Akp Archivi - OGzero https://ogzero.org/tag/akp/ geopolitica etc Sun, 07 May 2023 11:08:31 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 L’utile curdo per il regime turco https://ogzero.org/lutile-curdo-per-il-regime-turco/ Fri, 05 May 2023 22:52:29 +0000 https://ogzero.org/?p=10941 «Apparato operativo dei poteri globali», così la asservita stampa turca del 6 maggio 2023 accoglie e fa suo l’attacco scomposto del presidente a “The Economist”, perché la testata nella sua copertina definiva le elezioni del 14 maggio “le più importanti del 2023”, con un esplicito endorsement per Kılıçdaroğlu, mettendo in bella evidenza adesivi con su […]

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«Apparato operativo dei poteri globali», così la asservita stampa turca del 6 maggio 2023 accoglie e fa suo l’attacco scomposto del presidente a “The Economist”, perché la testata nella sua copertina definiva le elezioni del 14 maggio “le più importanti del 2023”, con un esplicito endorsement per Kılıçdaroğlu, mettendo in bella evidenza adesivi con su scritto «Erdoğan se ne deve andare».

 

Dopo 20 anni di morsa sul potere in ogni suo aspetto, dapprima graduale (da sindaco di Istanbul fino al terremoto di Izmit) e poi assoluta (dopo Taksim e soprattutto il tentato golpe del 2016), s’indovinano le crepe nel sistema di Erdoğan. Si colgono anche dall’affanno con cui reagisce ai titoli come quelli di “The Economist”, o con cui cerca alleanze in vista dell’appuntamento elettorale, anticipato dal presidente stesso prima che il terremoto producesse uno sconquasso nel suo progetto di perpetuare il suo controllo sul paese e sugli affari che hanno prosciugato le casse del paese, stremato l’economia, prodotto inflazione, arricchendo una sparuta oligarchia fondata sul consenso della provincia confessionale, sulla repressione della stampa ormai monopolizzata, come il settore delle infrastrutture, che per una beffa del destino potrebbe essere travolta dalle macerie del terremoto.


Con un piccolo aiuto dai nostri amici curdi

Le elezioni presidenziali e politiche che si svolgeranno in Turchia il 14 maggio hanno un’importanza storica per una serie di ragioni. Tra queste senz’altro il fatto che la maggior parte dei partiti d’opposizione, per la prima volta, abbiano deciso di indicare un candidato unico. Anche per questo, ma non solo, i sondaggi parlano del secondo turno per le presidenziali e di un’avanzata significativa dei partiti di opposizione in quelle politiche. Chiaramente queste dinamiche fanno sì che la coalizione al governo si metta alla ricerca di nuovi alleati a casa e rafforzi quelli all’estero. In questa ricerca è importante il voto della popolazione curdofona presente in Turchia e fuori dai confini.

Il reclutamento di HüdaPar: i devoti curdi ultraconservatori

Il 13 marzo, Numan Kurtulmuş, il vicepresidente generale del Partito dello sviluppo e della giustizia (Akp) si è presentato davanti alle telecamere con Zekeriya Yapıcıoğlu, il presidente generale del partito HüdaPar. In questa apparizione storica Yapıcıoğlu ha comunicato l’appoggio ufficiale del suo partito alla candidatura di Recep Tayyip Erdoğan, per le elezioni presidenziali. Dopo questo avvicinamento ufficiale e plateale, il 9 aprile il partito al governo Akp ha dichiarato ufficialmente che 4 membri del HüdaPar saranno candidati nelle liste del principale partito della Turchia. Con questa notizia HüdaPar entra nella casa dell’Alleanza della Repubblica. Ma chi è HüdaPar e perché oggi entra in questa coalizione già esistente dal 2017?


HüdaPar nasce come partito politico parlamentare nel 2012. Nello sfondo del suo logo è dominante il verde, poi al centro c’è un libro bianco da cui sorge un sole giallo. L’estensione del suo nome sarebbe Hur Dava Partisi, il partito della Causa Libera. Ovviamente va prestata l’attenzione sul significato della parola “Hüda” che trova spazio in diversi versi nel Corano e vuol dire “colui che indica la strada” ma è anche uno dei nomi attribuito ad “Allah” quindi in qualche maniera vuol dire “Dio”. Questa chiave semantica ci aiuta a capire che definirlo un partito conservatore è un eufemismo.
Infatti se andiamo a spulciare molto velocemente lo statuto del partito e anche il programma troviamo una serie di obiettivi, ideali e promesse molto conservatrici.

«Ricostruire il sistema governativo basandosi sui valori di fede della società. Ravviare i valori islamici. Definire l’omosessualità come una devianza, vietarla e punirla. Rafforzare i rapporti commerciali e politici con i paesi musulmani. Riformare il sistema scolastico secondo i valori dell’Islam. Iniziare con le lezioni di Arabo e del Corano già nel primo anno delle elementari. Parificare le scuole religiose con quelle statali. Concedere la possibilità di differenziare le classi nelle scuole pubbliche in base al sesso degli studenti. Definire la composizione della famiglia: uomo e donna».

È abbastanza, chiaro, no?

HüdaPar: dio turco e misogino, ma patria e lingua curde

Insieme a queste promesse e obiettivi vediamo una serie di punti che ci fanno capire il secondo “colore” del partito. Sempre nel programma elettorale e nello statuto leggiamo le seguenti affermazioni:

«Il diritto all’istruzione in lingua madre va riconosciuto e garantito. La Costituzione va privata da qualsiasi riferimento etnico. Il servizio militare deve essere abolito. L’obiezione di coscienza va riconosciuto come un diritto. Va ammesso che la nascita della Repubblica ha danneggiato la storica fraternità tra il popolo turco e quello curdo. La laicità dello stato ha reso difficile la vita ai curdi musulmani. I curdi sono le vittime delle politiche di assimilazione e turchizzazione. Lo stato deve ammettere i suoi crimini commessi nel Sudest del paese, chiedere scusa e risarcire i danni. I curdi devono essere riconosciuti nella Costituzione e la lingua curda deve essere riconosciuta come seconda lingua della Turchia. La forza del governo centrale deve essere alleggerita e il potere delle amministrazioni locali deve essere rafforzato».

Dunque è chiaro che siamo di fronte a una formazione che promette una serie di vittorie e riconoscimenti per le persone curdofone. Ma lo fa con un obiettivo e programma decisamente omofobico, fondamentalista e di certo non laico. Per questo l’HüdaPar rappresenta quella fetta della società curdofona che si identifica con un percorso politico decisamente conservatore e per cui “questi curdi” vanno bene per il partito al governo.
Infatti già nel 2020, l’ex presidente generale del partito, ossia Ishak Sağlam invitò il presidente della repubblica a uscire dalla Convenzione d’Istanbul. Quella convenzione forte e importante che fu creata proprio a Istanbul in Turchia nel 2011 con l’obiettivo di lottare contro i femminicidi e tutelare tutte le identità di genere e gli orientamenti sessuali delle persone. Oggi lo stesso partito, con un altro presidente, parla dell’eliminazione della legge 6284 che riguarda la famiglia e la violenza sulle donne.

Il terrorista curdo buono deve essere fondamentalista…

Purtroppo nel capitolo che riguarda HüdaPar ci sarebbe un altro piccolo approfondimento da fare. Ossia il passato di questo movimento e il suo presunto legame con l’Hezbollah turco.
Si tratta di una formazione paramilitare e armata che appare in Turchia negli anni Ottanta. Per chiarire tutto per una volta, l’Hezbollah turco non avrebbe alcun legame con l’omonimo Partito sciita libanese. Infatti Hezbollah turco sarebbe una formazione armata fondamentalista e sunnita. Il suo profilo terroristico è stato confermato dal Dipartimento di Stato degli Usa, nel 2011, e dalla Presidenza generale della Lotta contro il terrorismo in Turchia nel 2012. Questa formazione paramilitare è stata sempre accusata di avere dei legami con i servizi segreti di Ankara e di prendere di mira quasi esclusivamente quella parte marxista del movimento curdo in Turchia. Di questo parla in modo articolato il famoso giornalista Ruşen Çakır nel suo libro Derin Hizbullah pubblicato nel 2016.
La Turchia è venuta a sapere dell’esistenza di questa organizzazione terrorista nel 2000 quando il suo ex leader, Hüseyin Velioğlu, in uno scontro armato con la polizia è stato ucciso e presso la sua abitazione sono stati trovati numerosi documenti che hanno spalancato nuove porte. Le stesse che hanno portato i poliziotti e i procuratori a scoprire i piani per assassinare le persone e purtroppo anche le fosse comuni dove sono state sepolte numerose persone dopo lunghe e crudeli torture. Secondo il giornalista Çakır si tratta di una formazione politica e armata tra i giovani curdi fondamentalisti negli anni Settanta come una sorta di antitesi del Partito dei Lavoratori del Kurdistan ossia Pkk.

… all’origine di HüdaPar: l’Hezbollah turco

Mentre dopo l’uccisione di Velioglu, Hezbollah turco pian piano scompariva, dall’altra parte nasceva un’associazione con il nome Muztazaf-Der. Anche se questa nuova realtà rigettava ogni accusa di legame con l’Hezbollah turco la Corte di Cassazione nel 2012 ha deciso di chiuderla proprio per questo presunto legame. Il suo presidente, Mehmet Hüseyin Yılmaz, pochi mesi dopo fonda HüdaPar. Un anno dopo, nel 2013, il timone del partito passa nelle mani di Zekeriya Yapıcıoğlu che oggi risulta candidato alle elezioni politiche presso l’Akp.
Oltre a Yapıcıoğlu, nelle liste dell’Akp salta all’occhio anche il nome di Faruk Dinç, accusato di appartenere al Hezbollah turco e trattenuto in carcere per due mesi in relazione con le indagini sul legame tra quest’organizzazione e l’associazione Ihya-Der. Secondo i procuratori l’associazione in questione era stata fondata dalle persone condannate, poi scarcerate, in un altro processo su Hezbollah turco.
Sempre secondo il giornalista Ruşen Çakır non ci sono troppi giri di parole da fare: HüdaPar è l’espressione partitica dell’Hezbollah turco. Infatti la notizia arrivata il 10 aprile, che informa della scarcerazione di 58 persone accusate di essere assassini di 183 persone uccise dall’Hezbollah turco, è una sorta di conferma della tesi di Çakır. Come se l’inserimento del HüdaPar nelle liste dell’Akp avesse trovato un riconoscimento. Addirittura secondo il giornalista Özgür Cebe, del quotidiano “Sözcü”, si potrebbe trattare di una notizia figlia di un accordo elettorale.

Già esisteva un alleato curdo oltreconfine

Molto probabilmente l’Alleanza della Repubblica, inserendo HüdaPar nelle sue liste, cerca di puntare sui voti di quella fetta della popolazione curdofona molto conservatrice e chiede il riconoscimento dei suoi diritti. Inoltre si tratterebbe di un gesto importante che rafforza il profilo conservatore della stessa alleanza, vista una parte del programma elettorale del partito in questione. Infine, questa new entry, oltre che nella politica interna, potrebbe avere un ruolo anche in quella estera. Quest’ultima ipotesi trova corpo grazie a un incontro avvenuto nel mese di aprile.


Sarebbe l’incontro tra Zekeriya Yapıcıoğlu e Masoud Barzani, l’ex presidente della Regione del Kurdistan (iracheno) e il leader storico del Partito democratico del Kurdistan (Pdk). È un incontro molto interessante, prima di tutto, perché si è svolto tra un “semplice” candidato per le elezioni e il personaggio più illustre del “movimento curdo” in Iraq. Quindi per il lato della Turchia non c’era un ministro oppure un sottosegretario ma una new entry dell’alleanza del governo. In secondo luogo il messaggio che è stato diffuso presso l’agenzia di stampa “Ilke” (semiufficialmente l’organo di stampa di HüdaPar) rende particolare quest’incontro «È stato deciso di rafforzare in futuro il rapporto tra HüdaPar e Pdk». Quindi per Barzani è chiaro che l’interlocutore da prendere in considerazione è quella formazione “curda” e fondamentalista che rappresenta Yapıcıoğlu e si trova accanto all’attuale presidente della repubblica di Turchia.

Le visitazioni islamiste

La visita di Yapıcıoğlu il 26 aprile è stata abbastanza proficua. Ha incontrato anche Aydin Maruf, membro del Fronte turcomanno iracheno, nonché il ministro degli Affari Religiosi e Etnici. Maruf è spesso presente in Turchia, si trova in ottimi rapporti con l’attuale governo e si è espresso varie volte a favore delle collaborazioni tra Ankara, Erbil e Bagdad per «lottare contro il terrorismo del Pkk».
Tra le persone visitate da Yapıcıoğlu vediamo anche il nome di Ali Bapir, membro del Movimento Islamico del Kurdistan e del Gruppo della Giustizia in Kurdistan. Si tratta di uno scrittore e studioso concentrato sulla fondazione di un Kudistan islamico. Bapir fu anche, nel 2021, uno degli sporadici personaggi politici al mondo a congratularsi con i Talebani dopo la loro salita al potere attraverso una lettera pubblica tuttora presente sul suo sito web personale.
Yapıcıoğlu in Kurdistan (iracheno) ha incontrato altri politici di formazione fondamentalista come Şeyh İrfan Abdulaziz, il leader attuale del Partito del Movimento islamista, e Rashid al-Azzawi che dirige il Partito islamico dell’Iraq.

Gli oleodotti dei curdi amici

Questi incontri ovviamente sono dei segni importanti se teniamo in considerazione soprattutto la crisi del petrolio nata verso la fine del mese di marzo di quest’anno. Una procedura arbitrale aperta nel 2014 si è conclusa questa primavera. Un percorso giuridico lungo che ha portato 1,4 miliardi di dollari di condanna per Ankara. Si tratta di un’azione portata avanti dal governo di Baghdad perché secondo il governo iracheno, Ankara non rispetta da tempo l’accordo del 1973. Secondo questo accordo sarebbe Baghdad l’unico interlocutore della Turchia per l’acquisto del gas e petrolio mentre invece Ankara da tempo tratta direttamente con Erbil quindi Nechirvan Barzani e Masoud Barzani. Inoltre, in questo processo, la Turchia sarebbe condannata a pagare 500 milioni di dollari perché diverse volte non ha aggiustato in tempo i danni avvenuti nelle “tubature Iraq-Turchia” a causa degli attentati di sabotaggio.

Oil vs Pkk

In questa procedura portata avanti per nove anni presso la Camera di Commercio internazionale di Parigi si notano alcuni appunti che parlano anche dell’avanzata dell’Isis in Iraq nel 2014 verso le città strategiche per il commercio petrolifero e la reazione degli Usa e della Turchia in quel momento. Appunto Ankara sarebbe accusata di approfittare delle dinamiche geopolitiche perché proprio in quel periodo avrebbe iniziato a non rispettare l’accordo del 1973 e avrebbe firmato nuovi contratti per la fornitura del petrolio direttamente con Erbil. Secondo il giornalista turco, Murat Yetkin, in questa fase storica ci sono varie dinamiche importanti come la volontà di ottenere ulteriore sostegno di Erbil nella sua storica lotta contro il Pkk: incassare più velocemente e più soldi scavalcando Baghdad e ottenere più credibilità e sostenitori in zona visto che proprio in quel periodo tra Erdoğan e Obama nascono le prime divergenze in merito a chi sostenere nella guerra in Siria.

In questa procedura arbitrale si cita anche l’illegale commercio del petrolio attraverso i camion cisterna. Un tema che fu sollevato dalla giornalista Bethan McKernan nel 2016 in un articolo pubblicato su “The Independent” che si basa sullo scandalo “Wikileaks”. Secondo questa fuga di e-mail, scatenata dal gruppo hacker turco “Redhack”, sarebbe l’azienda PowerTrans a gestire dal 2014 al 2015 il traffico illegale di petrolio dalle zone occupate dall’Isis in Siria e dal Kurdistan (iracheno) verso la Turchia. Secondo McKernan l’azienda in questione sarebbe legata in qualche maniera al genero del presidente della Repubblica di Turchia, ossia Beraty Albayrak che in quegli anni lavorava come il ministro dell’Energia al governo. Uno scandalo del genere era stato sollevato anche da Mosca nel 2015 durante quei nove mesi di conflitto che ci fu con Ankara. In quel caso fu il figlio del presidente della Repubblica ossia Bilal Erdoğan a finire nel mirino russo più o meno per le stesse accuse rivolte al genero.

I curdi utili fuori e dentro i confini

Oggi le trattative sono in corso. Secondo alcune fonti Ankara si rifiuta di risarcire Baghdad e secondo alcune fonti invece si tratta di trovare una cifra adatta per tutte le parti. In questo periodo di incertezza però c’è una cosa chiara: Ankara ha bisogno del petrolio e del sostegno politico di Erbil. L’amministrazione curda che si trova nel Nord dell’Iraq risulta tuttora il “curdo utile”, fuori dai confini nazionali, per l’attuale governo al potere in Turchia che deve fare i conti con le elezioni del 14 maggio. Il suo nuovo alleato, ossia HüdaPar, invece, sembra che abbia già deciso di muoversi come “mediatore” tra queste due parti indossando il costume del “curdo utile” in casa.

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La geopolitica di Sedat Peker. 1: la vendetta corre sul video https://ogzero.org/le-videorivelazioni-di-sedat-peker-la-vendetta-corre-sul-video/ Wed, 02 Jun 2021 15:20:00 +0000 https://ogzero.org/?p=3737 Inauguriamo la serie di interventi a cura di Murat Cinar sulle videorivelazioni di Sedat Peker: in questo primo articolo si è cercato di inquadrare il personaggio, il contesto in cui è cresciuto il suo potere, fondato soprattutto sui tanti dossier che ha potuto crearsi nel tempo di aderenza con tutti i gangli del potere dell’Akp. […]

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Inauguriamo la serie di interventi a cura di Murat Cinar sulle videorivelazioni di Sedat Peker: in questo primo articolo si è cercato di inquadrare il personaggio, il contesto in cui è cresciuto il suo potere, fondato soprattutto sui tanti dossier che ha potuto crearsi nel tempo di aderenza con tutti i gangli del potere dell’Akp. La palude che ha permesso si creasse una rete di collusioni tra organizzazioni mafiose, traffici d’armi e droghe e il sistema di potere, i partiti della destra nazionalista, il clan del presidente della repubblica turca sono fotografati attraverso le inquadrature dei video scaricati in rete dagli Emirates: un terremoto per la comunità turca in attesa come noi del prossimo video che può gettare luce sulla Storia della Turchia (e dell’area mediterranea) – o spargere bocconi avvelenati.

Il prossimo articolo di questa serie racconterà la svolta improvvisamente geopolitica del nono appuntamento con il mafioso, il cui canovaccio improvvisamente è stato stravolto per accuse di complotti internazionali da smentire e quindi… Peker da consumata volpe del palcoscenico, anziché rivolgersi al presidente come previsto, annuncia rivelazioni riguardanti intrecci con l’India di Modi, il bancomat qatariota, ma soprattutto la tragedia siriana completerà le conclusioni più squisitamente geopolitiche che emergono dalla serie di Peker; e sullo sfondo la relazione tra la Turchia di Erdoğan e la Russia di Putin nell’ultimo decennio, ma anche le altre vicende mediorientali, mediterranee e globali scoperchiate dal mafioso che sapeva troppo. Nel terzo articolo invece si affronterà la maniera in cui il governo centrale ha approfittato dell’occasione per colpire la stampa indipendente e i partiti dell’opposizione. E infine, nel quarto intervento troverà spazio la vicenda di tre giornalisti la cui uccisione avvenne agli inizi della carriera del mafioso al servizio del regime e che trovano spazio nelle videorivelazioni; i video di Peker hanno influenzato l’andamento dei processi per la loro morte.

 


Sedat Peker, personaggio di spicco del movimento panturchista, accusato di appartenere al mondo della criminalità organizzata e attualmente in esilio negli Emirati Arabi Uniti, da più di un mese pubblica dei lunghi videomonologhi svelando una serie di informazioni su diversi personaggi appartenenti all’attuale governo e al mondo della burocrazia e imprenditoria.

A oggi sono otto i video pubblicati da Peker. Girati con il cellulare, durano poco più di un’ora e la loro realizzazione avviene nella sala di un appartamento lussuoso. Il linguaggio di Peker è diretto e chiaro, parla facendo nomi e cognomi, date e luoghi; illustra una serie di relazioni complicate e importanti. In questi video anche se spesso risulta pacato, calmo e composto è evidente che Peker sia arrabbiato e abbia deciso d’intraprendere questa strada per vendetta.

Chi è Sedat Peker?

Nato a Sakarya nel 1971, Peker ha cominciato a farsi notare già durante il suo primo processo negli anni Novanta in cui veniva accusato di aver fondato un’organizzazione criminale illegale perseguita per «estorsione, sequestro di persona e istigazione all’omicidio».

Nel 1997 Peker è stato assolto dall’omicidio di Abdullah Topçu, accusato di essere un contrabbandiere nella città di Rize; tuttavia le due persone che sono state processate con Peker sono state condannate all’ergastolo per l’omicidio di Topçu.

In quel periodo era fuggito in Romania, ma fu riportato in Turchia nel mese di agosto del 1998; nuovamente processato e assolto nel maggio successivo, contro di lui erano ascritti molteplici reati. In quel frangente rimase in carcere per otto mesi.

Verso la fine del 1999, in un’intervista rilasciata al quotidiano nazionale “Milliyet”, Sedat Peker, si descriveva come un «panturchista e turanista» e si difendeva dalle accuse a lui rivolte dicendo che stava «cercando di ottenere i soldi che gli spettavano, ma andando oltre i limiti delle relazioni civili».

Pochi anni dopo, nel 2005, Peker è stato arrestato di nuovo, nell’ambito dell’operazione Kelebek (Farfalla) a Istanbul, a seguito delle operazioni ad ampio raggio contro le organizzazioni della criminalità organizzata. È stato condannato a 14 anni di galera e in un altro processo, in cui era stato accusato di «fondare un’organizzazione armataı, era stato condannato a 1 anno di reclusione.

Ergenekon: il “tentato colpo di stato non armato”

Il nome di Sedat Peker è apparso anche nel maxiprocesso Ergenekon. Un processo che segnò un periodo particolare della storia della repubblica di Turchia. Era l’inizio della carriera del partito al governo, Partito dello Sviluppo e della Giustizia (Akp). L’attuale presidente della repubblica, Recep Tayyip Erdoğan, allora primo ministro, si definì come il “procuratore simbolico di questo processo”. In questo caso fu coinvolto anche Peker e fu condannato a 10 anni di reclusione.

L’Ergenekon, mentre identificava una serie di personaggi dell’esercito, dei servizi segreti e del mondo della criminalità organizzata con le mani piene di sangue, pian piano diventava anche una scusa per arrestare e zittire tutte le voci dell’opposizione; giornalisti, avvocati, politici, sindacalisti, insegnanti e studenti. Il maxiprocesso Ergenekon, dopo il fallito golpe del 2016 è stato definito come un «tentativo di colpo di stato non armato» dal governo attuale, tutti gli imputati sono stati assolti e quei giudici, procuratori e poliziotti che si erano impegnati in questo maxiprocesso sono stati arrestati, processati, sospesi oppure obbligati a lasciare la Turchia. Peker, condannato in questo processo, fu scarcerato nel 2014 grazie a una riforma legislativa, senza condizioni.

Peker, sostegno incondizionato a Erdoğan

Negli anni successivi alla sua scarcerazione i legami tra Peker e Akp, ma particolarmente con il presidente della repubblica, sono diventati sempre più stretti. In svariate occasioni Peker, pubblicamente, ha espresso la sua ammirazione per il presidente e il suo sostegno incondizionato per l’Akp e per il suo alleato, Partito del Movimento nazionalista.

Pochi giorni prima delle storiche e discutibili elezioni generali del 1° novembre 2015, Sedat Peker svolse un comizio pubblico nella città natale del presidente della repubblica, ossia a Rize, lungo la costa del Mar Nero. In quest’occasione espresse il suo pieno appoggio a Recep Tayyip Erdoğan. Si trattava di una manifestazione organizzata per “condannare il terrorismo”, in quest’occasione Peker promise al pubblico convenuto, circa 2000 persone, che per far pagare il conto amaro ai “terroristi” era disposto a “far spargere sangue loro”.

In pieno conflitto tra le forze dello stato e le guerriglie del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), nel 2016, più di mille accademici firmarono un “appello per la pace” invitando tutte le due parti a cessare il fuoco e aprire il dialogo e per questo i firmatari furono denunciati, processati, arrestati, linciati mediaticamente e politicamente e – alcuni – obbligati a lasciare il paese. In quei giorni salì sul palco di nuovo Peker e attraverso un comunicato stampa minacciò gli accademici firmatari con queste parole:

«Verseremo il vostro sangue e in questo lago faremo il bagno».

Minacce e repressione = libertà di espressione

Dopo queste dichiarazioni, Peker fu oggetto di dure proteste dai partiti dell’opposizione e di diverse associazioni non governative e presso il 20° tribunale penale di primo grado di Istanbul si aprì un’inchiesta. Tuttavia le parole di Peker vennero valutate nell’ambito della “libertà di espressione” e fu dunque assolto.

Sedat Peker è apparso nel primo anniversario del fallito golpe del 2016. Nel quartiere di Üsküdar a Istanbul, in un comizio pubblico, nel 2017, prese la parola e, riferendosi ai presunti golpisti arrestati, parlò così: «Li impiccheremo anche dentro le prigioni». Peker denunciato e indagato è stato assolto un anno dopo.

La fuga, senza ritorno

La vita da latitante di questo soggetto inizia nel 2020. Un anno fa lascia la Turchia e decide di stabilirsi nei “Balcani”. A sua detta la decisione nasce da motivi di lavoro e studio. Tuttavia da quel momento in poi per Peker inizia un viaggio senza ritorno.

Pochi mesi dopo, grazie all’indulto introdotto dal governo in piena pandemia, viene  scarcerato un altro personaggio del movimento ultranazionalista e del mondo della criminalità organizzata, Alaattin Çakici. Da quel momento in poi nasce un battibecco via internet tra Çakici e Peker e questo fatto si trasforma in un vero conflitto pubblico. Tutto ciò, facilmente, viene definito come l’inizio di una guerra tra due forze contrapposte sia nel movimento ultranazionalista turco sia nel mondo della criminalità organizzata.

Mentre Peker viveva all’estero da latitante, Çakici era libero in Turchia, scriveva lettere di elogio al presidente della repubblica e incontrava il leader del Partito del Movimento nazionalista.

Era evidente che quel disegno politico e economico che strangola il paese da circa 20 anni aveva deciso ormai di scartare un suo “sicario” e tenere buono l’altro.

La vendetta di Peker

Il primo video di Sedat Peker in realtà è stato lanciato a maggio 2020, quando risiedeva in Montenegro. In questo video Peker prendeva di mira il genero del presidente della repubblica, Berat Albayrak ovvero l’ex ministro dell’Energia e poi del Tesoro.

Secondo Peker, era proprio Albayrak ad avere in testa l’obiettivo di “farlo fuori”. Peker accusava Albayrak di lavorare con la magistratura e con i media per preparare un fascicolo pieno di “prove false”, nonché di adottare i “metodi dei gulenisti”, ossia quella realtà politica, economica e religiosa accusata di essere l’ideatrice ed esecutrice del fallito golpe del 2016.

Nella puntata iniziale, Peker sottolineava che il motivo principale del suo viaggio era proprio quello di non cadere in una “trappola”. Secondo Peker questo “complotto” organizzato ai suoi danni è stato confermato da numerosi suoi conoscenti. Peker assunse un atteggiamento aggressivo dichiarando guerra a coloro che lo volevano far fuori.

Anche se in questo primo video annunciava che ne avrebbe trasmessi altri, in realtà questo fatto non avviene e, anzi, pochi giorni dopo ne pubblica uno per chiedere scusa ad Albayrak, allora ancora potente e ministro del Tesoro.

Novembre 2020: Berat Albayrak si dimette dal suo ruolo di ministro del Tesoro con un post sul suo account ufficiale Instagram; da quel momento in poi il genero del presidente della repubblica non è più stato visto da nessuna parte.

L’inizio di una vera telenovela

La serie di videomessaggi che ormai da più di un mese occupa la quotidianità della Turchia hanno avuto inizio il 2 maggio del 2021.

A oggi, 2 giugno 2021, sono stati 8 in totale e molto probabilmente ne seguiranno molti altri. Il canale YouTube di Sedat Peker ormai ha circa 1 milione di iscritti e continua la sua crescita esponenziale. I suoi video sono seguitissimi, infatti ogni singolo video riceve almeno 6 milioni di visualizzazioni, alcuni addirittura 20 milioni.

Ogni giorno diversi canali televisivi e web trasmettono in diretta o meno, varie analisi sui messaggi lanciati da Peker. I social media, utilizzati molto bene e frequentemente da Peker, sono pieni di hashtag e messaggi su di lui e sui suoi video. La nuova app di discussione audio, ClubHouse, tutti i giorni ospita diverse stanze dedicate a questo tema (la Turchia, come per altri social media, risulta il quarto paese al mondo per utilizzo di questa nuova chat audio).

Dunque è palese che Peker in poco tempo si è collocato al centro dell’attenzione nel paese, arrivando anche a scatenare forme di fanatismo come quello che emerge in questo video di rapper francesi di seconda generazione algerina.

 

Inoltre le persone chiamate in causa e accusate da Peker, dopo ogni suo video e tweet prendono la parola e si sentono in obbligo di rilasciare una dichiarazione o si profondono in smentite, o lanciano nuove dichiarazioni che rimandano al passato più oscuro e controverso del paese.

Se le dichiarazioni di Peker fossero state fatte da giornalisti, senza ombra di dubbio la magistratura avrebbe preso immediate contromisure per denunciarli. Molto probabilmente questi sarebbero stati presi di mira dai media succubi del governo centrale e da diversi ministri dell’attuale governo. Tuttavia, è evidente che le accuse forti, nette e chiare di Peker in qualche maniera coinvolgono gli interessati e questi le prendono sul serio.

Chi finisce nel mirino di Peker?

Se c’è qualcuno a cui Peker ha deciso di dichiarare guerra è senz’altro prima di tutti l’attuale ministro degli Interni, Suleyman Soylu. Nei suoi video Peker lo accusa di tradimento. Nel racconto di Peker in aprile Soylu gli avrebbe garantito un rientro sicuro in Turchia. Infatti proprio in quel mese la polizia ha effettuato un’operazione capillare presso 121 diverse abitazioni in 5 città della Turchia. Tra le case a cui ha “bussato” la polizia c’era anche quella di Peker. Questo episodio è stato quello che ha fatto saltare il tappo (e i nervi al nostro eroe mafioso). Infatti nei suoi primi video Peker aggredisce verbalmente Soylu soprattutto per via del comportamento che i poliziotti hanno assunto nei confronti delle sue figlie e di sua moglie durante l’irruzione nella sua abitazione.

Ovviamente anche in Turchia la polizia è direttamente collegata al ministero degli Interni.

Nei video vengono esposte anche le altre eventuali motivazioni che hanno provocato la rabbia del boss mafioso contro Soylu. Secondo Peker, l’attuale ministro degli Interni deve a lui la sua carriera politica. Molto probabilmente è questo il motivo per cui si sente ancora un’altra volta “tradito”.

Secondo i dettagli-bomba sganciati da Peker sembra che durante la sua latitanza all’estero sia stato proprio Soylu a fornirgli protezione armata e varie soluzioni.

Nei confronti di Suleyman Soylu, Peker lancia numerose accuse, ma tra queste c’è un elemento che lo collega ad altri personaggi: i narcotrafficanti. Secondo Peker ormai la Turchia è diventata uno degli snodi più importanti al mondo del traffico di stupefacenti provenienti dalla Colombia e dal Venezuela.

Il giro della droga effettuerebbe secondo lui una tappa importante in Italia, per poi passare dalla Turchia con l’intento di arrivare alla destinazione finale che sarebbe la Siria.

Dal racconto di Peker in questa logistica sarebbe coinvolto in modo attivo l’ex ministro degli Interni Mehmet Ağar. Un altro sulfureo personaggio della storia della repubblica di Turchia. Il nome di Ağar è diventato famoso per due motivi principali negli anni Novanta. Prima di tutto con lo scandalo di Susurluk. Si tratta di un incidente stradale che ha scoperchiato la stretta relazione tra alcuni membri del governo dell’epoca, le forze dell’ordine, i lupi grigi e la criminalità organizzata. Dopo lo scandalo del 1996, Ağar si dimise. Successivamente fu condannato nel 2011 a 5 anni di reclusione per via dei suoi legami con la criminalità organizzata.

Il secondo punto che rende Ağar famoso è il maxiprocesso in cui è accusato di avere partecipato all’organizzazione della scomparsa e uccisione di 19 persone negli anni Novanta. Anche se in primo grado Ağar era stato assolto, nel maggio del 2021 uno dei tribunali penali di Ankara ha deciso di riaprire i fascicoli.

Un’altra persona che finisce nel mirino di Peker è Erkam Yıldırım ossia il figlio dell’ex primo ministro, Binali Yıldırım. Secondo Peker, il giovane Yıldırım sarebbe il tramite che teneva i contatti con i narcotrafficanti venezuelani per disegnare la nuova rotta per il trasporto della droga verso la Turchia. Anche se risulta che Yıldırım sia stato – in piena pandemia! – in Venezuela, proprio nelle date che Peker specifica nei suoi video, suo padre ha smentito l’accusa dicendo che suo figlio era lì per portare degli aiuti medici alla popolazione locale. Tuttavia, finora non risulta che sia avvenuto un trasporto di prodotti sanitari in quel periodo dalla Turchia verso la Venezuela.

Nei suoi video Peker parla anche di due giornalisti assassinati: Uğur Mumcu, ucciso nel 1993, e Kutlu Adalı, ammazzato nel 1996.

Due voci di opposizione e due giornalisti che hanno indagato sul rapporto tra i narcotrafficanti, lo stato turco e le guerriglie. Inoltre, particolarmente Mumcu lavorò anche sul traffico delle armi e sulla presenza massiccia dei paramilitari religiosi presenti in Turchia. Due casi ancora non chiariti definitivamente e per entrambi, secondo l’opinione pubblica, molto probabilmente c’è, in parte, anche lo zampino dello stato.

Come tutti, anche il ministro degli Interni Suleyman Soylu ha deciso di rispondere alle accuse di Peker, prendendo due volte la parola per diverse ore in diretta tv.

Tra le sue parole, anche Soylu ha pronunciato il nome di un giornalista assassinato, Hrant Dink, nel 2007. Secondo Soylu, stavolta sarebbe Peker coinvolto – direttamente o meno – nell’assassinio del giornalista.

Ascolta “La sulfurea serie di videorivelazioni di Sedat Peker” su Spreaker.

Cosa ci aspetta?

Ovviamente sorge spontanea una domanda: “Perché parla ora Peker?”. Anche se in parte si è cercato di rispondere in questo articolo che avete appena finito di leggere, si tratta di una domanda che merita una risposta ancora più dettagliata. Però sarà probabilmente Peker stesso a darci una risposta adeguata, dato che, questa domenica, 6 giugno, uscirà il suo nono video e in questo si rivolgerà soltanto e direttamente a Recep Tayyip Erdoğan, che finora ha fatto delle dichiarazioni con toni pacati e ha difeso (dopo aver atteso a lungo), i suoi alleati e i suoi ministri.

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Turchia: cosa bolle in pentola con i missili S-400? https://ogzero.org/turchia-cosa-bolle-in-pentola-con-i-missili-s-400/ Fri, 23 Oct 2020 23:14:38 +0000 http://ogzero.org/?p=1592 Russia e Turchia sono potenze grandi o regionali? A voler trovare sempre e comunque un piano preordinato, collocare ogni singolo evento all’interno di un progetto coerente si rischia – talvolta – di affondare nel complottismo. Resta comunque il dubbio. Nel caso della Turchia alcune recenti iniziative potrebbero costituire la prova provata che Ankara ormai si […]

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Russia e Turchia sono potenze grandi o regionali?

A voler trovare sempre e comunque un piano preordinato, collocare ogni singolo evento all’interno di un progetto coerente si rischia – talvolta – di affondare nel complottismo.

Resta comunque il dubbio. Nel caso della Turchia alcune recenti iniziative potrebbero costituire la prova provata che Ankara ormai si muove (o almeno si rappresenta) come una superpotenza in grado di trattare da pari a pari con i due colossi (Usa e Russia) oltre che con le altre entità rilevanti (Iran, Arabia Saudita…). Sarebbe quindi fuori luogo cercare di ridimensionarla specificando “potenza a livello regionale”, visto che qui si parla sia di Medio Oriente che di Mediterraneo e Caucaso. Un rilancio – la prosecuzione – dell’Impero ottomano con altri mezzi?

Potrebbe anche essere. Ma procediamo con ordine.

Prove di sistemi di difesa russi a Sinop, Nato

Risaliva ai primi di ottobre il gentile preavviso (per garantire la sicurezza dei voli nella zona) del lancio di un missile (senza specificarne la gittata) nell’area del Mar Nero. Più precisamente in prossimità di Sinop da dove il 16 ottobre veniva girato un video rivelatore (con l’evidente colonna di fumo prodotta dall’esplosione dell’ordigno).

Gli esperti che lo hanno analizzato ritengono di avervi identificato un missile S-400 di tipo 40N6E (con una gittata presunta di circa 400 chilometri).

E allora? Quale sarebbe il problema?

Il problema consiste nel fatto che tali missili sono una componente del sistema di difesa venduto alla Turchia da Mosca. Più che una ostentazione di forza – o di indipendenza dall’Occidente – il gesto di Ankara assumeva quasi l’aspetto di uno sgarro. Soprattutto nei confronti di Washington, in lampante contraddizione con il ruolo della Turchia. Per il momento ancora alleata degli Usa e membro della Nato.

Messaggi alla Casa Bianca

Ankara aveva operato il test missilistico incurante della minaccia di ulteriori sanzioni. Formulata esplicitamente da Mike Pompeo quando l’anno scorso aveva definito “semplicemente inaccettabile” la sola ipotesi di una attivazione del sistema degli S-400.

Sanzioni che tuttavia – va precisato – Trump non sembrava molto propenso a imporre.

Non mancavano i precedenti. Ancora l’anno scorso in una base nei pressi di Ankara (dove si trovano alcune batterie di S-400) venivano messi in attività aerei da combattimento F-16 e F-4. Allo scopo – si presume – di testare altre componenti (probabilmente i radar).

Un passetto alla volta, la Turchia sembrerebbe intenzionata a integrare – anche ufficialmente – il sistema di difesa S-400 nella sua struttura di difesa contraerea e di combattimento.

Dislocazioni strategiche

Quanto a dove tali batterie di missili verrebbero collocate definitivamente, il mistero è ancora fitto.

Una – molto probabilmente – dovrebbe rimanere nei pressi di Ankara. Le altre a sorvegliare mar Egeo e Mediterraneo orientale. Oppure alle frontiere con la Siria e con l’Armenia.

Una maggior cautela nel procedere mostrata da Erdoğan successivamente al test potrebbe dipendere dall’attesa per i risultati delle elezioni negli Usa.

Pur non dando ufficialmente conferma dell’avvenuto test missilistico del 16 ottobre, il Dipartimento di Stato aveva ribadito la possibilità di “gravi conseguenze” qualora il sistema fosse divenuto operativo a tutti gli effetti.

Se fin dall’inizio il Pentagono si era dichiarato totalmente contrario all’acquisto da parte di Ankara del sistema S-400, l’esponente repubblicano Jim Risch si spingeva oltre affermando fuori dai denti che «la Turchia ha superato il limite» e invitando l’amministrazione statunitense a dare un “forte segnale” per indurre Ankara a liberarsi del recente acquisto.

Minacce che – come è noto – erano destinate a rimanere lettera morta.

Esiste anche un’altra ipotesi. Ossia che Erdoğan abbia semplicemente alzato la posta per ottenere da Washington (anche in caso di vittoria da parte di Joe Biden) concessioni di altro genere. Per esempio la sostanziale, definitiva accettazione degli interventi nel Nordest della Siria contro i curdi e ora contro l’Armenia. In questo caso, agitare la minaccia dell’impiego operativo dei missili S-400 funzionerebbe come merce di scambio (o, se preferite, ricatto).

Messaggi interni

Ma comunque l’esercitazione del 16 ottobre era stata rivendicata pubblicamente dai dirigenti di Akp (il partito di Erdoğan).

Bulent Turan in particolare si era complimentato per l’avvenuto test cogliendo l’occasione per dichiarare che «il problema principale di questo nostro bellissimo paese sono quei miserabili che si fan passare per intellettuali, ma non sono in grado di riconciliarsi con i valori della nazione e non hanno fiducia nello stato; così come gli insignificanti esponenti politici dell’opposizione incapaci di comprendere quali siano gli interessi nazionali». Affermazioni piuttosto nebulose, ma che potrebbero risultare chiare e precise per chi, in Turchia, deve sentirsi nella condizione di “uomo avvisato”.

Da parte di quella che ormai, almeno nella testa di Erdoğan, è destinata a diventare definitivamente una potenza autoreferenziale e indipendente.

Per non parlare dell’effetto galvanizzante riversato sugli strati sociali turchi (soprattutto il ceto medio, ma non solo) che pur appoggiando Erdoğan si sentono colpiti, travolti dalla crisi economica.

E quindi necessitano di compensazioni (almeno a livello immaginario, di falsa coscienza).

Messaggi al Cremlino

Torniamo ora un attimo al discorso introduttivo, ossia al voler trovare qualche motivo recondito in ogni gesto compiuto da Erdoğan. Per alcuni osservatori non sarebbe per niente casuale che l’esperimento missilistico sia avvenuto quasi in contemporanea con l’incontro (e la firma di accordi anche di cooperazione militare) tra Erdoğan e Volodymyr Zelensky, il suo omologo ucraino. Anche in questo caso potrebbe essersi trattato di una ostentazione di indipendenza, ma stavolta da Mosca.

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Il fiume e il suo avvocato difensore https://ogzero.org/il-fiume-e-il-suo-avvocato-difensore/ Sun, 29 Mar 2020 22:39:34 +0000 http://ogzero.org/?p=74 La Valle del Munzur appartiene, senza esagerazioni, alle regioni più belle della Turchia. Il piccolo fiume scaturisce a nord di Tunceli (Dersim), capoluogo di provincia dell’Anatolia orientale e scorre dalla località di Ovacık fino a Dersim attraverso 60 chilometri di natura incontaminata, nella quale solamente una caserma fortificata della gendarmeria disturba l’idillio. L’acqua è chiara e […]

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La Valle del Munzur appartiene, senza esagerazioni, alle regioni più belle della Turchia. Il piccolo fiume scaturisce a nord di Tunceli (Dersim), capoluogo di provincia dell’Anatolia orientale e scorre dalla località di Ovacık fino a Dersim attraverso 60 chilometri di natura incontaminata, nella quale solamente una caserma fortificata della gendarmeria disturba l’idillio. L’acqua è chiara e fresca e brilla di verde turchese, quando il sole si trova in una particolare posizione, in certi punti scrosciano delle cascate. In altri il letto del fiume è largo e l’acqua profonda e abbastanza calma da poterci fare il bagno. Da queste parti in estate può essere veramente affollato, soprattutto durante il festival culturale annuale. Dersim è, con quasi 40 000 abitanti, di fatto uno dei più piccoli capoluoghi di provincia della Turchia, e la guerra con il Pkk curdo ha finora impedito che il turismo si potesse sviluppare. Ma si fa affidamento sulle molte persone che in parte già da molte generazioni vivono nelle città turche più grandi o in Europa e fanno ritorno in estate. La gente di Dersim vive in simbiosi con la sua città. Ed è legata al suo fiume.

Se fosse andato tutto secondo i piani del governo, di questo idilliaco habitat di oltre 200 tipi di piante endemiche non sarebbe presto rimasto nulla. Sebbene la Valle del Munzur e i monti circostanti siano stati dichiarati già nel 1971 parco nazionale protetto, il governo dell’Akp aveva in programma la costruzione di sei centrali idroelettriche e quattro dighe di sbarramento all’interno di un’area di 420 chilometri quadrati, accanto al fiume e al suo affluente Pvlümür.

Già negli anni Ottanta esistevano dei progetti simili, che si sono concretizzati solamente dopo la modifica di una legge del 2010, che permetteva la costruzione di centrali idroelettriche in parchi nazionali protetti. Solamente un tribunale è riuscito a fermare, all’inizio del 2013, i piani previsti per il parco nazionale.

Barış Yıldırım è uno di quelli che si può gloriare di aver salvato la Valle del Munzur. Trentaquattro anni, avvocato, un tipo magro, un po’ asciutto, ha studiato a İstanbul. 

«Ma volevo tornare a Dersim. Le persone, la natura, semplicemente amo questa città. Qui è tutto diverso da İstanbul, ma anche diverso dal resto dell’Anatolia orientale», dice. Ciò che si è riuscito a evitare nella Valle del Munzur, rimane in prospettiva per molti altri fiumi più grandi e più piccoli – oppure si è già concretizzato. Poiché ciò che per İstanbul sono i centri commerciali, per i fiumi e i torrenti lo sono le grandi e le piccole dighe di sbarramento e le centrali idroelettriche, che sono in progetto nell’intero paese o sono già in funzione e con le quali si vuole sfuggire alla dipendenza dalle forniture di gas russe e iraniane. Al momento sono previste 1700 centrali idroelettriche, molte delle quali sono così piccole che la corrente prodotta sarebbe sufficiente solo per una manciata di villaggi.

La diga Ilısu sul Tigri è divenuta celebre: è parte del progetto per l’Anatolia sudorientale già risalente agli anni Ottanta, attraverso il quale, nonostante le proteste internazionali, l’antica città fortezza di Hasankeyf e altri siti archeologici spariranno coperti dalle acque. «Perfino nelle centrali idroelettriche, dove gran parte delle acque non viene bloccata, ma condotta attraverso canali, l’attacco all’ecosistema è ingente», dice Yıldırım.

Finora in Turchia non esistono centrali atomiche, ma tre sono in programmazione: quella di Akkuyu nella provincia di Mersin sulla costa mediterranea, una a Sinope sul mar Nero e una in Tracia, quindi nella parte europea del paese. L’energia idroelettrica non sarebbe, visti i danni climatici delle centrali di carbone e i pericoli delle centrali nucleari – ancor più in Turchia, un paese a rischio sismico, dove tre placche tettoniche premono una contro l’altra  – , una soluzione ecologica? «Soluzioni ecologiche sarebbero sole e vento», pensa Yıldırım.

Ha altre idee per il Munzur: «Penso che Dersim abbia un notevole potenziale turistico che potrebbe sfruttare in armonia con la natura». Al di fuori delle aree naturali protette si potrebbe usare una parte dell’acqua per l’agricoltura ecologica. La condizione affinché possa avvenire è una pace duratura nella regione. Non sarebbe neanche male un impianto di depurazione per i 3000 abitanti totali del capoluogo distrettuale di Ovacık, per il corso superiore del fiume. «L’amministrazione dice che non ha soldi per questo», dice Yıldırım. «La mentalità è questa: danneggiare un fiume con le centrali oppure incanalare acqua di scarico non filtrata. La coscienza necessaria si sviluppa solamente poco a poco», dice.

Quindi il suo lavoro non è ancora finito, tanto più che nella provincia di Dersim sono previsti altri progetti. La resistenza esiste anche altrove, nelle regioni della sinistra come in quelle conservatrici: a Trebisonda e Rize sul mar Nero, nelle province di Adalia e Muğla sul Mar Mediterraneo e nella provincia di Artvin nella parte nordoccidentale più estrema. 

E precisamente lì, nel capoluogo distrettuale Hopa, il presidente Erdoğan ha tenuto il 31 maggio 2011 un comizio per la campagna elettorale. Alcune centinaia di persone hanno manifestato contro di lui; tra loro c’era Metin Lokumcu, un insegnante in pensione di cinquantaquattro anni, che apparteneva al Partito della libertà e della solidarietà (Ödp) – i Verdi di sinistra – e che aveva organizzato nel suo villaggio Dereiçi la resistenza contro la realizzazione di un progetto di una centrale idroelettrica. La polizia ha usato il gas lacrimogeno, Lokumcu, che era asmatico, ha avuto un infarto – la prima persona morta in Turchia a causa del gas lacrimogeno. In quello stesso giorno due anni dopo, in alcuni luoghi, per esempio a Smirne, si è passati senza soluzione di continuità dalle piccole manifestazioni in ricordo di Lokumcu alle prime grandi dimostrazioni di solidarietà per Gezi Park. 

«La resistenza contro la distruzione di Gezi Park ha preso tutta un’altra piega», dice Yıldırım. «Ma all’inizio è stata la versione metropolitana di ciò a cui abbiamo, nel nostro piccolo, dato inizio a Dersim e in molte altre regioni della Turchia: una resistenza locale, ecologica, contro un progetto di saccheggio della natura che non presta attenzione alle persone e alla cultura». Perché per la gente di Dersim la Valle del Munzur non è solo un luogo di villeggiatura, ha anche un significato culturale e religioso, giacché qui la popolazione è in gran parte alevita. In nessuna provincia l’Akp raccoglie così pochi voti come qui.

La città più libera d’Oriente

Yavuz Çobanoğlu ha 40 anni ed è da cinque anni docente di sociologia all’Università di Tunceli. Lui non è arrivato qui per la nostalgia di casa, come l’avvocato Barış Yıldırım, dal momento che proviene da Smirne, a 1400 chilometri da Tunceli. Nelle strade d’accesso a Tunceli la gendarmeria controlla ancora i documenti d’identità. Di certo in generale la situazione non si è calmata solamente con la tregua, almeno così raccontano gli abitanti, niente a che vedere con gli anni Novanta, quando nei dintorni i villaggi venivano evacuati con la forza e qui come in tutta la regione curda dominava lo stato d’emergenza. 

Come si vive qui secondo qualcuno che proviene da una metropoli moderna come Smirne? «Tunceli è la Smirne d’Oriente!», dice Çobanoğlu a gran voce. «Per me la situazione delle donne è fondamentale. A parte Smirne e Ankara non c’è nessun’altra città in tutta l’Anatolia dove le donne siano così libere come a Tunceli. Si vedono anche di sera per strada da sole o senza accompagnatori maschili nei ristoranti nei quali si servono alcolici».

L’odierna apertura della città incastonata tra le montagne e il fiume Munzur è paradossalmente un retaggio di un isolamento di centinaia di anni. Qui si è potuto conservare il credo alevita, che differenzia la popolazione locale dalla maggior parte degli altri curdi. Che discenda dalla linea turco-curda o da quella sunnita-alevita, la popolazione di Dersim fa sempre parte degli svantaggiati. Nella loro memoria collettiva si è impresso soprattutto un avvenimento: la cosiddetta insurrezione di Dersim nel 1937-1938.

Gli aleviti all’inizio avevano appoggiato la repubblica, perché questa aveva promesso gli stessi diritti a tutti i cittadini indipendentemente dall’appartenenza etnica e religiosa. Ma i kemalisti non si fidavano delle strutture feudali dei clan. E ugualmente sospetto per loro era il credo alevita, perché ogni deviazione dalla norma turco-sunnita era vista come un potenziale pericolo per lo stato nazionale. 

Nel 1936 Atatürk designò la “questione di Dersim” come il problema più importante di politica interna. La soluzione individuata fu lo spopolamento della provincia e ancora nello stesso anno venne cambiato il nome di Dersim in Tunceli, sottoponendo la città ad amministrazione militare. Si giunse a vessare la popolazione, i militanti appartenenti ai clan attaccarono una stazione di polizia e lo stato centrale reagì con tutta la sua forza: alla fine del 1937 le unità partigiane vennero sconfitte e Seyit Riza e gli altri capiclan giustiziati. L’anno dopo l’esercito continuò le proprie operazioni e si arrivò ai massacri. A migliaia vennero uccisi, decine di migliaia furono i deportati. Nell’operazione era coinvolta anche la figlia adottiva di Atatürk, Sabiha Gökçen, la prima pilota da combattimento al mondo, alla quale è stato intitolato il secondo aeroporto di İstanbul.

Nei decenni seguenti Dersim rimase una regione sottosviluppata, il tasso di emigrazione era estremamente alto, molti si trasferirono in Europa per lavorare, cosicché Tunceli raggiunse la densità di popolazione più scarsa di tutte le 81 province della Turchia. Nel 2011 il presidente Erdoğan si è scusato per il massacro e ha ammesso il numero di 14 000 morti. Nell’autunno 2013 ha annunciato all’interno del “pacchetto di democratizzazione” la ridenominazione di Tunceli in Dersim – l’unico provvedimento concreto a favore dei curdi. 

Inoltre il rapporto della gente di Dersim con i curdi è complicato: perché la popolazione non è soltanto alevita, ma la maggior parte non parla nemmeno kurmanji, ma zazaki – talvolta considerato un dialetto curdo, ma visto dall’iranistica ormai come ramo autonomo della famiglia linguistica iraniana. Tale questione non è interessante semplicemente per i linguisti, anzi ha effetti equivalenti sulla vita delle persone, almeno ne è convinto Çobanoğlu, e in ogni caso implica conseguenze politiche.

Per lungo tempo il Chp, che di solito non gioca nessun ruolo nelle zone curde, è stato la forza politica più potente nella provincia. Allo stesso tempo, dagli anni Settanta i gruppi della sinistra radicale hanno guadagnato un’influenza, che fino a oggi non è quasi mai stata messa in discussione. Durante le elezioni dell’amministrazione comunale del 2009 il candidato della Federazione dei diritti democratici – un’unione vicina all’illegale Partito comunista maoista (Mkp) – ottenne un risultato leggermente inferiore rispetto alla candidata del Bdp, ma si aggiudicò comunque il terzo posto. In compenso i Verdi di sinistra dell’Ödp hanno visto eleggere il proprio sindaco in un capoluogo distrettuale mentre in un altro è riuscito il Tkp marxista ortodosso – entrambi isolati. Ormai in quella zona il Bdp è diventato la forza politica più potente.

«A Dersim c’è un conflitto tra quelli che considerano lo zazaki come parte della lingua curda e quindi gli zaza come curdi, e quelli che vedono gli zaza come un’etnia più o meno autonoma e danno un forte rilievo alla cultura alevita», dice Çobanoğlu. «I simpatizzanti del Bdp rimproverano agli elettori del Chp di essere affetti dalla sindrome di Stoccolma e quindi di fraternizzare col nemico. I rappresentanti del Chp a loro volta accusano il Pkk di seguire una politica di assimilazione. Molti dicono: se oggi venisse fondato un Kurdistan indipendente, ci chiamerebbero curdi delle montagne, così come prima in Turchia si è fatto dei curdi i turchi delle montagne». La politica di assimilazione si mostra anche nei gruppi di sinistra. «Tutti quelli che si fossero avvicinati al Pkk, vi avrebbero incorporato la loro influenza».

Questa spaccatura politica viene alla luce durante le proteste di Gezi. Per quanto Dersim sia l’unica città curda in cui proteste e scontri sono stati imponenti, i sostenitori del Bdp si sono astenuti anche qui. Per strada c’erano giovani non appartenenti a gruppi politici così come simpatizzanti dei gruppi di sinistra e del Chp, il cui parlamentare Kılıçdaroğlu è originario di quella regione. Un paio di mesi dopo si verificarono nuovi disordini, quando delle persone protestarono davanti ad alcuni locali. I manifestanti pensavano che fossero luoghi in cui si esercitava la prostituzione e parlavano, come a Gazi, di “degrado”.

Çobanoğlu ha la sua spiegazione personale: «Penso dipenda dal Bdp. Il Bdp è un partito conservatore nelle zone curde. Per loro l’intero stile di vita di Dersim è sospetto. Ma camuffano questo con una retorica femminista e quelli di sinistra se la bevono. Sarebbe un peccato se l’islamizzazione attaccasse Dersim».

La particolarità della città emerge già dai suoi monumenti: il monumento a Seyit Riza, con il quale l’amministrazione comunale nel 2010 ha causato una controversia in tutto il paese, il monumento a Sevuşen, un senzatetto schizofrenico, che qui è considerato un santo, e il Monumento ai diritti umani in piazza Cumhuriyet, dove nel 1996 la combattente del Pkk Zeynep Kımacı si è fatta saltare in aria durante una cerimonia militare uccidendo otto reclute che stavano facendo il servizio militare obbligatorio – il primo attentato suicida della storia turca.

Il carattere particolare si palesa anche nella libreria Baran, dove non si trovano solo manuali e i bestseller di Elif Şafak e Ahmet Ümit tra le pubblicazioni esposte in vetrina, ma anche un volume della Scuola di Francoforte – anche se la giovane libraia dice che mai nessuno lo ha preso in mano. Yavuz Çobanoğlu vorrebbe che Dersim mantenesse queste unicità. Ma una cosa desidera in particolare: «Un bar dove si suoni musica rock e non sempre solo l’halay».

La trentatreenne insegnante di geologia Songül non ha alcun problema a danzare l’halay. In questo sabato sera ci si incontra in un ristorante del centro con un bel panorama sul fiume, ma dall’architettura amorfa. C’è la festa di una scuola di ballo, ci sono alcolici, dopo cena si balla: l’halay, ma anche l’horon, una danza proveniente dal mar Nero, e in più il tango, la salsa, il sirtaki. Forse ci sono un centinaio di persone nella sala spoglia, tutti tra i 25 e i 40 anni. Songül si trova lì con tre colleghe. L’attenzione del tavolo è rivolta alla reginetta non incoronata del ballo, una ragazza quasi trentenne in jeans e top rosso che le lascia scoperta la schiena, che padroneggia i balli più complicati. Pettegolezzi da donne, che più che criticarla la ammirano.

Songül più tardi racconta che le piace vivere a Dersim: «La mia famiglia vive in un villaggio nelle vicinanze, io abito da sola e non ho alcun problema qui. Ma ci sono dei limiti. Io e il mio ragazzo non abbiamo passeggiato neanche una sola volta attraverso la città tenendoci per mano». Ma ancor più le dà fastidio la chiusura mentale provinciale, di cui a un certo punto ci si rende conto.

La più grande eccitazione l’ha provata quando la protesta di Gezi è arrivata a Dersim. «C’era un tale fermento», dice Songül. Ha manifestato, partecipato ai concerti serali di protesta ed era presente quando venne dipinta una scala nei dintorni del Munzur. «Ma così all’improvviso com’è arrivato, è sparito tutto di nuovo. Come geologa mi dico: Gezi è forse come un fiume carsico. Spunta scrosciante, poi sparisce di nuovo sottoterra, per poi sgorgare da un’altra parte».

Frags da Ogni luogo è Taksim. Da Gezi Park al controgolpe di Erdoğan, di Deniz Yücel e Murat Cinar, con una prefazione di Alberto Negri, Torino, Rosenberg & Sellier, 2018

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Oil exploitation in Kurdistan https://ogzero.org/oil-exploitation-in-kurdistan/ Sun, 29 Mar 2020 21:53:03 +0000 http://ogzero.org/?p=66 The KRG oil policies eventually became curse for the people of the Kurdistan Region as on one hand it created a political elite that became billionaires and held the power, on the other hand, the political elite cemented their relations with the regional powers and families so as to protect them in the future when […]

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The KRG oil policies eventually became curse for the people of the Kurdistan Region as on one hand it created a political elite that became billionaires and held the power, on the other hand, the political elite cemented their relations with the regional powers and families so as to protect them in the future when they face domestic resistance. Meanwhile, the KRG oil policies, or more speicifically, the KDP oil policies as the KDP has been the architect of the oil and gas policies, wasn’t only a curse for the people of the Kurdistan Region of Iraq, it was even a curse for the Turkish people, and particularly the Kurds in Turkey, as one of the main reasons President Erdogan strengthened his hold on power and made the Justice and Development Party (AKP) able to maintain the reign was the easy cash Erdogan, his family and the AKP received from the KRG lucrative oil deals.

Since the KDP and AKP relations gained momentum through oil deals, especially after 2011 deals and then 2013 50-yrs oil & gas deal, the KDP, its media & the KRG oil have altogether served Erdogan’s agenda and policies. 

Erdogan and AKP easily exploited the KDP and Barzani’s vulnerable domestic popularity, regional and Iraqi opposition [to the KDP and Barzani policies] and the KDP and Barzani’s rivalry with the PUK, the opposition parties and in particular with the PKK, and eventually with the Rojava. The KDP would not have been able to protect its grip on power if Erdogan had not supported as now approximately 20 Turkish military bases are inside the Kurdistan Region.

Resources and facilities exploitation in KRG, from Curdi, by Antonella De Biasi, Giovanni Caputo, Kamal Chomani e Nicola Pedde, Torino, Rosenberg & Sellier, 2019

As the KRG has a landlocked geography, and Iran and Iraq have been against the KRG’s independent oil exports, the KDP/KRG had no other routes to export its oil to the international market. Erdogan, took this opportunity to make huge profit from the KRG’s geographic and political vulnerability. One of the reasons behind that Erdogan appointed his son-in law Berat Albayrak, Erdoğan’s daughter, Esra Albayrak, husband, as the Turkish Energy Minister. Albayrak’s companies have managed to export the KRG oil and buy the KRG oil from a much lesser price as compared to oil prices in the international market. Meanwhile, Barzani’s family also benefited from the oil exports through Turkey as the KDP’s Prime Minister Nechirvan Barzani has been the architect of the deals and the KDP and the Barzani family have treated the oil as their own property. These deals made the KDP and AKP closer to an extent both parties have been firmly against the achievements of the Rojava in the northern Syria. The KDP soon closed all the Fethulla Gulen schools in Erbil after an order from Erdogan’s government back in 2015 and a Kurdish businessman close to the KDP bought the ownership. And when the Turkish Army entered the Kurdish Region to attack the PKK by 30 kilometres, PM Barzani said: “Why did Turkey violate the border? What is the reason? There should  be a reason. There is a reason why this is happening. That reason must first be  resolved. So long as this reason is not resolved, you cannot talk  about the fallout.” The Wikileaks files revealed that Masoud Barzani considered the PKK as enemy when he met Erdogan as saying that “the PKK is the KDP’s enemy as well, not just the Turks.” 

For Erdogan and AKP, the KRG and the KDP have been useful economically to garner billions of dollars through lucrative oil deals and business in the KRG, and politically to check the PKK in the Qandil Mountains, KRI and somehow Rojava. Likewise, the KDP has received military support from Turkey, found a route to bypass Iraq to export oil and generate money from it and finally to weaken the PKK as the PKK is the main KDP rival politically, ideologically and militarily, as well as in terms of the geopolitics of the KDP as the  PKK’s stronghold in the two parts of Kurdistan Turkey and Syria border with the KDP-controlled area in Iraq. 

The Turkish strong presence in the KRG has pushed the PUK into the Iranian axes to an extent that the PUK cannot make any strategic decisions without returning to Iran.

Cf. the Italian edition in Curdi, by Antonella De Biasi, Giovanni Caputo, Kamal Chomani e Nicola Pedde, Torino, Rosenberg & Sellier, 2019

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