Regione alpina Archivi - OGzero https://ogzero.org/regione/regione-alpina/ geopolitica etc Thu, 25 Aug 2022 10:49:53 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 n. 18 – Tra mare e boschi alpini. La frontiera che uccide (II) https://ogzero.org/la-cancellazione-del-diritto-alla-mobilita/ Wed, 13 Apr 2022 19:20:10 +0000 https://ogzero.org/?p=7034 Movimenti secondari dei flussi migratori si riscontrano, oltre che tra Francia e Inghilterra, anche in prossimità dei confini italo-francesi, più specificatamente in Alta Val di Susa e a Ventimiglia. Nella frontiera Nordovest dell’Italia con la Francia si registra un’importante corrente migratoria che ogni anno nell’ultimo triennio ha visto il transito di circa 100.000 persone e […]

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Movimenti secondari dei flussi migratori si riscontrano, oltre che tra Francia e Inghilterra, anche in prossimità dei confini italo-francesi, più specificatamente in Alta Val di Susa e a Ventimiglia. Nella frontiera Nordovest dell’Italia con la Francia si registra un’importante corrente migratoria che ogni anno nell’ultimo triennio ha visto il transito di circa 100.000 persone e che vede intensificarsi la repressione poliziesca che bloccano gli autobus in transito, bloccano le persone in movimento in situazioni fatiscenti e pericolose, applicando la cancellazione del diritto alla mobilità grazie a una legislazione europea che va sancendo un po’ alla volta la cancellazione del Codice Schengen e il “collaborazionismo transfrontaliero” tra polizie. Fabiana Triburgo, Emilie Pesselier, Chiara Maugeri e Daniela Trucco uniscono le loro competenze e i loro materiali in questo articolo, corredato dalle riprese video girate da Stefano Bertolino fonte di notizie anche sul passaggio del Colle dell’Agnello e nella sua provvidenziale presenza sui Balzi Rossi nel 2015, lungo il confine meridionale italo-francese, che vede da un lato e dall’altro persone solidali e squadracce intolleranti.


La rotta secondaria Ventimiglia-Menton

La rotta migratoria dalla città di Ventimiglia alla città di Menton – primo avamposto del confine meridionale francese con l’Italia – viene percorsa sia con il treno che transita tra le stazioni delle due città, sia in macchina – principalmente avvalendosi dei passeurs e infine a piedi mediante il cosiddetto “Passo della Morte”, il sentiero non indicato sulle cartine topografiche – in prossimità della località italiana di Grimaldi, frazione del comune di Ventimiglia – che attraversa Francia e Italia e che in passato ha visto il passaggio dei migranti provenienti dal conflitto civile dell’ex Jugoslavia ma anche quello di persone che più generalmente fuggivano da persecuzioni come Sandro Pertini da quella fascista e gli ebrei da quelle razziali del 1938.

Mappa della zona con indicati gli uffici della polizia di frontiera italiana e francese, il posto di sostegno Kesha Niya, il passaggio del Passo della Morte e il valico di confine Ponte San Ludovico. Fonte: Serena Chiodo e Anna Dotti (Rosa Luxembourg Stiftung, Bruxelles).

L’imbuto che raccoglie rotta balcanica e mediterranea

La rotta è percorsa prevalentemente da migranti provenienti dall’Africa subsahariana dopo aver attraversato la rotta del Mediterraneo centrale ed essere transitati o aver soggiornato in Italia; minore invece è la percentuale al momento dei migranti che tenta di percorrerla dopo aver attraversato quella dei Balcani – soprattutto cittadini afghani. Il motivo prevalente che caratterizza i movimenti secondari, tuttavia, è quello di legami familiari o affettivi che evidentemente non vi sono nel primo paese di approdo.

Nell’analisi delle caratteristiche peculiari di tale rotta secondaria è opportuno porre attenzione alla nuova proposta di modifica normativa del Codice frontiere Shengen avanzata dalla Commissione europea il 14 dicembre del 2021.

Disposizione di legge: cancellare il diritto alla mobilità

L’intenzione di chi scrive è quella di dare un contributo di sensibilizzazione rispetto a un contingente tentativo di aggiramento delle normative europee e internazionali vigenti, attraverso l’introduzione di nuove disposizione di legge volte a impedire in ogni modo i flussi migratori all’interno del territorio dell’Unione; non solo quindi alle frontiere esterne – come si è visto nella maggior parte degli articoli riguardanti le attuali correnti migratorie – ma anche a quelle interne all’Unione, come già parzialmente approfondito anche nel precedente articolo riguardante il confine italo-francese Oulx-Monginevro/Briançon. La proposta infatti, qualora venisse approvata dal Parlamento e dal Consiglio europeo, potrebbe essere foriera di importanti conseguenze giuridiche, sia rispetto al Regolamento Dublino – più specificatamente in merito al trasferimento di un cittadino di un paese terzo da un paese all’altro dell’Unione – sia in relazione a un maggior ricorso a dispositivi di alta tecnologia per il tracciamento dei movimenti secondari – con scarsa tutela dei diritti della persona – sia infine a una maggiore attribuzione di poteri alla cooperazione delle forze di polizia dei paesi membri nelle zone di frontiera già interessate da numerosi respingimenti, con riferimento al confine italo-francese circa 24.000 nell’anno 2021. Non solo, cambierebbe la condizione di legittimità di una serie di situazioni di fatto consolidatesi a livello geopolitico – al momento solo considerate cattive prassi – che coinvolge in particolare in questo caso il confine italo-francese a Ventimiglia/Menton e a Oulx/Briançon (oltre a quello austro-sloveno e austro-tedesco) interessato negli ultimi anni da un ripristino continuo dei controlli temporanei alle frontiere interne da parte della Francia. Tale analisi giuridica – pur se chiaramente limitata – è doverosa visto che ancora oggi indirettamente si consente che un migrante possa morire folgorato al di sopra di un treno in viaggio dalla stazione di Ventimiglia o come accaduto per due migranti deceduti il 2 aprile scorso, essere travolti da un furgone nell’autostrada A20 a Bordighera, la città appena prima di Ventimiglia andando verso Nizza – nel tentativo disperato di attraversare il confine tra due paesi membri dell’Unione.

Pattugliamento bilaterale e cooperazione poliziesca transfrontaliera

Tali argomentazioni acquisiscono una valenza ancora più grave se si pensa che il transito delle merci e dei servizi – diversamente da quello delle persone – non registra alcun tipo di controllo alle frontiere interne dell’Unione e ciò nonostante entrambi i movimenti – secondo la versione ancora attuale del Codice Shenghen (n. 399 del 2016) – siano ugualmente sottoposti al principio di libera circolazione. Si pensi che a partire dal 2015 – anno in cui diversi paesi sono stati interessati dal flusso di “importanti” movimenti migratori e nel quale si è registrata la crisi del sistema Shengen, Francia, Germania e Austria – nonostante il limite di 2 anni previsto per la reintroduzione degli stessi – hanno ripristinato per ben 268 volte i controlli alle frontiere interne, facendo ricorso ad accordi bilaterali di riammissione e di cooperazione delle diverse forze di polizia, come il già citato accordo di Chambery, tra Francia e Italia, applicato ovviamente anche ai flussi migratori di cittadini terzi dell’Unione che transitano sulla rotta Ventimiglia-Menton, ora sotto la lente di questa analisi. La Commissione tuttavia, anziché impedire tali prassi illegittime, con la proposta di modifica normativa del regolamento Shengen del dicembre 2021, le ha consolidate – e questo si evince sia dai “considerando” che dall’“articolato” della presente proposta legislativa – stabilendo da una parte che la decisione del ripristino dei controlli alle frontiere possa essere adottata dagli stati anche unilateralmente, senza ancora prevedere alcuna sanzione in caso di proroga continua dei controlli, dall’altra spingendo affinché gli stati ricorrano sempre più a misure alternative al controllo delle frontiere interne.

La polizia respinge con la violenza i migranti al confine italo-francese.

Tra queste in primo luogo si annovera (al considerando 25) il pattugliamento bilaterale dei confini e la cooperazione transfrontaliera delle forze di polizia che si precisa possa portare – rispetto ai movimenti secondari – ai medesimi risultati del ripristino dei controlli.

Inoltre (al considerando 26), con una contestuale proposta di modifica della direttiva rimpatri (2008/115/CE) – più specificatamente l’art.6 paragrafo 3 che così modificato prevede la facoltà per gli stati di concludere nuovi accordi e intese bilaterali da notificare alla Commissione – viene di fatto introdotta la legittimazione delle riammissioni informali (al momento oggetto di diversi procedimenti giurisdizionali tra cui quello pendente dinanzi al Tribunale di Roma riguardante le riammissioni attuate al confine italo/sloveno e momentaneamente sospese)trasformandole in “formali”, mediante le disposizioni normative che prevedono il rilascio di una copia del provvedimento alla persona con la possibilità di presentar ricorso ma senza che questo abbia un effetto sospensivo del provvedimento di riammissione (Procedura di cui all’allegato XII al codice frontiere Shengen punti 5,6,7).

Legittimato arbitrio

Verrebbe in questo modo dunque resa legittima la possibilità di trasferire i migranti da uno stato membro all’altro, qualora venissero intercettati in prossimità di un confine interno. Al riguardo si sottolinea quanto labile sia l’espressione “cittadino di un paese terzo fermato nelle immediate vicinanze delle frontiere interne” (contenuta nell’articolo 23 bis – “Procedura per il trasferimento di persone fermate alle frontiere interne”) rispetto a un’eventualità così compressiva della libertà del migrante quale quella di essere riammesso nello stato di provenienza. Si incentiva inoltre l’utilizzo della sorveglianza tecnologica delle frontiere interne che secondo la Commissione, non deve essere equiparato al controllo delle frontiere (considerando 21), ragione per cui l’impiego di droni e di scansioni termiche – utilizzati spesso per controllare le aree e i confini – non sarebbe soggetto a tutti quei limiti temporali e motivazionali previsti invece per il ripristino dei controlli dei confini interni. Nello specifico si aggiunge che le attività di controllo effettuate sulla base di tecnologie di monitoraggio e sorveglianza generalmente utilizzate nel territorio al fine di affrontare le minacce alla sicurezza pubblica o all’ordine pubblico «non sono assimilabili ai controlli alle frontiere interne, senza però stabilirne i limiti della loro applicazione» (art. 23).

Frontex: il diritto d’asilo a rischio valutazione

Altra questione da sottolineare è l’accresciuto ruolo che viene conferito da tale proposta di modifica ad alcune istituzioni dell’Unione. In base all’art. 27 – come emendato dalla proposta – qualora il ripristino temporaneo dei controlli sia legato a «movimenti secondari di persone prolungati nel tempo, la notifica relativa a essi deve essere sì svolta dallo stato membro ma deve includere qualsiasi informazione che derivi dalle agenzie interne all’Unione: Frontex appunto. Essendo l’agenzia UE specificatamente demandata a svolgere la Risk Assessment (la valutazione dei rischi) dei movimenti secondari».

Non è difficile comprendere come questo possa essere particolarmente pericoloso per il rispetto del diritto d’asilo alle frontiere.

Inoltre all’art. 28 si prevede un nuovo ruolo di impulso della stessa Commissione nelle ipotesi di ripristino temporaneo dei controlli, in particolare nei casi in cui vi sia una minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna che riguardi la maggioranza degli stati membri e che metta a repentaglio il funzionamento globale dello spazio Shengen: in questo caso la Commissione può presentare essa stessa al Consiglio una proposta per l’adozione di una decisione di esecuzione che autorizzi il ripristino dei controlli alle frontiere interne. L’unico punto di tale macchinoso impianto normativo – che lascia la possibilità di muovere contenziosi strategici relativi ai controlli che oggi si basano sul racial profiling (profilo razziale) riguardanti anche il confine italo-francese di Ventimiglia – è quello del succitato art. 23 (al punto iii) attraverso il quale la Commissione, invitando gli stati a implementare le misure alternative, ossia i controlli di polizia transfrontaliera, stabilisce che questi non possano essere considerati controlli alle frontiere interne solamente se pensati ed eseguiti in maniera distinta dai controlli sulle persone alle frontiere esterne dell’Unione, «anche nell’ipotesi in cui vengano attuati alle stazioni degli autobus o più genericamente nei poli di trasporto che collegano i vari stati o a bordo dei servizi dei passeggeri». È noto invece che al confine Ventimiglia/Menton, a partire dal 2015, si attuino sistematicamente respingimenti dei migranti alla frontiera dalla Francia e vere e proprie deportazioni dall’Italia nei Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) collocati in altre regioni come quelli di Taranto o di Torino. Rispetto a quest’ultimo si ricorda Musa Balde il ragazzo guineano di 23 anni morto suicida nel maggio del 2021 nel Cpr di Torino dopo essere stato vittima di una grave violenza in strada proprio a Ventimiglia. Rispetto ai respingimenti l’attività di osservazione collettiva e di sostegno ai migranti alla frontiera Ventimiglia/Menton è svolta dal già citato CAFI – Coordination d’actions aux frontières intérieures, in partenariato con l’Anafé – Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers.

Il supporto legale ai migranti e i rigetti dei loro ricorsi

L’Anafé svolge tanto un’attività operativa di osservazione e di supporto legale per i migranti alla frontiera quanto un’attività di tipo politico ossia di advocacy e sensibilizzazione rispetto ai respingimenti contraddistinti dai Refus d’entrée e ai trattenimenti alla frontiera eseguiti dalla Paf (Police aux frontières). Nello specifico l’avvocato Emilie Pesselier coordinatrice dell’Anafé durante la riunione online organizzata a marzo con la dottoressa Chiara Maugeri di Médecins du Monde – ex coordinatrice del programma di migrazione alla frontiera transalpina – ha riferito che, a partire dal 2015, quando la Francia ha “chiuso le frontiere” è iniziata l’attività di sostegno e accompagnamento, rispetto ai contenziosi individuali dell’associazione a favore dei migranti che si affianca ad attività di formazione sul quadro normativo vigente in materia. Dal 2017 si registra la denuncia delle violazioni dei diritti da parte dell’Anafé rispetto alle intercettazioni dei migranti compiute dalla Paf che notificando il refus d’entrée – senza alcun rispetto dei diritti di informazione come quello alla mediazione culturale e all’assistenza legale – respingono i migranti direttamente verso l’Italia o li accompagnano alla stazione di polizia a Menton qualora i respingimenti non possano essere eseguiti – ossia dalle 19 alle 7 di mattina – perché, essendo chiusa la stazione di polizia italiana, la riammissione da parte dell’Italia non sarebbe possibile.

Si specifica che nell’attesa che la polizia italiana sia nuovamente “disponibile”, i migranti pernottano esposti alle intemperie in strutture prive delle superfici di copertura, sprovviste di servizi igienici, senza accesso all’acqua e in condizioni di promiscuità tali da non consentire il distanziamento sociale previsto per il virus da Covid 19. L’avvocato Pellier ha poi segnalato due importanti pronunce emesse dai tribunali francesi: in particolare dal Tribunale amministrativo di Nizza e dal Consiglio di stato francese. Con la sentenza n. 1800699 del 23 febbraio 2018 il Tribunale amministrativo di Nizza, dietro a un ricorso che aveva per oggetto un provvedimento di non ammissione nel territorio francese, ha dichiarato l’illegittimità dello stesso da un lato per il mancato rispetto del diritto fondamentale a richiedere asilo dall’altro per l’assenza di protezione in Francia per i minori stranieri non accompagnati, sistematicamente respinti verso l’Italia dalla Paf senza alcuna considerazione rispetto alla loro minore età.

Tuttavia, nonostante tale pronuncia va detto che continuano i respingimenti dei minori stranieri che siano accompagnati o meno.

Respingimenti!

Al riguardo è necessario richiamare un’altra sentenza riguardante il ricorso presentato da una donna straniera respinta alla frontiera con il figlio di cinque anni dalla Paf: in questo caso a pronunciarsi è il Consiglio di stato francese che ha rigettato il ricorso con l’ordinanza n. 440756 del primo luglio del 2020, sostenendo nelle argomentazioni che al confine italo-francese sia rispettato il diritto d’asilo potendo la donna presentare la sua domanda in Italia! Per di più a tale pronuncia si è fatto riferimento al fine di rigettare successive richieste di liberazione provvisoria di alcuni richiedenti asilo respinti, con il pretesto che non fosse soddisfatta alcuna esigenza per l’adozione di una decisione di urgenza – avendo questi libero accesso alla domanda d’asilo in Italia.

Da allora le persone respinte alla frontiera non hanno avuto più alcuna possibilità di presentare ricorsi urgenti ma solo nel “merito” dinanzi al tribunale competente ossia facendo ricorso a procedure che possono durare fino a due anni prima dell’emissione di una pronuncia.

La vicenda legata ai respingimenti al confine Ventimiglia/Menton, quando la Francia ha ripristinato i controlli alle frontiere nel 2015, ha chiaramente dispiegato i suoi effetti anche in Italia accendendo però un esempio di resistenza memorabile da parte della società civile e dei migranti stessi unitisi nel presidio No Borders in contestazione delle politiche di riammissione, da parte della polizia italiana in collaborazione con la polizia francese e più in generale delle politiche europee in ambito migratorio. Il presidio è stato considerato da Guglielmo Mazzia nel libro Presidio permanente No Borders Ventimiglia. Diario 13 giugno/30 settembre, uno dei più potenti e vincenti eventi politici degli ultimi anni. La ricostruzione delle origini del Movimento è stata possibile grazie al professor Broglio autore del libro Bucare il confine al quale si rimanda e il giornalista Stefano Bertolino, autore di alcuni reportage, uno dei quali famoso perché l’agente digos ripreso riassumeva tutta la brutalità offensiva dei metodi polizieschi.

Per individuarle occorre tornare indietro all’11 giugno del 2015 quando, in seguito al G7 dello stesso anno tenutosi in Baviera, la Francia ripristina improvvisamente i controlli alle frontiere interne iniziando a respingere circa 80 migranti al giorno: la Paf li identifica e – a volte anche sulla base di uno scontrino di un acquisto in Italia in possesso del migrante – decide per il loro respingimento appellandosi al succitato accordo di Chambery del 3 ottobre del 1997 e al Regolamento Dublino che come detto individua la competenza degli stati membri dell’Ue a trattare la domanda d’asilo sulla base del criterio del primo paese di arrivo del migrante.

Dopo l’estate 2015: tra Balzi Rossi e Campo Roja

I migranti decidono per questo di occupare gli scogli, i cosiddetti Balzi Rossi al confine tra i due paesi, dando vita alla protesta We are not going back; la Gendarmerie schiera quindi i blindati mentre da Ventimiglia non transitano più i treni verso la Francia accrescendo la presenza di migranti bloccati nella stazione. Nei giorni successivi, con l’arrivo della digos e della polizia in assetto antisommossa con scudi e manganelli, il presidio No Borders diviene un presidio permanente. Tuttavia, il 16 giugno del 2015 la polizia alla presenza dei media italiani procede allo sgombero della scogliera e i migranti vengono deportati sulle macchine della polizia italiana e sui pullman della Croce Rossa verso la città di Ventimiglia. Con la manifestazione non autorizzata del 20 giugno dello stesso anno contraddistinta dallo striscione “Siamo tutti cittadini del mondo no frontiere, no borders” iniziano le deportazioni dei migranti nei Cpr del Suditalia ma si unisce anche il supporto al presidio del collettivo di Bologna Eat the Rich. L’8 agosto si tiene l’assemblea nazionale sostenuta da varie associazioni e ong tra cui Médecins du Monde, Amnesty International e Arci Camalli Imperia. Il sindaco Ioculano nel mentre si dimette dal Pd denunciando la mancata posizione politica del partito sulla vicenda e chiede per l’ennesima volta al ministro degli Interni Alfano lo sgombero definitivo del presidio e del campo.

Il mese successivo tuttavia anche il Consiglio regionale della Liguria si schiera per lo sgombero del presidio che inizia il 30 settembre del 2015 con l’intervento della polizia italiana. Ai Balzi Rossi cittadini europei e migranti continuano l’occupazione resistendo per 12 ore fino a quando si concretizza un accordo: i migranti verranno rilasciati senza essere identificati e i manifestanti europei verranno portati in questura. Il presidio commenta così la sua “fine”: «Hanno distrutto un luogo, una casa, un riparo per molti. Hanno distrutto un presidio ma non un percorso di lotta perché Ventimiglia non è solo un luogo. Ventimiglia è un’idea di resistenza che poggia su una rete di solidarietà consolidata in questi 3 mesi e mezzo e che nessuna ruspa e nessuno sgombero riuscirà a smantellare». Da quel momento in poi vi saranno diversi tentativi di riorganizzazione: tra questi si segnalano sia i campi informali presso la chiesa di San Nicola e quella delle Gianchette, sia l’accoglienza del Campo Roja aperto il 16 luglio del 2016 e a oggi uno dei simboli del fallimento della coordinazione politica tra municipalità, prefettura e ministero degli Interni con riferimento alle politiche di accoglienza a Ventimiglia. Rispetto a ciò si sottolinea il contributo della dottoressa Daniela Trucco ricercatrice presso l’Università di Nizza e le testimonianze della dottoressa Annalisa Trombetta. In particolare, la dottoressa Trucco ha sviluppato un’analisi dell’amministrazione della città di Ventimiglia nel periodo di tempo intercorrente dal 2014 al 2019, comprese le ronde civiche di cittadini in opposizione al transito e bivacco coatto dal respingimento dei migranti.

La conseguenza dei continui rapporti altalenanti di cooperazione e opposizione tra prefettura e amministrazione comunale si evidenzia soprattutto rispetto alla gestione del sistema di accoglienza cittadino a favore dei migranti.

In conseguenza del ripristino dei controlli alle frontiere interne della Francia, infatti, sono stati aperti tre centri di accoglienza: quello emergenziale nel giugno del 2015 su mandato della prefettura e d’intesa con il Comune e con la compagnia ferroviaria, gestito dal Comitato regionale della Croce Rossa e chiuso nel maggio del 2016 proprio su iniziativa dell’amministrazione comunale; quello aperto con il benestare del vescovo di Ventimiglia-Sanremo Antonio Suetta a fine maggio del 2016 e chiuso nell’agosto del 2017 – inizialmente tollerato sia dal Comune che dalla Prefettura – sulla base di un’ordinanza emessa dal sindaco Enrico Ioculano e infine il Campo Roja aperto dalla Prefettura nel 2016, in collaborazione con l’allora amministrazione comunale guidata dal sindaco Ioculano (nonostante sia stato firmatario di discutibili ordinanze relativamente all’accesso a cibo e acqua da parte dei migranti), collocato ai margini della città e gestito sempre dalla Croce Rossa italiana ma definitivamente chiuso il 31 luglio del 2020, su richiesta della Prefettura, dal sindaco Scullino appartenente alla coalizione di centro-destra, rieletto nel 2019 dopo aver governato la città dal 2007 al 2012.

La conseguenza di tale decisione ormai da due anni è nota ma volutamente non visibile come sempre accade in tali circostanze: i migranti oggi si trovano a vivere ai margini della città riuscendo ad accedere ai beni essenziali soltanto tramite la Caritas diocesana, stazionando in prossimità delle rive del fiume Roja ed esposti ai pericoli derivanti dai periodici straripamenti, nell’abbandono totale delle istituzioni in mezzo ai rifiuti in accampamenti definibili più che informali, improvvisati.

È la quiete agghiacciante e senza riflettori, nostalgica di quella tempesta di resistenza che per un breve periodo aveva posto attenzione alla sofferenza degli individui su questa rotta cercando di elevarla a strumento per l’affermazione di diritti che ancora oggi però evidentemente restano incompiuti.

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n. 18 – Tra monti e boschi alpini. La frontiera che uccide (I) https://ogzero.org/la-frontiera-che-uccide-tra-monti-e-boschi-alpini/ Wed, 16 Mar 2022 12:40:27 +0000 https://ogzero.org/?p=6761 Movimenti secondari dei flussi migratori si riscontrano, oltre che tra Francia e Inghilterra, anche in prossimità dei confini italo-francesi, più specificatamente in Alta Val di Susa e a Ventimiglia. Nella frontiera Nordovest dell’Italia con la Francia si registra un’importante corrente migratoria che ogni anno nell’ultimo triennio ha visto il transito di circa 100.000 persone e […]

L'articolo n. 18 – Tra monti e boschi alpini. La frontiera che uccide (I) proviene da OGzero.

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Movimenti secondari dei flussi migratori si riscontrano, oltre che tra Francia e Inghilterra, anche in prossimità dei confini italo-francesi, più specificatamente in Alta Val di Susa e a Ventimiglia. Nella frontiera Nordovest dell’Italia con la Francia si registra un’importante corrente migratoria che ogni anno nell’ultimo triennio ha visto il transito di circa 100.000 persone e che si intensifica proprio in questo periodo dell’anno quando le temperature cominciano a essere meno rigide. All’atmosfera turistica incantata di chi ama sciare si sostituisce a partire dal tardo pomeriggio e per tutta la notte, la contrapposta quotidiana sofferenza e la fatica di migliaia di migranti – soprattutto famiglie – che percorrono gli stessi luoghi a piedi, sfiancati da temperature che in inverno toccano circa i 15 gradi sotto lo zero; privi d’equipaggiamento da montagna con abiti logori e indossati da giorni se non da mesi. Fabiana Triburgo e Matthias Canapini uniscono le loro competenze e i loro materiali in questo articolo, corredato dalle testimonianze raccolte da Matthias nella sua esperienza lungo il confine italo-francese.


 The Milky Way, per pochi

È il tentativo disperato di chi prova a raggiungere la Francia attraverso le località sciistiche italiane per evitare di essere intercettato e rimandato indietro dalla polizia italiana e francese. I due stati infatti, anche in questo caso – come già visto nei precedenti articoli riguardanti le attuali rotte migratorie – nel 1997 hanno siglato un importante accordo di cooperazione bilaterale, l’accordo di Chambery, sul quale ci soffermeremo in seguito, al fine di agevolare le riammissioni dalla Francia all’Italia. I migranti che attraversano tale rotta sono prevalentemente afgani, iraniani, pachistani e in piccola percentuale migranti provenienti dall’Africa subsahariana e arrivano, nella quasi totalità dei casi, dalla rotta balcanica: questo vuol dire che prima di raggiungere l’Alta Val di Susa i migranti possono aver attraversato circa otto diverse nazioni quasi esclusivamente a piedi.


Luigi D’Alife, regista di The Milky Way, lavoro che documenta e racconta
il passaggio della rotta migrante dalla Valsusa; Luigi ha fornito preziose
informazioni per l’estensione di questo saggio.

Spesso gli stessi nuclei familiari dei profughi si sono generati durante il transito di tali paesi essendo il loro precedente viaggio durato – nella migliore dell’ipotesi – almeno quattro anni, come narrano le testimonianze e le immagini del freelance Matthias Canapini che pubblichiamo in questo articolo.

Il principale snodo della cosiddetta “rotta alpina” si individua nella città di Oulx in provincia di Torino – raggiunta dai migranti per lo più con il treno – dalla quale poi si sviluppa un ulteriore bivio di transito per raggiungere la città francese di Briançon dalla quale dista circa 30 km. I profughi, infatti, dalla città di Oulx si dirigono a piedi o verso Bardonecchia, per poi attraversare il traforo del Frejus con filobus o con il treno – soprattutto quanti possiedono documenti di riconoscimento – oppure si dirigono verso Claviere sempre in provincia di Torino, a oggi il tratto maggiormente praticato dai migranti su tale rotta – per poi attraversare il Colle del Monginevro. Se dunque la destinazione di entrambi i percorsi è la città di Briançon è altrettanto vero che anche questa non è altro che una prima tappa, pur se finalmente in territorio francese, per raggiungere principalmente Lione o Calais con l’obiettivo rispetto a quest’ultima (come già riscontrato) di raggiungere la Gran Bretagna.

La casa cantoniera occupata e sgomberata più volte dagli sbirri italiani

Chez JesOulx era la casa cantoniera occupata (e poi sgomberata) dopo che l’accoglienza del rifugio autogestito era stata scacciata dai locali della curia occupata nel comune di Oulx

Va specificato che solo una parte dei migranti che transitano per Oulx ha come fine ultimo quello di stabilirsi in Francia perché nella maggior parte dei casi la meta finale è la Germania nella quale vivono stabilmente molti dei familiari dei profughi da diversi anni.

Il Colle dell’Agnello

Non è tuttavia da ignorare un altro percorso quello del Colle dell’Agnello, poco battuto per la sua elevata impraticabilità, ma in prossimità del quale le intercettazioni da parte della polizia francese, data proprio l’ostilità del territorio, sono molto sporadiche. La rotta nasce ufficialmente nel 2017, due anni dopo quella, sempre al confine italo-francese, che interessa la città di Ventimiglia. In realtà già nel 2016 alcuni migranti erano stati intercettati in prossimità del monte Chaberton in Francia e scambiati per turisti. Se dunque la rotta si delinea nel 2017 e nel 2018 raggiunge il suo apice – quando si “apre” la rotta balcanica e anche attraverso Trieste si arriva in Italia – in essa è altrettanto importante delineare una rilevante mutazione del suo originario tratto di percorrenza che a oggi non segue più l’originario pericoloso percorso di montagna del Colle della Scala (in prossimità della città di Bardonecchia) – in quanto soggetto a slavine e interamente  in salita – ma, come già detto, quello del Colle del Monginevro.

Rifugi e marauders

Nella rotta vi sono a ogni modo due importanti centri di accoglienza per i migranti in transito: nella città di Oulx il rifugio Fraternità Massi – Talita’ Kum aperto dalle 16 alle 10 del mattino con a disposizione circa 40 posti, e a Briançon, il Refuge Solidaire, rispetto al quale più volte è stato richiesto dalla municipalità lo sgombero. Invece è chiusa la casa cantoniera abbandonata e autogestita da volontari sempre nella città di Oulx che ospitava dai 30 agli 80 profughi al giorno e che da settembre a dicembre del 2020 ha accolto 3500 persone. Interessante capire come sia nato il Refuge Solidaire essendo il presente articolo immediatamente successivo a quello relativo alla rotta della Manica. I primi interventi di accoglienza dei migranti a Briançon sono infatti stati attivati nel 2015 proprio per i migranti di Calais quando il governo francese chiese alle altre città del paese di farsi carico della accoglienza in seguito allo smantellamento della Jungle. A Briançon quindi fino al 2017 stazionavano pochi profughi provenienti da Calais ma nello stesso anno con lo strutturarsi della rotta alpina nasce il Refuge Solidaire grazie anche all’intervento di Médicins du Monde che ancora oggi opera in loco insieme ad altre associazioni tra cui Rainbow for Africa. L’attività che si affianca all’accoglienza del Refuge Solidaire e che non può essere ignorata è quella svolta dai marauders: circa 200 volontari provenienti da tutta Europa che quotidianamente si occupano di prestare soccorso ai migranti che si perdono nei sentieri in montagna o riportano ferite gravi agli arti in seguito a cadute dovute al territorio impervio e che chiaramente non consentono loro di proseguire il viaggio rimanendo intrappolati nella rotta. Spesso i marauders, agevolando il transito dei migranti e soccorrendoli, sono sottoposti a comportamenti vessatori subendo multe, accuse e convocazioni a comparire davanti alle autorità francesi.

la frontiera che uccide

Claviere, protesta per Blessing, la giovane donna scomparsa dal 7 maggio nelle acque del fiume (foto Matthias Canapini).

Occorre, inoltre segnalare il lavoro della rete del progetto Cafi “Coordination d’actions aux frontièrs intérieures”, del quale fa parte anche Amnesty International e Médecin Sans Frontieres che da diversi anni svolge attività di osservatorio quotidiano permanente sul rispetto dei diritti dei migranti alle frontiere interne all’Unione in questo caso specifico in prossimità degli snodi Oulx-Monginevro-Briançon.

Accordi Italia-Francia

Tale attività risulta particolarmente importante perché documenta i respingimenti ossia il “Refus d’entrée” che viene notificato ai profughi dalla polizia francese (Paf) alla frontiera, sotto la direzione del ministero degli Interni. Risulta necessario quindi procedere all’analisi giuridica relativa ai motivi che sottendono alla cooperazione delle forze di polizia dei due paesi alla frontiera, alla militarizzazione della frontiera francese e alla sospensione dell’applicazione di alcuni articoli del Codice frontiere Shenghen – ossia del regolamento 2016/399 da parte della Francia. Come già accennato l’Italia e la Francia il 3 ottobre del 1997 hanno concluso l’Accordo bilaterale di Chambery, al fine di intensificare la cooperazione degli uffici di polizia e di dogana nelle rispettive zone di frontiera, garantendo comunque la libertà di circolazione sancita dal Codice Shengen ma non certamente per i cittadini dei paesi terzi anche nelle ipotesi in cui siano dotati di documenti.

Tale principio invece – è bene ricordarlo – ha valenza tanto per i cittadini europei che per i cittadini di paesi terzi dell’Unione ma comunque presenti sul territorio europeo.

Conformemente a tale intento sia da parte italiana che da quella francese sono stati costituiti dei Centri comuni di Cooperazione di polizia di frontiera e di dogana che realizzano la propria attività di diretta collaborazione mediante appositi uffici dislocati in prossimità dei luoghi di frontiera tra i due paesi e all’interno dei quali può essere chiesto da ciascuno dei due stati contraenti, l’ausilio delle forze di polizia dell’altro paese sul proprio territorio. È importante fin da subito precisare che la creazione di tali Centri di Cooperazione è prevista nel testo dell’accordo in due luoghi specifici: nella città di Ventimiglia e nella città francese di Modane vicina allo snodo migratorio proveniente da Bardonecchia.

Migranti risalgono i boschi al confine tra Francia e Italia (foto Matthias Canapini)

Uno dei punti maggiormente preoccupante del presente accordo è quello “nascosto” in modo subdolo nella lettera a) dell’art. 8

ossia che nei Centri di Cooperazione gli agenti di polizia di entrambi i paesi si impegnano «al compimento degli atti precari e alla consegna delle persone in situazione irregolare nel rispetto degli accordi vigenti». È evidente infatti come in questo passaggio si possa scorgere il “fondamento giuridico” (?!) sulla base del quale i due stati realizzano le cosiddette riammissioni con respingimenti dei migranti dalla Francia all’Italia che come noto si determinano a catena fino al confinamento dei migranti in stati terzi dell’Unione. Come al solito dietro l’enunciato «situazione irregolare» si è consapevoli che si nasconda la posizione dei richiedenti asilo che sono irregolari per definizione dovendo essere messi nella condizione – in base alle Convenzioni Internazionali come quella di Ginevra – di poter fare ingresso nel paese di destinazione per formalizzare la domanda di protezione internazionale mediante la quale quindi possono eventualmente ottenere un permesso che sancirebbe la propria regolarità di soggiorno, in questo caso uno stato membro dell’Unione. Come evidente, tale accordo riproduce quello che già è stato analizzato per l’accordo di cooperazione franco-britannico di Le Touquet in relazione alla rotta della Manica: anche in questo caso infatti si sancisce che la vigenza dell’accordo debba considerarsi a tempo indeterminato.

Controllo e sicurezza (!?)

L’art. 10 dell’Accordo di Chambery inoltre specifica che per la Repubblica Italiana sono considerate zone di frontiera le province di Aosta, Cuneo, Imperia e Torino mentre per la Repubblica francese le Alpi Marittime, dell’Alta Provenza, le Alpi Alte, quella della Savoia e dell’Alta Savoia. Ciò che è altrettanto destabilizzante è il binomio continuo nel testo tra le frasi “controllo delle frontiere” da parte delle due forze di Polizia e il termine “sicurezza”, come al solito. Non solo, nell’art. 8 lettera c) dell’Accordo di Chambery si fa puntualmente riferimento al «coordinamento delle misure congiunte di sorveglianza nelle rispettive zone di frontiera»: un enunciato che inevitabilmente si pone in contrasto con il Codice delle frontiere Shengen.

la frontiera che uccide

Claviere, posto di controllo della polizia italiana (foto Matthias Canapini).

Le frontiere interne infatti sono disciplinate al Titolo III – Capitolo I del Codice Shengen che secondo l’art. 22 «possono essere attraversate in qualsiasi punto senza che sia effettuata una verifica di frontiera sulle persone indipendentemente dalla loro nazionalità». Infatti, l’esercizio dei poteri di polizia da parte delle autorità competenti degli stati membri non viene considerato equivalente all’esercizio dei controlli di frontiera, solo ad alcune condizioni in particolare per esempio se «sono concepiti ed eseguiti in modo chiaramente distinto dai controlli sistematici sulle persone alle frontiere esterne» secondo l’art. 23 (iii). Nello specifico la reintroduzione temporanea del controllo di frontiera alle frontiere interne è disciplinata dagli artt. 25-35 contenuti nel Titolo III, Capitolo II del Codice Shengen. La Francia dal 2015 si è appellata alle «gravi minacce alla sicurezza interna» – citate nell’art. 25 – che hanno consentito il ripristino temporaneo dei controlli alle frontiere interne, dopo l’attentato terroristico al Bataclan nel 2015, e in seguito nel 2017 per lo choc di quello sulla Promenade des Anglais di Nizza e da ultimo per la diffusione del virus da Covid-19. Tuttavia, il Codice Shengen sancisce chiaramente all’art. 25, paragrafi 1, 2, 3, 4 che i controlli relativi alla libertà di movimento delle persone all’interno del territorio dell’Unione, debbano essere considerati un’extrema ratio ossia aventi caratteri di eccezionalità e pertanto devono essere attuati per un periodo iniziale di trenta giorni o della durata della minaccia, rinnovabile – «tenuto conto di eventuali novità» – per periodi di ulteriori 30 giorni ma per un periodo complessivo non superiore ai 6 mesi. Solo in circostanze di eccezionale gravità caratterizzate da una procedura specifica di cui all’art. 29 del Codice Shengen il ripristino dei controlli alle frontiere può arrivare a due anni. Tuttavia, come detto, la Francia ha ripristinato il controllo alle frontiere interne in particolare per quel che ci riguarda al confine italo-francese, da oltre 6 anni! È bene ricordare inoltre che l’adozione da parte di uno stato membro del ripristino del controllo alle frontiere interne debba essere notificato ai sensi dell’art. 27 del Codice Shengen agli altri stati membri e alla Commissione UE.

Tuttavia, come noto anche per altre questioni in ambito migratorio non solo le cattive prassi adottate superano le disposizioni legislative europee (e i trattati internazionali) senza che vi sia alcun richiamo di un organo istituzionale ufficiale dell’Unione al rispetto delle medesime, ma costituiscono addirittura “fonte di ispirazione” per nuove proposte di legislazione europea da parte della Commissione che hanno come obiettivo quello di rendere legittimo ciò che oggi è ancora illegittimo in modo da potere aggirare gli ostacoli dei ricorsi giurisdizionali dinanzi alle corti competenti.

Tutto ciò purtroppo è già realtà, considerato non solo il più volte citato nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo, ma anche lo stesso Codice Shengen, dato che a dicembre del 2021 la Commissione Europea ha presentato una proposta di riforma del medesimo, adeguandosi alle pratiche illegittime (e se possibile, anche peggiorandole) adottate dagli stati membri per contrastare i flussi migratori attraverso i controlli ai confini.

la frontiera che uccide

«La frontiera uccide» (foto Matthias Canapini).

L’appello per la modifica delle politiche migratorie

Dell’analisi di tale proposta di riforma ci si soffermerà nel successivo articolo sulla rotta migratoria al confine italo-francese con la città di Ventimiglia; tuttavia va precisato che il fine di tali analisi giuridiche è soprattutto quello di non dimenticare le tragiche morti riportate anche su questa rotta come quella di Ullah Rezwan Sheyzad un ragazzo afghano di 15 anni trovato morto nei pressi dei binari della ferrovia di Oulx nel giugno del 2021 e di Fathallah Balafhail  un marocchino di 31 anni trovato senza vita non lontano da Modane, entrambi mentre tentavano di raggiungere Briançon.  La speranza è che la cieca politica della Commissione e degli stati membri non sia più complice di tali accadimenti: è necessario pertanto ribadire l’appello di diverse associazioni tra le quali AsgiMédicins du MondeDiaconia Valdese e Melting Pot Europa rivolto alle autorità italiane e francesi per la modifica delle politiche relative alla gestione delle frontiere interne e alle autorità locali dei due paesi affinché rispondano alle esigenze e ai bisogni dei migranti che transitano lungo i loro confini.

L'articolo n. 18 – Tra monti e boschi alpini. La frontiera che uccide (I) proviene da OGzero.

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