Ayotzinapa Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/ayotzinapa/ geopolitica etc Sat, 14 Jan 2023 11:14:26 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 L’equilibrismo di tre pesi diversi in Nordamerica https://ogzero.org/lequilibrismo-di-tre-pesi-diversi-in-nordamerica/ Sat, 14 Jan 2023 00:52:49 +0000 https://ogzero.org/?p=10062 Dietro alla relativa eco ottenuta dall’ennesimo incontro tra i tre paesi del Nordamerica si nascondono invece tematiche annose difficilmente risolvibili: i cartelli dei narcos che sull’altra riva del Rio Bravo chiamano War on drugs e che sviluppano  business sempre diversi con l’obiettivo dei mercati anglosassoni del continente; mentre visti dalla frontiera settentrionale i flussi migratori […]

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Dietro alla relativa eco ottenuta dall’ennesimo incontro tra i tre paesi del Nordamerica si nascondono invece tematiche annose difficilmente risolvibili: i cartelli dei narcos che sull’altra riva del Rio Bravo chiamano War on drugs e che sviluppano  business sempre diversi con l’obiettivo dei mercati anglosassoni del continente; mentre visti dalla frontiera settentrionale i flussi migratori si ammassano sulla riva opposta del Rio Grande, come in un grande hub, dove comunque si riescono a spuntare salari maggiori, dove in qualche modo si può “aspettare”. Però sia gli uni – i flussi di droga – che gli altri – i flussi migratori – risalgono lungo tutto il territorio messicano a partire dalla frontiera meridionale. Infatti non manca nemmeno nell’incontro del Distrito Federal di Ciudad de México il confronto tra comunità native e afrodiscendenti – vessate e umiliate dai colonialisti e dai loro discendenti – e bianchi che diventano ancora più feroci nella difesa di privilegi anacronistici. Ma non sono rappresentate da nessuno dei partecipanti, sono pura merce di scambio: per creare difficoltà ai paesi antagonisti (non ammessi alla Cumbre di L.A.) si accettano migranti da quelle frontiere… e si sbattono le porte in faccia agli altri.
Amlo è riuscito nell’intento di apparire all’altezza dei due “amici” anglosassoni? Diego Battistessa ha analizzato la tre giorni de los tres amigos anche mantenendo accesa la luce proveniente dal continente che si apre a Sud di quel confine meridionale messicano che non trova spazio nell’economia autosufficiente del vertice.

fin qui OGzero


Dal 9 all’11 gennaio si sono riuniti a Città del Messico “I tre amici”, in spagnolo Los tres amigos. Non stiamo parlando di Alfonso Cuarón, Alejandro González Iñárritu e Guillermo del Toro, direttori di cinema messicani, conosciuti appunto come “Los tres amigos” – e nemmeno Steve Martin, Chevy Chase e Martin Short (protagonisti della omonima pellicola di John Landis del 1986 all’origine dell’espressione) –, ma bensì dei capi di stato di Canada (nella veste del primo ministro), Usa e Messico (presidenti delle reciproche Federazioni di stati). Trudeau, Biden e Lopez Obrador hanno dato vita al vertice dei leader nordamericani per stabilire delle politiche comuni su temi chiave per “i tre paesi”: in special modo migrazione, sicurezza (leggi narcotraffico) e commercio. Questo incontro trilaterale è il decimo della sua storia, iniziata il 23 marzo 2005 sotto il nome di Alliance for North American Security and Prosperity, con la riunione a Waco (Texas) di George W. Bush (USA) , Paul Martin (Canada) e Vicente Fox (Messico).

Un evento che segna questo inizio 2023 ma che affonda le radici nel 2022. Prima di addentrarci infatti dentro l’analisi di quanto discusso dai tre leader nordamericani nell’evento di Città del Messico è necessario volgere lo sguardo all’anno appena trascorso per capire con quale stato d’animo Trudeau, Biden e Lopez Obrador, si sono seduti al tavolo delle trattative.

 

Mexico – United States of America

Tensione diplomatica

In primo luogo non si può non sottolineare che questo vertice risana una frattura che si era palesata durante un altro importante summit, quello delle Americhe, celebratosi a Los Angeles dal 6 al 10 giugno 2022. Un incontro del quale vi abbiamo parlato in queste pagine  (dove ho potuto partecipare di persona) e dove, tra le altre, pesava proprio l’assenza di Andrés Manuel Lopez Obrador (Amlo). La presa di posizione del presidente messicano rispetto alla sua non partecipazione a questo importante incontro, che si celebra ogni 4 anni, riguardava l’esclusione a priori di Cuba, Nicaragua e Venezuela, paesi ritenuti antidemocratici dagli Usa. Tra il 9 e l’11 gennaio dunque, Lopez Obrador e Biden hanno potuto tornare a negoziare “face to face” in un contesto internazionale, dove strette di mano e foto di rito hanno allentato (almeno a favore di telecamera) una tensione che ancora era nell’aria.

War on drugs di Nixon: mezzo secolo fa

Non è da sottovalutare neanche quanto sono riusciti a realizzare Messico e Usa – nello specifico le autorità messicane –, lavorando insieme alla Drug Enforcement Agency (Dea) degli Stati Uniti rispetto alla lotta ai cartelli che controllano le rotte del narcotraffico. La cattura a luglio 2022 in Messico del narcotrafficante Rafael Caro Quintero (uno dei fondatori del Cartello di Guadalajara insieme a Miguel Ángel Félix Gallardo ed Ernesto Fonseca Carrillo) considerato uno dei latitanti più ricercati del mondo e reso famoso al grande pubblico per la serie Narcos, è stato un gran risultato.

Amlo antidroga

Operazione che ha fatto vedere in modo chiaro la volontà dell’amministrazione di Amlo di lottare contro questa piaga (il Messico ha dichiarato guerra al narcotraffico nel 2007) e di appoggiare le autorità Usa nella persecuzione di questi criminali. Persecuzione, cattura ed estradizione, quest’ultima proprio la più temuta dai leader dei cartelli che sanno di poter vivere una vita “alla grande” nelle carceri messicane ma di tutt’altra storia si tratta se invece la pena è da scontare in una prigione “gringa”.

La catena delle estradizioni

In questo senso il Messico nel 2022 ha estradato più di 50 criminali legati al narcotraffico, principalmente verso gli Stati Uniti, assestando duri colpi ai cartelli di Sinaloa, del Golfo, di Arellano Félix e del gruppo criminale Guerreros Unidos (quest’ultimo collegato al caso dei 43 studenti di Ayotzinapa nel 2014, episodio della politica avversa alle realtà indigene del Mexico). Oltre a Rafael Caro Quintero, altri “narcos” di spicco catturati o estradati nel 2022 sono Mario Cárdenas Guillén, uno dei capi del Cartello del Golfo (conosciuto come “M-1” o “El Gordo), Adán Casarrubias Salgado, conosciuto come El tomate, che si suppone essere il leader del gruppo Guerreros Unidos e Carlos Arturo Quintana, alias “El 80”, uno dei capi del gruppo criminale La Línea, nell’ orbita del Cartello di Juárez. E ancora Juan Francisco Sillas Rocha, uomo di fiducia degli Arellano Felix e Jaime González Durán, alias El Hummer, parte del gruppo di comando degli Zetas.

Welcome, Mr President

Insomma una collaborazione che ha portato buoni frutti e che proprio pochi giorni prima dell’inizio di questo nuovo vertice dei leader nordamericani ha avuto la sua ciliegina sulla torta. Si perché non è certo passato inosservato il tempismo con il quale, proprio 4 giorni prima dell’inizio dell’incontro trilaterale, le autorità messicane hanno realizzato un imponente operazione che ha portato alla cattura di Ovidio Guzmán, uno dei figli (“los chapitos”) dello storico capo del Cartello di Sinaloa, Joaquín El Chapo” Guzmán.

Alle 5 del mattino di giovedì 5 gennaio, diversi elicotteri, uno dei quali armato di mitragliatrice, hanno aperto il fuoco contro bersagli a terra nella città di Culiacán, stato di Sinaloa. Così è iniziato il blitz delle forze federali messicane che hanno catturato Ovidio, conosciuto anche come El Ratón” o “El Gato Negro, sul quale pendeva una taglia di 5 milioni di dollari. Il Cartello ha però reagito in modo rapido e violento, Culiacán è rimasta ostaggio di più di 50 blocchi stradali realizzati da uomini armati appartenenti all’esercito di Guzmán, criminali che hanno anche assaltato l’aeroporto per evitare che Ovidio venisse portato via dalla città.

Il governo messicano ha notificato all’amministrazione di Joe Biden l’azione portata a termine con successo, una sorta di gesto di buona volontà che Amlo ha presentato al presidente degli Stati Uniti d’America prima del suo arrivo a Città del Messico.

Lunga vita all’infame Titolo 42

Sul tema migratorio bisognerebbe scrivere un articolo a parte. È comunque chiaro che questo aspetto è stato centrale nella strategia dell’amministrazione Biden fin dall’inizio della presidenza nel 2021: basti considerare che il primo viaggio fatto dalla vicepresidente Kamala Harris (giugno 2021) riguardava proprio la questione migratoria, ed è stato realizzato tra Messico e Guatemala. Amlo è stato un buon alleato per le politiche migratorie dei democratici statunitensi che durante questi ultimi due anni hanno dovuti fare i conti con l’aumento dei flussi e della pressione verso la frontiera nord, nella misura in cui si minimizzavano (o eliminavano) le barriere per prevenire la diffusione del Covid-19.

L’esternalizzazione delle frontiere in salsa guacamole

Frontera norte

Biden nel 2022 ha cercato per ben due volte di far eliminare il famoso Titolo 42 (a maggio e a dicembre) ma in entrambe le occasioni la maggioranza repubblicana dei giudici ha fermato l’azione della Casa Bianca. Nel frattempo nell’ottobre del 2022 il governo del Messico dava per concluso il programma chiamato Quédate en Mexico (rimani in Messico): programma creato nella legislatura dell’ex presidente Donald Trump (2017-2021) che stabiliva che i migranti che volevano entrare negli Stati Uniti d’America legalmente, dovevano attendere la risoluzione delle procedure burocratiche in territorio messicano. Una misura che il Messico ha subito suo malgrado e che oltre a creare un enorme caos alla frontiera, ha generato multiple violazione dei diritti fondamentali delle persone migranti.

Nonostante ciò, il 2022 si è concluso con dei record storici di transiti migratori irregolari verso gli Usa, situazione che ha esposto il fianco di Joe Biden agli attacchi dei repubblicani che parlano di vera e propria “invasione”, minacciando di processare il segretario alla sicurezza nazionale, Alejandro Mayorkas. Da qui l’ultimo “asso nella manica” giocato dall’attuale presidente a stelle e strisce proprio pochi giorni prima del vertice dei Tre amigos: ancora una volta un piano di bastone e carota.

«Do not come!»

Proprio mentre a Culiacán l’esercito messicano battagliava con il Cartello di Sinaloa per arrestare Ovidio Guzmán, Joe Biden annunciava nuove misure per rafforzare il controllo del confine con il Messico e in cambio prometteva l’apertura di nuovi canali di immigrazione legale, soprattutto alle persone provenienti da Venezuela e Cuba (che vivono la più grande crisi migratoria della loro storia) oltre a Nicaragua e Haiti. Gli Usa, ha detto Biden, accetteranno 30.000 migranti al mese provenienti dai sopracitati paesi, a patto che queste persone in movimento possano dimostrare legami familiari con emigrati già presenti nel territorio statunitense. Allo stesso modo verrà rafforzato il controllo nella frontiera sud e non ci sarà “nessuna pietà” per chi cerca di passare il confine in modo illegale. «Do not come!» (Non venite), continua a recitare Biden, il mantra gringo che sentiamo ripetere ai democratici da giugno 2021, quando proprio in Messico lo disse Kamala Harris per la prima volta in questa amministrazione – e ribadito durante la Cumbre di Los Angeles.

Dossier top secret

Per concludere, a Biden in questi giorni non sono mancati neanche problemi interni. Infatti proprio lunedì 9 gennaio, mentre stavano iniziando i lavori del vertice si è saputo di una importante indagine che lo vede implicato direttamente. Sarebbero infatti stati trovati circa una dozzina di documenti riservati su Iran, Ucraina e Gran Bretagna nell’armadio di un ufficio che l’attuale presidente ha utilizzato mentre collaborava con l’Università della Pennsylvania (2017- 2021), periodo nel quale non ricopriva nessun incarico politico. Una volta trovati i documenti è stato informato il Dipartimento di Giustizia, che ha nominato un pubblico ministero, John Lausch (uomo scelto a suo tempo da Donald Trump), per portare avanti le indagini. Il problema (un altro) è che mentre erano in corso le indagini preliminari per determinare se sussistono gli indizi di reato, sono venuti alla luce nuovi documenti “top secret”, stipati nel garage della residenza di Biden nel Delaware, suo feudo elettorale. Ora bisogna capire se ci sono gli estremi per istruire un processo e in quel caso si staglierebbero nubi molto oscure nell’orizzonte dei democratici, visto che tra poco l’ottantenne presidente Usa dovrà far sapere se correrà per un secondo mandato nel 2024 o se lascerà il testimone del partito a qualcun altro.

Canada

Sappiamo che il Canada è un paese dal basso profilo, nel senso che non riempie di scandali i “rotocalchi” internazionali. Nonostante ciò, questa vetrina internazionale offerta da Amlo è però servita al primo ministro Justin Trudeau per sottolineare il rispetto dovuto alle comunità indigene e alla protezione dell’ambiente.

Pellegrinaggi penitenziali

Parole che riportano subito all’immagine simbolo del 24 luglio 2022, quando Jorge Bergoglio atterrava dopo un volo di 10 ore all’aeroporto canadese di Edmonton per iniziare un viaggio di 6 giorni nel quale avrebbe chiesto perdono ai rappresentanti di vari popoli indigeni (Inuit e Métis tra gli altri) per la complicità della Chiesa cattolica negli abusi perpetrati nei collegi dove venivano internati i bambini indigeni.

Più di 150.000 di loro vennero allontanati dalle loro case dal 1800 fino agli anni Settanta del secolo scorso e internati con la forza nelle scuole nel tentativo di isolarli dall’influenza delle loro famiglie e della loro cultura. Queste scuole/collegi erano finanziati dalla Chiesa cattolica e dal governo e il loro compito era quello di integrare alla forza le nuove generazioni di indigeni alla società canadese di religione cristiana. Dopo la visita di papa Francesco, il governo canadese ha effettuato una dichiarazione nella quale riteneva insufficienti le scuse del Pontefice, che non aveva fatto menzione nei suoi discorsi agli abusi fisici e sessuali perpetrati contro i bambini indigeni. Lo stesso Justin Trudeau aveva chiesto perdono alle popolazioni indigene native il 25 giugno 2021 dopo che la Federation of Sovereign Indigenous Nations (FSIN, che rappresenta nazioni indigene native a Saskatchewan) aveva riferito del ritrovamento di circa 750 tombe anonime in una fossa comune in un collegio in Canada: nel luogo dove prima si ergeva la  Marieval Indian Residential School nella provincia di Saskatchewan. Un tema ancora scottante in Canada e che ha segnato il governo di Trudeau.

I temi del vertice

«Condividiamo una visione comune per il futuro, basata su valori comuni», le parole di Biden a corollario di un incontro che si è centrato principalmente su sicurezza, economia, clima e migrazione.

Autosufficienza economica

Una delle azioni concrete è stata la creazione di un comitato di 12 membri (4 per ogni paese) per la pianificazione e la sostituzione delle importazioni in Nordamerica. L’idea è che i tre paesi possano raggiungere insieme l’autosufficienza, creando un‘unione economica forte ed efficace.

In questo senso Trudeau ha sottolineato che insieme i tre amici superano il pil dell’Unione Europea e che possono essere il volano di una «economia continentale, solida e resiliente».

Respingimenti limitati

Il tema migratorio è stato centrale e se da un lato Amlo ha chiesto a Biden di promuovere riforme per agevolare la legalizzazione di milioni di messicani che vivono e lavorano in Usa, dall’altro lo ha ringraziato per non aver costruito nemmeno “un metro” di muro (il famoso muro promesso da Trump). Il Canada, che riceve una minore migrazione di cittadini messicani, dal canto suo ha posto in marcia il programma di concessione di visti di lavoro a giornalieri messicani, un piano di mobilità regolare che già include 25.000 persone. Il focus però è stata la frontiera del Rio Bravo o Rio Grande, a seconda della riva da cui si guarda, e della pressione migratoria che viene esercitata in questo punto. Come detto in precedenza il nuovo piano di Biden è stato annunciato pochi giorni prima del vertice, spazio nel quale è stato reiterato e confermato da Amlo.

Il mercato di Fentanyl

Lopez Obrador ha poi posto sul tavolo un’altra questione, quella che riguarda il fentanyl, e la sua sempre maggiore diffusione in Usa e Canada. Si tratta di una droga molto potente, che viene confezionata in modo illegale in Messico e che viene poi esportata nel Nord del continente. Dal sito del Centers for Disease Control and Prevention:

«Il fentanyl è un oppioide sintetico che è fino a 50 volte più forte dell’eroina e 100 volte più forte della morfina. È un importante fattore che contribuisce alle overdose fatali e non fatali negli Stati Uniti. Esistono due tipi di fentanyl: fentanyl farmaceutico e fentanyl prodotto illegalmente. Entrambi sono considerati oppioidi sintetici. Il fentanyl farmaceutico è prescritto dai medici per trattare il dolore intenso, specialmente dopo un intervento chirurgico e negli stadi avanzati del cancro.
Tuttavia, i casi più recenti di overdose correlate al fentanyl sono collegati a quello prodotto illegalmente, che viene distribuito nei mercati di stupefacenti per il suo effetto simile all’eroina. Viene spesso aggiunto ad altri farmaci a causa della sua estrema potenza, rendendo i farmaci più economici, più potenti, più stimolanti e più pericolosi».

In questo senso, il presidente del Messico si è impegnato con Stati Uniti e Canada a lottare contro il traffico di fentanyl, confermando che questa attività è stata messa tra le priorità delle Forze Armate del paese latinoamericano.
Il vertice si è chiuso in un clima di cordialità e mutuo intendimento, un gioco politico di do ut des , nel quale ognuno dei tre attori ha “giocato” pensando al cortile di casa sua.

Lo scenario latinoamericano visto dal vertice dei tre amici

Durante il vertice Amlo ha chiesto a Biden e Trudeau di «porre fine a questo oblio, abbandono e disprezzo verso l’America Latina». Parole lapidarie che però rendono bene l’idea di come le forti economie nordamericane facciano “orecchie da mercante” rispetto alla situazione attuale del resto del continente, in preda a forti convulsioni sociali e attacchi profondi alle fondamenta democratiche, così faticosamente costruite negli anni passati.

Tre casi su tutti ci portano a una riflessione sullo stato della regione: Brasile, Perù e Bolivia.

In Brasile abbiamo visto l’8 gennaio migliaia di sostenitori di Bolsonaro assaltare la piazza dei tre poteri a Brasilia. Un atto di superbia morale, terrorismo interno e sdegno verso le istituzioni che ha connotato uno dei giorni più tristi per il Brasile.

In Perù, dove i fatti di dicembre che hanno portato all’arresto dell’ex presidente Pedro Castillo e la nomina della sua vice, Dina Boluarte come prima donna a dirigere il paese sudamericano, le repressioni delle proteste hanno causato decine di morti e centinaia di feriti. Il popolo che si rispecchia in Castillo, contadini e indigeni delle zone rurali, grida que se vayan todos (che se ne vadano tutti) chiedendo elezioni anticipate e la cacciata della corruzione dalle istituzioni: le forze dell’ordine rispondono con proiettili ad altezza d’uomo. Per capire il livello dello scontro basti pensare che a Lima la procura ha chiesto di indagare Boluarte per «presuntos delitos de genocidio, homicidio calificado y lesiones graves».

In Bolivia nel periodo natalizio è stato arrestato il governatore del dipartimento di Santa Cruz, (zona che fa parte della chiamata mezzaluna bianca) dove la destra conservatrice si oppone da anni a Evo Morales prima e ad Arce ora. Luis Fernando Camacho (il governatore) è stato detenuto per i fatti legati alla crisi politica che ha seguito le elezioni del 2019, la cacciata di Evo dal paese e l’insediamento di Jeanine Áñez come presidente del paese (oggi anche lei in carcere): dopo la sua cattura sono iniziate manifestazioni per chiederne la liberazione.


Proprio di questi eventi distribuiti tra Brasilia, Cuzco, Ayacucho, Arequipa, Puno e di considerazioni sui fatti boliviani di questi giorni si è parlato su Radio Blackout il 12 gennaio 2023 con Diego, concludendo ad anello il discorso, ritornando all’inizio di questo articolo:
“Sacudidas en la marea rosa”.


Insomma, uno scenario di instabilità che vede proprio nell’occhio del ciclone tre dei paesi della nuova “ondata” della Marea Rosa fare i conti con la polarizzazione sociale e politica. Se a questo aggiungiamo gli appuntamenti elettorali importanti di questo 2023, specialmente in Argentina, dove il kirchnerismo sembra partire in svantaggio per l’elezione del prossimo presidente e l’attentato sventato contro Francia Marquéz (vicepresidente) in Colombia, possiamo capire quanto il bandolo della matassa sia difficile da districare.

Un aiuto può venire da Moleskine Sur, un ottimo compagno di viaggio nei meandri delle realtà latinoamericane proiettate verso un 2023 dai risvolti molto incerti.

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Ayotzinapa, sei anni fa se li sono presi vivi https://ogzero.org/la-realta-distopica-della-necropolitica-e-il-potere-di-decidere-chi-deve-vivere-o-morire/ Sun, 27 Sep 2020 17:06:05 +0000 http://ogzero.org/?p=1280 Sei anni dopo la strage dei normalistas di Ayotzinapa il governo messicano riconosce gli insabbiamenti e arresta 70 militari, considerandoli responsabili per i fatti avvenuti a Iguala il 26 settembre 2020. Miguel A. Cabañas ha incastonato in un suo lungo saggio quella collusione di apparati militari, magistratura, politici corrotti e cartelli della droga, riconducendola alla necropolitica che affonda le sue radici nel neoliberismo e nel saccheggio del territorio, delle risorse e della manodopera da parte delle multinazionali, ottenendo una società dispotica animata dall'horrorismo

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War on drugs e repressione di classe

Il potere di decidere chi deve vivere o morire: «La guerra alle droghe rappresenta un importante dispositivo di controllo sociale per i governi nazionali. Il massacro di Apatzingán o il caso di Ayotzinapa in Messico e il Plan Colombia sono tra i più chiari esempi della commistione fra guerra alle droghe e repressione sociale… è ben più di una lotta contro i signori della droga: essa rappresenta oggi uno strumento cardine nelle politiche interne, nonché la più importante strategia per garantire la presenza economico-militare degli Stati Uniti in America Latina». Così Ana Cristina Vargas nel 2017 riassumeva il brodo di coltura geopolitico in cui  si è potuta consumare la notte da incubo di Iguala, facendo risalire alla Necropolitica la causa di questo massacro tra i più famosi per efferatezza nella travagliata storia contemporanea della federazione messicana, soltanto perché il caso Ayotzinapa ha ottenuto la dovuta attenzione da parte della stampa internazionale mettendo radici nella coscienza messicana perché ha scoperchiato i meccanismi del controllo mediatico e ufficiale prodotti in Messico.

Il ricordo degli studenti di Ayotzinapa è ancora tenuto vivo dai genitori dei 43 normalistas torturati, uccisi e ridotti in cenere nella collusione tra potere politico, cartelli del Guerrero e longa manus militare. Una strage avvenuta il 26 settembre 2014 a Iguala, per la quale il 27 settembre 2020 si sono viste migliaia di persone riversarsi nello Zocalo del DF per chiedere una verità accettabile. Questo ha smosso il procuratore Omar Gómez Trejo a dichiarare che sono stati spiccati 70 ordini di cattura ai danni di militari e magistrati dell’epoca (e 34 eseguiti), mentre Andrés Manuel López Obrador ha alluso a una falsa verità sostenuta dal governo precedente di Enrique Peña Neto

Amlo, presidente del Messico

Ma qual è lo sfondo su cui scorrono le immagini di Iguala e in che contesto deve affondarsi l’analisi di quella Necropolitica che continua a ispirare i rapporti coloniali tra le due sponde del Rio Bravo / Rio Grande? Proponiamo qui alcuni brani tratti dal volume Narcos del Norte, pubblicato nel 2017 per la collana di Orizzonti geopolitici di Rosenberg & Sellier. [OGzero]


Neoliberismo e Necropolitica

di Miguel A. Cabañas

La Guerra alle droghe fin dal suo concepimento nel xx secolo non ha ottenuto di eliminare l’insaziabile brama del consumo di stupefacenti. Si può anzi sostenere facilmente come la politica della droga abbia paradossalmente stimolato la produzione, il consumo e l’intervento di contrasto. Sappiamo che già molti hanno prestato la propria voce a criticare le sue conseguenze, la sua inefficacia, l’interminabile repressione che ne deriva. Però la politica non è cambiata, al contrario si è intensificata. Anche la Guerra alle droghe si è modificata entrando in contatto con un altro tipo di conflitti: la Guerra Fredda o quella al terrorismo. È cominciata come una metafora politica e adesso si è trasformata in una “guerra reale” in cui l’esercito e la sua tecnica nell’uccidere son stati resi accessibili e comuni, anche per le strade delle città. Nel XXI secolo il Messico sta patendo le conseguenze di questa “guerra aperta” tra lo stato e il narcotraffico. Questo, tuttavia, è più complesso di quanto i mezzi di comunicazione cerchino di farci credere. Non è una guerra tra buoni e cattivi, e neppure uno stato di belligeranza “legale”; i protagonisti che rimangono esterni al quadro sono le multinazionali che stanno approfittando delle riforme neoliberiste messicane. Come si vedrà in seguito la guerra si concretizza contro la popolazione messicana più debole, contro gli indifesi che non detengono alcun accesso al “monopolio dalla violenza”.

La violenza, secondo Antonio Gramsci, è uno strumento di dominio di una classe sopra le altre ed è anche usata per ottenere il consenso dei governati, al fine di istituire la propria egemonia. Perciò non ci si può esimere dall’intendere il fenomeno della violenza se non contestualizzandolo nei mutamenti neoliberisti avvenuti in Messico e nell’ascesa di un nuovo genere di capitali di provenienza illecita che prendono parte alla lotta per il potere. Come ci ricorda Pierre Bourdieu: «Ogni esercizio della forza è accompagnato da un discorso che mira a legittimare la forza di colui che lo esercita; si può addirittura affermare che la particolarità di ogni rapporto di forza consiste nel dissimularsi come rapporto di forza e di esprimere tutta la sua forza soltanto nella misura in cui riesce a dissimularsi come tale». L’attuale Guerra alle droghe viene pensata come tentativo di legittimare la violenza che nasce dalla svolta neoliberale e nel contesto storico della crisi di legittimazione patita da Felipe Calderón. Non possiamo tralasciare il fatto che il tessuto legato all’accordo strategico Iniziativa Mérida alimentato dal governo di George W. Bush si presenta nell’ambito della convergenza di interessi di entrambi i paesi e dei risultati del Plan Colombia, il cui scopo era rendere questo paese stabile secondo i parametri neoliberisti e il Trattato di libero commercio ratificato nel 2007 tra Stati Uniti e Colombia e approvato dal Congresso statunitense nel 2011. Il Plan Colombia fu approvato negli Stati Uniti con il pretesto della Guerra alle droghe e, comunque, il suo principale obiettivo era di rintuzzare il potere dei gruppi rivoluzionari. Molti assicurano che il Plan Colombia è stato il motivo per cui le Farc (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) decisero di partecipare ai piani di pace, essendo state decisamente indebolite dalla guerra. Secondo le cifre ufficiali, con il rafforzamento delle forze di sicurezza colombiane attraverso una sovvenzione di 10 miliardi di dollari a partire dal 1999, il piano ha fatto in modo che i membri delle Farc perdessero la metà dei combattenti (erano 20 000 e nel 2009 erano ridotti a 10 000), perdendo di conseguenza le zone da loro controllate, sia in ambito urbano che nelle campagne. La Iniziativa Mérida include due miliardi di dollari a partire dal 2008 destinati a rinsaldare ordine e giustizia e a sostenere i diritti umani in Messico. Purtroppo in realtà quello che ha prodotto è una violenza indiscriminata contro i cittadini da parte delle forze armate, dello stato, dei paramilitari e delle organizzazioni criminali. Il congresso degli Stati Uniti ha stanziato 139 milioni di dollari per il 2016 e il 2017 a dispetto del fatto che il governo messicano fosse stato molto criticato per gli abusi in materia di diritti umani (in particolare il caso di Ayotzinapa ha conquistato una grande solidarietà internazionale) e per i casi di tortura, di esecuzioni sommarie e le sparizioni forzate nelle quali si vedono coinvolti membri dei corpi di sicurezza e più specificamente dell’esercito. Era dai tempi della Guerra Fredda che gli Stati Uniti non adottavano un approccio tanto interventista come adesso: stanno cercando di “vincere” guerre volte ad aprire nuovi mercati. La Guerra alle droghe si prospetta come la leva dell’implementazione di un nuovo contratto sociale: il neoliberalismo. Durante la Guerra Fredda gli Stati Uniti avevano appoggiato e promosso le dittature che tralignavano in dittature della borghesia. Adesso siamo passati a un altro modello: la dittatura del capitale. In questo caso ci riferiamo ai due tipi di capitale, quello legale e quello illegale che circola grazie al neoliberismo. Il capitale che si appropria dei minerali e di altre risorse attraverso la spoliazione delle popolazioni latinoamericane; e allo stesso modo il capitale del narcotraffico che sottomette le popolazioni per riprodursi e duplicarsi, mentre le forze di sicurezza fanno la guardia agli interessi dei padroni del capitale.

Neoliberismo: dal Nafta alla svendita di Pemex e Cfe

Il potere del capitale (legale e illegale) collabora per ottenere più benefici. Può essere in concorrenza, ma stipulare anche taciti accordi. Il neoliberismo si consolidò in Messico con il Trattato di libero commercio del Nordamerica (Nafta) nel 1993, che ebbe come conseguenza la ristrutturazione dell’agricoltura e dell’industria messicane: per esempio Donna Chollett analizza i suoi effetti sull’industria saccarifera del Michoacán, quando il presidente Salinas de Gortari privatizzò i mulini dello zucchero statali. L’antropologa del Minnesota spiega come il vuoto economico causato dal trattato fu riempito dall’attività del narcotraffico che portò alla violenza tuttora esercitata nella zona del Puruarán, nel Michoacán. In altri casi i narcos si sono infiltrati nelle industrie, come nel caso della raffineria di resina Ario sempre nel Michoacán. La compagnia Eastman Chemical del Tennessee continuava comunque a fare affari con la raffineria di proprietà de Los Templarios che intimidiva i lavoratori, uccideva, stuprava e taglieggiava, nonostante le informazioni che aveva ricevuto.

Successivamente in Messico si sono privatizzate le telecomunicazioni e il comparto minerario e energetico. Queste riforme neoliberiste hanno portato all’ingresso di compagnie multinazionali che non avevano alcun interesse a rafforzare la società civile, anzi al contrario entravano nelle comunità per sfruttare il territorio e la manodopera. Nel 2009 Calderón “ristrutturò” l’industria dell’energia elettrica e 44 000 lavoratori si trovarono senza lavoro quando si chiuse la compagnia Luz y Fuerza del Centro. Nel 2012 Pemex, l’ente petrolifero statale del Messico, era stato valutato secondo la rivista “Forbes” 416 miliardi di dollari ed era l’ottava azienda petrolifera più grande del mondo, e tuttavia nel 2013 il governo di Enrique Peña Nieto dichiarò che l’impresa registrava perdite e dunque il settore energetico aveva bisogno di una riforma. Si può ipotizzare che i narcos abbiano cominciato a rubare a Pemex migliaia e migliaia di dollari nell’ambito petrolifero nel 2014, per quanto queste circostanze non siano state corroborate da altro che “informazioni ufficiose”. Dall’altro lato del muro gli avvoltoi osservavano la Pemex come un cadavere che si sarebbe potuto spolpare in qualsiasi momento. George Baker, direttore e redattore di “Mexico Energy Intelligence”, una newsletter di orientamento industriale e politico per consiglieri e analisti dell’industria petrolifera texana ma con lo sguardo rivolto al Messico, spiegò nel 2015 alla Cbc News che il 15 per cento era controllato dai narcos e il costo era di 114 miliardi di perdite e «questa è una grande ammissione di vulnerabilità». Malgrado la presenza dell’esercito a Tamaulipas, secondo le informazioni ufficiali, i furti sono aumentati di numero in questi anni. Non funziona secondo la logica che vorrebbe che così come Pemex era a rischio di saccheggio da parte dei narcos prima, allo stesso modo lo sarebbero state anche le compagnie straniere, una volta subentrate nel controllo dell’ente petrolifero. Tuttavia si usò ideologicamente questo argomento per giustificare la necessità di privatizzare la Pemex. Tra il 2013 e il 2015 il governo di Enrique Peña Nieto decapitalizzò Pemex e Cfe (la Comisión Federal de la Electricidad), stornando in segreto 240 miliardi e 518 milioni di pesos (circa 14 miliardi di dollari) del patrimonio nazionale investito in queste imprese e lo ridiresse su altre spese di bilancio. I disinvestimenti nelle due imprese più produttive dello stato messicano aprivano anche la strada alle multinazionali per competere in modo iniquo nel sistema delle aste relative ai contratti, nelle quali si stabiliva la nuova agenda di progetti energetici. Le multinazionali lavoravano con il beneplacito e l’aiuto dei signori della guerra o dei narcos che controllavano certe zone.

I cartelli messicani del narcotraffico

Violenza di stato e terrore narcos per imporre riforme del neoliberismo

la vita e la morte sono regolamentate dal mercato e dalla logica neoliberista tramite la creazione di uno “stato di emergenza” nel quale le forze di sicurezza dello stato possono intervenire con totale carta bianca. Il narcotraffico cresce, si riproduce e si moltiplica nel sistema neoliberale. Inoltre questo partecipa in toto e attivamente a questa neoliberalizzazione e privatizzazione con la preoccupazione di ripulire il denaro sporco.

Necropolitica ed esistenze cestinabili

Achille Mbembe definisce “necropolitica” come la costruzione della sovranità o il potere di decidere chi deve vivere o morire. Contiene pure l’idea del “biopotere” intesa come il dominio della vita in merito al quale il potere prende il controllo in uno “stato di emergenza”. La necropolitica in Messico assembla il neoliberismo con i suoi accompagnatori, i narcos. Entrambi si appoggiano l’un l’altro per sopraffare una popolazione che si trova in un sistema economico che investe in morte. Il problema delle comunità messicane è che non abbassano la guardia rispettando i dettami di questa necropolitica e continuano a lottare per i loro diritti: un esempio è costituito dai padri dei massacrati di Ayotzinapa.

Ayotzinapa - massacro di Igual

Le vite dei poveri e di quelli che si oppongono al sistema vengono trasformate in esistenze cestinabili. Il ribelle, il migrante, il rifugiato sono rifiuti. La popolazione si trasforma in scudo del potere, in qualcos’altro che lo stato non deve difendere, anzi in qualcosa che può essere scomodo e di cui sbarazzarsi. Come afferma Howard Campbell: «I flussi del narcotraffico sono evidenti e fortemente creati dalla globalizzazione neoliberista […] il narcotraffico frontaliero e il fenomeno culturale che chiamo Dwz [Drug War Zone: zona di Guerra alla droga] non possono essere totalmente compresi senza metterli in relazione ai gruppi del crimine internazionale e alle strutture del potere sociale ed economico globale».

Horrorismo, cannibalismo e narcomantas

L’horrorismo è esattamente la violenza nei confronti del corpo vulnerabile e esercitata contro gli indifesi. Questo tipo di violenza estrema è passato alla “legalità” in questo mondo globalizzato e politicizzato dalla guerra al terrorismo e alle droghe. Gli Stati Uniti mantengono prigioni clandestine dove vengono praticate torture e perpetrati orrori contro persone indifese che non saranno giudicate dalla giustizia ordinaria, ma piuttosto secondo le leggi dello stato di eccezione promulgate a cominciare dagli attentati dell’Undici Settembre. Parallelamente i narcos e le forze di sicurezza usano la tortura e altre tecniche orrificanti per diffondere la paura che trattiene la popolazione nella sfera di potere del capitale.

Le decapitazioni si sono trasformate in modo da esprimere questo orrore e poi trasmetterlo attraverso i media con messaggi infarciti di errori ortografici nelle ben note narcomantas che sfidano gli altri gruppi o lo stato stesso. Si tratta di una forma di propaganda primitiva che consegna il messaggio di paura a tutti quelli che non vogliono arrendersi. Le esecuzioni sommarie perpetrate dalle forze di sicurezza con il “colpo di grazia” in fronte mandano lo stesso messaggio territoriale. È l’avviso che non ci sarà pietà contro il nemico, chiunque egli sia. La tortura è la tecnologia più disumanizzante che maneggia l’essere umano come un taglio di carne e trova la forma più orripilante di disumanizzare l’“altro”. Le autorità la usano e i narcos la perfezionano.

L’abuso violento è una maniera per demoralizzare il nemico, per provare che la violenza è una forma di piacere per il barbaro. Il cannibalismo è stato adoperato da Los Zetas e adesso anche dal Cjng (Cártel Jalisco Nueva Generación). Mangiarsi il corpo del proprio nemico acquisendo così misticamente la sua forza era una pratica adottata in precedenza dal gruppo militare Los Kaibiles nella lotta contro i rivoluzionari nel Guatemala del dittatore Efraín Ríos Montt. Los Kaibiles collaborarono con Los Zetas e Los Zetas cominciarono a fare del cannibalismo una forma di intimidazione del nemico e come “patto di fratellanza” si mangiavano le cosce dei nemici avvolte nei tacos condividendole con tutti i presenti. Entrambi, Los Kaibiles e Los Zetas, furono addestrati dalle Forze speciali della School of the Americas (Escuela de Las Américas) a Fort Benning, in Georgia.

Le tante menzogne sulla notte di Iguala

Uno studente di Ayotzinapa superstite della strage di Iguala

Fin dall’inizio sorse il sospetto che l’esercito fosse stato informato di quello che capitava e che non avesse fatto nulla per evitare le sparizioni e la violenza di quella notte. Già nel dicembre 2014 un reportage della rivista d’inchiesta messicana “Proceso” di Anabel Hernández e Steve Fisher, usando testimoni, video, rapporti inediti e dichiarazioni di magistrati, concludeva che la polizia federale aveva partecipato direttamente e attivamente all’aggressione ai normalistas. Ottennero anche un documento governativo del Guerrero in cui si provava come gli studenti della Escuela Normal de Ayotzinapa erano stati seguiti fin dalla loro uscita da agenti della amministrazione federale e statale. Secondo questo documento «alle 17,59 il Centro de Control, Comando, Comunicaciones y Cómputo (C4) di Chilpancingo ha informato che i normalistas erano partiti da Ayotzinapa diretti a Iguala. Alle 20 la PF [polizia federale] e la polizia statale hanno raggiunto l’autostrada federale Chilpancingo-Iguala, dove gli studenti stavano cominciando a raccogliere denaro per una colletta. Alle 21,22 il comandante della base della PF, Luis Antonio Dorantes, è stato informato dell’ingresso dei giovani al terminal degli autobus e alle 21,40 il C4 di Iguala ha segnalato la prima sparatoria». Ma questo rapporto affermava: «anche l’esercito ha operato». Le modalità del C4, che opera con video e fotografie, fa sì che tutti i differenti livelli della polizia siano simultaneamente informati. Questo sistema è stato istituito per coordinare gli sforzi dei distinti organi di polizia contro il crimine organizzato. In questa caso Hernández e Fisher inquadravano la dinamica all’interno della guerra sporca contro «gruppi di attivisti politici in formazione».

Nel settembre 2015 i membri della commissione di esperti comparirono davanti alla Commissione per i diritti umani del DF (Comisión de Derechos Humanos del Distrito Federal) e presentarono la Relazione Ayotzinapa (El Informe Ayotzinapa). Il documento di 560 pagine contiene i risultati dell’inchiesta indipendente seguita dalla commissione che include documentazione della procura stessa (Pgr e Pgj) del Guerrero. Giunsero alla conclusione che per opere o omissioni furono coinvolti almeno cinque corpi di sicurezza: l’esercito messicano, la polizia federale, quella statale del Guerrero, la polizia municipale di Iguala e quella di Cocula. Lo smarrimento di alcune prove e video del C4 evidenziavano l’insabbiamento della verità e l’impunità dei colpevoli. Ma questo caso evidenziava anche la grave crisi umanitaria che viveva il Messico, con l’esercito nel mirino delle accuse. Il 5 ottobre il segretario alla Difesa nazionale comparve nel notiziario di Televisa a ripetere che il 27° battaglione di Iguala non avrebbe conferito con la commissione o con nessun altro al riguardo, perché – assicurava – non era colpevole di nulla, dopodiché minacciò di dimettersi dalla carica se i suoi soldati fossero stati interrogati da un gruppo di investigatori stranieri.

Dopo vari anni di inchieste Hernández pubblicò il suo libro La verdadera noche de Iguala. Una delle domande di Hernández senza risposta era come mai gli scomparsi provenissero da un autobus specifico mentre gli altri non erano stati aggrediti allo stesso modo. Nella documentazione della Pgr veniva menzionato anche un quinto mezzo che all’inizio compare nei documenti dell’inchiesta e di cui a poco a poco ci si è “dimenticati”. “Il quinto autobus” è l’unico che non sia stato assalito a fucilate dalla polizia municipale, ma è stato intercettato dalla polizia federale e gli studenti trasferiti sotto la minaccia delle armi. I due autobus Estrella de Oro requisiti dagli studenti di Ayotzinapa sono quelli intercettati dalle forze statali. Però Anabel Hernández è andata oltre: ha assodato che il 27° fanteria era il corpo operativo agli ordini di un boss locale impiegato a recuperare i pacchi di eroina che erano stati nascosti su questo quinto autobus e che, essendosi accorti gli studenti di quello che stava capitando, furono fatti sparire perché non rimanesse alcun testimone oculare. Il libro evidenzia che la Pgr chiese di aprire un’inchiesta sul 27° fanteria, ma fu ostacolata da ordini presidenziali. Il seguente documento segreto sancisce tutto ciò: «Si provveda… a che si allarghi l’inchiesta riguardo al capitano José Martínez Crespo con l’intento di fare piena luce sugli addebiti che sono scaturiti in relazione a possibili connivenze del suddetto con la delinquenza organizzata e i risultati della quale siano rimessi alla Subprocuraduría Especializada en Investigación de Delincuencia Organizada (Seido)». Secondo Hernández esistono anche prove balistiche della presenza e del coinvolgimento nell’attacco dell’esercito sul luogo del crimine. Negli ultimi due anni e mezzo l’esercito ha respinto la richiesta di ispezionare le sue strutture e si è rifiutato categoricamente di rilasciare dichiarazioni riguardo alla torbida vicenda della sparizione dei 43. Peña Nieto ha promosso il militare, Alejandro Saavedra Hernández, che era al comando del 27° fanteria quella notte. Due anni dopo e durante l’ondata di maggior violenza scatenata nello stato, secondo il quotidiano “El País” «due mesi dopo la sparizione, Saavedra Hernández acquisì poteri ancora maggiori e fu nominato comandante della IX regione militare del Guerrero», e due anni dopo arrivò addirittura a ricoprire l’incarico di nuovo ispettore e supervisore generale dell’esercito messicano. I padri dei 43 continuano a ripetere che Saavedra Hernández fu una delle menti che orchestrarono quanto accadde quella notte del 2014 a Iguala.

Secondo l’inchiesta di Hernández nel suo libro La Verdadera Noche de Iguala: La historia que el gobierno trató de ocultar, nel Guerrero «opera una rete di complicità tra autisti di autobus, passeggeri e diversi gruppi criminali per trasferire la droga; normalmente lo scambio funzionava senza contrattempi grazie alla corruzione che lo proteggeva». Questa connivenza tra il legale e l’illegale nel Guerrero è quello che ha fatto sì che gli studenti di Ayotzinapa costituissero un inconveniente nella logica di mercato. Questo incidente pone concretamente in evidenza la collusione di tutti i livelli dello stato e delle forze dell’ordine per coprire la verità e far sì che la gente non abbia la chiave per comprendere la violenza perpetrata in Messico.

 

La necropolitica proviene dal cuore di tenebra del neoliberismo e dilaga nella geopolitica caratterizzata dall’espansionismo. Gli Stati Uniti sono molto interessati a che questo continui a incrementare i loro redditi e i miliardi di dollari che lubrificano la macchina di morte in Messico. Se non si comincia a capire, a denunciare e a estirpare l’espansione neoliberista con le sue strategie dell’orrore, in un futuro molto vicino vivremo in una realtà distopica. In Messico sta già accadendo.

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