Alberto Fernández Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/alberto-fernandez/ geopolitica etc Thu, 28 Dec 2023 23:13:39 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 Il colore stinto della nuova Marea Rosa https://ogzero.org/studium/il-colore-stinto-della-nuova-marea-rosa/ Tue, 20 Dec 2022 20:20:54 +0000 https://ogzero.org/?post_type=portfolio&p=9837 L'articolo Il colore stinto della nuova Marea Rosa proviene da OGzero.

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Le Moleskine non finiscono al mundo del fín del mundo

Vi chiederete come mai è impostato al 90% l’avanzamento del lavoro pur avendo già la possibilità di proporvi il volume completo e acquistabile. Ebbene, è perché stavolta siamo un po’ andati a ritroso rispetto al solito: è vero che il libro discende dagli articoli e gli spreaker che hanno accompagnato la Marea Rosa lungo gli ultimi due anni, ma la sua collazione non è passata attraverso un’analisi dialettica interna al dossier, che ora ne rivela la pubblicazione. Infatti si tratta di un lavoro in fieri che trae spunto da questo volume per fotografare una condizione che si trova ora a uno snodo importante: quasi l’intera area latinoamericana ha fatto argine alle destre che spesso sono le più retrive, costituite da latifondisti terratenientes, apparati militari, finanzieri neoliberisti di matrice coloniale; ma ciascuna di queste forze progressiste al potere è diversa e si muovono tutte in ordine sparso. Diego Battistessa propone di non perdere di vista alcuni dei protagonisti piuttosto che altri per sperare di resistere al ritorno della risacca destrorsa…

«Sono settimane intense quelle che ci stanno portando verso la fine del 2022 in America Latina e nei Caraibi. – ha scritto Diego nel suo canale Linkedin proprio il giorno in cui usciva questa sua fatica editoriale – La regione è scossa da profondi cambiamenti, colpi di scena e dall’aggravarsi di crisi sistemiche che ciclicamente (purtroppo) si affacciano nei vari contesti nazionali». Ma è impossibile comprendere completamente l’America latina e quindi non potrà venire meno da qui in avanti l’apporto di analisi e considerazioni sul continente sudamericano (e Caribe) di un appassionato come Diego Battistessa – ma anche da parte del suo amico e mentore Alfredo Somoza, o lo stimato Davide Matrone, con la prefattrice Paola Ramello e, suo tramite, il monitoraggio di Amnesty – e questa loro pulsione a capire ci consentirà di continuare a proporre in questo Studium materiali per proiettare una luce il più autentica e adatta possibile sugli angoli più oscuri del Latinoamerica.
Per questo stavolta il libro è un punto di partenza per raccogliere sulla sua scia lavori e idee che lungo i prossimi mesi acquisiranno dati per interpretarli alla luce della conoscenza di quella vivace terra che è da qualche parte al di là dell’Atlantico: “Un continente da favola” a Sud.




Dal golpe alla Moneda al nuovo ordine mondiale

Un anno dopo il libro di Diego riprendiamo in altro modo, con Alfredo, la domanda relativa al luogo da cui si arriva e dove si continua ad andare: stavolta il libro che ci guida nell’eterno ritorno ciclico che tiene congelato il Sudamerica all’altalena tra vagiti di speranze di emancipazione e reazione populista che difende i privilegi imposti dalle dittature, che hanno (avuto) a modello il regime di Pinochet.

Manuela Donghi nella sua trasmissione “Next Economy” su GiornaleRadio ha chiesto il 28 dicembre ad Alfredo Somoza di commentare l’accelerazione delle riforme di Javier Milei, che stanno portando in piazza migliaia di persone a cui la vita è già stata resa impossibile, costringendo persino la Cgt a dichiarare un paro general per il 24 gennaio 2024, sfidando i decreti che impedirebbero scioperi e manifestazioni:

Alfredo era stato intervistato da Rete Capodistria il 17 novembre 2023 e il suo intervento si può sentire dal minuto 1:25:15

https://www.facebook.com/100000358016312/posts/7144550768900119/?mibextid=rS40aB7S9Ucbxw6v

L’interesse per il Sudamerica in questo periodo è catalizzato in particolare dalle elezioni presidenziali argentine, che vedono al ballottaggio due contendenti pessimi, risultato di populismo e turbocapitalismo che hanno nuovamente innescato il solito ciclo perverso di emancipazione e speranza vs ferocia e liberalismo. L’amico Alberto Da Rin ha coinvolto Alfredo Somoza nella composizione della pagina che “Il Sole24Ore” dedica alle elezioni di domani:


Dove si arriva e da dove si parte

Questo podcast sintetizza la situazione in sospeso a fine 2022, dopo l’autogolpe di Castillo in Perù, e delimita le speranze di emancipazione dei paesi iberoamericani all’aurora del nuovo anno, la nueva alborada è quanto mai imponderabile e qui continueremo a cercare di dargli uno spessore per renderla più comprensibile anche al di qua dell’Atlantico. Le vittorie elettorali della componente progressista in alcuni paesi dell’America Latina hanno rimarcato i limiti della governabilità: Castillo per primo.

“Guado pericoloso per la Marea Rosa”.

Poi si sono registrati veri tracolli e nuove baldanze della reazione, ultimo episodio quello che ha portato una controfigura pazza come Milei a realizzare i peggiori incubi di sfondamento delle lobbies peggiori. Alfredo ha illustrato con lucidità in una puntata di Bastioni di Orione su Radio Blackout gli sviluppi della politica sudamericana

“Milei, capolavoro distopico di Kissinger a 50 anni dalla Moneda”.

90%

Avanzamento



Diego Battistessa

@DiegoBattistessa (Ig)

Latinoamericanista: docente e ricercatore presso l’Università Carlos III a Madrid; collabora con enti di cooperazione internazionale; reporter, scrive in Spagna per “El País”, è analista per Voz de America negli Usa, e in Italia cura un blog per “Il Fatto Quotidiano”. Si occupa di violazioni dei diritti umani per Osservatorio Diritti.


Libreria Voci dal Latinoamerica Voci dal Caribe

Seguire le analisi e le evoluzioni della lenta spinta all’emancipazione dal neoliberismo finanziario e latifondista, sostenuto da militari e potenze straniere è un percorso che ci siamo imposto non solo per verificare che siano corrette le scommesse contenute nel volume pubblicato da OGzero con Diego Battistessa, ma anche perché è questo il passaggio epocale, l’unica possibilità, verso un nuovo Sudamerica emendato dall’orrore del “Plan Condor” di 50 anni fa. Il 26 gennaio su “il Fatto Quotidiano” Diego ha documentato un altro passaggio.

Si è concluso l’incontro di Celac, la Comunità degli Stati latinoamericani:
sancito il ritorno del Brasile

«È con molto orgoglio che io ritorno a Celac. Alberto io voglio dirti che puoi contare su di me nella lotta per l’integrazione dell’America Latina e dell’America del Sud». Parole dette da Luiz Inácio Lula da Silva e captate da un video mentre stringe le mani di Alberto Fernández, presidente della Repubblica Argentina e anche presidente pro tempore per il 2022 della Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici (composta da 33 stati e chiamata appunto Celac). Parole importanti, che non hanno solo un significato circostanziale trai i presidenti delle due più grandi economie dell’America del Sud, ma che sanciscono che il Brasile è tornato.

Anche perché tra i due presidenti sono intercorsi progetti di una moneta comune, o meglio di un sistema che faciliti lo scambio tra i due paesi: il Sur non è propriamente nemmeno una moneta, ma Ispi spiega:

i due governi vorrebbero trovare un modo per commerciare tra di loro senza dover utilizzare il dollaro americano come valuta di fatturazione. La “moneta comune”, quindi, non sarebbe una nuova valuta in sostituzione delle valute nazionali. I governi vorrebbero creare un sistema per sganciare gli scambi commerciali bilaterali dalla disponibilità di dollari. Infatti, negli ultimi anni il commercio bilaterale si è ridotto per la cronica carenza di dollari in Argentina. Il commercio tra i due Paesi sudamericani è importante: il Brasile rappresenta il primo partner commerciale dell’Argentina, che è il partner più importante in America Latina del Brasile, anche se solo terzo per importanza dopo Cina e Stati Uniti (Ispi). 

, perché il Brasile a guida Jair Bolsonaro aveva abbandonato nel 2020 questo meccanismo intergovernativo creato il 23 febbraio 2010 per promuovere il dialogo nella regione. “Il Brasile ha deciso di sospendere la sua partecipazione alla Celac. La Celac non ha avuto risultati nella difesa della democrazia né in alcun ambito. Al contrario ha dato risalto a regimi non democratici come quelli di Venezuela, Cuba, Nicaragua”, dichiarava l’allora ministro brasiliano degli Esteri, Ernesto Araújo, sancendo così l’autosospensione del Brasile dall’organismo. Un segnale forte dunque quello di Lula a Buenos Aires, in questo incontro del VII vertice del Celac del 24 gennaio, che ha visto il passaggio di consegne alla presidenza protempore tra Fernández e Ralph Gonsalves, presidente quest’ultimo dello stato caraibico di Saint Vincent e Grenadine.

Un vertice caratterizzato dalla crisi istituzionale del Perù e dalla sanguinaria repressione messa in atto dalle autorità, ma anche dalla polemica assenza del presidente del Venezuela, Nicolas Maduro e dalle sfide commerciali che il blocco dei paesi latinoamericani dovrà decidere come affrontare nei prossimi anni. La spinta di Lula si è fatta sentire e proprio il nuovo presidente brasiliano ha voluto sottolineare nel suo discorso che saranno promossi tanto gli accordi bilaterali con i vicini così come il forte impulso di Mercosur, Unasur e Celac, attraverso “un fortissimo senso di solidarietà e vicinanza”.

Tra le assenze, come anticipato, quella di Maduro è stata la più notoria. Ci si aspettava l’arrivo in pompa magna del primo cittadino venezuelano, che avrebbe potuto così tornare a calcare uno scenario sudamericano di livello internazionale e riabilitare la sua immagine al fianco di Lula, pronto quest’ultimo a riallacciare le relazioni diplomatiche con Caracas. All’ultimo minuto Maduro però ha desistito. Le preoccupazioni per la sua sicurezza, le annunciate con manifestazioni contro la sua presenza e la ricompensa di 15 milioni di dollari (ancora vigente) della autorità statunitensi per la sua cattura vengono additate tra le cause di questa défaillance. Nonostante i suoi proclami, dunque, Maduro deve cedere alla realtà dei fatti e cioè che non può andare dove vuole, ma solo dove è protetto (Cuba, Russia e Algeria, per esempio).

Oltre a quella del presidente venezuelano, si sono registrate le assenze del suo alleato Daniel Ortega (presidente de Nicaragua), di Andrés Manuel López Obrador (presidente del Messico) e di Guillermo Lasso (presidente dell’Ecuador): tutti e tre hanno inviato i loro ministri degli Esteri. Neanche la presidente del Perù è stata presente, vista la crisi nella quale è sommersa Dina Boluarte in queste ore. E non sono arrivati nella capitale argentina neanche Xi Jinping e Joe Biden invitati da Alberto Fernández. I presidenti di Cina e Usa non hanno però perso l’occasione di essere presenti almeno indirettamente: così, mentre Xi Jinping ha inviato un video, Biden ha inviato il suo assessore speciale per la regione, ovvero Christopher Dodd. Nelle foto di famiglia spiccavano invece tra gli altri Gabriel Boric (Cile) e Gustavo Petro (Colombia), così come Miguel Díaz-Canel (Cuba), Luis Arce (Bolivia), Mario Abdo Benitez (Paraguay), Xiomara Castro (Honduras) e Mia Mottley (Barbados).

Dal vertice è uscito un documento di 111 punti, già noto come la dichiarazione di Buenos Aires. Tra gli impegni che vengono presi dai 33 Stati membri si trova l’aggiornamento del Piano per la sicurezza alimentare, la nutrizione e lo sradicamento della fame, la continuità del Piano di autosufficienza sanitaria e il rafforzamento della produzione capacità e distribuzione locale e regionale di vaccini, medicinali e forniture essenziali. Oltre al documento principale sono state approvate nel vertice altre 11 dichiarazioni speciali, che includono temi delicati come la difesa della sovranità argentina sulle Isole Malvinas e la fine del blocco economico, commerciale e finanziario degli Stati Uniti contro Cuba. Sono state approvate anche una dichiarazione sulla lotta al traffico internazionale di armi e un’altra sulla promozione e conservazione delle lingue indigene.
Importante anche l’approvazione di due cruciali incontri in agenda: il vertice Celac-Unione europea nel 2023 e il vertice del forum Celac-Cina nel 2024. Riguardo quest’ultimo punto, ancora Lula si è reso protagonista in un incontro con Louis Lacalle Pou (presidente dell’Uruguay) proprio per discutere sull’urgenza che il Mercosur chiuda un accordo con l’Unione europea prima di negoziare con la Cina (cosa che l’Uruguay sta facendo in modo bilaterale senza i suoi soci commerciali). Per finire in Uruguay non poteva mancare uno storico rincontro, quello tra Mujica e Lula, avvenuto nella casa del primo a Rincón del Cerro a Montevideo: una della immagini forti e cariche di simbolismo di questi giorni
Insomma, ci sarà molto da vedere, analizzare e capire in questo 2023 in America Latina. Per fare ciò è però necessario avere un contesto, dei punti di riferimento e delle coordinate regionali, sia a livello storico, politico, economico e sociale. In questo senso, insieme ad OGzero, abbiamo appena pubblicato il volume Moleskine Sur. Taccuini dal Latinoamerica, che raccoglie le mie analisi di geopolitica degli ultimi due anni, passati in larga parte dall’altro lato dell’Atlantico tra Colombia, Panama, Brasile, Messico, Ecuador, Perù e Usa. Un libro di facile lettura (130 pagine) non esclusivo per gli addetti ai lavori, che offre chiavi di lettura attuali a chi si vuole affacciare all’America Latina di oggi. A completare l’opera la prefazione di Paola Ramello, del coordinamento italiano per l’America Latina di Amnesty International Italia e la postfazione del giornalista (grande esperto di America Latina) Alfredo Luis Somoza.In una regione di corsi e ricorsi storici, per capire gli scenari possibili del 2023 è davvero fondamentale riuscire ad ampliare il contesto di analisi. Buona lettura.

Lucia Capuzzi ha colto gli spunti essenziali del libro di Diego Battistessa in questo pezzo apparso su “Avvenire” il 5 aprile 2023



Davide Matrone è un collega e amico di Diego Battistessa, docente e analista della società ecuadoriana dall’osservatorio privilegiato dell’università di Quito. In Ecuador maggiormente morde il neoliberismo latinoamericano e ancora controlla direttamente il potere con Guillermo Lasso, che per distrarre da scandali e disastri economici, da massacri e povertà propone 8 preguntas referendarie, populismo che mira a distruggere la Costituzione e il territorio, la rappresentanza e la partecipazione. Con Davide abbiamo cercato di capire meglio qual è il tentativo dell’oligarchia di resistere all’Onda Rosa a Quito:

Riportiamo qui nel nostro studium, per approfondimento, un articolo di Diego Battistessa uscito il 2 gennaio su “il Fatto Quotidiano”..


AMERICA LATINA, QUESTO SARÀ UN ANNO IMPREVEDIBILE MA CON ALCUNI PUNTI FERMI

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Cosa ci aspetta nel 2023 in America Latina? Una domanda difficile, vista la storica imprevedibilità della regione e la grande volatilità che stiamo vivendo su scala planetaria con la scia del Covid-19 e le conseguenze a più livelli dellinvasione dell’Ucraina da parte della Russia. Un futuro che già sappiamo, però, sarà segnato da alcuni appuntamenti elettorali prefissati e i cui contorni possiamo cercare di definire attraverso l’analisi di quanto accaduto negli ultimi anni, soprattutto nel 2021 e nel 2022.L’anno si è aperto con l’insediamento di Lula in Brasile, un passaggio storico, carico di simbolismo e aspettative. Un’eredità del 2022, che è stato un anno pieno di soprese e colpi di scena per la regione latinoamericana.

Parlando di votazioni, le prime si celebreranno in Ecuador il 5 febbraio. In questa data la popolazione sarà chiamata a votare per un referendum composto da 8 domande riguardanti il tema della sicurezza, l’occupazione, alcune modifiche istituzionali e la sempre più pressante tematica ambientale. Guillermo Lasso, il presidente banchiere eletto in Ecuador nel 2021 (che non gode della maggioranza politica in parlamento), si gioca molto con questo appuntamento elettorale, visto che il suo consenso a livello nazionale è molto calato, mentre il paese è attraversato dalla guerra alle bande criminali, foriere della chiamata “narcoviolenza”.

Ad aprile sarà la volta del Paraguay, dove il 30 si deciderà il nome del prossimo presidente, che si insedierà il successivo 15 agosto. Le principali candidature appartengono a due poli di potere, la Coalizione per un Nuovo Paraguay e l’Associazione Nazionale Repubblicana (conosciuta come Partito Colorado). Nelle primarie del 18 dicembre 2022 per le file della Coalizione per un Nuovo Paraguay il candidato presidenziale indicato è stato Efraín Alegre che si dovrà scontrare contro il candidato del Partito Colorato, Santiago Peña (il Partito Colorado è il partito dell’attuale presidente Mario Abdo Benítez). Le votazioni paraguaiane di aprile 2023 riguarderanno anche l’elezione di 45 senatori titolari e 30 senatori supplenti, 80 deputati effettivi e ottanta 80 sostituti, 17 governatori, 257 membri titolari e 257 membri supplenti per i consigli dipartimentali.

Il primo semestre del prossimo anno si concluderà con le elezioni presidenziali in Guatemala. Un paese tra i più corrotti del mondo, dove lo stesso sito web della vicepresidenza della repubblica dice che “Uno dei problemi fondamentali della società guatemalteca è la povertà, condizione la cui soluzione è stata assente nelle strategie di sviluppo del Paese”. Oltre a presidente e vicepresidente verranno eletti i 160 nuovi membri del Congresso, 330 sindaci municipali e si voterà anche per 20 seggi corrispondenti al Parlamento centroamericano per il periodo 2024-2028. Nel caso in cui si arrivi al ballottaggio, il secondo turno è previsto per il 27 agosto.

I candidati alla presidenza del Guatemala già annunciati (la data finale per candidarsi è il 20 gennaio) sono per ora 6: Ricardo Sagastume (Todos), Isaac Farchi (Partido Azul), Rudio Lecsan Mérida (Patido Humanista de Guatemala – PHG), Edmond Mulet (Cabal), Roberto Arzú (Podemos) e Zury Mayté Ríos Sosa (Valor e Unionista). Da tenere sotto stretta osservazione proprio la candidatura della conservatrice Zury Ríosche porta su di sé un nome e un passato pesanti per il Guatemala. Si tratta infatti nientemeno che della figlia di Efraín Ríos Montt, militare e dittatore dello stato centroamericano che fu Capo di Stato dopo tra il 23 marzo 1982 e l’8 agosto del 1983, dopo aver realizzato un golpe.

Montt, che ha continuato successivamente la sua carriera politica fondando nel 1989 il Fronte repubblicano guatemalteco – Frg (poi ribattezzato Partito repubblicano istituzionale – Pri), è una della figure più sanguinarie delle dittature centroamericane, condannato per genocidio per essere stato riconosciuto colpevole del massacro di 1.771 indigeni maya della comunità Ixil in 15 diverse operazioni compiute dai militari nel dipartimento nord occidentale di Quiche. Il dittatore, accusato anche da Rigoberta Menchú nel 1999, è morto l’1 aprile 2018 senza però aver scontato la sentenza (50 anni per genocidio e altri 30 per crimini contro l’umanità) visto che il processo venne annullato per errori di procedimento e ne venne richiesta la ripetizione.

L’anno si concluderà con due importanti appuntamenti elettorali in Argentina e Colombia. Nel paese di Messi, che ha da poco alzato la Coppa del Mondo di calcio in Qatar, il terremoto politico è in atto da tempo. L’attentato contro la vicepresidente Cristina Fernández de Kirchner (1 settembre 2022), la sua successiva condanna per corruzione (6 dicembre) e le due denunce penali presentate contro Alberto Fernández (il presidente) da rappresentanti di Coalición Cívica e Republicanos Unidos il 23 dicembre danno la misura del caos che regna in Argentina. Per il 13 agosto 2023 sono fissate le primarie aperte, simultanee e obbligatorie (Paso), nelle quali l’elettorato dovrà scegliere i propri i candidati; successivamente le elezioni presidenziali si terranno il 22 ottobre: il 19 novembre si svolgerà il secondo turno. Simultaneamente si voterà anche per metà dei seggi alla Camera dei Deputati e un terzo al Senato.

In Colombia, dove nel 2022 si sono svolte le elezioni presidenziali che hanno dato la vittoria a Gustavo Petro, si terranno il 29 ottobre le elezioni regionali per i 32 dipartimenti del paese, i deputati delle Assemblee dipartimentali, i sindaci e i consiglieri comunali.

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]]> Gli spartiacque delle comunità latinoamericane – 1 https://ogzero.org/gli-spartiacque-delle-comunita-latinoamericane-1/ Thu, 30 Dec 2021 17:22:22 +0000 https://ogzero.org/?p=5695 L’anno elettorale sudamericano è stato ricco di responsi in grado di fornire materiali per scattare una serie di foto del mondo latinoamericano. L’idea di usare i molti appuntamenti elettorali del 2021, in prosecuzione nel 2022, per incardinare in un unico flusso i rivolgimenti elettorali a consuntivo dell’anno che sta finendo e in continuità nella prospettiva […]

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L’anno elettorale sudamericano è stato ricco di responsi in grado di fornire materiali per scattare una serie di foto del mondo latinoamericano.

L’idea di usare i molti appuntamenti elettorali del 2021, in prosecuzione nel 2022, per incardinare in un unico flusso i rivolgimenti elettorali a consuntivo dell’anno che sta finendo e in continuità nella prospettiva dell’anno che verrà, è sorta dalla consueta attenta osservazione di Diego Battistessa sui fenomeni che avvengono nel continente. Abbiamo punteggiato questo rapido excursus individuando le tappe più significative con podcast sugli aspetti che lungo l’anno ci avevano incuriositi e che confermano le scelte di Diego per proporre un’analisi posta anche in dialettica con una parallela esposizione del punto di vista di Alfredo Somoza, focalizzata sull’individuazione delle due sinistre latinoamericane: quella populista-autoritaria e quella trasparente, popolare perché nata dalle pulsioni all’emancipazione dei popoli – anche e soprattutto latinos – e dai Movimenti di rivolta al neoliberismo, che sono al centro della critica all’involuzione del Capitalismo compresa in Siamo già oltre?


Il 2021 elettorale in America Latina e nei Caraibi:
un ritorno della regione a quale sinistra?

Con la vittoria di Gabriel Boric Font le elezioni presidenziali in Cile, la cui seconda tornata elettorale si è svolta il 19 dicembre scorso, chiudono un anno elettorale turbolento nella regione. Cerchiamo di fare il punto di quanto successo e di ciò che ci aspetta per il 2022 prossimo venturo.

L’anno che si sta per concludere è iniziato con un primo importante appuntamento con le elezioni presidenziali in Ecuador, celebratesi il 7 febbraio. L’uscente Lenin Moreno godeva del più basso consenso regionale e i suoi anni di governo si erano caratterizzati per un duro scontro con colui che fu il suo padrino politico: Rafael Correa (ex presidente ecuadoregno 2007-2017). A disputarsi la presidenza del paese andino sono stati il banchiere e imprenditore Guillermo Lasso, il leader indigeno Yaku Pérez e l’economista Andrés Arauz, nuovo delfino di Correa, la cui condanna per corruzione gli ha impedito di candidarsi alla vicepresidenza. La prima tornata elettorale, nella quale si votava anche per il parlamento, ha visto la vittoria schiacciante di Arauz che però non ha superato il 50 per cento dei consensi e ha dovuto quindi affrontare il ballottaggio con Guillermo Lasso: arrivato secondo dopo un polemico testa a testa con Yaku Pérez. L’11 aprile la votazione finale ha ribaltato i pronostici e ha dato la vittoria al banchiere conservatore Lasso, in un voto che si è concentrato principalmente sul correismo o anticorreismo, polarizzando il contesto politico e sociale.

Nel Salvador le elezioni legislative e municipali del 28 febbraio hanno visto la schiacciante vittoria del partito Nuevas Ideas, facente capo al presidente in carica, Nayib Bukele.

Alfredo Somoza ce ne fece un ritratto, mentre i salvadoregni si ribellavano al presidente populista

Ottenendo 56 seggi su 84 in gioco nel Congresso e 152 consigli municipali su 262, Bukele si è assicurato il totale potere politico nel paese centroamericano. Le azioni che hanno seguito a questo nuevo accentramento dei poteri dello stato hanno provocato però duri scontri interni e la critica della comunità internazionale nei confronti del “presidente millenial” del Salvador.

Alfredo Somoza evidenzia le radici comuni di Bukele e Ortega in quell’altra sinistra latinoamericana, riprendendo i fili della insurrezione della popolazione salvadoregna impoverita dal populismo
“Corsi e ricorsi nella storia del Mesoamerica”.

 


La sinistra paternalista delle Ande

Il 7 marzo nella Bolivia del presidente Luis Alberto Arce Catacora, si è votato per le elezioni subnazionali nelle quali la popolazione veniva chiamata a votare per i 9 dipartimenti che compongono lo stato plurinazionale della Bolivia e 336 comuni. Il Mas (Movimiento al Socialismo), partito dell’attuale presidente – e dell’ex presidente Evo Morales –, ha ottenuto la vittoria solo in 3 dipartimenti (Cochabamba, Oruro e Potosí) ma si è affermato in più di due terzi dei comuni: ben 240.

In aprile la scena politica regionale viene accaparrata dal Perù dove, dopo anni di terremoto sociale e politico, si cerca di ritornare a una normalità democratica. Tra i numerosi candidati che si presentano alla sfida presidenziale, sono due persone che rappresentano poli opposti che arrivano al ballottaggio. Si tratta di Keiko Fujimori (figlia dell’ex presidente Alberto Fujimori) del partito di destra Fuerza Popular e del candidato Pedro Castillo, un “signor nessuno” membro del partito di sinistra Perú Libre. Poi il 6 giugno nonostante la dura campagna mediatica contro Castillo, maestro elementare delle zone rurali, portata avanti da Keiko e dai settori conservatori del paese, la sinistra vince. Il Perù rimane con il fiato sospeso perché il risultato ufficiale tarda ad arrivare. Giorni di tensione, ricorsi, frustrazione fino al 19 di luglio, quando finalmente anche Keiko Fujimori si deve arrendere e riconoscere Pedro Castillo come nuovo presidente eletto del Perù.

Del tema dell’estrattivismo peruviano avevamo parlato con Matteo Tortone

 

 

Sempre nel mese di aprile (il 19) il Partito Comunista di Cuba – Pcc conferma il presidente Miguel Díaz-Canel come primo segretario, segnano la fine di un’epoca. Il 16 dello stesso mese infatti, Raúl Castro (89 anni) si era dimesso dalla carica del partito per dare spazio a una nuova generazione di rivoluzionari che potessero portare avanti lo spirito del castrismo. L’isola, ancora sotto embargo, è però oggi scossa dalle proteste di numerosi Artivisti che lottano per ottenere libertà di espressione e contro la repressione politica e sociale del partito unico.


La sinistra costituente spinta dai Movimenti popolari

Aprile avrebbe dovuto essere inoltre il mese storico per le votazioni che in Cile dovevano portare il popolo a scegliere i membri dell’Assemblea costituente ma per l’emergenza Covid-19 il processo elettorale è stato spostato al 15 e 16 maggio. Nella stessa data si sono svolte inoltre le elezioni municipali e quelle dei governatori regionali, previste inizialmente per il 20 ottobre 2020 e rimandate per ben 4 volte. Il risultato è stato un plebiscito per le eterogenee forze politiche della sinistra che hanno ottenuto più di due terzi dei seggi dell’Assemblea e risultati storici come la vittoria della giovane comunista Irací Hassler: eletta sindaco della capitale Santiago.

 Anche in questo caso possiamo affidare al commento di Alfredo Somoza il compiacimento per la svolta cilena:
“Chile despertó y entierra Pinochet”.

Giugno ci porta alle elezioni federali e statali in Messico dove Morena, il partito dell’attuale presidente Andrés Manuel Lopez Obrador (Amlo) ha mantenuto il controllo del Congresso (grazie alle alleanze), perdendo però la maggioranza assoluta. L’obiettivo di Amlo di ottenere una maggioranza qualificata insieme al Pt e al Partito dei Verdi si è vista dunque frustrata chiudendo le porte alle riforme costituzionali che erano l’obiettivo di Morena per i prossimi tre anni di presidenza.

A luglio si è tornato a votare in Cile per le primarie presidenziali e per la prima volta è apparso il nome di Boric, ma soprattutto la regione è stata sconvolta da ciò che succede a Haiti. Nella notte tra 6 e 7 luglio, un commando di 28 persone prende d’assalto la residenza del presidente Jovenel Moïse nel quartiere Pelerin, a Pourt-au-Prince, la capitale del paese. Sette uomini armati entrano nella casa sparando 16 colpi al presidente e ferendo anche sua moglie (che si è finta morta per sopravvivere all’attacco). Il magnicidio fa piombare il paese ancora più nel caos e scopre trame e interessi internazionali che intrecciano Colombia, Ecuador, Usa e il piccolo paese caraibico. Le elezioni presidenziali previste per novembre sono state spostate a data da destinarsi e nel frattempo Ariel Henry, membro del partito Inite (centro sinistra) funge da presidente provvisorio.

Diego Battistessa proprio a luglio commentava così la deriva haitiana:

 


La sinistra populista, dinastica e totalitaria

Il 12 di settembre in Argentina più di 34 milioni di persone sono state chiamate a votare alle primarie aperte simultanee e obbligatorie (Paso) per definire le liste dei candidati che si sarebbero sfidati a novembre per rinnovare metà della Camera dei deputati (127 dei 257 seggi) e più di un terzo del Senato (24 dei 54 seggi). In questo contesto l’opposizione è riuscita ad assestare un duro colpo al partito del presidente Alberto Fernández, vincendo nella provincia di Buenos Aires, principale roccaforte della coalizione di governo, Frente de Todos. La tendenza delle Paso è stata poi confermata nelle elezioni del 14 novembre dove la coalizione dell’opposizione Juntos por el Cambio ha vinto in 13 province, includendo i cinque distretti più popolosi del paese: la provincia di Buenos Aires, la Città Autonoma di Buenos Aires, Córdoba, Santa Fe e Mendoza. In generale, al livello nazionale l’opposizione è riuscita a staccare di ben 9 punti percentuali la colazione di governo, ottenendo quasi il 42% dei voti contro il 33% del Kirchnerismo.

Nel frattempo però, a ottobre si sono tenute le elezioni municipali nei 261 distretti territoriali del Paraguay: elezioni che erano previste per il 2020 ma che causa coronavirus furono rimandate. Il risultato più importante (e anche il più discusso) è stata la rielezione di Óscar Rodríguez, membro del partito di governo (Partido colorado) nella capitale Asunción, nonostante gli scandali di corruzione che lo hanno visto protagonista.

 

Il  7 novembre ci sono state inoltre le elezioni “farsa” in Nicaragua che hanno dato ancora una volta una vittoria “schiacciante” a Daniel Ortega e alla vicepresidente (sua moglie) Rosario Murillo. Dietro questo apparente plebiscito (con dati di astensionismo che si aggirano intorno all’80%) ci sono infatti molteplici violazioni dei diritti umani: una repressione senza precedenti, l’incarcerazione arbitraria (iniziata a maggio 2021) di 39 persone identificate dal regime come opposizione, tra queste sette aspiranti alla presidenza.

Diego Battistessa ci aveva già fatto a luglio un parallelo tra due situazioni di quell’altra sinistra simile a quello descritto da Alfredo Somoza tra Bukele e Ortega, questa volta la incredibile dinastia nicaraguense era posta a confronto con l’eredità castrista

“Las revoluciones desencantadas y socavadas”.

Il 21 dello stesso mese si è tornato a votare in Venezuela, in una votazione dove l’opposizione, anche se ancora frammentata, ha deciso di partecipare (prima volta dal 2018). Il Partito Socialista Unito del Venezuela – Psuv (partito di governo) ha vinto 20 dei 23 governi locali in ballo. All’opposizione invece la vittoria negli stati di Cojedes, Nueva Esparta e Zulia. Ancora una volta queste votazioni hanno suscitato non poche polemiche, anche per le irregolarità registrate dalla delegazione degli osservatori elettorali dell’UE presente sul territorio fin dal 14 ottobre e tornata in Venezuela dopo 15 anni di assenza. I delegati dell’UE sono stati chiamati spie e nemici del popolo venezuelano dallo stesso Maduro, che come se non bastasse, ha invalidato la vittoria del candidato dell’opposizione Freddy Superlano nello stato di Barinas. Qui infatti Superlano, della Mud (Mesa de la Unidad Democrática) ha affrontato sconfiggendolo, il fratello del defunto Hugo Chávez, ovvero Agernis Chávez. Barinas però è anche lo stato che ha dato i natali a Chávez ed è dunque un simbolo trascendentale per la rivoluzione bolivariana. In questo senso, accogliendo il diktat di Maduro, il Tribunal Supremo de Justicia (Tsj) ha informato a fine novembre che le elezioni a Barinas sono state invalidate e che si ripeteranno il 9 gennaio 2022: Superlano non potrà partecipare visto che su di lui esiste un processo amministrativo che gli impedisce di ricoprire cariche pubbliche.


Novembre ha visto poi la prima tornata elettorale delle presidenziali cilene che ha determinato la definizione del ballottaggio tra Boric e Kast, con il quale abbiamo iniziato questo veloce excursus, ma anche le storiche elezioni in Honduras: elezioni che hanno portato alla vittoria della leader di centrosinistra Xiomara Castro. Con una partecipazione del 70% degli aventi diritto, il paese centroamericano ha messo fine a 12 anni di neoliberismo (iniziato dopo il colpo di stato del 2009), dando la presidenza a una donna e sancendo la vittoria dei movimenti sociali e delle organizzazioni che si battono per la difesa dei territori e dei beni comuni.

Su queste due elezioni avevamo fatto il punto con Davide Matrone:

“Cile e Honduras: motivi sociali per confrontare responsi elettorali”.

Il mese si è concluso con un altro avvenimento epocale, ovvero la cerimonia attraverso la quale una giurista, Sandra Mason, è diventata la prima presidente della recente nata Repubblica delle Barbados. La cerimonia attraverso la quale l’isola caraibica ha cambiato il suo status da Monarchia Costituzionale (sotto il Regno di Elisabetta II) a Repubblica è avvenuta il 30 novembre. Un passaggio di consegne che ha coinciso con il 55esimo anniversario dell’indipendenza dell’isola caraibica, avvenuta nel 1966 ma che fino a fine novembre aveva continuato a essere legata alla Corona inglese.

Cosa ci aspetta nel 2022?

Se il 2021 è stato “senza tregua”, anche il 2022 ha davvero molto da offrire in termini di elezioni e processi elettorali.

Come già detto il calendario elettorale vedrà nuovamente a gennaio le elezioni nello stato di Barinas in Venezuela dove, senza troppa immaginazione, verrà dichiarato governatore Agernis Chávez. Il 6 febbraio si sposterà in Costa Rica per le elezioni legislative e presidenziali con una eventuale seconda tornata elettorale prevista per il 3 aprile. Ancora da definire poi le date delle elezioni “comarcali” a Panama ma soprattutto quelle del plebiscito nazionale in Cile per l’approvazione della nuova Costituzione. Inoltre il 2 ottobre si tornerà ancora una volta a votare in Perù per le elezioni regionali e municipali, sempre e quando le azioni di “spodestamento” di Pedro Castillo da parte dell’opposizioni non vadano a buon fine e non aprano la strada a nuovi e incerti scenari politici.

I due appuntamenti salienti però riguardano Colombia e Brasile dove due visioni diverse di società e di mondo si daranno battaglia per la presidenza.

In Colombia quest’anno siamo andati molte volte dapprima, a febbraio, con Ana Cristina Vargas, che poi è intervenuta in voce descrivendo l’insurrezione antiuribista di maggio:

e poi ci ha accompagnato anche Tullio Togni nei suoi vari interventi dal territorio, a giugno e dicembre
“Differenti protagonisti della rivolta colombiana. La necropolitica uribista”.

In Colombia, paese segnato da un processo di Pace che non decolla, da una disuguaglianza sociale in aumento e da interminabili casi di corruzione, violenza e impunità; l’Uribismo (movimento ideologico conservatore che segue la linea del’ex presidente Alvaro Uribe Vélez) dovrà cercare di frenare la sinistra in aumento di consenso. Il presidente uscente, l’uribista Ivan Duque, è stato indicato come il principale colpevole del fallimento degli accordi di Pace siglati da Juan Manuel Santos con le Farc e le proteste iniziate il 28 aprile 2021 hanno sancito la frattura definitiva con il popolo. La credibilità di Duque e la sua popolarità hanno subito dei duri colpi, anche a livello internazionale per i report delle ong e anche dell’Onu, sulle violazioni dei diritti umani perpetrate dagli squadroni antisommossa (Esmad) durante le proteste. In questo senso neanche i successi militari come la cattura del narcotrafficante Otoniel sono serviti a ridare smalto alla figura di Duque che milita nel partito Centro democratico, fondato da Uribe nel 2013.  Dall’altro lato la lista dei precandidati presidenziali continua ad ampliarsi favorendo una frammentazione del voto: a sinistra spicca il senatore Gustavo Petro che proverà per la terza volta a diventare presidente. Le elezioni si svolgeranno il 29 di maggio (prima tornata) con il ballottaggio previsto per il 19 giugno. Prima di quella data ci sarà un altro appuntamento elettorale che servirà per avere il polso della situazione, ovvero le elezioni legislative del 13 marzo.


In Brasile la situazione non solo è complessa ma è anche molto tesa. L’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, una volta superati i “problemi giudiziari” non ha nascosto la volontà di candidarsi per le presidenziali che si svolgeranno in prima istanza il 2 ottobre, con il ballottaggio previsto per il 30 ottobre. Da un lato la sua popolarità è in crescita e dall’altro Jair Bolsonaro, l’attuale presidente cerca di correre ai ripari dopo anni di politiche aggressive, escludenti e negazioniste nei confronti del Covid-19 e dei relativi vaccini. La popolarità di Bolsonaro non gode di buona salute ma nel frattempo il 30 novembre scorso lo stesso Bolsonaro si è affiliato al Partido liberal (destra), pensando a una ricandidatura per il periodo 2022- 2026.

Altre figure di rilievo nel paese hanno annunciato la loro volontà di candidarsi e tra queste spicca sicuramente il nome di Sergio Moro. Moro infatti a novembre scorso si è affiliato al partito di centro Podemos, in vista della partecipazione alle elezioni del 2022, presentandosi come una terza via per il Brasile. La possibile candidatura a presidente di questo ex giudice di 49 anni ha sollevato però non poche polemiche visto che proprio lui aveva diretto in modo non imparziale la mega operazione anticorruzione conosciuta come “Lava Jato” che aveva portato alla carcerazione di Lula. La non imparzialità di Moro, sostenuta a più riprese da molte voci della sinistra brasiliana, è stata sancita in modo definitivo dalla Seconda sezione della Corte suprema del Brasile, che ha dichiarato martedì 23 marzo 2021 che l’ex giudice non ha agito con “imparzialità” in uno dei processi contro l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, le cui sentenze erano già state annullate in precedenza.

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