di ogni area), e anche centripeto rispetto alle aree in cui è già esploso il conflitto (e dove si concentrano maggiormente le armi, sempre però seguendo un criterio che informa il singolo conflitto, sempre mantenuto nei canoni che i contendenti decidono – altro aspetto rilevato dal percorso operato in questo focus annuale).

Tuttavia non è più la fase in cui si segue il traffico per trovare un nuovo conflitto, ma la “guerra” è già dovunque e sempre di più è richiesto l’allineamento a uno schieramento… e ciascuno è tenuto all’interno del suo campo a riarmarsi e assorbire la sua parte di prodotti bellici. Questo è lo sfondo su cui sono andati a incastonarsi i preziosi contributi degli autori sopraelencati, che vanno a comporre il volume di 264 pagine dense di informazioni e analisi,  a cui corrisponde un e-pub che contiene il valore aggiunto di numerosi collegamenti interattivi.



Dicembre

21 dicembre

  • La vocazione  israeliana al controllo della Sicurezza globale

Intense relazioni tra esercito, università e aziende italiane con le tecnologie di guerra israeliane

AresDifesa” comincia a parlare il 4 settembre di questa sorta di “droni kamikaze” chiamati Hero-30, facendo illazioni sulla costruzione per forze speciali di un paese occidentale di flotte di queste “munizioni orbitanti”. Ancora non si capiva quale fosse mai il paese occidentale; il 21 dicembre Antonio Mazzeo ci informava che:

«I dirigenti di Leonardo DRS (Arlington, Virginia) hanno reso noto che l’unità commerciale dei sistemi terrestri di St. Louis, Missouri, ha stipulato il 6 ottobre un accordo con la SpearUAV Ltd. di Tel Aviv per sviluppare una versione delle munizioni aeree Viper su scala nanometrica “per andare incontro alle richieste emergenti di molteplici clienti militari statunitensi”» (Antonio Mazzeo blog).

ma a ottobre ancora non era uscita la notizia che dava continuità alla rivelazione sulla classe Hero di settembre. Infatti l’idra multiteste dell’industria dei droni israeliani faceva spuntare una nuova esportazione della tecnologia e della cooperazione con le aziende italiane: i mini-droni kamikaze sono stati lanciati ufficialmente all’inizio di ottobre quasi in contemporanea all’accordo tra Leonardo e SpearUAV. Una ventina di giorni dopo il ministro della difesa dell’Azerbaijan, Madat Guliyev, ha incontrato l’amministratore dell’azienda Gadi Kuperman per discutere sulla possibilità di rifornire le forze armate azere proprio con le nuove munizioni circuitanti Viper (“Israeldefence”).

Ma nello stesso articolo di Mazzeo si annunciava già la fusione delle due teste (o testate) israeliane: infatti faceva capolino l’accordo italo-tedesco che sarebbe sfociato nella produzione in Italia di loitering munitions su brevetto Uvision; Spear aveva rastrellato finanziamenti per 17 milioni da UVision, che è una macchina da guerra con sedi in India e negli Usa… e sempre a ottobre ha sottoscritto una partnership con la tedesca Rheinmetall per produrre unità autoesplodenti del tipo Hero, perché sono compatibili con mezzi prodotti dall’azienda di Düsseldorf (Boxer, Lynx, Mission Master). E l’accordo coinvolge RWM Italia, preposta a produrre per l’Europa i sistemi Hero (“FightGlobal“).

Già in questo articolo si faceva accenno allo stabilimento di Domusnovas e alla spesa di 4 miliardi stanziati dall’esercito italiano per il munizionamento con Hero-30. Il 23 gennaio “DefenseNews” trova un Avviso di aggiudicazione di appalti nel settore della difesa e della sicurezza per

«acquisizione del Sistema di Munizioni a guida remota, denominato «Loitering Ammunition» (LA) HERO-30 e relativo supporto tecnico-logistico, a soddisfacimento delle esigenze operative urgenti (Mission Need Urgent Requirement, MNUR) del Comparto Forze Speciali» (MINISTERO DELLA DIFESA – SGD/DNA- DIREZIONE DEGLI ARMAMENTI AERONAUTICI E PER L’AERONAVIGABILITÀ)

Il bando indica come vincitore dell’appalto RWM Italia S.p.A con sede a Ghedi, nel Bresciano. Nel 2021, UVision ha firmato un accordo strategico con l’entità italiana per la produzione su licenza e lo sviluppo di munizioni vaganti di tipo Hero. La partnership vede RWM Italia in qualità di prime contractor per il mercato europeo, fornendo e producendo alcuni componenti di munizioni, sistemi di assemblaggio e gestendo il supporto logistico.

Ma le partnership italo-israeliane hanno una lunga tradizione, soprattutto in rifornimenti da parte israeliana, intensificati dal 24 febbraio in funzione antirussa. Come il caso dei due sofisticati aerei di pronto allarme e intelligence da destinare alle cosiddette «missioni speciali» dell’Aeronautica militare CAEW (Conformal Airborne Early Warning & Control System) basati sulla piattaforma del jet Gulfstream G550 sviluppato dall’azienda statunitense Gulfstream Aerospace, appositamente modificato e potenziato dalla israeliana Elta Systems Ltd, società del gruppo IAI, acquistati il 13 settembre 2022 dal dimissionario Mario Draghi per 550 milioni di euro, come ricordava “il manifesto”; questi due velivoli si vanno ad aggiungere agli 8 aerei spia acquistati per quasi un miliardo e mezzo nel 2020 sempre da Elta.

Il soldato e la sua macchina: l’estensione del fantaccino con la sua protesi kamikaze

Ma la spesa era già lievitata l’anno precedente: infatti la notizia sull’ennesimo folle progetto bellicista del governo e delle autorità militari è stata data da “Milex”, l’Osservatorio sulle spese militari nel novembre 2021: il costo complessivo del programma è stimato in 3,878 milioni di euro in cinque anni, ma il ministero della Difesa ha voluto precisare che in sede di negoziazione del contratto «sarà ritenuta ammissibile una deviazione negli oneri del 10%”. Come dire che alla fine, se tutto andrà bene, i contribuenti italiani si faranno carico di 4,266 milioni di euro».

L’ultima notizia in ordine di tempo  – raccapricciante perché coinvolge accademia (università di Bari), enti locali (comune di Bari) – ripresa da “PagineEsteri”: un classico esempio di dual use questo progetto “Drone-Tech”, che prevede l’uso di droni israeliani per la ricerca di discariche abusive… che poi potrà svolgere le medesime funzioni di controllo e missione in territorio di guerra. Partner sarebbero il Distretto Tecnologico Aerospaziale pugliese (in cui spiccano le Università del Salento-Lecce e “Aldo Moro” di Bari, il Politecnico di Bari, l’Enea, il Cnr, Leonardo SpA, Avio Aereo, IDS – Ingegneria dei Sistemi) e High Lander Aviation Ltd, società con sede nella cittadina israeliana di Ra’anana, nei pressi di Tel Aviv, tra i collaboratori della quale si annovera il gruppo Sightec che ha fornito al colosso industriale IAI – Israel Aerospace Industries – le tecnologie di scansione impiegate a bordo di “MultiFlyer”, il nuovo piccolo drone-elicottero immesso nel mercato per svolgere un largo numero di operazioni dual, civili e militari-securitarie, come ha serenamente riferito all’Ansa il presidente del Distretto Aerospaziale Giuseppe Acierno:

«Siamo contenti di essere stati ritenuti idonei al programma di cooperazione industriale italo-israeliano sostenuto dal ministero degli Esteri. Il consolidamento della nostra collaborazione con i partner israeliani ci aiuta a stare vicino ai livelli più alti di innovazione e ci permette di rafforzare collaborazioni con un Paese che rappresenta l’eccellenza mondiale nel campo dei droni. Il progetto continua nello sforzo di rafforzare ed internazionalizzare le conoscenze e le capacità che il Distretto Tecnologico sta capitalizzando nella sperimentazione di servizi innovativi con droni per Bari Smart City e avvicina il sistema aerospaziale israeliano, tra i più avanzati e dinamici, a quello pugliese, per generare nuove opportunità per lo sviluppo di competenze e nuove forme di imprenditorialità».


  • Israele è comunque al centro di tutto il traffico d’armi in Europa e Medio Oriente

  • La Germania ha iniziato a settembre (si evince da un agenzia della Reuters) trattative per acquistare il sistema di difesa missilistico Arrow 3 da Israele, una parte dei 100 miliardi stanziati da Berlino per ammodernare la Wehrmacht dopo l’invasione dell’Ucraina. Gli intercettori Arrow 3 sono progettati per volare oltre l’atmosfera terrestre, lì le loro testate si staccano per trasformarsi in satelliti che inseguono e colpiscono i loro bersagli. Questi abbattimenti ad alta quota hanno lo scopo di distruggere in modo sicuro i missili nucleari, biologici o chimici in arrivo
  • E gli Usa triangolano con Israele per far pervenire armi all’Ucraina, come esposto dal “NYT“: il Pentagono sta attingendo a una vasta ma poco conosciuta scorta di munizioni americane in Israele, accumulata nelle molte missioni “umanitarie” mediorientali. Israele ha costantemente rifiutato di fornire armi all’Ucraina per paura di danneggiare le relazioni con Mosca: un rapporto di interesse per Israele che porta dal 2013 raid aerei all’interno della Siria per bloccare il passaggio di armi con cui i pasdaran riforniscono gruppi armati come Hezbollah o quelli palestinesi. Sorvola così i cieli di Damasco sotto il controllo russo; la Russia non vedrebbe questa recente mossa come un cambiamento di politica da parte di Israele, perché non si tratta di munizioni israeliane.
  • Un dato significativo in ambito mediorientale è quello della vendita agli Emirati del sistema di difesa aerea israeliano Barak. I primi abboccamenti erano avvenuti a gennaio in seguito agli attacchi con droni Houthi. Gli Emirati Arabi Uniti si erano cominciati a rivolgere a gennaio 2022 a Israele in seguito agli attacchi Houthi portati con i Qasef 2K di fabbricazione iraniana, come avevamo già riportato nella scheda del 17 gennaio). Non è chiaro quale versione del Barack sia stata impiegata, poiché Israel Aerospace Industries produce una famiglia di sistemi moderni basati sul Barak-8 originale. Originariamente progettato e coprodotto con l’India per essere un sistema navale, il Barak è stato modificato e aggiornato per funzionare con le forze terrestri. La IAI ha rifiutato di commentare questo rapporto. Una versione potenziale, il Barak-MX, è stata recentemente acquistata dal Marocco. Secondo IAI, si tratta di un sistema di difesa cinetica progettato per difendere da una serie di minacce aeree di giorno e di notte e in tutte le condizioni atmosferiche; può essere utilizzato con una serie di intercettori diversi la cui gittata va da 35 chilometri a 150 chilometri.
  • Dalla firma degli Accordi di Abraham nel 2020, che hanno normalizzato le relazioni tra Israele, Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Marocco, le aziende israeliane del settore della difesa hanno cercato di scoprire i nuovi potenziali clienti.
  • «Sono già stati conclusi oltre 3 miliardi di dollari di nuovi affari nella regione» (“BreakingDefense”)

    Il cliente più recente di Uvision è l’Argentina, il primo paese latinoamericano ad acquistare le munizioni Hero-120 e Hero-30.


  • Ma è soprattutto l’aspetto di sperimentazione e messa in pratica che Tsahal mette a disposizione, fedele alla regola per cui si vendono solo macchine sperimentate sul campo: questa è testimoniata dalla nuova vita degli Apache, elicotteri per il prossimo quarto di secolo, la modernizzazione eseguita dalla Boeing, come rivelato a ottobre da “BreakingDefense“, dotati di missili Spike, sperimentati da Israele (ma con interessi anche francesi) nella esposizione di “DefenseNews” si assiste a una collaborazione tra Lockheed Martin e Rafael Advanced Defense Systems che hanno recentemente completato dei voli di prova in Israele per prepararsi a uno scontro a fuoco; queste esercitazioni permetteranno di scegliere l’arma di precisione a lungo raggio da montare sugli AH64-E Apache.

    Le munizioni a lungo raggio per i futuri velivoli dell’esercito saranno fondamentali per impegnare le posizioni difensive del nemico da una distanza confortevole, ovvero al di là del raggio di rilevamento del nemico e lo Spike Non-Line-of-Sight è stato reso compatibile con il lancio dal Modular Effects Launcher, in ase di sviluppo per l’esercito statunitense.

tayfun


Sulla base dell’Accordo di Cooperazione nel campo della Ricerca e dello Sviluppo Industriale, Scientifico e Tecnologico tra Italia e Israele, nel corso del 2022 sono stati individuati i seguenti progetti ammessi a ricevere un sostegno finanziario da parte del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale:

  • Drone Tech – partner: Distretto Tecnologico Aerospaziale e High Lander Aviation Ltd.
  • ASTI Auto System THA Insertion – partner: Politecnico di Torino/Intrauma S.p.A. e Value Forces Ltd.
  • We –CAT – partner: Università di Milano Bicocca e Bar Ilan University.
  • GreenH2 – partner: Politecnico di Milano e The Hebrew University of Jerusalem.
  • Hydrogen Sensors – partner: Università degli Studi dell’Aquila e Tel Aviv University.
  • IVANHOE – partner: Università degli Studi dell’Aquila e Ben Gurion University of the Negev.
  • Bio-SoRo – partner: Sapienza Università di Roma e Ben Gurion University of the Negev.
  • F2SMP – partner: Università degli Studi di Pavia e Technion Israel Institute of Technology.
  • C-IGrip – partner: Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia e The Hebrew University of Jerusalem.
  • BIONiCS – partner: Università degli Studi di Genova e Tel Aviv University.

11 dicembre

      • Tayfun e le ambizioni neo-ottomane di uno stato militarista

            • Qualche anno fa si è cominciato a mettere in dubbio il concordato mondiale che vedeva l’Onu come il luogo dove arginare la possibilità che un autocrate potesse scatenare una nuova guerra mondiale. Le picconate conclusive su quel poco di autorevolezza che l’Onu aveva ancora fino a pochi lustri fa sono arrivate da Trump e da lì è come se tutte le democrature avessero capito che era saltato il tappo che doveva aiutare a comporre i conflitti riducendo (se non annullando, come nel primo dopoguerra) l’importanza della forza bruta.
              Tra chi ha sfruttato maggiormente questo nuovo modo di affrontare i conflitti e le dispute mondiali ci sono i paesi che animano quello che si può ormai definire il Protocollo di Astana, periodico incontro tra potenze locali, per regolare una sorta di paradossale alleanza spartitoria tra la Russia, l’Iran e la Turchia. Se la prima si è lanciata nell’avventura ucraina che procede innanzitutto facendo carta straccia della diplomazia dell’Onu, la Turchia ha già assestato qualche colpo alla Nato, l’altro apparato militare occidentale, annunciando l’offensiva sia verso il Rojava, sia verso la Grecia: l’11 dicembre “Ekatimerini” riporta la consueta serie di bellicose dichiarazioni elettoralistiche del bullo Erdoğan contro la Grecia (altro membro Nato), minacciando di colpire Atene con un missile Tayfun, «se non rimarrete calmi». Qualche giorno prima il ministro degli Esteri turco Mevlut Čavusoglu ha minacciato la Grecia di invaderla se non smilitarizzerà le sue isole del Mar Egeo, ha detto che la Turchia «arriverebbe all’improvviso da un giorno all’altro», un’espressione che i funzionari turchi amano usare spesso.Il problema è che il bullo dispone già del secondo esercito più potente della Nato e il tredicesimo per forza armata attiva disponibile. E sta riarmandosi a ritmi forsennati, procurandosi ogni tipo di armi e «dato che l’anno prossimo la Grecia dovrà affrontare una doppia elezione, in cui è probabile che tra le due tornate elettorali si insedi un governo di transizione, i funzionari governativi temono che Erdogan possa far coincidere l’incidente con questo periodo di minore stabilità della politica greca».

              • “Future Defense” ha lanciato una serie di video su YouTube per avvertire dell’iperattivismo turco:

              .

              Si comincia con il 14 ottobre: nel video si assiste alle mirabolanti imprese del quadruplo missile da crociera turco da imbarcare su fregate

              • Roketsan, continua a lavorare sul Sistema di Lancio Verticale Nazionale, chiamato Mildas, e sui missili di difesa aerea che saranno utilizzati in esso; l’obiettivo finale è quello di integrare il Quad-Pack funzionale, con la capacità di lanciare più missili da crociera. Le fregate della classe Istif, o TCG Istanbul, avranno un sistema di lancio verticale a 16 celle. e Se il pacchetto funzionale Quad-Pack sarà integrato nel sistema di lancio verticale, ogni cella potrà essere equipaggiata con 4 missili di difesa aerea.
                In questo modo, invece di 16 missili pronti a sparare, il sistema avrà 64 missili di difesa aerea.

                • Altro prodotto Roketsan è il missile Sungur, mostrato in questo video del 10 dicembre 2022 di “Military Coverage”:
                • Il Sungur Air Defense System è un sistema missilistico di difesa aerea a corto raggio integrato nel veicolo blindato tattico a ruote Vuran, ha 8 chilometri di gittata; se da un lato il sistema missilistico aumenta l’accuratezza nel colpire i bersagli grazie alla tecnologia Imaging Infrared Seeker (IIR), dall’altro presenta un importante vantaggio nella distruzione dei bersagli aerei grazie alla sua testata, che ha una potenza esplosiva superiore a quella dei sistemi simili disponibili nell’arsenale di Ankara.
                • E non poteva mancare il nuovo gioiello Baraktar: Kızılelma il regalo di Natale per i vicini ellenici: un caccia senza pilota supersonico, descritto su “DefenseNews“:
              • Il Kızılelma può rimanere in volo fino a 4-5 ore, controllato via satellite attraverso l’antenna Satcom. È alimentato da motori turbofan AI-322F dell’azienda ucraina Ivchenko-Progress.
                Il jet è dotato di un radar Aesa costruito da Aselsan e sarà in grado di lanciare missili aria-aria Bozdogan e Gokdogan. Per la guerra di superficie, il futuro aereo senza pilota sarà armato con missili da crociera SOM-J con una gittata di oltre 250 km e bombe guidate della famiglia MAM, prodotte da Roketsan, per missioni di piccolo attacco
              • Di questi droni supersonici è dotata la nave d’assalto Anadolou una nave strategicamente diventata portadroni quando gli Usa vietarono l’acquisto di F35 alla Turchia, questa ammiraglia vanta a bordo anche elicotteri d’attacco AH-1W SuperCobra e S-70 Seahawk.

          • A cui si aggiunge Anka-3, presentato all’“INDO Defense Expo & Forum 2022” di Jakarta, tenutosi a novembre e illustrato in questo video natalizio:
        • Il sistema, sviluppato sulla base dell’esperienza acquisita con i droni della classe Anka, è stato presentato in anticipo sulle previsioni (e non è una buona notizia): con un motore a reazione turbofan, il drone avrà un peso massimo al decollo di 7000 chili e sarà in grado di trasportare non solo sensori per la sorveglianza, ma anche armi. Il vicepresidente turco Fuat Oktay ha dichiarato che l’Anka-3 sarà in grado di colpire i sistemi di difesa aerea nemici. L’Anka-3 assomiglia al drone multiuso X-47B di Northrop Grumman, che ha volato per la prima volta quasi 12 anni fa e ha una velocità di crociera di quasi 1000 km/h.
          Una delle aspettative per l’ANKA-3 è che sia in grado di operare in tandem con il futuro caccia turco TF-X, un’altra piattaforma prodotta da TAI.

    La Turchia a novembre aveva messo in servizio dalla Marina turca il suo nuovissimo Ucav Aksungur Male nell’ambito dell’esercitazione navale “Mavi Vatan 2022”, caricando munizioni teleguidate Mam-L di produzione nazionale su un bersaglio di superficie, una nave militare. L’Aksungur può svolgere missioni di intelligence, sorveglianza, ricognizione e attacco in tutte le condizioni atmosferiche, di giorno e di notte, con un’elevata capacità di carico utile di 750 kg, può rimanere in volo per 60 ore.

      • Risale al 6 dicembre il lancio di “NavalNews” relativo ai sottomarini nucleari targati Type 214TN, Nell’ambito del progetto, il primo sottomarino, il Piri Reis, in costruzione presso il cantiere navale di Golcuk, è stato varato nel 2019 e ha galleggiato in acqua nel marzo 2021. Il secondo sottomarino Hizir Reis, entrato in bacino di carenaggio il 24 maggio 2022, dovrebbe entrare in servizio nel 2023. A partire da quest’anno, sarà commissionato un sottomarino all’anno e 6 sottomarini della classe Reis saranno consegnati alla Marina turca entro il 2027. La Marina turca dispone di una flotta di 12 sottomarini composta da quattro classe Ay (Tipo 209/1200), quattro classe Preveze (Tipo 209T/1400) e quattro classe Gür (Tipo 209T2/1400), tutti sottomarini d’attacco a propulsione convenzionale (diesel-elettrica). Entro il 2027, la Turchia opererà con sei sottomarini AIP classe Reis.
      • La classe Reis porterà benefici non solo alla Marina turca, ma anche alla base tecnologica e industriale della difesa turca. Il know-how e l’esperienza acquisiti con il progetto del sottomarino classe Reis saranno un forte riferimento per i sottomarini indigeni che saranno costruiti nell’ambito del progetto del sottomarino nazionale (Milden), attualmente in fase di progettazione e la cui costruzione è prevista per il 2030. Molti subappaltatori turchi, tra cui ASELSAN, HAVELSAN, MilSOFT, Defense Technologies Engineering and Trade Inc. (STM), Koç Information and Defense, Scientific and Technological Research Council of Turkey (TÜBİTAK) e AYESAŞ, stanno lavorando ai sottosistemi dei sottomarini della classe Reis, come il sistema di navigazione e gestione dei dati, il collegamento dati, il sistema di contromisure per i siluri.I sottomarini della classe Reis di tecnologia tedesca sono caratterizzati da un sistema di propulsione basato sulla cella a combustibile di Howaldswerke-Deutsche Werft (HDW). I sottomarini hanno una lunghezza di 68,35 metri, un diametro esterno di 6,3 metri, un dislocamento di 1850 tonnellate e una capacità di 40 persone. ThyssenKrupp Marine Systems ha costruito i sottomarini della classe Reis nel cantiere turco di Golcuk, come da contratto del 2009. Il sottomarino è in grado di effettuare dispiegamenti di lunga durata senza dover fare snorkeling. Sono dotati di siluri pesanti (MK48 Mod 6AT e DM2A4), missili antinave (Sub-Harpoon) e mine. Il siluro pesante turco Akya e il missile antinave Atmaca dovrebbero essere montati sui prossimi sottomarini del progetto. I sottomarini della classe Reis saranno in grado di svolgere missioni come operazioni in acque litoranee e pattugliamenti oceanici, comprese operazioni antisuperficie e antisommergibile, compiti ISR e operazioni di forze speciali; sembrano fatti apposta per il controllo delle acque greche.
      • E ciliegina finale su questa torta di miliardi e arsenali micidiali, il missile balistico alluso da Čavusoglu all’inizio di questa scheda: il nuovo missile balistico con una portata di 1000 chilometri: il Tayfun

tayfun


La Grecia dal canto suo nell’ultimo anno ha principalmente posto la sua attenzione su Corvette (in acquisto da Fincantieri), ma partecipa anche all’accordo europeo tra Francia, Germania, Italia, Olanda e Gran Bretagna per lo stanziamento di 28 milioni di dollari per il progetto Next-Generation Rotorcraft Capability (NGRC) per la produzione di un elicottero le cui caratteristiche dovranno essere definite dai committenti: «In collaborazione con l’industria, i partecipanti partiranno da zero per esplorare come abbinare le loro esigenze con le più recenti tecnologie sul mercato, esaminando opzioni come la propulsione ibrida ed elettrica, un’architettura di sistema aperta e sistematica e la fornitura di caratteristiche di volo radicalmente migliorate», si legge nel comunicato della presentazione a Eurosatory.

NGRC

La Grecia ha presentato Archytas, il suo drone dual use all’expo di Salonicco, una macchina dedita al pattugliamento di confini di mare e di terra.
Rispetto ai caccia: alla Turchia non sono concessi quelli più performativi e schierano “soltanto” gli F-16, invece i greci fanno parte del progetto F-35, lo stesso che dopo l’incidente di natale ha spinto American Aircraft Production Administration a lasciare a terra i velivoli in attesa di accertamenti.

5 dicembre

    • Licenza di (contro)spionaggio per DigitalPlatforms: il certificato TEMPEST

      • Formiche” informa che il gruppo industriale italiano DigitalPlatforms è entrato nell’elenco delle aziende classificate e abilitate come produttori TEMPEST sia dal Consiglio dell’Unione europea sia dalla Nato. Gli apparati Tempest consentono una difesa totale da attacchi elettromagnetici; è una sigla della Nsa (National Security Agency) statunitense. TEMPEST ((Telecommunications Electronics Material Protected from Emanating Spurious Transmissions) riguarda sia i metodi per spiare gli altri sia le modalità di schermatura delle apparecchiature contro tale spionaggio. Gli sforzi di protezione sono noti anche come sicurezza delle emissioni (EMSEC), che è un sottoinsieme della sicurezza delle comunicazioni (COMSEC).
        I servizi TEMPEST e di Sicurezza Elettromagnetica supportano i clienti nella comprensione e nella gestione del livello di segnali emessi dalle apparecchiature che possono rivelare dati sensibili: cioè TEMPEST rileva attraverso standard di certificazione quanto sia vulnerabile il sistema informatico-comunicativo di cui ci si avvale e mette in atto contromisure al rischio di trasmettere involontariamente informazioni.
        Gli standard TEMPEST prescrivono elementi quali la distanza delle apparecchiature dalle pareti, la quantità di schermatura negli edifici e nelle apparecchiature e la distanza che separa i cavi che trasportano materiali classificati da quelli non classificati (Nsa).
      • La Fondazione ICSA , di cui è presidente il generale Leonardo Tricarico, ha organizzato sempre per il 5 dicembre 2022 l’evento “Difesa della sovranità digitale ed elettromagnetica. La tecnologia TEMPEST per la protezione dei sistemi informatici da interferenze ed intercettazioni elettromagnetiche
    • «L’iniziativa nasce dalla considerazione che l’esito degli ultimi conflitti bellici globali e, soprattutto, il protrarsi della guerra russo-ucraina nel cuore dell’Europa, impongono un urgente aggiornamento della dottrina militare e dei modelli di intervento in direzione di un significativo irrobustimento dell’approccio multidominio MDO (Multi Domain Operations) e delle attività CEMA (Cyber Electromagnetic Activities) per la sicurezza militare e nazionale» (gen. Leonardo Tricarico, “SNews”).

      L’evento Icsa intendeva incrementare la conoscenza e la diffusione della cultura del TEMPEST ed è interessante notare la coincidenza dell’evento con la certificazione attribuita a DigitalPlatforms

  • Il target dei servizi TEMPEST è rivolto a clienti che sono forze armate nell’ambito Nato. Un fornitore di prodotti TEMPEST ha dimostrato di aver soddisfatto una serie di criteri per ottenere la certificazione del proprio prodotto. Questo dà agli utenti finali la certezza che i prodotti soddisfino i requisiti TEMPEST. Tra questi spiccano gli elicotteri AW149 di Leonardo UK
  • , come attesta il National Cyber Security Centre britannico (macchina da guerra in gara per una fornitura di 44 esemplari al governo britannico per 1,2 miliardi).
  • Il 5 e 6 gennaio 2023 si terrà a Shanghai il quarto appuntamento dell’Asia Cybersecurity Innovation Summit che intende monitorare gli investimenti nella sicurezza in rete: la previsione è che l’investimento totale in hardware, software e servizi legati alla sicurezza di rete a livello globale aumenterà fino a 223,34 miliardi di dollari nel 2025, con un tasso di crescita composto (CAGR) quinquennale del 10,4%. La stima della spesa cinese sarà di 21,46 miliardi di dollari, crescendo del 20,5%. Questo evento combinerà in modo completo politiche e normative per fornire una piattaforma completa di apprendimento e comunicazione per i professionisti della tecnologia della sicurezza di rete e delle normative.

5 dicembre

    • Il mercato si spartisce

      • Di nuovo come per gli ultimi anni si assiste a un incremento degli investimenti per costruire e dotarsi di armi nel bilancio della difesa italiana, parallelo aumento a quello della vendita mondiale di ordigni. Si ricava dai dati dell’Osservatorio Milex e dal rapporto annuale del Sipri svedese, alle cui informazioni avevamo già attinto per l’editoriale di ottobre riguardo all’import/export tra il 2017 e il 2021.

        «Il rapporto del Sipri, l’istituto svedese che monitora il commercio mondiale delle armi, è dedicato alle  “Top 100 arms companies” ed è stato reso pubblico il 5 dicembre. Dice che le vendite di armi e servizi militari da parte delle 100 più grandi aziende del settore hanno raggiunto 592 miliardi di fatturato nel 2021, un aumento dell’1,9 per cento rispetto al 2020 in termini reali. Aggiunge che l’aumento segna il settimo anno consecutivo nella crescita globale della vendita di armi. I dati sono di prima della guerra in Ucraina».

    • così sintetizza Emanuele Giordana sull’“Atlante delle Guerre”, che nell’occhiello riassume: «A causa della pandemia e della crisi nella logistica rallenta la produzione ma il saldo del commercio mondiale delle armi continua ad aumentare. L’Italia conquista posizioni nel Top 100 dei produttori».
      Il rapporto Sipri ci racconta che le vendite di armi e servizi militari da parte delle 100 più grandi aziende del settore hanno raggiunto 592 miliardi di fatturato nel 2021, un aumento dell’1,9 per cento rispetto al 2020 in termini reali e negli ultimi vent’anni l’incremento del valore è stato del 174%, passando dai 201 miliardi del 2002 ai 592 del 2021 e vede Lockheed con profitti doppi (più di 50 miliardi annui) rispetto ai secondi classificati (Boeing e Northrop – circa 30 miliardi a testa) di questa classifica di mercanti di morte, che li vede incalzati a poca distanza da Raytheon, General Dynamics e BAE; dopo il pantheon Usa si trovano 4 marchi cinesi tra 15 e 20 miliardi (Avic, Norinco, Cetc, Casc); poi di nuovo poco sotto le statunitensi L3Harris e United Technologies, di nuovo Casic cinese e 14esima la prima ditta europea (Airbus) con 15 miliardi – azienda transeuropea – subito incalzata dall’italiana Leonardo con un miliardo in meno (13,9). Seguono sotto ai 10 miliardi la russa Almaz-Antey e la francese Thales.
    • Alfonso Navarra (“DisarmistiEsigenti”) scrive che dalle tabelle del ministero della Difesa, del Mise, del Mef riassunte dall’Osservatorio Milex l’incremento della spesa militare italiana raggiunge gli 800 milioni di euro, raggiungendo in previsione per il 2023 i 26,5 miliardi; la spesa per il riarmo italiano del prossimo anno supererà gli 8 miliardi. Esalta il dato con orgoglio “Formiche”:
    • «Le realtà industriali italiane hanno registrato un incremento percentuale nelle vendite militari del 15%, un risultato superiore a quello di tutte le altre regioni (eguagliato solo da Parigi). L’Italia da sola copre il 2,8% delle vendite globali del 2021. Nel dettaglio, nel 2021 Leonardo ha aumentato le sue vendite di difesa del 18%». L’exploit ha una ricaduta non solo a livello globale, dove l’Italia gioca da protagonista, ma anche sull’intero sistema economico, di cui il settore aerospazio, sicurezza e difesa rappresenta un segmento cruciale, anche per i ritorni in termini di tecnologia e innovazione. La crescita delle esportazioni segnala come la bilancia commerciale sia positiva per il comparto Difesa; nonostante la guerra in Ucraina, se da una parte ha innalzato la domanda, abbia avuto anche effetti importanti sulle supply chain di diverse realtà industriali, dato che la Russia è sempre stata un importante fornitore di materie prime necessarie per la produzione».

  • Questa valanga di miliardi ci travolge e lascia attoniti e non si riesce nemmeno a conferirgli una dimensione reale; ma forse il mercato va letto a comparti e allora si riuscirebbe a capire più facilmente come si muove e quali sono le correnti che lo animano: le alleanze tra ditte apparentemente concorrenti, che invece stipulano accordi spartitori per alternare i prodotti proposti ai potenziali clienti, consentono di collocare sul mercato, in tempi regolati dalle aziende stesse, articoli simili con alcune differenze, appetibili da tutti, per poter usufruire dell’intera gamma.Allora alla luce di quella classifica diventa emblematica la vicenda narrata da “BreakingDefense” di L3Harris – 5 posizioni sopra a Leonardo – che nella joint venture per fabbricare aerei da rifornimento con la brasiliana Embraer (il vero outsider, che coglie l’affare) aggira le guerre tra aziende per spartirsi i contratti, concordando due prodotti di scala diversa e prodotti da concorrenti che si spartiscono il mercato, raddoppiando le vendite.
  • Tra il 2012-16 e il 2017-21 si sono verificate diminuzioni complessive delle importazioni di armi in tre regioni del mondo: Americhe (-36%), Africa (-34%) e Asia e Oceania (-4,7%). Nel 2017-21 le importazioni di armi da parte degli stati sudamericani sono state inferiori rispetto a qualsiasi quinquennio degli ultimi cinquant’anni. In controtendenza solo il Brasile, unico stato del Sud America ad avere ingenti consegne di armi in sospeso.
    • Infatti ascrivendo l’Embraer KC-390 alla serie di aerocisterne più piccole e “tattiche” vuol dire escluderlo dal programma KC-Y, il “bridge tanker” che dovrebbe colmare le potenziali lacune tra il momento in cui la parabola dell’imponente KC-46 sarà conclusa e il prodotto della Boeing sarà pronto all’avvicendamento con il suo successore, chiamato KC-Z – dopo il breve interregno del KC-Y, per il quale si sono già schierate le ditte che troviamo in testa alla classifica pubblicata dal Sipri: Boeing, il cui KC-46A aveva vinto la medesima battaglia una decina di anni fa sui rifornimenti – che sono essenziali, e i generali in quiescenza (preposti dovunque alla fureria) ne sono consapevoli –, e un team di Lockheed Martin (primo in assoluto tra i fornitori di armi) e Airbus (prima azienda europea), che sta offrendo una versione dell’A330 MRTT prodotto dal marchio europeo, denominata LMXT per il consumo nazionale – bimotore turboventola multiruolo da trasporto militare e rifornimento in volo, come indicato dalla sigla MRTT, derivato dall’aereo di linea Airbus A330-200.

      In realtà si tratta di un avvicendamento: l’A330 era risultato secondo classificato rispetto al KC-46, e Northrop Grumman è stato il primo contraente statunitense (a completare il gotha delle aziende più importanti del settore bellico). E il “piccolo” KC-390 non è un prodotto in concorrenza, ma complementare, come spiega Kubasik, ceo di L3Harris, il colosso di media caratura che ha fatto l’affare con Embraer, che sta attualmente producendo un totale di 22 KC-390 per le forze aeree brasiliane, e anche Portogallo, Olanda e Ungheria hanno firmato per l’acquisto del velivolo:

    «Penso che il punto chiave che abbiamo detto ai nostri clienti è che questo è complementare, giusto? Voglio dire, avete queste grandi petroliere strategiche molto critiche che trasportano il doppio del carburante, – ha proseguito. – Il carburante è la sfida logistica numero uno per gli aerei, quindi perché non volere più capacità di rifornimento, di dimensioni e forme diverse? Penso che non siamo in competizione con nessun altro. Siamo complementari. Credo che i due strateghi avranno il loro solito botta e risposta. Penso che questo sia – non voglio dire che sia irrilevante per Usaf, ma penso che sia semplicemente “Ok, questo riempie il vuoto”».

  • Nel settore meno spettacolare, ma più sensibile della guerra dei cieli in questo appalto sta la dimostrazione di come quella classifica Sipri rispecchia solo il peso specifico e il potere contrattuale nelle trattative tra le ditte produttrici che si spartiscono e creano il mercato. Alleandosi per una spartizione della torta “senza guerre” (tra loro).

29 novembre

    • I coyotes mondiali

      • Il 29 novembre Defense Security Cooperation Agency pubblicava la notizia della concessione da parte del Dipartimento di stato americano della vendita di sistemi di difesa antidrone per una spesa pari a un miliardo di dollari in cambio di 10 Fixed Site-Low, Slow, Small Unmanned Aircraft System Integrated Defeat System (FS-LIDS) System of Systems, includendo 200 Coyote Block 2 interceptors; e poi Counter Unmanned Electronic Warfare System (CUAEWS); Coyote launchers; Ku Band Multi-function Radio Frequency System (KuMRFS) radars; Forward Area Air Defense Command e Control (FAAD C2); Counter Unmanned Electronic Warfare Systems (CUAEWS).
      • Lo riportava “BreakingDefense” sottolineava come i principali contractor Raytheon, Northrop Grumman and R&D company SRC.A Marzo si leggeva nel rapporto Sipri del confronto tra il 2017-2021 con il decennio precedente e riprendiamo da lì per inquadrare questa notizia novembrina in omaggio all’esiziale mondiale di calcio ottenuto da Doha (che secondo quel dossier aveva incrementato la spesa del 227% rispetto al lustro precedente) con la corruzione di Sarkozy, Platini e Guéant prima e poi con il sostegno di parlamentari europei di sinistra che negano l’evidenza del sistema omicida e criminale del Qatar (ci limitiamo a suggerire che Messi e Mbappé giocano entrambi nel Psg, che è di proprietà dell’emiro di Doha, un caso che la finale sia per magia tra le loro due compagini?): infatti l’Atlante delle guerre riassumeva così la situazione del Medio Oriente a marzo:

        «Si stabilizzano le importazioni di armi in Medio Oriente. Dopo il forte aumento registrato nel decennio precedente (86% in più tra il 2007-11 e il 2012-16) gli stati mediorientali hanno importato ‘solo’ il 2,8% di armi in più nel 2017-21 rispetto a quello precedente. Il conflitto in Yemen e le tensioni tra l’Iran e altri stati della regione restano alla base delle importazioni di armi nell’area. L’Arabia Saudita si conferma un grande importatore, il secondo al mondo, con un 27% in più investito in armi nel periodo 2012-16, rispetto al precedente.
        Le importazioni di armi del Qatar sono cresciute del 227%, spingendolo dal 22esimo importatore di armi al sesto. Al contrario, le importazioni di armi degli Emirati Arabi Uniti sono diminuite del 41%, passando così dal terzo al nono posto. Tutti e tre questi stati, insieme al Kuwait hanno poi effettuato ingenti ordini che prevedono la consegna nei prossimi anni. Nell’area, poi, Israele ha aumentato le importazioni di armi del 19%».

    • E poi le esportazioni statunitensi verso Riyad sono aumentate del 106%. Ma a cosa serve l’enorme quantità di armi, le più disparate per ogni tipo di guerra, sparpagliate per tutta la penisola araba?

Novembre

19 novembre

  • La guerra dei droni da Astana

    • La notizia in autunno sul fronte dell’approvvigionamento dei droni per le attività dell’aviazione russa è che si è raggiunto un accordo per impiantare in tempi brevi  uno stabilimento con la tecnologia iraniana direttamente in territorio russo; a rivelarlo il Washington Post, successivamente rilanciato da tutte le testate del mondo. Come sottolinea “DroneBlog”:

      questo accordo oltre che essere strategico mette in luce ancora di più il rapporto e la cooperazione militare fra Iran e Russia, che sta svolgendo un ruolo chiave in Ucraina. Se il nuovo accordo sarà pienamente realizzato, significherebbe un ulteriore rafforzamento dell’alleanza russo-iraniana. Questo accordo, oltre a migliorare la disponibilità di armi all’esercito russo, toglierebbe dall’isolamento l’Iran, dando una nuova spinta economica a un sistema interno collassato ormai da anni e alle prese con una rivoluzione in atto

  • In piena continuità con gli accordi di Astana, che tanto abbiamo analizzato in OGzero.
    E sempre “DroneBlog” scrive che «finora Teheran ha cercato di presentarsi come neutrale nel conflitto ucraino , ma si scopre che sempre più droni di fabbricazione iraniana vengono utilizzati per attaccare le città ucraine, innescando minacce di nuove sanzioni economiche dall’Occidente». E si insinua una scommessa iraniana sul sostegno che deriverebbe dall’alleanza con Mosca per ricavare valore contrattuale per gli accordi sul nucleare
  •  Peraltro l’industria iraniana dei droni si sta già diffondendo in altri paesi. L’Iran ha aperto a maggio una fabbrica in Tagikistan, che produce il drone Ababil-2, secondo l’Eurasia Times: è stato Zelensky stesso a indicare la strategia di avvicinamento a Mosca da parte di Ankara con fini collegati al Jcpoa.
  • The Guardian” il 10 novembre accusava l’Iran di aver sostenuto militarmente fin dal 24 febbraio l’alleato russo, ma ancora prima “Wired” riportava un sistema rudimentale – ma efficace – di aggiramento delle sanzioni: contanti e baratto.
  • In estate il baratto sarebbe dimostrato dall’atterraggio il 20 agosto di 2 Ilyushin IL-76 arrivati e ripartiti da Mehrabad (la città del kurdistan iraniano martirizzata il 19 novembre dalle guardie della rivoluzione): trasportava in cambio di droni armi occidentali sottratte agli ucraini, necessarie agli ingegneri persiani per carpire le tecnologie. Ipotesi suffragate da immagini satellitari diffuse da SkyNews e da dichiarazioni rilasciate al Washington Post il 29 agosto da funzionari statunitensi.

Un ultima notazione sull’asse russo/iraniano: i droni iraniani Mohajer-6 contengono molte componenti provenienti dalla tecnologia occidentale (in particolare giapponesi,  secondo James D. Brown) – quindi senza che si debbano trasferire ordigni catturati per studio – stando alle rivelazioni di “la Repubblica”; ma, a dimostrazione che lo spargimento di morte tra civili attraverso macchine a controllo remoto non comporta scelte di campo, il Blog di Antonio Mazzeo riporta un’informazione raccolta da “DefenseNews”:

    • «Il regime turco di Recep Tayyp Erdogan finanzierà la produzione di droni-elicotteri e droni-kamikaze per il mercato nazionale e l’esportazione, decisione che non potrà non essere accolta con favore anche in Italia. La società di engineering aerospaziale Titra Technoloji, con quartier generale ad Ankara, riceverà sussidi economici governativi per realizzare il primo modello di elicottero a pilotaggio remoto in Turchia. Denominato “Alpin”, il drone-elicottero sarà prodotto in dieci esemplari all’anno, “in aggiunta a 250 droni kamikaze”».

    • La Malesia ha scelto la Turkish Aerospace Industries per la fornitura di tre velivoli senza pilota, secondo quanto dichiarato dal ministro della Difesa della nazione del Sudest asiatico e ripreso da “DefenseNews”.
      TAI aveva presentato il suo Anka, un sistema di velivoli senza pilota a media altitudine e lunga resistenza, alla fiera della difesa e dell’aerospazio LIMA nel 2019. Il 18 agosto 2022 il re malese Al-Sultan Abdullah ha visitato le strutture di TAI ad Ankara, in Turchia. Il 7 ottobre TAI ha annunciato un memorandum d’intesa per una collaborazione con il MIMOS, il centro di ricerca e sviluppo della Malesia. Ma perché la Malesia è alla ricerca di queste macchine da guerra? Le forze armate e la Guardia Costiera della Malesia sono impegnate nella lotta alla pirateria lungo le sue coste, inoltre è loro demandato a livello internazionale il controllo e l’antiterrorismo nel Mare di Sulu (tra la Malesia orientale e le Filippine meridionali, dunque all’interno del quadro anticinese del noto contenzioso nel mar cinese meridionale sulle Spratly Island e nello strategico controllo dello Stretto di Malacca).
  • La famiglia di droni Anka è in grado di svolgere missioni di ricognizione, acquisizione e identificazione di obiettivi e raccolta di informazioni. È dotata di tecnologie elettro-ottiche/infrarosse e radar ad apertura sintetica. Il produttore afferma che i velivoli hanno capacità di volo autonomo e possono decollare e atterrare da soli.La famiglia di UAV ha un’apertura alare di 17,5 metri e una lunghezza di 8,6 metri, e ha un tetto di servizio di 30.000 piedi. Possono rimanere in volo all’altitudine operativa di 18.000-23.000 piedi per più di 30 ore.
    • A metà ottobre il Kazakistan e la Turchia hanno annunciato l’intenzione di sviluppare una “cooperazione strategica a lungo termine” che preveda la coproduzione di satelliti e altri sistemi spaziali.
    • «Questo è il primo passo di una forte cooperazione con il Kazakistan nel campo dello spazio. Il memorandum d’intesa che abbiamo firmato con le società Kazsat e Ghalam sulla creazione di una cooperazione strategica a lungo termine nei settori dei satelliti e dello spazio sarà vantaggioso per il nostro paese e la nostra nazione» (Ismail Demir, Tai)

    • Infatti in maggio, secondo le informazioni di “DefenseNews“, era stato firmato un protocollo tra Kazakhstan e Turchia per la coproduzione di droni da gettare sul mercato Asean e produrre in quella che è la prima fabbrica di Bayraktar fuori dai confini turchi, con contratto che prevede anche manutenzione e riparazione. E quell’accordo faceva seguito a quello di aprile con il Kirghizistan che aveva firmato per primo un accordo per l’acquisto di un numero imprecisato di droni armati: infatti  Bishkek aveva pregato Ankara di soprassedere alla vendita dei letali droni a Dushanbe, alla luce delle tensioni sul confine (e questo spiega la rincorsa al riarmo dei due paesi dell’Asia centrale, sfruttata da Ankara per raddoppiare le vendite).
  • Il drone può essere equipaggiato con armi come il lanciamissili a lancio aereo Roketsan Smart Micro Munition e la capsula missilistica guidata Cirit da 2,75 pollici nelle due stazioni d’armamento sotto l’ala per ingaggiare veicoli leggermente corazzati, personale, rifugi militari e stazioni radar a terra. Un evidente monito per le mire espansionistiche di Mosca.
    • L’aggressività non solo verso il mercato della industria bellica turca si appropria anche di ricerche straniere, come quelle che consentono al criminale Erdoğan di arrivare al drone-elicottero: infatti Antonio Mazzeo spiega che questo velivolo è un sistema a pilotaggio remoto che potrà essere impiegato a fini civili ma soprattutto per missioni bellico-militari di intelligence e ricerca e soccorso. Il prototipo del drone-elicottero è lungo 7 metri, alto 2,35 e ha un diametro del rotore di 6,28 metri; ciò gli consente di essere trasportato in veicoli di medie dimensioni. Il suo peso non supera i 540 kg compresi apparecchiature elettroniche e carburante. L’”Alpin” ha una velocità di crociera di 160 km/h e può coprire un raggio d’azione fino a 840 km di distanza, a un’altitudine di 5000 m. L’autonomia di volo varia dalle due alle nove ore, secondo la portata del carico a bordo.
      Ma perché abbiamo usato il verbo “appropriarsi”? La risposta è nel Blog di Antonio Mazzeo (che cita “DefenseNews”):
    • «L’Alpin è basato sull’elicottero italiano ultraleggero con equipaggio umano Heli-Sport CH-7». Il CH-7 è realizzato infatti dalla Heli-Sport S.r.l. di Torino, azienda fondata dai fratelli Igo, Josy e Charlie Barbaro e specializzata nel design e produzione di velivoli ad ala rotante di ridotte dimensioni. La società si dichiara però del tutto estranea dalla vicenda.

    • In effetti l’Alpin nasce da un accordo tra la Titra turca e la Uavos californiana per convertire il CH-7 in elicottero a pilotaggio remoto: la trasformazione dei velivoli italiani in droni-elicotteri è stata avviata dalla statunitense Uavos, mentre il primo test di volo è stato effettuato nel dicembre del 2020 nei cieli della Turchia.

«L’Alpin è stato progettato per andare incontro alle richieste specifiche ed uniche della Turchia e agli interessi speciali della sua industria nazionale per operare come sistema a pilotaggio remoto in una varietà di scenari complessi nei campi civili e della sicurezza», riporta la nota emessa da Uavos a conclusione delle attività sperimentali in territorio turco. «L’elicottero convertito è indispensabile per l’industria logistica dei velivoli senza pilota per trasportare carichi in zone difficili da raggiungere e sfornite di campi di atterraggio». E viene subito in mente la configurazione del Rojava.

La Turchia – benché socio alla pari nelle concertazioni strategiche di Astana – produrrà entro due anni i tanto decantati Bayraktar TB2 in Ucraina: benché più leggeri e meno efficienti nel contrasto di un attacco aereo, i droni turchi secondo l’Agi saranno già in grado di contrastare quelli iraniani.

    • «l’Ucraina ha un ruolo di primo piano nella catena di approvvigionamento di Baykar, in particolare con il nuovo drone pesante Akinci e il jet da combattimento senza pilota Kizilelma, attualmente in fase di sviluppo, montano entrambi motori ucraini MotorSich» (“Analisi Difesa”).

Secondo Barayktar molto presto i droni turchi TB2 e Akinci potranno colpire con buona efficacia oggetti in volo grazie all’integrazione del sistema di difesa Sungur prodotto da Roketsan, mentre i droni iraniani sono pesanti e rumorosi, sono obiettivi facili perché volano a bassa quota.

Invece quelli turchi sono stati opzionati anche dal governo polacco, che ha ricevuto a ottobre 6 dei 24 TB2 comprati.

19 novembre

    • Comprare gas dalla Tunisia con veicoli militari antimigranti

      • LaLa Francia ha portato a Djerba 200 milioni di prestiti in occasione della Organisation internationale de la Francophonie; ma ha anche consegnato alla Tunisia il primo lotto di una donazione comprendente cento veicoli militari fuoristrada Masstech T4 prodotti da Technam in occasione della ventinovesima sessione della Commissione militare franco-tunisina svoltasi dal 15 al 17 novembre nella capitale del paese nordafricano e documentata da “Tuniscope”; i veicoli sono palesemente utili nel contenimento dei migranti. L’ambasciata di Francia a Tunisi sulla propria pagina Facebook ha precisato che durante i lavori della commissione è stato tratto “un bilancio molto soddisfacente” in termini di cooperazione bilaterale per il 2022. In particolare, sono state svolte 60 attività in Francia o Tunisia.Ma quella più interessante è volta a ristabilire l’asse militare tra le due sponde mediterranee:

        «Per Saied – afferma il politologo francese Vincent Geisser rilanciato da “Africanews” – ospitare questo vertice è “un successo” perché lo porterà fuori dal suo isolamento almeno temporaneamente. È una sorta di pacificazione nei suoi rapporti con i suoi principali partner occidentali, userà questo evento per legittimare una svolta autoritaria fortemente criticata».

    • In cambio la Francia cerca di comprarsi gas in quella che era la sua casa coloniale.

  • Questo veicolo, costruito a partire da un telaio Toyota Land Cruiser HZJ76, è blindato, dotato di griglie di protezione contro le proiezioni e di cinque punti di armamento. È in servizio con l’esercito francese sul territorio francese e in OPEX nel Sahel. Viene utilizzato anche dall’esercito reale giordano (“MenaDefense”)

10 novembre

  • Corsa al riarmo in Africa

    • Nel dossier dell’“Atlante delle guerre” a marzo si leggeva: «In Africa subsahariana i cinque maggiori importatori di armi sono stati Angola, Nigeria, Etiopia, Mali e Botswana. Resta un grande importatore l’Egitto che con il più 73% diventa il terzo importatore di armi a livello globale».

    • L’Etiopia ha usato abbondantemente le sue dotazioni prima di arrivare agli accordi di metà novembre: dopo due anni e un numero imprecisato di morti compreso tra mezzo milione e un milione di vittime (qui un intervento di Matteo Palamidessa raccolto da Radio Blackout).

    “Il genocidio atroce e diffuso nel Corno d’Africa”.

  • Il Mali (e il Sahel nella sua integrità) è alle prese con la necessità di difendersi dai tagliagole jihadisti dotati di armi sofisticate e dunque gli eserciti – affrancatisi da operazioni coloniali francesi, ma così indeboliti – cercano di procurarsi strumenti per liberarsi dalla tenaglia dell’insorgenza, come ci ha raccontato Edoardo Baldaro:
  • Collegata a questa situazione è la notizia lanciata da un tweet postato il 5 novembre da “Spoutenik en Français” (palese indirizzo filorusso) relativa alla richiesta a Mosca per l’acquisto di due elicotteri da parte del Burkina di Ibrahim Traoré nel quadro di un trattato di cooperazione con la Russia di Putin (che affonda le radici nei legami intrecciati tra paesi africani che hanno avviato il proprio distacco dall’Occidente con l’appoggio dell’Urss).

Gli elicotteri sono tra le macchine a uso bellico più ambite nel continente, come documenta Antonio Mazzeo nel suo blog il 10 novembre facendo cenno a una triangolazione di 6 velivoli T-129 “Atak” prodotti in Turchia da Turkish Aerospace Industries su licenza di AgustaWestland (della infinita galassia Leonardo spa) per il governo nigeriano al costo di 61 milioni di dollari. Come sottolinea Mazzeo, la versione turca dell’“Atak” (in uso in Siria, Iraq, Filippine e in futuro in Pakistan) sfodera nuovi sistemi di individuazione e tracciamento dei bersagli ed è dotato di razzi non guidati da 70 mm e missili anticarro L-Umtas.

  • «Nel bilancio della difesa nigeriano per il 2023 è previsto anche uno stanziamento di 4,5 milioni di dollari per l’acquisto di due elicotteri AW109 “Trekker, prodotti in Italia da Leonardo SpA. nel corso di un seminario delle forze armate nigeriane tenutosi a Ibom lo scorso 27 ottobre, il capo di Stato maggiore dell’Aeronautica Oladayo Amao avrebbe confermato l’intenzione di acquisire 24 caccia bimotori M-346 “Master” realizzati negli stabilimenti di Varese-Venegono di Leonardo» (“DefenceWeb”).

  • L’AW109 aveva già riscosso un enorme successo ad agosto al Labace brasiliano:
  • «L’AW109 Trekker, il primo gemello leggero di Leonardo a offrire un carrello di atterraggio a pattino, mantiene la cellula dell’AW109 Grand, l’ampia cabina e le prestazioni di prim’ordine, offrendo al contempo un maggiore carico utile a un costo competitivo, dimostrando così di essere perfettamente in grado di soddisfare i severi requisiti degli operatori in termini di capacità ed economicità. L’AW109 Trekker è dotato di una cabina di pilotaggio in vetro di ultima generazione di Genesys Aerosystems che può essere configurata in base alle esigenze del cliente» (“DGualdo”, un sito evidentemente promozionale di Leonardo)

  • Oltre all’indubbio affare per Leonardo, si può ipotizzare che il gigante africano immagini un innesco di conflitti nell’area… e forse l’odore di bruciato comincia a farsi più forte nella situazione del Nord Kivu, come illustrato in questo intervento di Massimo Zaurrini:
  • “Rischio di Terza guerra mondiale africana dei Grandi Laghi?”.
  • Dunque la Nigeria si sta riarmando potentemente, è sufficiente elencare i prodotti opzionati, prenotati, comprati, acquisiti che riporta “DefenceWeb”, oltre ai T-129 citati da Mazzeo e ai due AW109: gli Stati Uniti hanno approvato la possibile vendita di 12 AH-1Z alla Nigeria nell’ambito di un potenziale accordo da 997 milioni di dollari che include armi ed equipaggiamenti (nonostante i forti dubbi riguardo il mancato rispetto dei diritti umani del regime di Abuja); riceverà due aerei da trasporto C295 da Airbus, agognati dal 2016. La proposta di bilancio della Difesa nigeriana per il 2023 include finanziamenti per la manutenzione degli L-39ZA, degli Alpha Jet e propone 2,7 miliardi di dollari per tre aerei da sorveglianza/attacco MF 212 costruito dalla Magnus Aircraft nella Repubblica Ceca e 3 miliardi (6,8 milioni di dollari) per tre elicotteri Bell UH-1D.
    La BVST ((Belspetsvneshtechnika, ditta bielorussa) ha già collaborato con l’aeronautica nigeriana, fornendo la manutenzione degli elicotteri Mi-35 e l’addestramento; ora ha trasformato gli MF212 in velivoli armati ideali per compiti di sicurezza interna, sorveglianza e pattugliamento. A quanto pare, può essere equipaggiato con un gimbal elettro-ottico iSKY-30 HD e con missili R-60-NT-L o R-60-NT-T-2. In Ottobre il capo di stato maggiore Odalayo Amao aveva già dichiarato che l’Aeronautica militare nigeriana prenderà in consegna due turboelica Beechcraft King Air 360, quattro aerei di sorveglianza Diamond DA 62 e tre veicoli aerei senza pilota (UAV) Wing Loong II. Oltre a dozzine di velivoli ordinati tra il 2016 e il 2021.

Peraltro il mercato africano – ovviamente con le sue richieste. Le disponibilità di spesa e i bisogni commisurati alla tipologia di conflitti che nell’enormemente vasto territorio che costituisce condizioni di combattimento differenti – mette sul piatto finanziamenti corrispondenti alla percezione di pericolo o di preparazione di guerre e quindi mette in piedi una propria frequentata fiera. La biennale Africa Aerospace and Defense Expo di Centurion in Gauteng (Sudafrica) si è tenuta a fine settembre, proiettando in questi ultimi mesi di 2022 le prospettive di collocazione su piazza del nuovo bombardiere B-21 Northtorpe, forse non a caso presentato in Sudafrica per le sue prerogative di deterrenza, come spiega “BreakingDefense” nelle parole del generale dell’aeronautica Jason Armagost riguardo il sistema Sentinel di cui il bombardiere è parte: « Sentinel sarà altamente resiliente e flessibile. Non solo per la nostra sicurezza, ma anche per garantire i nostri partner e alleati in tutto il mondo. Si tratta di una capacità evolutiva e sono state prese decisioni deliberate su come renderla efficiente con l’infrastruttura che abbiamo, e su come modernizzare la capacità per rimanere flessibile con sistemi di missione aperti e un’architettura digitale per evolvere con ambienti di minaccia in evoluzione», sembra la descrizione del panorama fluido africano. Il B-21 verrà definitivamente svelato il 2 dicembre assicura “MilitaryTimes”: probabilmente i paesi del continente africano non si potranno permettere questo bombardiere presentato a casa loro, ma potranno svuotare gli arsenali dei bombardieri che diventeranno obsoleti dopo l’avvento di questa macchina.

Più alla portata delle casse africane è il drone greco Archytas e soprattutto il Mwari aircraft con scopi multipli e infatti già venduto a molti paesi africani; e di quei paesi elencati all’inizio di questa scheda il Botswana probabilmente prenoterà i suoi droni in funzione antimigratoria, e allo scopo i droni presentati alla fiera sudafricana descritta nel video della scheda di ottobre fanno al caso.

AW109 Trekker

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