Claudio Canal Archivi - OGzero https://ogzero.org/autore/claudio-canal/ geopolitica etc Mon, 18 Sep 2023 20:48:14 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.6 G7 – G8 – G20 – G77+1… G8miliardi https://ogzero.org/g7-g8-g20-g771-g8miliardi/ Mon, 18 Sep 2023 20:48:14 +0000 https://ogzero.org/?p=11622 Le famose bande di ragazzini. C’è quello grande e grosso che si tira dietro i suoi e botte da orbi a chi li contrasta. In questa strada non ci dovete mettere piede! Una banda vicina invece l’attraversa, anche se di corsa. Il capo è meno corpulento, ma sa il fatto suo. Altri gruppetti sono incerti, […]

L'articolo G7 – G8 – G20 – G77+1… G8miliardi proviene da OGzero.

]]>
Le famose bande di ragazzini. C’è quello grande e grosso che si tira dietro i suoi e botte da orbi a chi li contrasta. In questa strada non ci dovete mettere piede! Una banda vicina invece l’attraversa, anche se di corsa. Il capo è meno corpulento, ma sa il fatto suo. Altri gruppetti sono incerti, con chi stare? Un po’ con l’uno un po’ con l’altro. All’aria aperta la situazione è abbastanza caotica. Diversa da prima dove c’era la banda più forte e non ce n’era per nessuno. In più adesso succede che un giorno il sole è rovente e nessuno ha voglia di venir fuori dall’ombra. Un altro diluvia che appena ti affacci in strada quasi anneghi. Un disastro. Non si capisce più niente. Bisogna solo aspettare che i ragazzini, ragazzine incluse, crescano. Ma cresceranno?


Quando sarai grande…

Sì, diventeranno grandi. Anzi G(randi)20. Una specie di super banda che cerca di spartirsi le zone di influenza. Assenti XI Jinping e Putin. Presente! però Giorgia M. e questo ci rincuora.
Il padrone di casa, Modi si è indaffarato moltissimo, senza fare i pignoli su come per l’occasione ha ripulito le periferie di Nuova Delhi. Vuole che l’India sia chiamata Bharat, e su questo niente da dire. Sta già scritto nella Costituzione. Per noi di una certa età va anche meglio perché nel nostro immaginario gli indiani continuano a essere i nativi americani (stavo per scrivere i peller…).
Poi ha ufficialmente siglato la Global Biofuel Alliance a cui aderiscono Brasile, Stati Uniti, Bangladesh, Argentina, Sudafrica, Mauritius, Emirati Arabi e Italia, oltre a Bharat. Mi propongo a Giorgia come servitore della patria ai prossimi incontri nelle Mauritius. Ci tengo ai biocarburanti.

Non è passata inosservata la dichiarazione fatta da Stati Uniti e IBSA – India, Brasile, Sudafrica – sul potenziamento degli aiuti finanziari al Sud Globale.
La geografia sta slittando verso il meridione del mondo. Da un punto di vista delle aspirazioni geopolitiche, delle prese di parola, non può non piacere. Dirà l’avvenire se sarà un guadagno per la Terra e l’Umanità.

 

Nel quartiere c’è sempre qualcuno dei ben piantati che invece di farsi vivo in piazza con lo sguardo strafottente se ne sta non si sa dove. Perfino quelli della sua banda sono sconcertati. Cosa starà macchinando?


… saprai perché…

Xi Jinping perché non è venuto? Se ne fotte? Il suo ruolo se lo gioca nei Brics? Cioè Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e prossimi Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Emirati arabi uniti e Arabia saudita. Augurandosi che non si trasformino in Bricsaeeieauas.  L’erede di Mao lascia intenzionalmente il G20 all’India? Sembrerebbe di sì.

Modi ha così organizzato gli accordi, fossero anche solo pacche sulle spalle, senza la Cina. Tutta questa sua agitazione sta in piedi? Amico di tutti e di nessuno? Putin ha fatto bene a starsene dov’è, deve salvare l’eterna anima russa con i carrarmati e questo disturba le calorose strette di mano.

Sta finalmente cambiando la faccia geopolitica del Mondo, detta anche multipolarismo, oppure sono solo geometrie variabili destinate ad essere ormai perennemente variabili? In altre parole, la novità è il movimento continuo e non la configurazione che assume?

… è un gioco strano: devi imparare…

L’IMEC è una prima risposta. Un baccanale di acronimi da imparare a memoria. India-Middle East-Europe Economic Corridor. Lo promuovono il principe saudita Mohammed bin Salman Al Saud, il presidente degli Emirati Arabi Uniti Mohammed bin Zayed Al Nahyan, il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, la presidente dell’Unione Europea Ursula von der Leyen, la primo ministro italiana Giorgia Meloni, il capo della Banca Mondiale Ajay Banga e, ovviamente, Joe Biden e Narendra Modi. Treni, porti, fibre ottiche, pipeline, autostrade, ponti, hub.

Applausi a scena aperta.

Uno per tutti, quello di U.v.der Leyen: «È un ponte verde e digitale tra i continenti e le civiltà».

All’esterno del G20 un encomio altissimo.

Viene da Netanyahu: «Israele è al centro di un inedito progetto internazionale che unirà infrastrutture dall’Asia all’Europa, realizzerà una antica visione e cambierà il Medio Oriente, Israele, e influenzerà il mondo intero».

Coro stellare per un mondo a più facce? Risposta robusta, dieci anni dopo, alla Via della Seta cinese? Entusiasmo a buon mercato? Trionfalismo fuori posto?

… è un gioco strano: devi imparare…

Calma, dice la Cina: «Il tempo mostrerà la differenza tra un’iniziativa che abbraccia tutti con cuore aperto [la Belt and Road Initiative cinese] e una di idee ristrette che divide le nazioni. Noi speriamo che l’IMEC non diventi così».

Risposta secca e stizzita.

I giochi sono aperti e soprattutto il quadrante del mondo si è messo in moto. Una cosa è sicura, il Medio Oriente torna ad essere uno snodo delle politiche mondiali.

Se qualcuno poi, sprovveduto di finezze geopolitiche, osserva un po’ più da vicino i Grandi 20, presenti e assenti, il modo con cui governano i loro paesi e come fanno e disfanno le loro società, qualche brivido giù per la schiena gli corre. Allora il sempliciotto inesperto sceglie di chinarsi sulla minuteria storica e scopre, per esempio, che un treno merci con 36 vagoni container è partito dal sud della Russia, ha attraversato l’Iran, già nemico numero uno dell’Arabia Saudita, e poi dallo Stretto di Hormuz è stato travasato via mare a Gedda, in… Arabia Saudita. A fine agosto.

Oppure viene informato che a Ryad, capitale dell’Arabia Saudita, lo scorso 11 settembre grazie all’Unesco  era in visita ufficiale una delegazione del governo israeliano, anteprima di una possibile normalizzazione tra i due stati mediorientali. Il candido osservatore inoltre si stupirà vieppiù nel vedere che Erdoğan, il sultano turco, si sia subito scagliato contro il corridoio in questione proponendone uno di gamma superiore. Provvisoriamente definito – che strano! – corridoio turco.

… è tutto scritto, catalogato: ogni segreto, ogni peccato…

Non stanno mai fermi i Grandi, anche i Meno Grandi. Saltabeccano da un summit, da un vertice all’altro un po’ qua un po’ là. Finito uno, di corsa all’altro [Brics, 21/24 agosto, G20, 9/10 settembre, G77+Cina a Cuba, dal 15 settembre]. Gli farà bene tutto questo sbattimento? E se prendono aria? E se fanno indigestione? E se perdono l’orientamento? E il jet lag? Cos’è, fregola di contrasto alla depressione?
C’è un moto ondulatorio o sussultorio nella geopolitica? Preludio ad eventi tettonici più duri e consistenti?

Se scendo dai vertici e lo chiedo a una immigrata filippina a Ryad, a un palestinese di Nablus, a una giornalista kurdo-turca in carcere, mi guardano con un certo disincanto. Eppure.

… quando sarai grande, saprai perché

Qualcuno si perde, altri mettono su famiglia, qualcuno ricorda con nostalgia e parla male dei nuovi ragazzini di strada, certi fanno carriera.

Tutto il GMondo è paese.

L'articolo G7 – G8 – G20 – G77+1… G8miliardi proviene da OGzero.

]]>
La guerra birmana esplode al Casinò e uccide a Sagaing https://ogzero.org/la-guerra-birmana-esplode-al-casino-e-uccide-a-sagaing/ Wed, 03 May 2023 21:01:19 +0000 https://ogzero.org/?p=10898 Con il Myanmar OGzero ha un legame particolare fin dallo Studium collegato a Burma Blue, il libro dedicato da Max Morello al paese. Claudio Canal ha scritto un articolo interessante pubblicato su “Volere la Luna“, da dove lo recuperiamo corredato di un’integrazione: un podcast registrato da Radio Blackout con Emanuele Giordana, appena tornato dal confine […]

L'articolo La guerra birmana esplode al Casinò e uccide a Sagaing proviene da OGzero.

]]>
Con il Myanmar OGzero ha un legame particolare fin dallo Studium collegato a Burma Blue, il libro dedicato da Max Morello al paese. Claudio Canal ha scritto un articolo interessante pubblicato su “Volere la Luna“, da dove lo recuperiamo corredato di un’integrazione: un podcast registrato da Radio Blackout con Emanuele Giordana, appena tornato dal confine birmano-thailandese. Le due testimonianze si compenetrano perfettamente nella descrizione informata degli eventi e nella analisi socio-culturale delle comunità coinvolte e degli interessi stranieri sul territorio, le esigenze del riciclaggio e dei traffici, che si combinano con la militarizzazione della società a cominciare dal controllo economico da parte degli eserciti.
Il ministro degli esteri cinese Qin Gang è giunto il 3 maggio in Myanmar, avvicinandosi alla riunione dei ministri della Shanghai cooperation organization, chiedendo anche lì di «mantenere confini chiari e stabili», le stesse parole usate da Xi entrando in medias res belliche; in questo caso mettendo in guardia da una “ricaduta” dell’escalation di violenza nel paese del Sudest asiatico e «reprimere la criminalità transfrontaliera» (Scmp, 3 maggio 2023). Il fatto che abbia
 sottolineato l’importanza di mantenere la stabilità nella regione e di promuovere una “cooperazione amichevole” tra i paesi confinanti risulta comprensibile dalla lettura e dall’ascolto di questi due contributi che vi proponiamo.


I can(n)oni di guerra sembrano lontani se tuonano in Myanmar

C’è una guerra in Europa, ci fa paura e ci divide in opposte tifoserie. Ci sono altre guerre nel mondo, non incutono timore perché ci sono ignote o perché ci abbiamo fatto il callo. Siccome l’arte della guerra gode di uno straordinario successo tra gli esseri umani, pensiamo di riconoscerla ovunque. C’è un paese in Asia, tra i più ricchi di risorse e dotato di una crudele bellezza, la Birmania-Myanmar, in cui è in corso una guerra che interpreta fedelmente i canoni dei manuali novecenteschi: eserciti schierati, bombardamenti aerei, artiglieria, guerriglia.

«Ma è così da più di settant’anni!» afferma chi conosce un po’ la storia di questo paese. Infatti, dal momento dell’indipendenza dal colonialismo britannico nel 1947, quando ci si prepara a inventare la nazione, una parte consistente degli abitanti delle Aree di Frontiera, escogitate e così marchiate dagli inglesi, si oppone senza tentennamenti. Le Aree sono refrattarie al progetto politico che la cultura maggioritaria – i Bamar/Bramar/Birmani, principalmente buddhisti  intende realizzare costituendosi come centro egemone di una nazione mai esistita prima, birmanizzando e, in qualche modo, buddhizzando tutto il resto.

Tradizionali guerre per i soliti traffici “etnici” vs. l’“esercito” del potere

Prendono così avvio le interminabili guerre e subguerre che hanno straziato fino a oggi la Birmania e reso l’esercito birmano, il Tatmadaw, un apparato estremamente distruttivo e la più importante potenza economica del paese, senza che sia mai riuscito a vincere una delle guerre che le forze armate locali gli hanno mosso e che mai si sia confrontato con un nemico esterno. Una forma molto originale di esercizio del potere: la guerra come istituzione costituente, la guerra per la guerra, la “guerra civile permanente”, diremmo noi in Europa. Alcune delle formazioni politiche e militari che combattono il potere centrale lo fanno per salvaguardare la loro diversità culturale, linguistica, religiosa; altre per non perdere gli incassi dalla produzione e coltivazione di metanfetamine, oppio, giada, legno pregiato; altre ancora per entrambe le ragioni. Forse perché non riescono più a immaginarsi a fare altro. Un paese dunque predisposto come poligono di tiro diffuso e residence per dittature militari da cui, nei recenti e limitati anni di democrazia approssimativa, sperava di disintossicarsi.

Le efferatezze di Tatmadaw, coacervo di sangue, narcos e crypto-crony capitalism

Un esercito che si identifica con lo stato, sacralizzato da una storia mitica di eroi guerrieri, «impregnato di crony capitalism cronico», una delle tante “apparizioni” del capitalismo, quello della solida rete di compari e amici degli amici attestati nei gangli economici e finanziari. È un impianto sociale di corruzione generalizzata, costruito sul rapporto servo-padrone, sulla impunità garantita, incapace e non particolarmente interessato a costruire l’unificazione dall’alto del paese mediando tra le molteplicità. Nonostante la sua smisurata forza, gli appoggi e gli armamenti ricevuti da Russia e Cina, a tutt’oggi controlla, a esser larghi, la metà del paese. Un esercito così conformato non impiega solo la mascolina brutalità, ma amministra leve materiali e simboliche che gli consentono di non intimorirsi troppo e perfino di esercitare ancora una egemonia culturale debilitata ma non moribonda.

Tradizionali appoggi monastici in periodi di magre elemosine

La manforte la riceve dal sangha, la numerosissima e autorevole comunità monacale buddhista, di scuola Theravada come altri buddhismi del Sudest asiatico, che si compiace del ruolo di avanguardia politica svolto dai monaci durante la lotta anticoloniale contro gli inglesi nella prima metà del Novecento e della loro a tutt’oggi capillare presenza tra la popolazioneMezza comunità è dedita allo studio e alla meditazione, in attesa di tempi migliori; un quarto è dichiaratamente antiregime; il resto è un segmento militante molto eccitato che ha assunto da diversi anni una posizione ultranazionalista, xenofoba, razzista e di conseguenza entusiasta sostenitrice e istigatrice della giunta militare. Nessuna novità, verrebbe da dire, tutto già visto in Birmania. E non solo lì.

Uno dei territori in cui lo scontro è più rabbioso è la zona centrale del paese, in particolare la regione Sagaing, grande quanto l’Italia Settentrionale. Cioè il cuore culturale e storico della Birmania. Abitato da una popolazione in stragrande maggioranza buddhista, partecipe di un ordine simbolico che fino a non molto tempo fa guidava la birmanizzazione forzata del paese. È la prima volta dal dopoguerra e questa innovazione trasforma in modo radicale la geometria politica nazionale che diventa centro contro centro e non solo centro contro periferia. Una parte dell’insurrezione è condotta dal People’s Defence Force (Pdf), braccio armato del National Unity Government (Nug), il governo in esilio o governo ombra che cerca il riconoscimento internazionale e, soprattutto, l’alleanza con le forze politiche e gli eserciti delle Aree di frontieraNon è detto che ci riesca in tempi brevi, ma il progetto è partito.

La strage dal cielo sulle coste dell’Irrawaddy nel centro del Mandalay

Intanto la guerra in sé e per sé va avanti, bombardamenti a tappeto, villaggi in fiamme, droni funesti, imboscate letali [l’esercito birmano perde in media 100 uomini alla settimana], attacchi alle infrastrutture [giovedì 6 aprile l’aeroporto internazionale di Yangon è stato chiuso nella notte perché colpito da artiglieria], incendio e distruzione delle stazioni di polizia, fuga delle popolazioni coinvolte e fioritura di campi profughi… L’Expo dell’arsenale non chiude mai. Il caos e l’emergenza come regola della vita sociale, in un paese tra i più colpiti al mondo dai cambiamenti climatici. La sofferenza dei viventi non incontra ostacoli. Intanto l’Irrawaddy continua bonario a scorrere lungo i suoi 2500 chilometri, i delfini meditano forse sulla loro estinzione e pure gli operosi esseri umani che condividono la vita del fiume.

E il doppio “gioco” cinese in periferia

Quanto durerà la guerra? Movimenti di riforma interni all’esercito? Torneranno nelle caserme i soldati? Un golpe? Un’implosione generale? Impossibili per ora risposte creative a queste domande. Nuove leadership si manifestano nelle Aree di frontiera. Aspirano, come minimo, a uno Stato molto, molto federale. Nel frattempo, il gigante di confine, la Cina, gioca come al solito su due tavoli. Sostiene e foraggia la giunta militare, e nello stesso tempo sussidia generosamente di armamenti e merci il Kokang e lo “Stato” Wa, regioni della Birmania in lotta armata contro la giunta militare.

Cronaca

Aung San Suu Kyi è in isolamento in carcere nella capitale surreale Naypyidaw a scontare i 33 anni a cui è stata condannata. Gli sgherri sono specialisti in vendetta. La resistenza è anche radicata nei mille gruppi e reti che continuano a far funzionare le scuole, a procurare medicine e a fare quanto è possibile in un welfare dal basso ricco di sorrisi e di delicatezze. Il regime ha appena tagliato 200 alberi di Poinciana reale o albero di fuoco nella 38ª strada di Mandalay, nei pressi dell’incantevole mercato della giada. I suoi fiori rosso fiamma rimandavano al colore della Lnd [Lega Nazionale per la Democrazia], il partito di Aung San Suu Kyi, a cui la via era stata intitolata. Terrorismo vegetale

.

Non essere indeciso,
il detonatore della rivoluzione
sei solo tu, o io.
(K Za Win [1982-2021] poeta,
ucciso dalla polizia durante una manifestazione da lui organizzata contro la giunta, 3 marzo 2021)


 

La malavita cinese naviga sulle coste del Moei tra Thailandia e Myanmar

Emanuele Giordana a sua volta descrive i legami tra tutti i protagonisti in tragedia, senza indulgenza per una fazione o l’altra: la fotografia che si ricava è quella del malaffare generalizzato che non lascia spazio a interpretazioni desumibili da una qualunque etica: gli affari contrapposti animano le rive del Moei e si vedono sorgere città poi abbandonate, dove tutto è consentito, anzi è il malaffare la legge di una terra senza alcuna regola se non quella della truffa e dell’inganno, ora sempre più finanziario, che ha surclassato persino in parte la destinazione d’uso dei paradisi sessuali e del gioco d’azzardo. Manovre ad altissimo livello internazionale sovrintendono all’occupazione del territorio e alla cooptazione degli addetti nella zona del Karen State.

«Con le false credenziali della Belt and Road Initiative – messe in discussione dal precedente governo del Myanmar guidato da Aung San Suu Kyi e pubblicamente sconfessate dall’ambasciata cinese in Myanmar nel 2020 – la città si trova appena a nord di Mae Sot, in Thailandia. Secondo il materiale promozionale, la città avrà “parchi industriali scientifici e tecnologici, aree per il tempo libero e il turismo, aree per la cultura etnica, aree commerciali e logistiche e aree per l’agricoltura ecologica”. Ci sarà anche una struttura per “l’addestramento alle armi da fuoco”. Shwe Kokko è stato anche definito “la Silicon Valley del Myanmar” e una stazione chiave lungo la “Via della Seta marittima”» (NikkeiAsia), parte di un ponte terrestre tra l’Oceano Indiano che permette di aggirare i pericoli e i dazi della navigazione tra gli stretti del Mar Cinese Meridionale, avvalendosi di una ferrovia che unirà lo Yunnan al mar delle Andamane.  

 

“Shwe Kokko e i suoi modelli”.

L'articolo La guerra birmana esplode al Casinò e uccide a Sagaing proviene da OGzero.

]]>
La vita in codice https://ogzero.org/la-vita-in-codice/ Sun, 02 Apr 2023 21:32:17 +0000 https://ogzero.org/?p=10575 ChatGPT  (Generative Pretrained Transformer di OpenAI) viene sospeso dal garante il 31 marzo 2023; in precedenza Elon Musk, ma soprattutto ingegneri ed esperti di Intelligenza Artificiale, avevano chiesto una moratoria della ricerca e dell’interazione con sistemi informatici che si programmano per autoapprendimento. Si profilano scenari da Blade Runner in mezzo ai soliti lanci di allarmi […]

L'articolo La vita in codice proviene da OGzero.

]]>
ChatGPT  (Generative Pretrained Transformer di OpenAI) viene sospeso dal garante il 31 marzo 2023; in precedenza Elon Musk, ma soprattutto ingegneri ed esperti di Intelligenza Artificiale, avevano chiesto una moratoria della ricerca e dell’interazione con sistemi informatici che si programmano per autoapprendimento. Si profilano scenari da Blade Runner in mezzo ai soliti lanci di allarmi – spesso interessati (come nel caso di prodotti open source) –, e forse di quel film di Ridley Scott vengono a riproporsi piuttosto le figure inquiete di demiurghi alla Eldon Tyrell, contro cui le sue Creature “replicanti” si ribellano; certo che le proposte creative delle performance dell’Intelligenza Artificiale non offrono particolari guizzi geniali (dove forse si trovano a essere messi in gioco “concatenamenti” frutto di elaborazioni del pensiero personale), ma si riducono a compitini, a vacue accozzaglie di banalità… che possono essere confusi con brani o creazioni artistiche solo per la superficialità della maggioranza delle pubblicazioni culturali che ottengono successo solo grazie all’abbassamento del livello dell’elaborazione dei prodotti di ingegno della società – almeno quella italiana, narcotizzata da tutti gli organi di informazione e lo smantellamento di tutte le sedi preposte a istruire e diffondere erudizione. E il garantismo insito nella democrazia sconterà sempre un gap rispetto alle ricette superficiali ma repentine della tecnologia, non riuscendo a imbrigliare la sua pericolosità.
L’esatto opposto delle basi di questo intervento tanto creativo quanto colto e informato di Claudio Canal in bilico sul crinale tra Dna e tecnologia, tra le informazioni genetiche e quelle culturali; tra umanesimo, transumanesimo, postumanesimo, inumanesimo… mettendo in relazione i neuroni a disposizione del cervello umano dotato di sinapsi ben più avanzate degli algoritmi, in grado di replicare solo canovacci stantii e banali.

fin qui OGzero, ora le argomentazioni provenienti dalle sinapsi di Claudio Canal


De Sossiri – C’è un’aria tagliente oggi o solo io la sento?

Casnov – Non sbaglia, caro collega, infatti sono qui per fare il solito ritaglio, ma non vedo la cara Ribonu. Senza di lei come ci arrivo?

Ribonu – Scusate, ero sovrappensiero. Direi: Crìspalo, crìspalo adesso!

Si sente come un colpo di forbici grandi: Zac!

Shakespeare, Measure for Measure, Atto II, scena 1° [rivista]


L’agente CRISPR sfida la lotta per la vita sul pianeta.
Geopolitica della geogenomica

Qual è il ballo preferito dal Dna? Il tango, la mazurka o una balsamica zumba? Neanche per idea, Dna ama le marcette veloci nei rigorosi due/quattro tempi. L’hanno dimostrato molti laboratori che si sono applicati  alla sua sonificazione. Non metterei la mano sul fuoco sulla sostanza scientifica di certe applicazioni. C’è chi, al MIT di Boston, trascrive le vibrazioni sonore delle Variazioni Goldberg di J.S.Bach  in architetture di nuove proteine e, per quanto posso capire io, non mi sembra una baggianata. Scriveva Leonardo: Non sai tu che la nostra anima è composta di armonia? [Trattato della pittura, I/23: “Risposta del re Mattia ad un poeta che gareggiava con un pittore”].

Mattonelle del Castello di Buda di Mattia Corvino

Si può dunque ascoltare il Dna? Gli manca solo la parola, anche se possiede un alfabeto piccolo piccolo di quattro lettere con cui codifica ogni vivente e non solo (virus). Un cuoco con pochi ingredienti che cucina la vita.

Dna, in arte Acido Disossiribonucleico, ha dovuto aspettare non poco per essere scoperto e raccontarci con eleganza di che pasta siamo fatti. Da quando la sfortunata Rosalind Franklin ha mostrato la foto 51, i serpentelli in amore, la doppia elica danzante è entrata nel nostro immaginario tanto che è diventato luogo comune un po’ abusato dichiarare di avere questo o quello nel proprio Dna anche o soprattutto quando non è vero niente.

Era il maggio freddoloso del 1952, al King’s College di Londra la foto n. 51 veniva di fatto scippata dalle mani di Rosalind e iniziava la sua avventura sul palcoscenico della scienza. Sei anni dopo la scienziata sarebbe morta, trentaduenne. Ignota ai più.

Rosalind Franklon “osserva” la foto n. 51

 

Radici biotecnologiche

Lo sposalizio tra bio e tecnologie non risuona rassicurante, come succede invece al mistico bio prefisso a diversità, agricoltura, cibo, etica, architettura
Anche il Dna è dondolo, suscita a getto continuo speranze e paure, sogni e incubi. Nel 2002 l’editore Laterza pubblicava Il sogno del genoma umano e altre illusioni della scienza [originale del 2000] di Richard Lewontin, noto biologo e genetista statunitense, deceduto nel 2021. Nella quarta di copertina si poteva leggere:

«Una volta che avremo a disposizione la mappa completa dei nostri geni, saremo in grado di predire lo sviluppo del nostro corpo, delle malattie, della nostra personalità? Comprenderemo meglio le relazioni sociali? Saremo capaci di creare la vita stessa? Da Darwin alla pecora Dolly, inclusi il determinismo biologico, le eredità della selezione naturale, la psicologia evolutiva, le indagini sociologiche sulle abitudini sessuali, la clonazione e il progetto Genoma umano: le critiche di Lewontin sferzano una falsa scienza e si abbattono sull’eccessivo orgoglio di quanti pretendono di dominare, oggi o in un futuro molto vicino, tutti i segreti della vita».

Domande e risposte buttate lì per promuovere un libro, ma non campate in aria. Dopo vent’anni ci è abbastanza chiaro.

Le Biotecnologie si prenderebbero la testa fra le mani se dovessero fornire una definizione di se stesse. Fare formaggio o yogurt è una biotecnologia. Anche il trapianto di fegato o di cuore lo è. Hanno a che fare con ciò che chiamiamo vita e, in certi casi, Vita, in rigoroso maiuscolo. Un campo di ricerca e applicazione in espansione accelerata che si scinde in subsegmenti di subsegmenti. Come la vita, d’altra parte, in cui bíos – la vita individuale e sociale – e zoé  – la vita biologica – si intersecano, si azzuffano e alla fine sembrano scambiarsi i ruoli.

«Io avrei affrontato in me stessa un grado di vita così primario da essere prossimo all’anonimato» (Clarice Lispector, La passione secondo G.H., La Rosa, Torino, 1982, pag. 17).

Per scrutare il Dna era stata concepita negli anni Ottanta del Novecento la Genomica, essendo la Genetica troppo generalista. Al suo fianco la bioinformatica per la eccezionale quantità di dati da trattare. Ne segue una esaltazione classificatoria che si diffonde nei laboratori e la genomica viene sottoposta a una “divisione cellulare” da cui si generano tecnoscienze che sbandierano la desinenza omics: proteomica, metabolomica, epigenomica, trascrittomica, lipidomicaignoroma.

da “Nature Reviews Gastroenterology & Hepatology”

Sembra una c.omica [nessuna parentela etimologica…] l’ingorgo di sentieri di ricerca da febbre dell’oro, dove l’oro è il processo che da qualche miliardo di anni guida il regno della vita e i suoi rituali cellulari. La discesa nel Dna e nei suoi infiniti brusii e moti primari si combina con l’esuberante potenza degli algoritmi. Questo accoppiamento postnovecentesco sollecita aspettative e promesse che nessuno sa se saranno mantenute, tradite o deviate. Mettere le mani sul codice della vita e manipolarlo con o senza secondi fini è l’ampio orizzonte entro cui si muove la genomica e la sua rigogliosa prole – da Joshua Lederberg, ‘Ome Sweet ‘Omics– A Genealogical Treasury of Words  (“The Scientist”, aprile 2001), a Separation Techniques Applied to Omics Sciences. From Principles to Relevant Applications, a cura di Ana Valéria Colnaghi Simionato (Springer, 2021); Wikipedia alla voce List of Omics Topics in Biology ne elenca, per ora, 45. La sesta edizione di 1520 pagine di un trattato universitario Biologia Molecolare della Cellula (traduzione Zanichelli di un’opera collettiva statunitense nota come “l’Alberts”), prevede per ognuno dei 24 capitoli un esteso paragrafo finale Quello che non sappiamo, che, a seconda dell’ottica con cui lo leggiamo, può essere di conforto o di disperazione.
Potremmo chiamarlo un hackeraggio del Dna.

Dispositivo CRISPR

Questo affanno epistemologico ha subìto un ulteriore stress quando una sigla tra le tante che fluttuano nel mare delle scienze ha cominciato a farsi notare:
Crispr. Si scioglie così: Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats che alla lettera si può tradurre Brevi ripetizioni palindrome raggruppate e separate in modo regolare, ancora meno comprensibile dell’originale. Provo: sequenze ripetute di Dna impiegate dai batteri come un vero e proprio sistema immunitario di protezione da acidi nucleici provenienti da altri batteri o da virus.
Venticinque anni di ricerca di base per capire che la sequenza Crispr è uno “schedario” dei Dna dei virus e batteri che in passato avevano sferrato attacchi ai batteri sotto osservazione. Lo “schedario” permette di riconoscere eventuali nuove incursioni e neutralizzarle con una proteina Cas9 [Crispr associated] adibita al taglio del Dna del virus o batterio invasore. Una specie di video gioco in cui, zak!,  non bisogna sbagliare il taglio del cordino infinitesimo che è minaccia.
La mia blasfema sintesi per dire che Crispr-Cas9 è un dispositivo che appartiene agli esseri viventi, perfetti sudditi della natura, come scriveva Giacomo di Recanati.

Nel 2012 due ricercatrici, Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier, precedute da una marea di studiosi e dall’attenta analisi della fermentazione del formaggio (e dello yogurt), si rendono conto che il congegno di taglia e incolla praticato dai batteri può essere con una certa facilità riprodotto da esseri umani dotati di intelligenza e di competenza adatte, senza dover spolpare i bilanci di super Stati, come succede ad esempio per l’energia atomica.
In sostanza, Crispr-Cas9 è un insieme di tecniche che permettono di localizzare una sequenza nel Dna di una cellula, rimuoverla, modificarla o sostituirla con una qualsiasi altra sequenza.

 

Si prende il meccanismo in prestito dai batteri e lo si trasforma in una tecnologia di intervento sulla vita. Cioè un prodotto ovvero una merce. Alla genomica vengono improvvisamente i capelli bianchi. Un invecchiamento folgorante. Era infatti concentrata sulla lettura del genoma, mentre si tratta a questo punto non solo di trascrivere-editing il Dna dei viventi [umani e non umani], ma di ricomporlo. Compito della biologia sintetica. Non più una interpretazione del reale, una teoria dell’esistente, ma – citando Bernanr Stiegler da un libro del 2008 (Ėconomie de l’hypermatériel et psychopouvoir-Entretiens avec Philippe Petit et Vincent Bontems) una teoria del possibile, una tecnoscienza che fa avvenire ciò che diviene. E Edward Bryan fornisce pure la prova dei mercati finanziari che scommettono sulla biologia sintetica in un dossier pubblicato nel febbraio 2022 per AllianceBernstein, La rivoluzione della biologia sintetica-Investire nella scienza della sostenibilità

Parte la maratona: migliaia di laboratori si mettono febbricitanti al lavoro, Nobel per la chimica 2020 alle due scienziate. Si può modificare il Dna dei viventi, con discreta facilità, precisione mai vista prima, relativa poca spesa. Sogni, chimere, castelli in aria. Si può guidare l’evoluzione umana, anzi, dei viventi tutti, proclama orgogliosamente la tecnoscienza asserendo, forse a sua insaputa, la materialità della vita e la sua universalità. Non noi e loro, ma solo noi viventi, di qualsiasi specie.

Questa interferenza suscita immediatamente due campi contrapposti:

  1. l’umanità ha una configurazione fissa che deve essere conservata. Guai a chi…! Sugli altri viventi – animali e piante – possiamo intenderci.
  2. l’essenza umana, se c’è, è flessibile e modificabile. In evoluzione, appunto.

Opposte categorie: umanesimo, transumanesimo, postumanesimo, inumanesimo

C’è, mimetizzato da qualche parte, un fronte neo hitleriano? Comunque la si voglia mettere, con CRISPR la biopolitica ha la sua celebrazione solenne. Un potere sulla vita, diretto, allo stato puro, drastico. Vita come campo di battaglia.

Il tumultuoso ginepraio di tecniche Crispr si traduce in migliaia di brevetti con le relative applicazioni industrial-commerciali, che manifestano una tendenza a crisperizzare presente e futuro. In simultanea si alzano grida di allarme: non tutto è innocente e benefico, si documentano danni irreparabili al genoma o esiti cancerosi. Crispr arma di distruzione di massa o elisir di vita nova? Il Nuovo Mondo è veramente brave new world?

Geopolitica

Il 26 novembre 2018 un sorridente biofisico annuncia  che sono nate due bambine a cui in fase embrionale ha modificato il Dna con tecnica CRISPR per renderle immuni all’HIV [AIDS]. Scalpore mondiale. Designer babies. Dopo un po’ il suo governo lo arresta e condanna a tre anni di carcere (non è chiaro in seguito a quale violazione di legge). Il biofisico si chiama He Jankui. Il governo è quello cinese. Lulù e Nana, le due bambine, sembra che non ne abbiano tratto vantaggio, anzi. E se un giorno He Jankui ricevesse il Nobel?
La biopolitica in forma di tecnoscienza inciampa così nella geopolitica. Il momento non è magico. Il Maestro del Mondo tentenna molto nella sua signoria. La splendida solitudine praticata dal 1989 viene poco alla volta rosicchiata dall’esterno e anche dall’interno. Siamo in un’epoca di ridefinizione dei rapporti di potenza e l’ex Contadino Arrabbiato dell’Estremo Oriente contende al Signore del Mondo la sua prerogativa. I due, Cina e Stati Uniti, sono molto interdipendenti economicamente (Global Times), non possono brutalmente disaccoppiarsi, decoupling come dicono gli addetti ai lavori. Il loro divorzio va per le lunghe, la loro separazione non consensuale procede un po’ alla volta e si realizza per ora sul piano della tecnologia, facilitando, di rimbalzo, il coupling, l’accoppiamento Cina/Russia. Sullo sfondo una guerra fredda che si intiepidisce e potrebbe anche diventare calda, se si presta attenzione alla nube che appanna Taiwan.

Il sistema mondo ha bisogno di un rimaneggiamento

Scriveva Giovanni Arrighi: «Uno stato dominante esercita una funzione egemonica se guida il sistema degli stati in una direzione desiderata e, nel far questo, è percepito come se perseguisse un interesse generale» (Il lungo XX secolo – Denaro, potere e le origini del nostro tempo, il Saggiatore, 2014, pag. 51)

Ecco, quest’ultima condizione per gli Stati Uniti non è più riconosciuta da buona parte del pianeta, esclusi governi italiani e consanguinei. Neppure la Cina sprigiona affabilità, nonostante i suoi rilevanti tentativi, la Belt Road Initiative – la nuova Via della Seta –, la fattiva presenza in Africa e in buona parte dell’Asia [ed Europa…], il suo prendere le distanze dal cosiddetto Occidente.  Dalla sua ha una straripante popolazione, in tendenziale decrescita, una coesione sociale imposta dall’alto che funziona epperò scricchiola, una crescita economica travolgente e tuttavia oggi in affanno, una capacità quasi unica di mobilitare menti e intelligenze e non solo corpi.
Anche la Cina deve prendere atto che conta molto la geo, la terra e non solo la politica. Geopolitica. La spaventosa siccità dei mesi estivi del 2022 e la conseguente drastica riduzione del motore dello sviluppo, la banale acqua, hanno messo in graticola popolazione e apparati, piani quinquennali e sviluppo. È indispensabile scongiurare una guerra con la Cina, ma altrettanto lo è esorcizzare una frenata della macchina produttiva cinese, a cui siamo ancora meno preparati.

Il lago Poyang nel tratto di Jinxian il 21 agosto 2022

I due contendenti intitolano il conflitto sulle nuove tecnologie alla propria “sicurezza nazionale” che inevitabilmente genera una spirale di insicurezza reciproca. I due governi sanno che il controllo delle nuove tecnologie emergenti determinerà il successo nel XXI secolo. Il vincitore di questa corsa sarà quello in posizione per guidare l’economia globale e godere dell’influenza e del potere che ne derivano.
Il primato degli Stati Uniti nelle scienze della vita e nelle biotecnologie è indiscutibile. Tuttavia è bene ricordare che fu sì l’URSS la prima a conquistare i cieli con lo Sputnik 1, ma a mettere per primo il piede sulla luna fu Neil Armstrong dell’Ohio. Come allora si tratta non di emulazione, ma di rivalità che negli ultimi tempi ha fatto a pezzi la feconda e significativa cooperazione che intercorreva tra i due. Il panico per le conquiste cinesi nell’intelligenza artificiale si è esteso anche alle biotecnologie (Il “balzo in avanti” nella ricerca scientifica compiuto dalla Cina non ha uguali: Qingnan Xie, Richard B. Freeman, Bigger Than You Thought: China’s Contribution to Scientific Publications and Its Impact on the Global Economy, “China & World Economy”, 2019, 27), con diverse drastiche iniziative di chiusura. Ma il settore biotecnologico è diverso da altri (per esempio quello dei semiconduttori), in particolare l’editing genomico è per sua natura transnazionale e a evoluzione rapidissima (Eric.S.Lander, The Heroes of Crispr, in Cell, 164, 1-2, 2016 la mappa n. 2). C’è rischio che la politica degli Stati Uniti si dia la zappa sui piedi.

Contro Usa contro Cina contro

Due decenni fa gli analisti pensavano che la Cina non avrebbe potuto diventare un gigante economico per l’eccessiva popolazione e per un reddito annuo pro capite pari a quello delle Filippine. Poi, nel decennio successivo, sarebbe invalsa l’abitudine di proclamare che sì, la Cina è economicamente gigantesca, ma tutto si basa sull’abilità di copiare i prodotti delle economie avanzate, non sull’innovazione, la quale ha bisogno di una società libera, di pensatori liberi e indipendenti, non sotto la cappa autoritaria di un regime centralizzatore… I sinologi più avvertiti davano un nome a questa abilità di riprodurre, Shanzhai, un neologismo riferito alla tecnologia che significa contraffatto, imitato. Per noi occidentali un termine spregiativo. Vuoi mettere la romantica creatività dell’individuo in cui si accende per miracolo la lampadina della ispirazione nella sua feconda testa e da cui a cascata poi piovono soluzioni scientifiche, prodotti, sinfonie, poemi. I cinesi in genere, soprattutto se giovani, interpretano Shanzhai come la capacità di incrementare, di migliorare, di far evolvere un quid già esistente. Per dirla in musica, variazioni su un tema.

Epistemologia caotica

Quatto quatto arriva il futuro nel nostro presente e si scopre, soprattutto gli Stati Uniti scoprono, che la Cina è diventata concorrente di livello, anzi competitor, che in effetti dà più l’idea, in questi settori chiave delle nuove tecnologie:

– intelligenza artificiale,
– telefonia di 5° generazione [5G]
– semiconduttori,
– QIS Quantum Information Science [meccanica quantistica applicata all’informazione computazionale]
– biotecnologie,
– energia green.

E non le nanotecnologie, la robotica, le scienze dei materiali, le neuroscienze, il metaverso ecc.? Va bene qualsiasi altro elenco che frulli digitale in mousse con qualcos’altro. È la famosa chaos-epistemology, da non intendersi come epistemologia del caos, il quale abbonda nella realtà, quanto proprio una epistemologia caotica, che non si preoccupa di conoscere, ma di agitare i sogni e i sonni. Lo fa gridando al lupo, al lupo e buttando sul piatto miliardi di dollari per rincorrere, sorpassare, lasciare indietro la Cina.

Se poi il presidente della medesima candidamente dichiara: Noi abbiamo afferrato ben bene lo scopo strategico di costruire un potere scientifico e tecnologico di livello mondiale… e sforzarci per essere i primi nei settori base e in quelli di frontiera non c’è scampo alla costernazione occidentale.

Il paradigma è cambiato. Se la Cina prima era il colosso dai soliti piedi di argilla, adesso è la minaccia da sconfiggere. Con ogni mezzo.

L’analogico senziente

Dentro gli stravolgimenti paradigmatici si sente un rumorino: è l’analogico che avanza, che torna da protagonista sulla scena. È doloroso che sia la guerra a ricordarcelo in mezzo alla nostra infatuazione per il digitale, il virtuale e le tecnologie che se ne nutrono. Bombardamenti, torture, stupri, devastazione, morte, dice la guerra. La vita dice: troppo caldo, troppo freddo, troppa acqua, troppo poca. Bellezza e virus. Nuovi sogni, nuove emozioni, nuova infanzia, nuova lunga vecchiaia. Pieno di gente che rovista nei cassonetti del mondo e quattro gatti [jeff bezos, mark zuckerberg, elon musk, bill gates] che potrebbero comprarsi sull’unghia metà del pianeta. Se gli addizioni il grappolo di oligarchi sparsi qua e là, si comprano tutto il pianeta, satelliti inclusi. Questo per dire che sarà pure una contesa tecnologica quella tra Cina e Stati Uniti, con rispettive confraternite, ma stiamo tutti col fiato sospeso in attesa che la stessa Cina decida o non decida di cosa fare di quella Cina che si chiama Taiwan, per fare un esempio molto analogico e scarsamente virtuale.

Le magnifiche sorti e progressive del digitale non imbottiscono tutto il futuro (David Sax, The Future is Analog, Public Affairs, New York, 2022).

Semaforo verde per Prometeo? Se si può fare una cosa, dobbiamo farla, dice il mito dell’imperativo tecnologico invece di soppesare quello che rischia di fare e sarebbe meglio non facesse. Non siamo forse stati creati come imago Dei? Dice una tradizione cristiana un po’ tirata per i capelli. Quindi con lui co-creatori. Giocando a dio siamo legittimati a cambiare l’evoluzione, a dirigerla come ci pare? Sì, naturalmente, evoluzione significa processo in trasformazione, non un codice fisso per l’eternità.

La paura del Demiurgo al cospetto della Creatura

«Ma noi abbiamo bisogno di pensare a fondo alle vaste implicazioni di una tecnologia potente e di come svilupparla in modo responsabile», dice Jennifer Doudna una delle due scienziate Nobel per il Crispr.

È in scena il rimorso degli inventori. Lo abbiamo già visto con l’energia nucleare o, più alla buona, la scienziata in quanto statunitense ha ben presente il caso dell’afroamericana Henrietta Lacks e il macroscopico business costruito sulle sue cellule immortali. Di cosa si preoccupa Doudna, che ha il DNA addirittura nel suo cognome? Del lato oscuro di Crispr? Sandy Sufian, Rosemarie Garland-Thomson sono due ricercatrici disabili che pongono domande vincolanti nel loro saggio del febbraio 2021 (The Dark Side of CRISPR). E infatti Doudna ribadisce:

«L’editing delle cellule germinali può inavvertitamente trascrivere nel nostro codice genetico le disuguaglianze finanziarie delle nostre società» (A Crack in Creation. Gene Editing and the Unthinkable Power to Control EvolutionCrack in Creation, p. 233)

Chissà perché cancellerei l’inavvertitamente?

Ma forse Doudna si preoccupa della ormai praticabile eugenetica di velluto? Vieni qua che ti togliamo il gene cattivo e, soprattutto, lo togliamo anche ai tuoi discendenti: più nessuno con i capelli rossi. La biodiversità va bene per piante e fiori, ma per gli umani è solo una disgrazia. Estremizzo, ma neppure tanto, una posizione presente in alcune correnti del postumano, del transumanesimo e, molto probabilmente, in alcuni laboratori genetici. Tutti convinti che sia finalmente arrivato il tempo dell’enhancemenet, del potenziamento, dell’aumento della condizione umana, del superamento dei limiti, del salto biologico di qualità. Un futuro aumentato. Sgombrato il negativo dalla vita, cioè la morte, ingombro fastidioso. Immortalità garantita, fra un po’.

Pensieri intriganti e intricati

«C’è una analogia strutturale tra genitori che modificano geneticamente i figli e genitori che li educano tradizionalmente… Non tutte le modificazioni genetiche sono moralmente legittime come non tutti i tipi di educazione sono moralmente appropriati».

Stefan Lorenz Sorgner è un filosofo assertivo e affilato, di cui sto appiattendo un pensiero composito, che non distoglie lo sguardo da una realtà completamente inedita: «guardo la forbice genetica di Crispr o l’editing genetico in generale, come la più importante invenzione scientifica di questo inizio del XXI secolo». Aggiungo, di mio: fino a non molto tempo fa si riteneva che più di due terzi del Dna fosse spazzatura, una materia oscura inerte, poi si è scoperto che invece no, pur non dando origine a proteine, ha un compito regolatore molto importante. Adesso si chiama DNA non codificante-Noncoding DNA. La scienza, come al solito, procede a sbalzi. Sempre più difficile essere lungimiranti.

Ruipeng Lei e Renzong Qiu sono una ricercatrice della School of Philosophy, Huazhong University of Science and Technology, e un ricercatore dell’Institute of Philosophy, Chinese Academy of Social Sciences, in Cina. Ragionando sulle radicali differenze tra l’editing genetico di cellule germinali, che hanno materiale genetico che può essere trasmesso ai discendenti, e quello praticato su cellule somatiche – per esempio quelle del fegato, che invece non hanno questa proprietà – toccano il tema della moralità di Crispr. Concludono con un esempio elementare, ma calzante circa la nostra attuale responsabilità verso il futuro degli umani:

«uno stato A lancia un missile sullo stato B e uccide persone innocenti violando il loro diritto alla vita. Lo stato A lancia oggi un missile che orbita per due secoli e solo dopo va a uccidere persone innocenti. Moralmente è del tutto irrilevante che il missile colpisca subito dopo il lancio o fra due secoli»

Si guardano ormai in cagnesco Cina e Stati Uniti, gli uni mettono tutti i possibili bastoni fra le ruote e lei canta l’inno all’autoproduzione, autosufficienza, autarchia, sovranità scientifico tecnica. Con i corollari che ne possono seguire in chiave di politica nazional/nazionalistica. Sono primedonne della ribalta globale, ma tra le quinte altri protagonisti si affacciano, per esempio l’India che nel campo delle biotecnologie e in specifico nell’Editing genomico sta accumulando una esperienza sostanziosa e mostrando un impegno più che ragguardevole, soprattutto nell’ambito delle coltivazioni, della produttività animale e delle malattie endemiche del Sud Asia [17]. E il Giappone, e il Qatar  e …

Editing the world

Battaglioni corazzati di ricercatori in tutto il mondo stanno espandendo a marce forzate le diverse configurazioni della tecnica Crispr. I geni dei virus, dei batteri, del bioma umano, animale e vegetale non si sono mai sentiti così tanto osservati e maneggiati. C’è un’atmosfera di esaltazione e di ansia utopica nei laboratori, che alimenta inediti sconquassi bioculturali e abissi di abominio. Sono in gioco i parametri fondamentali della vita, tanto che vedere il sommovimento in atto solo come una questione geopolitica tra grandi potenze si rivela una scena incartapecorita. E, come per qualsiasi tecnoscienza, si infiamma una famelica spinta industriale e commerciale che con l’acquolina in bocca intravede miraggi finanziari. Se questo inatteso brodo primordiale sia una chimera è troppo presto per dirlo. Non è invece presto, tornando alla geopolitica spicciola, sottolineare qualche tendenza significativa in ambito militare e agricolo, trascurando la sterminata applicazione in campo medico, difficilmente sintetizzabile.

Premessa simpatica e antipatica: chiunque con una formazione di scuola media superiore è oggi in grado di modificare il genoma di un essere vivente, animale o pianta, senza dover ricorrere a finanziatori formidabili bensì utilizzando i kit adatti a crisperizzarlo, ampiamente disponibili in rete – il caso della società The Odin del biohacker Josiah Zayner è il più noto (la rete è piena di ciarlatani, di genialoidi, di geni [plurale di genio] che operano con Crispr nella versione fai da te). La pericolosità di una proliferazione incontrollata della tecnica Crispr, il cui costo dei reagenti sul mercato Usa si aggira sui 20 dollari, è accuratamente analizzato nel cap. 6° di Genome Editing and Biological Weapons. Assessing the Risk of Misuse, di Katherine Paris (Springer, 2023).

Dual-use

Il criterio che cercava di definire il duplice uso / dual use di un prodotto ovvero la sua destinazione civile con accertate possibilità di impiego militare, caso paradigmatico l’energia nucleare, va svaporando in ambito biotecnologico pur continuando  la Cina a essere accusata di abusarne.  Se, per esempio, con la tecnica Crispr sarà possibile curare qualche tipo di cancro, sarà ugualmente possibile provocarlo, se sarà possibile incrementare una coltivazione basilare, sarà anche possibile ostacolarla. Altro esempio lampante dell’interscambiabilità e fluidità dei risultati è la Neuralink Corporation di Elon Musk che conta, a breve termine, di impiantare un chip neurale nel cervello umano, con finalità – ci mancherebbe – terapeutiche, anche se, al momento, la società è indagata per aver procurato la morte non necessaria in fase di sperimentazione ad almeno 1500 animali. Un piano di ricerca quello dell’interfaccia cervello-computer molto frequentato in ambito militare e Nato in particolare.

La militarizzazione delle biotecnologie non solo in Cina, ma dovunque, può realizzarsi senza recedere dalla loro destinazione “civile”. La nebbia di guerra, di cui parlava Clausewitz, aumenta, non diminuisce nella lettura di Wallace.
La smisurata e lievitante disponibilità di dati sul genoma dei viventi, rende l’applicazione bellica desiderabile e, combinata con altre tecnologie, utilizzabile nel teatro di guerra, senza dover incappare nella deterrenza nucleare che ha regolato la Guerra Fredda: tu spari il primo colpo atomico, io rispondo ed è la fine per entrambi. Cassandra suggerisce che si potrebbero avviare genocidi con bersaglio una certa popolazione ben taggata geneticamente, avendo come mandanti non solo grandi potenze o consueti stati canaglia o regimi apocalittici, come qualcuno li chiama, ma anche compagnie di ventura private, i contractors, ben attivi sul mercato geopolitico, reti mafiose onnipresenti, gruppi terroristici di varia specializzazione.
Attori statali e molti attori non statali. Guardando indietro: l’impero coloniale inglese è stato creato da una compagnia commerciale ben organizzata e non dall’esercito di Sua Maestà. Questa panoramica che risuona di echi di guerra appare linda e stuzzicante perché riesce a strofinare via il suo prodotto finale più genuino, il sangue umano sparso a terra.

Lo scorso ottobre un gruppo di genetisti ha pubblicato su Nature l’articolo Contrastare la militarizzazione della ricerca genetica da parte degli estremisti in cui documenta come la diffusione dei risultati di laboratorio possa incrementare tendenze razziste già ben presenti nella società, in questo caso gli Stati Uniti. Uno degli autori si era accorto che nel documento di 180 pagine pubblicato sui social dal suprematista bianco e fascista orgoglioso, il diciottenne Payton Gendron, era citata con ammirazione una sua ricerca. A maggio il razzista ha ucciso in diretta streaming dieci persone, quasi tutte afroamericane, sparando con un fucile in un supermercato di Buffalo, NY.

Foschia di guerra

In contrasto con questa popolarizzazione delle tecniche di editing genomico, negli ambienti militari prolifera un’ossessione golemica: la creazione del soldato aumentato, non solo per le armi letali che maneggia, ma per la sua strabiliante qualità umana. Opera notte e giorno, non sa cos’è il dolore, quello degli altri meno che mai, sopravvive in ambienti infernali, ha la vista dell’aquila, l’aggressività del leone affamato, è nefasto come un fulmine, immune da fragilità fisiopsichiche come un cherubino, intelligente almeno come Einstein. Un campo di battaglia gremito di vispi David che abbattono uno dopo l’altro i corpulenti Golia che osano presentarsi. Il sogno dei generali, dalla Guerra di Troia. L’alta concentrazione di studi (e di laboratori) sul guerriero superman, Übermensch, può darsi dia qualche risultato bellico, ma soprattutto racconta di un’antropologia militare tentata dalla mitologia in versione contemporanea cioè transumanista, un frullato di Ercole, Maciste, Rambo e Batman. Il Ministero della difesa britannico con quello tedesco parlano infatti di augmentation e non di miglioramento, come consentirebbe il termine enhancement, riferendolo ovviamente all’uomo maschio perché quando si tratta di uomo femmina per accedere alle meraviglie dell’aumentazione deve prima praticare la suppression delle mestruazioni, tanto per cominciare.

Nella foschia il microchip ci vede benissimo

Il nostro sguardo è concentrato sulle Grandi e Medie Potenze, su ciò che arriva ai nostri occhi, e non mi pare che si vedano in giro altri Julian Assange a rovistare  nei sancta sanctorum delle Potenze medesime mettendo in gioco la propria esistenza. È uno sguardo appannato quello con cui scrutiamo gli alti comandi degli stati e forse dovremmo anche scandagliare i tanti hitlerini che gironzolano per il pianeta con intenti predatori. Grabbing non solo di terre, materie prime, acque, biodiversità… ma anche di Dna che la tecnica Crispr ha reso manipolabili e indirizzabili. Sarebbe bene frugare a passi felpati in anonime cucine, cantine, garages, capannoni di periferia, imprese familiari, per mettersi al riparo da future sorprese non gradite e, nello stesso tempo, trarre frutto da questa caotica democrazia genetica per acquisire innovazioni che promuovano equità e non nuove disuguaglianze, che scalfiscano la scienza cementificata nelle istituzioni e nelle imprese multinazionali, che ogni volta aprano e incentivino una discussione pubblica su ciò che è veramente umano. Nella vasta e dispersa comunità di biohackers sarà necessario trovare il punto di equilibrio tra le sperimentazioni dissennate e i disciplinamenti arbitrari. Crispr si lascerà governare?
Mentre noi ci disponiamo ad aguzzare lo sguardo, se ne posa uno su di noi, molto penetrante, nel nostro intimo che più intimo non si può. La sorveglianza genetica in Cina da parte degli apparati governativi ha già racimolato un gruzzoletto di 80 milioni di Dna, negli Stati Uniti si rastrellano quelli degli immigrati, dei detenuti, dei delinquenti e,  meglio essere previdenti, dei neonati. La cara Unione Europea si impegna a far la sua parte.
Che siamo noi stessi a fornirli gioiosamente alla rete o siano scavati ed estratti da altri, il finale non cambia: fantastilioni di dati personali sono minuziosamente accatastati in megacapannoni detti data base, sparsi per il mondo e posseduti da una dozzina di proprietari che ne fanno merce squillante per i loro salvadanai. Le biobanche, in particolare, cresceranno esponenzialmente perché tutti vogliamo che siano debellate quelle malattie che ci fanno paura e quei virus malefici che si sono risvegliati, ben vengano perciò sequenziamenti e screening genetici di massa e magazzini di materiale biologico. Il tecno ottimismo che ci guida (detto anche tecno misticismo) lo esige e se Crispr, o chi per esso, ci promette una panacea per la nostra salute siamo disposti a rinunce anche consistenti. Dentro questa contraddizione, internet + genomica, siamo sballottati e senza grandi idee sul come attraversarla, mentre la Guerra Fredda 2.0 si sta srotolando sul contenimento tecnologico soprattutto dei microprocessori, i chips, che in quanto manufatti prodotti da un’industria rientrano in un quadro visivo tradizionale, più familiare. Una fabbrica con operai e operaie che vanno e vengono, un prodotto impacchettabile, dei consumatori in carne e ossa. La principale azienda produttrice si chiama TSMC, ha sede a Taiwan, ha filiali in Cina e, fra poco, anche in Arizona. Triangolazione bollente che riconosciamo al primo colpo. Crispr e ingegnerie genomiche affini sono meno a vista d’occhio, dunque quasi per niente avvistabili e soprattutto contenibili dalla sorveglianza istituzionale, dalle legislazioni, dalle etiche oggi prevalenti né, presumo, da quelle future.

Dacci oggi

Bazooka, granate e mitragliatrici, rimpiazzate da funghi, muffe e animaletti. Non è un nuovo videogioco per bebè, è uno scenario di guerra. Di agroguerra, un termine che mi invento ipso facto e che applico a una variante della guerra dei mondi che il capitalismo periodicamente ci regala. La cattivissima Cina può impossessarsi del Dna di un seme ogm usato negli Stati Uniti e alterarlo in modo tale da distruggere i raccolti. Proprio così, scrive un rapporto di una commissione governativa di Washington, anche se fino a poco fa vantavano la loro trentennale collaborazione nel settore agrario. Succede nelle migliori famiglie che, aumentando i dissapori, ogni gesto sia percepito come ostilità dichiarata. Nelle collettività in subbuglio tutto diventa strategico. In Iran lo è per le donne togliersi il velo e per il regime impiccarle e con loro chi le appoggia. È un vicolo cieco, finché non si capovolge la strategia dominante. Per farlo è necessario ogni tanto distogliere lo sguardo dai contrasti tra Grandi e setacciare invece lembi e frammenti di una realtà in grande fermento

Agricultural Biotechnology: Latest Research and Trends è un libro di 741 pagine sulle novità delle biotecnologie in agricoltura curato da Dinesh Kumar Srivastava, Ajay Kumar Thakur, Pankaj Kumar; sfogliandolo si sente sgorgare a più voci un’ode alle prodezze dell’ingegneria genomica, le NBT (New Breeding Techniques- nuove tecniche di ibridazione), Crispr e consanguinei. Molti paesi subiscono la scarsità di precipitazioni? Non possiamo ancora modificare il Dna della pioggia, ma possiamo crisperizzare semi, piante e terreni per insegnargli, già dopodomani. a fare a meno dell’acqua.
Fa molto caldo, per equilibrare il loro tasso metabolico i parassiti diventano sempre più voraci? Crisperizziamo a man bassa piante e tutto il resto. In certi luoghi del pianeta si crisperizzano alla vecchia maniera: Dacci oggi il nostro pane quotidiano.
Ci sono, non dubito, elementi di verità in queste attese un po’ messianiche e nelle migliaia di ricerche, esperimenti e applicazioni che si avvantaggiano del caos normativo che differenzia e qualche volta contrappone il comportamento degli stati. Le spinte del mercato costringono i legislatori a riprendere la discussione sugli ogm, mentre il fronte dei crisperizzatori ribatte che non si tratta di transgenico, non viene infilato un gene di altra specie, ma viene semplicemente aggiustato il genoma, la vita sulla terra non viene seviziata. L’effervescenza  del settore è alta, promette bene, piccoli e grandi attori ci scommettono, vale dunque la pena osservare ciò che si agita alle falde.

Biopirateria

Nel 1876 Henry Wickham arriva in Amazzonia per conto dei Reali Giardini Botanici di Londra, raccoglie 70.000 semi di gomma, si fa spiegare ben bene dai nativi come conservarli perché facilmente deperibili e, com’è come non è, a fine Ottocento il Brasile perde il monopolio della gomma che passa all’impero coloniale britannico. Il drenaggio delle risorse genetiche, come ci ha mirabilmente spiegato Crosby, è un tratto essenziale del rapporto Nord/Sud del mondo ed è molto in auge anche oggi, con due varianti. Quella tradizionale, chiamiamola estrattiva, che si impossessa direttamente del materiale genetico vegetale e animale, spesso frutto di un sapere antico, per esempio in Kenya, in Brasile e in generale, quella contemporanea che chiamerei, privatistica, che può accumulare dati genetici a piene mani impugnando una biotecnologia molto sviluppata. La frenesia genomica ha fatto sì che un sistema di conservazione dei miliardi di dati riguardanti il sequenziamento del Dna sia diventato una miniera d’oro in far west normativo. Sono tre i grandi contenitori di dati genetici: GenBank negli Stati Uniti, l’europeo EMBL-EBI e il giapponese DDBJ, pubblici e accessibili. Ci sono poi migliaia di banche dati private, di cui non si sa quali e quanti dati genetici custodiscano, sappiamo però che usufruiscono ampiamente delle banche pubbliche per realizzare le loro sperimentazioni e i loro affari. Si è riusciti nel 2016 a immagazzinare un video musicale, 100 libri e un data base di semi su un filamento di Dna grande come una punta di matita. Si riesce nel gennaio 2023 a produrre sequenze di proteine avendone decodificate 280 milioni. L’abbiamo già incontrata, è la biologia sintetica (o biologia di sintesi o SynBio) che consente, decodificando e ricodificando, il trasferimento digitale senza scambio fisico di materia biologica. E siccome tutto è merce, come predica l’andazzo prevalente, tutto è mercificabile, anche la vita stessa, soprattutto se in forma di astratto codice che di per sé non dà segni di vita, non piange, non ride. Fa da bancomat.

Privatizzazione e commercializzazione

È una pacchia. Scarichi una sequenza e la ricrei in laboratorio. I ricercatori che credono di sapere il latino dicono che tutto avviene in silico, gli altri parlano di Digital Sequence Information- DSI. Acchiappi la zanzara giusta, l’anofele, responsabile della malaria che, in Africa specialmente, uccide centinaia di migliaia di persone, soprattutto bambini e bambine, fai una microriparazione al Dna (detta Gene drive o genetica direzionata) e il gene diventa estintivo,  in questo modo poi lo si può brevettare e commercializzare. Le care estinte sono le zanzare femmine che portano così al collasso l’intera popolazione di animaletti assassini. In laboratorio. All’aria aperta non è ben chiaro se tutto fili così liscio. I piedi di piombo o principio di precauzione sarebbero benvenuti. Nel caso delle cuginette, le vespe,  l’estinzione avviene solo parzialmente e quindi l’esperimento fino a questo momento non sembra funzionare come da previsione. Sarebbe comunque gradito un registro pubblico dei test di gene drive o forzatura genetica, per evitare che le sperimentazioni dal vivo siano generosamente praticate là dove il neocolonialismo continua ad insediarsi con caparbietà, per esempio l’Africa.

Accaparrare biodiversità (“l’inventore” della biodiversità Nicolaj Vavilov [1887-1943] finì la sua vita nel gulag staliniano e, come lui, Aleksandr Čajanov [1888-1939], il più significativo teorico dell’impresa contadina a conduzione familiare) è diventato un must per molte corporations agroindustriali – farmaceutiche e simili – e per agrogenetisti a disposizione del miglior offerente. Si riproduce qui il dual use già evocato.

Tecnologie che sfiorano l’onnipotenza possono essere impiegate per distruggere territori interi o per farne fiorire altri. A scelta. L’infatuazione genomica apre le porte all’eugenetica tuttigusti, per grandi e piccini, ricchi e poverini. Piante in stile e fashion o augmented and multitasking animals: le fantazoologie di Emily Anthes e di Sukanta Mondal sono alla portata di molti.

Mi attrae un libro dal titolo allettante (Women in Sustainable Agriculture and Food Biotechnology. Key Advances and Perspectives on Emerging Topics di Laura Privalle) e dalle inedite informazioni storiche, dalle lodevoli intenzioni pedagogiche (Biotechnology in the Classroom), dalla solidarietà all’Africa’s Fight for Freedom to Innovate e, in ultimo, dalla curatrice che è una ricercatrice dipendente della BayerCropScience, North Carolina, cioè ex Monsanto acquisita dalla Bayer ovvero il connubio luciferino bigpharma e agroindustria globale.

Il biocapitalismo ci sa fare: «Siate astuti come serpenti e puri come colombe» (Matteo 10,16), diceva lui, ma si rivolgeva ai poveracci della Galilea e non agli impresari locali né agli affaristi romani in trasferta.

Il capitolo primo dell’eugenetica è stato scritto nel secolo XX, ed è una lettura ripugnante. Il capitolo secondo lo si sta scrivendo e non è chiara la trama, che oscilla tra lifting della natura a fini produttivistici o estetici e biopirateria e bioprospecting che si sovrappongono starnazzando come la gallina dalle uova d’oro. Ha un nome geopolitico un po’ altisonante lo strillo: agroterrorismo, dal futuro garantito e da una storia non  trascurabile. Può applicarsi alla catena di distribuzione del cibo, alla salute degli animali e di conseguenza a quella umana, ai patogeni per le piante…Una vasta gamma di eugenetiche o, meglio, di disgenetiche per combattere in una qualsiasi forma di guerra, che da sempre è una tecnologia sociale che procede per accumulo. La baionetta si accompagna tranquillamente con i droni, il ratto delle Sabine [=lo stupro di massa] con i bombardamenti a tappeto, le compagnie di ventura [=mercenari parastatali tipo Gruppo Wagner] con gli eserciti professionali di stato e Stati Maggiori. Le avvisaglie di un insolito teatro bellico non mancano. Non ci si potrà più lamentare delle braccia rubate all’agricoltura.

Morale della favola / Favola della morale

C’era una volta una scuola a cui accompagnavo ogni tanto un’amica, si insegnava Taglio e Cucito. Tecniche di ieri, molto in vigore oggi, non per aggiustare tessuti, ma per correggere la vita. Si annunciano benefici, si fiutano sventure. Non è chiaro se siamo immersi in una biofiction, come la chiamano, o se effettivamente i viventi tutti stiano per rigenerarsi, chi oggi chi domani o dopodomani, volenti nolenti.

Il futuro non sta bene di salute. È incerto. C’è chi ne ha paura, chi lo cavalca in sogni diurni, chi lo scambia col passato. Lui capita qua e là in incognito, sempre più biopolitico a prospettare mutazioni dei corpi e dei sistemi neurologici/cervelli, umani animali vegetali.
Questa farfalla non è una farfalla.  No, effettivamente è una farfalla. Insomma, è una farfalla umanizzata. Contiene un gene di una persona, il bioartista Yiannis Melanitis esponente dell’arte transgenica. In più la farfalla e l’uomo condividono lo stesso nome, lei è Leda Melanitis.  Non solo, dunque, ontologie linguistiche, ma scambio genetico come è di norma nella riproduzione dei viventi. Una riaffermazione della interconnettività tra esseri? Un reiterato dominio dell’umano? Una disinvolta indagine sulla vita? Arte chiaroveggente?

Un Ovidio futuro avrà materiale per poetare sulle nuove metamorfosi. Sarebbe meglio che prima di allora si creassero nuove metafore sull’interazione tra i regni viventi (regni!), tra vita sociale-biologia-tecnologie. Le scienze sono potenti, ma non onnipotenti. Corruttibili e, qualche volta, colluse. Le tecnologie godono in modo sproporzionato della loro sacralità. Non confessano depravazioni ed empietà, che hanno patito e patiscono invece le religioni. La vita sociale, che sia quella umana o quella delle api, fa la parte del parente povero. Il clamore mediatico qualche volta si agita ben bene prima dell’uso, intorbidando, o stordisce, tacendo.  Un’informazione non burattina sarebbe già una conquista. I viventi umani potrebbero dedicarsi a elaborare una genEtica non dozzinale e vulnerabile. Se siamo ancora in tempo.

Questo romanzo è opera di fantasia, tranne per le parti che non lo sono (Michael Crichton, Next, 2006).


Alcuni testi di riferimento:

Per ricostruire precedenti e conseguenti della scoperta di CRISPR-Cas9 sono a disposizione ormai bibliografie sterminate: Anna Meldolesi, E l’uomo creò l’uomo. CRISPR e la rivoluzione dell’editing genomico, BollatiBoringhieri, Torino, 2021; l’ottimo blog da lei diretto Crispermania e l’edizione italiana non fluentissima di Kevin Davies, Riscrivere l’umanità. La rivoluzione CRISPR e la nuova era dell’editing genetico, Raffaele Cortina editore, Milano, 2021.
Di Jennifer A.  Doudna e Samuel H. Sternberg, A Crack in Creation. Gene Editing and the Unthinkable Power to Control Evolution, Houghton Mifflin Harcourt, NY, 2017. Importante anche perché Doudna un po’ “mette le mani avanti”  sui pericoli insiti nella tecnica a cui ha contribuito.
Dare un nome alle cose: su come si è giunti a Crispr v. il capitolo terzo di CRISPR People. The Science & Ethics of Editing Humans, di Henry T. Greely, MIT Press, Cambridge, Mass., 2021. Senza tener conto del fatto che c’è ancora un contenzioso apertissimo su chi abbia veramente inventato la biotecnologia Crispr se le due Nobel o Feng Zhang dell’MIT: H. Leidfort,  Major CRISPR Patent Decision won’t end tangled dispute, in Nature, 17.03.2022. I criteri usati dall’Accademia di Svezia non sono quelli dell’Ufficio Brevetti degli Stati Uniti.

Categorie schierate sui due fronti: Umanesimo, transumanesimo, postumanesimo, inumanesimo:
E. Kirksey, The Mutant Project: Inside the Global Race to Genetically Modify Humans, Bristol University Press, 2021;
Aa.Vv., Critica al transumanesimo, Nautilus, Torino, 2019.

Sul concetto di “Shanzhai”:
Jeroen de Kloet, Chow Yiu Fai, and Lena Scheen, a cura di, Boredom, Shanzhai, and Digitisation in the Time of Creative China, Amsterdam University Press, 2019

Stefan Lorenz Sorgner, We Have Always Been Cyborg. Digital Data, Gene Technologies, and an Ethics of Transhumanism, Bristol University Press, 2022, pgg: 8-9, 193. Nonostante insegni in Italia, presso la John Cabot University di Roma, non mi pare che il lavoro complessivo di questo pensatore tedesco abbia suscitato nel nostro paese reazioni significative. Posso sbagliarmi, neppure il tema in generale ha incuriosito, eccetto gli importanti lavori di Mauro Mandrioli, docente di genetica all’università di Modena e Reggio, From genome editing to human genetic enhancement: a new time for discussing eugenics?, in Scienza&Filosofia, n. 27, 2022, e idem L’uomo creatore di se stesso. La rivoluzione della genetica tra nuove possibilità e (in)evitabili rischi, in Scienza&Filosofia, n. 24, 2020.

Su che cosa stia cambiando tra gli eterni contendenti cino/indiani è ben chiarito da Abhay Kumar Singh,  India-China Rivalry: Asymmetric No Longer An Assessment of China’s Evolving Perceptions of India,  Manohar Parrikar Institute for Defence Studies and Analyses, New Delhi, 2021: Il futuro delle due potenze sarà una cooperazione competitiva o un conflitto per l’egemonia?

Per approfondire la relazione in ambito bellico dell’interfaccia uomo-macchina, oltre ai capitoli curati da Alessandro De Pascale e da Gabriele Battaglia per l’opera collettanea 2023: Orizzonti di guerra (OGzero, 2023), un testo datato ma ancora valido è quello di Jonathan D. Moreno, Mind Wars. Brain Science and the Military in the Twenty-First Century, Bellevue Literary Press NY, 2012. Sul proverbiale accrescimento della truppa da parte degli Alti Comandi: Norman Ohler, Tossici. L’arma segreta del Reich. La droga nella Germania nazista, trad. Chicca Galli, Rachele Salerno e Roberta Zuppet di Der totale Rausch. Drogen im dritten Reich, Rizzoli, 2015; ma anche Łukasz Kamieński Shooting up. Storia dell’uso militare delle droghe, Trad. Chiara Baffa, Utet, 2017; la correlata somministrazione di sostanze per inibire remore o per accentuare le prestazioni fisiche, come il recente uso del Captagon nel conflitto siriano: Héloïse Goodley, Pharmacological performance enhancement and the military. Exploring an ethical and legal framework for ‘supersoldiers’ (The Royal Institute of International Affairs Chatham House, novembre.  2020). Jean-François Caron tenta una metainterpretazione comparativa in A Theory of the Super Soldier. The morality of capacity-increasing technologies in the military, Bellevue Literary Press, NY, 2018.

A proposito di microchip: Chris Miller (Chip War. The Fight for the World’s most critical Technology, Scribner, 2022) ricorda giustamente Federico Faggin, il creatore del primo chip nel 1971, ma non dedica un accenno alle biotecnologie e a Crispr. Ruolo dell’Europa in questa “guerra” di semiconduttori. Mi ripeto: gratta gratta anche le tecnologie più di frontiera hanno bisogno di quella cosa molto terra terra chiamata terra. In caso di siccità la produzione di chips ne patisce molto avendo un ingente bisogno di acqua pura. No water no microchips.

Una panoramica ben documentata su privatizzazione e commercio di Dna si trova in Biotechnology, Patents and Morality. A Deliberative and Participatory Paradigm for Reform, di Maureen O’Sullivan (Routledge, 2020).  

Alcune dritte sul Teatro bellico: Panoramica generale,  Panoramica generale n. 2, Panoramica generale n. 3 e curiosa pretesa di dotarsi di “armi bioterroristiche”, Nepal, Le difficoltà di difesa dall’agroterrorismo, l’India, Sospetti sulla Cina e Russia?  Agroterrorismo in Brasile, Modelli di difesa dall’agroterrorismo,  Maria Lodovica Gullino, James P. Stack, Jacqueline Fletcher, John D. Mumford (a cura di): Practical Tools for Plant and Food Biosecurity. Results from a European Network of Excellence, Springer, 2017, in particolare il cap. 2 di Frédéric Suffert: Characterization of the Threat Resulting from Plant Pathogen Use as Anti-cropBioweapons: An EU Perspective on Agroterrorism.
Alberto Cique Moja, Pedro Luis Lorenzo González, Del empleo estratégico de las armas biológicas al agroterrorismo: preparación y respuesta, cap. V di un ampio studio sulla Amenaza biológica dell’ Instituto Español de Estudios Estratégicos: IEEE, 2023, con speciali riferimenti a Crispr.

 

L'articolo La vita in codice proviene da OGzero.

]]>
Bit & Coin: la geostrategia criptata https://ogzero.org/il-bitcoin-divide-la-geostrategia-criptata/ Fri, 18 Feb 2022 22:15:02 +0000 https://ogzero.org/?p=6301 Una cosa è certa: il Bitcoin divide. Da una parte ci sono quelli, come la Banca Centrale Russa, che vogliono bandire la criptovaluta per il rischio di forte instabilità finanziaria che ne scaturirebbe, rendendo fragile la sovranità del paese e vanificando le sue politiche monetarie. Dall’altra quelli, come El Salvador, che l’hanno addirittura adottata come moneta in […]

L'articolo Bit & Coin: la geostrategia criptata proviene da OGzero.

]]>
Una cosa è certa: il Bitcoin divide. Da una parte ci sono quelli, come la Banca Centrale Russa, che vogliono bandire la criptovaluta per il rischio di forte instabilità finanziaria che ne scaturirebbe, rendendo fragile la sovranità del paese e vanificando le sue politiche monetarie. Dall’altra quelli, come El Salvador, che l’hanno addirittura adottata come moneta in corso legale: il primo paese al mondo a consentire ai cittadini di fare acquisti in tutti i negozi e di pagare le tasse tramite Bitcoin. A discapito di una crescente preoccupazione della propria popolazione, nonché del FMI, che in un comunicato del 25 gennaio scorso ha espressamente chiesto al paese di rinunciare alla criptomoneta. Ben lungi dal voler essere esaustivi di un argomento oltremodo complesso, cerchiamo di fare luce sulle due decisioni.

Questo era l’incipit di un bell’articolo di Marco Grisenti apparso su “Atlante delle Guerre”, quando l’ultimo rapporto del Financial Stability Board avvertiva che le criptovalute «presto potrebbero mettere in pericolo la stabilità finanziaria globale»; e allora Joe Biden sta per firmare un decreto presidenziale sulle blockchain, per mobilitare le istituzioni (gli Usa sono il primo paese al mondo per attività di mining, si stima che circa 60 milioni di americani detengano delle criptovalute) e portare il braccio della legge nell’anarchica frontiera digitale, che nel 2021 è giunta a valere 2600 miliardi di dollari. La Cina ha completamente bandito pure il mining per concentrarsi sulla diffusione dello Yuan digitale. La Russia sta decidendo se bandire o regolamentare (Vladimir Putin propende per la seconda). L’India tassa i cripto-profitti al 30%, legittimando le valute digitali e scatenando un’ondata di entusiasmo

(fin qui OGzero… )

Claudio Canal ci fornisce un punto di vista che approfondisce in modo suggestivo e originale gli “indici” del Bitcoin. 


In principio era un mistero: chi è Satoshi Nakamoto il creatore di Bitcoin? È lui, il nippo-americano della California. No, è l’ingegnere svizzero. Che dici? Satoshi è un team di persone. È Elon Musk. È l’australiano Craig Steve Wright. Chi, l’impostore? Mio cuggino dice di conoscere Satoshi. Gli hanno anche dedicato un busto a Budapest.

il Bitcoin divide

Il busto dedicato al fantomatico Satoshi Nakamoto a Budapest.

Sono trascorsi quattordici anni e il famoso capitalismo della sorveglianza non è riuscito a scoprire chi stia dietro allo pseudonimo Satoshi Nakamoto che nel 2008 ha pubblicato un paper in cui spiega cosa intende per e come si può costruire una moneta virtuale crittografica peer-to-peer governata da algoritmi e senza intermediari, cioè Bitcoin.

Il fantasma in questione dalla quarta o quinta dimensione in cui dimora stabilmente può prendersi le sue soddisfazioni rimirando il pianeta Terra e il videogioco geopolitico in atto.

I paradisi dei minatori

Il Kazakhstan, un sandwich tra Cina e Russia, al momento è scomparso ai nostri videocchi, ma alcune evidenze si sono manifestate oltre alle proteste, i morti e la brutalità poliziesca: siamo nel secondo produttore al mondo di moneta digitale, dietro solo agli Stati Uniti. Dopo la proibizione di Bitcoin da parte del governo cinese, il Kazakhstan ne era diventato un santuario: 90.000 società di estrattori di criptovaluta, i famosi miners, erano emigrate nel paese caucasico. Il clima freddo che evita le spese dei refrigeratori per i computers sempre al massimo dei giri e il basso costo dell’energia – prodotta dal carbone! – ne avevano fatto il paradiso del Bitcoin, convenzionalmente indicato come BTC.

Non si surriscaldano solo i computers, ma anche le società e il governo ha bloccato per sei giorni le connessioni internet nel riuscito tentativo di fermare la protesta dando però una severa mazzata anche alla rete di minatori. Molte imprese restano incerte sul da farsi. Il deserto gelido o nuovi lidi?

BTC si rivela non così svincolato e affrancato dal potere dello stato come sostengono i suoi predicatori e lo scorso 2021 ha visto una bella miscela di segnali contrastanti, che è un po’ il distintivo di fondo di un’innovazione sociotecnica come questa:

  • gli Stati Uniti hanno approvato gli investimenti in BTC sui fondi ETS,
  • è stato realizzato un fondamentale aggiornamento tecnico detto Taproot che consente maggiore privacy, scalabilità, cioè aumento di scala secondo le necessità, e sicurezza,
  • la Nigeria ha posto severe restrizioni alle banche commerciali di trattare criptovalute, la Turchia ha proibito i pagamenti, anche l’Iran ha tentato a più riprese qualcosa di simile
  • salgono a 8 i paesi che, con tempistiche diverse, hanno vietato di trattare in BTC, tra cui la Cina ovviamente.
  • El Salvador, il pulgarcito-pollicino dell’America Latina, adotta BTC come moneta ufficiale e progetta una città dedita alla moneta virtuale alimentata dalla energia geotermica dei vulcani. Ho, addirittura, coltivato anteriore intimità con questo paese, il cui brillante presidente, Nayib Bukele, si autoqualifica sull’amatissimo Twitter come Amministratore Delegato [CEO] di El Salvador.

il Bitcoin divide

Bitcoin City (fonte: Architectura viva).

Roba per cuori forti

Nel radioso 2022 appena avviato si è di nuovo manifestata un’altra delle caratteristiche strutturali di BTC: ama il dondolo, su e giù su e giù,  ovvero spiccata volatilità. Da novembre ad oggi, fine gennaio 2022, ha perso più del 50%, trascinandosi dietro anche le altre numerose criptovalute. Chi ha investito ed è debole di cuore, oggi non riesce a frenare le sue palpitazioni. Ieri era Paperone, oggi non riesce a fare il pieno di benzina. Ogni stormir di fronde mette in moto inarrestabili montagne russe degli indici. A proposito. La Russia ha appena posto forti restrizioni alle transazioni in cripto e il paese non sta alla periferia della rete globale criptovalute, ma viene subito dopo i già nominati Stati Uniti e Kazakhstan. Infatti, per dirla in dialetto bitcoinico, ha un elevato hashrate, che indica l’unità di misura di potenza di elaborazione della rete BTC. Un hash rate di 10 Th/s, indica che il network è in grado di realizzare un trilione di calcoli al secondo. La Russia di Putin detiene l’11,2% della potenza globale. Non bruscoletti.

Il gioco, che già non era uno scherzo, si fa durissimo. Narendra Modi, primo ministro dell’India, in video conferenza al Forum Economico Mondiale di Davos ha invitato le nazioni a far qualcosa in comune e in fretta per affrontare il problema delle criptovalute. Non si era ancora ripreso dal fatto che un mese fa il suo canale Twitter ufficiale era stato hackerato e aveva prodotto per i suoi 73 milioni di followers la seguente solenne dichiarazione: «In India la valuta ufficiale ora è il Bitcoin».

Dopodiché Modi si è barcamenato tra banno o non banno le cripto? Nel frattempo, come negli Stati Uniti, da metà gennaio è possibile investire in Bitcoin sui fondi ETS e il primo ministro vagheggia una CBDC, che al momento resta un brusio su cui si dirà più avanti.

Primo: BTC non piace agli stati, soprattutto se autoritari

È decentralizzata, non ha bisogno di Banche Centrali, non consente controlli statali. Consuma troppa energia. C’è chi la considera uno strumento contro il colonialismo monetario. C’è chi la considera per quello che è, un gigante della speculazione.

Ci sono stati che invece ne incentivano l’uso, come l’Uruguay, che ha appena installato un “bancomat” per criptovalute. In Italia ce ne sono una settantina e complessivamente la crescita degli impianti si sta incrementando:

Fonte Cointamtradar.

Gli corrisponde in rete una profusione di blog, siti, guru, illusionisti, riviste e piattaforme, in ogni lingua immaginabile che, mentre addestrano alla terminologia e ai “segreti” del BTC e della blockchain che gli sottostà, propongono e facilitano investimenti da fiaba.  Torna l’imperituro mantra: Arricchitevi!

Non è mai stato facile distinguere la retorica dalla realtà. In America latina poi il realismo magico sprizza dappertutto. Le magagne  e i pregi delle criptovalute si affastellano aggrovigliandosi e tutti ci provano: Venezuela, Cuba, Argentina, ColombiaCripto alle masse! È la parola d’ordine.

  • Le cripto facilitano l’invio delle rimesse degli emigrati, che sono il salvagente di svariati paesi.
  • Si svincolano, almeno in parte, dal dominio del dollaro, non a caso il Fondo Monetario Internazionale bacchetta El Salvador sulla legalizzazione della criptomoneta e lo fa adesso [fine gennaio 2022], quando BTC sta scivolando ai minimi rischiando di diventare merdomoneta.
  • Le cripto permettono un libero accesso alla finanza a milioni di persone che non hanno un conto in banca. La definiscono inclusione finanziaria ed è una tappa dell’incessante processo di finanziarizzazione/valorizzazione dell’umanità che il capitalismo da mo’ persegue con metodica determinazione. Anche tu, piccolo indigeno Aymara delle montagne boliviane potrai finalmente acquistare il forno a microonde su Amazon con due clic senza passare per banche e società come Mastercard Tu e Jeff Bezos, faccia a faccia.
  • Permettono l’indipendenza finanziaria delle donne. Forse. Si dice. Parrebbe.
  • Le criptomonete non sono così virtuali come sembra, ingurgitano energia senza pudore. Se il loro uso continuasse a espandersi dovremmo ricorrere alle candele e alla legna da ardere. Queste fondamenta materialisticamente reali potrebbero in tempi per niente geologici pericolosamente sprofondare.

L’Assoluto Mistico della crescita illimitata e perpetua sembra non accorgersi che le emissioni di carbonio di un anno di BTC sono pari a quelle della Nuova Zelanda, per ora.

Con lo stesso entusiasmo c’è chi guarda all’Africa dove nel 2020 il mercato delle cripto è cresciuto nel 1200%  e nel 2021 è andata ancora meglio, tanto che l’ultimo rapporto di ChainalysisAnalysis of Geographic Trends Cryptocurrency Adoption and Usage October 2021 ne parla (a p. 108), in questi termini accalorati [grassetto mio]:

Africa has the smallest cryptocurrency economy of any region we study, having received $105.6 billion worth of cryptocurrency between July 2020 and June 2021, but despite that it’s also one of the most dynamic and exciting. Not only has Africa’s cryptocurrency market grown over 1200% by value received in the last year, but the region also has some of the highest grassroots adoption in the world, with Kenya, Nigeria, South Africa, and Tanzania all ranking in the top 20 of our Global Crypto Adoption Index. In addition to being the third-fastest growing cryptocurrency economy, Africa also has a bigger share of its overall transaction volume made up of retail-sized transfers than any other region at just over 7%, versus the global average of 5.5%.

il Bitcoin divide

Se dici moneta dici scambi commerciali, investimenti, territori, politiche economico-sociali, sovranità.

Uno spettro si aggira per il mondo. La moneta è un modo di governare il mondo.
Tutte le monete sono spettri. [sillogismo sgangherato]

  • Tutte le monete sono virtuali, anche il dollaro,  essendo segni del denaro che è una riserva di valore che si basa su… [citare D. Ricardo, K. Marx, G. Simmel, J.M. Keynes, F. Hayek…].
  • Alcune sono digitali [per esempio, Visa…]
  • Alcune digitali sono criptate, cioè “nascoste”, visibili/utilizzabili solo conoscendo un determinato codice informatico. Entità governate algoritmicamente da un grande registro di scambi detto “Blockchain”, in cui la conservazione e lo scambio è regolato e certificato per condivisione [per esempio BTC e tutte le altre, Ethereum…].

Dopo una fatica bestiale di scavo, i miners-minatori devono portare i loro sudati bitcoin alla cassa [Coinbase, Kraken, Local Bitcoins], se intendono ottenere moneta spendibile fuori del mondo cripto. Ciò che fa l’habitué di un qualsiasi Casino con le fiches che ha vinto. Ottenere moneta vera, quella che ha una Banca Centrale alle spalle, uno stato.

Non è tutto oro ciò che luccica. Saluti e baci a Libra o Diem, la criptovaluta che era stata pomposamente lanciata nel 2019 da Facebook, nella forma di stablecoin, cioè ancorata a un’attività di riserva stabile come il dollaro statunitense o l’oro. FB l’ha venduta al miglior offerente.

Secondo: sono digitali le central bank digital currency

CBDC, come Petro del Venezuela, lanciata nel 2018,  che usa blockchain o lo Yuan elettronico della Cina atteso prossimamente. Sono digitali, ma seguono una logica opposta a BTC e affini perché sono o saranno gestite da autorità governative e dalle banche centrali che sono anche prestatori e garanti di ultima istanza. Stesse tecnologie, finalità incompatibili.

il BItcoin divide

Dove la criptopolitica diventa geopolitica

E qui giochiamo in casa. La geopolitica trova la sua grammatica e può cantare i suoi ritornelli. Gli attori del contendere sono i ben visibili e consolidati stati e non ectoplasmi monetari come le criptovalute con cui il nostro comprendonio suda le note camicie.

La spettro-valuta chiamata $

C’è qualcuno che domina la finanza mondiale con uno spettro-valuta che si chiama $, qualcun altro vuole sottrarsi a questa egemonia, che sia una riconosciuta, temuta Grande Potenza o uno stato malandrino o ancora una combriccola di stati denominata UE momentaneamente fuori stanza. Si tratta anche qui di una guerra già guerreggiata assai che meriterebbe inviati speciali più attenti perché ne va del futuro. Come non bastasse tutto il rimanente.

eNaria

La primizia della Nigeria, che aveva lanciato nell’ottobre scorso la propria moneta digitale eNaria, adesso sta zoppicando ed è molto curioso che a cimentarsi con questi esperimenti di fintech [Finance e Technology] siano microstati come Le Bahamas, Antigua e Barbuda, Grenada, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia e colossi come Nigeria e Cina. Disposti su un atlante darebbero filo da torcere anche al più navigato geopolitico e tuttavia sono il sintomo di una trasformazione globale in corso.

Tether

E gli USA, gli USA cosa fanno? Temporeggiano, studiano, discutono. Il dollaro digitale non è alle porte anche se induce in tentazione. D’altra parte la terza più grande, discussa e discutibile, criptovaluta, Tether, è ancorata al dollaro, è cioè una stablecoin, ha una capitalizzazione di 98 miliardi di dollari, come dichiarano i suoi dirigenti, senza che nessuno l’abbia mai verificato, e la sua moneta è nominata USDT. Funge da banca centrale delle cripto e affronta gagliarda i processi che le vengono intentati.

Una interessante conversazione in video con l’amministratore delegato di Tether, Paolo Alboino, la si può trovare qui.

Euro digitale

Per l’euro digitale non c’è fretta. È allo studio, i dibattiti si infittiscono, il prototipo fra tre o quattro anni, poi fase di sperimentazione e finalmente…

Pausa di riflessione

C’è un libro importante, curato da due studiosi italiani, Nicola Bilotta e Fabrizio Botti, che fa il punto su quest’ultimo tipo di monete: The (Near) Future of Central Bank Digital Currencies, Risks and Opportunities for the Global Economy and Society (Peter Lang, 2021), che, udite udite, è liberamente scaricabile qui. In italiano N. Bilotta ha scritto un report dell’IAI [Istituto Affari Internazionali] confidenzialmente intitolato Cbdc per principianti. Tutto quello che c’è da sapere sulla moneta digitale della banca centrale (e perché non dovrebbe far paura) come in un film della compianta Lina Wertmüller.

Resterebbe da sciogliere il dilemma quantistico: che fine ha fatto il gatto di Schrödinger contemporaneamente vivo e morto? Ovvero: le monete digitali nelle loro diverse incarnazioni sono contemporaneamente di destra e di sinistra?

Lascio a chi se ne intende la soluzione del quesito, rimando ad altra occasione l’eventuale discussione di piccole esperienze locali non trite e ritrite, come The Socialist Blockchain, Trustlines, Aleeza Howitt  e molte altre che non conosco.

Io mi posiziono su questi appoggi

  • La rivista statunitenseJacobindel 21 gennaio 2022 titola un articolo:
  • La criptomoneta è un gigantesco schema Ponzi, di Sohale Andrus Mortazavi. La prima frase dell’articolo è: La criptomoneta è una truffa.   Per chi l’avesse dimenticato lo schema Ponzi consisteva nel promettere fraudolentemente agli investitori alti guadagni, pagando gli interessi maturati dai vecchi investitori con i soldi dei nuovi investitori. Non fa male ricordare che Bernard Madoff con la sua truffa tra i 50/65 miliardi di dollari in stile Ponzi coinvolse i più pregiati istituti finanziari mondiali, tra cui molti italiani [ad esempio Unicredit].
    È morto in carcere il 14 aprile del 2021.
    Jacobin argomenta anche tecnicamente una interpretazione radicale. Mi auguro segua un’ampia discussione.
  • Edemilson Paraná un giovane e brillante ricercatore brasiliano, già autore di Digitalized Finance: financial capitalism and informational revolution (Brill, 2019); Haymarket, 2020, ha pubblicato Bitcoin: a utopia tecnocrática do dinheiro apolítico (Autonomia Literária, 2020) [acquistabile su Kindle, € 6,49]. Non mi sogno di riassumerlo qui. Segnalo alcuni spunti che mi hanno interessato:
    → BTC pone sfide interessanti alle grandi banche, alle istituzioni finanziarie internazionali, ai governi. Va preso sul serio questo paradosso, senza prostrarsi ai santoni del criptoevangelismo che ne decantano le virtù terapeutiche universali
    → BTC chiede al neoliberismo, di cui è figlio ribelle,  di realizzare le sue promesse: competere per promuovere innovazione, incoraggiare mercificazione e privatizzazione, esasperare la turbotendenza a trasformare qualsiasi cosa in un generatore di reddito, in una risorsa scambiabile: assetisation of everything [com’è già che la chiamava il barbone di Treviri?]
    → nonostante il radicalismo libertario, BTC e consanguinei sono interni all’ortodossia dominante per cui la moneta è una cosa, quando invece è una relazione sociale. I miliardi messi in movimento sono tutti “depositati” in una stratosfera magica ed eterea [… Ethereum] che ha vita solo sui monitor luccicanti e letteralmente muore con il loro spegnimento. La metafora dominante delle criptovalute è invece, non a caso, ipermaterialistica: a far funzionare la cortina fumogena è l’epica dei minatori che scavano alla ricerca dell’oro.

Conclusione filmica

In rete pullulano Predicatori del culto Bitcoin con centinaia di migliaia di fedeli.

Proposta n. 1: avviare un’analisi dei contenuti, delle tecniche espositive, dell’antropologia visuale, della maschilità dilagante, dei commenti ecc.

Proposta 2: montare un docu di spassosa rappresentazione dello zombie capitalismo imperante.

Assaggi: qui, qui, qui, qui  …   …   …   …

L'articolo Bit & Coin: la geostrategia criptata proviene da OGzero.

]]>
E il fiume mormorava in tigrino e amarico https://ogzero.org/tigray-2021-e-il-fiume-mormorava-in-tigrino-e-amarico/ Sun, 29 Aug 2021 07:47:14 +0000 https://ogzero.org/?p=4672 1985, la siccità strema il Corno d’Africa, il fotografo dipinge con quello che ha, i fasci di luce inquadrano un sottobosco di umanità disperata in fuga da fame e guerra. La regione era il Tigray, il fotografo Sebastião Salgado. Allora il celeberrimo scatto del fotografo brasiliano squarciò il velo che nascondeva il quadro dove all’aridità […]

L'articolo E il fiume mormorava in tigrino e amarico proviene da OGzero.

]]>
1985, la siccità strema il Corno d’Africa, il fotografo dipinge con quello che ha, i fasci di luce inquadrano un sottobosco di umanità disperata in fuga da fame e guerra. La regione era il Tigray, il fotografo Sebastião Salgado. Allora il celeberrimo scatto del fotografo brasiliano squarciò il velo che nascondeva il quadro dove all’aridità dei campi tigrini si sommava la guerra portata dagli eritrei filoamericani contro il regime filosovietico di Menghistu, impedendo il transito di aiuti. Si contò un milione di morti alla fine della carestia.

Sebastião Salgado, Kalema Camp – West Tigray, 1985 – mostra di Nice, agosto 2021. Un servizio della Bbc lo definì “la cosa più vicina all’inferno sulla terra”

2021, di nuovo guerra. Anzi, non è mai finita. Di nuovo truppe eritree protagoniste di atrocità in Tigray; ancora deportazioni e campi di concentramento per profughi eritrei fuggiti dal regime di Isaias Afewerki e per tigrini nel mirino della pulizia etnica oromo e ahmara, che vuole vendicare 30 anni di potere tigrino in Etiopia. La differenza sta nell’alleanza inaudita tra Addis Abeba e Asmara, che ha prodotto il consueto corollario di massacri, saccheggi, stupri, torture, esecuzioni e sparatorie; e nell’alleanza stipulata tra Fronti di liberazione tigrino e oromo, che promettono di allargare il conflitto, facendolo diventare Guerra civile di tutta la nazione.

E corpi portati dal Tekezé a valle, in Sudan, dove si chiama Setit.

Tigray 2021

Sponde del Tekezé a Wad el-Hiliou – Kassala, 4 agosto 2021

In questo agosto distratto da conflitti in altre aree strategiche truppe eritree attraversano nuovamente il fiume Tekezé che fa da confine e che ha visto migliaia di morti e 2 milioni di sfollati dall’inizio dell’operazione militare scatenata a novembre da Abiy Ahmed, il presidente etiope. A giugno il Fronte di liberazione del popolo tigrino (Tplf) aveva riconquistato l’intera regione, entrando a Mekallé e costringendo gli etiopi al cessate il fuoco.

Claudio Canal si sofferma brevemente ma efficacemente sugli aspetti che coinvolgono l’umanità oppressa dalla guerra e in particolare le violenze di genere correlate.


Il fiume scorre serafico come sempre.  Il Tekezé è un fiume geopolitico, segna il confine tra l’Etiopia e l’Eritrea e tra Etiopia e Sudan dove cambia nome e diventa Setit. Separa anche l’area delle lingue amarica e tigrina.  Come tutti i torrenti e i fiumi del pianeta trasporta ciò che cade in acqua o vi è gettato. In questi giorni scorrono corpi umani martoriati che dal Tigray [più noto come Tigré nella versione italiana], vasta regione settentrionale dell’Etiopia, galleggiano senza una meta verso il Sudan.

Una guerra la si può vincere o perdere, ma, essendo una macchina di produzione, lascia dietro di sé deiezioni in forma di corpi esanimi. Qualche volta raccolti e sepolti, altre volte lasciati lì a tornare polvere. Salvo che un fiume o un mare li accolga e li smuova secondo le proprie leggi. Fino a questo momento una cinquantina o più. Il fiume racconta che nel suo medio-alto corso è in atto una tragica inimicizia tra esseri umani.

Tigray 2021

Una geopolitica bizzarra ci dice che ex nemici accaniti, che si scontravano da decenni non badando ai morti, Etiopia ed Eritrea, adesso si sono scoperti alleati. Una, con un primo ministro, Abiy Ahmed Ali, laureato Nobel per la pace 2019 e dottorando in guerra; l’altra, con un presidente che si può classicamente definire tiranno. Un ossimoro istituzionale che la realtà però sopporta bene. Un pizzico di accortezza in più ai giurati del Nobel ne consoliderebbe la fama. Ci dice anche, questa geopolitica stravagante, che l’Etiopia è entrata in guerra con se stessa tramite una meno eccentrica e più consolidata forma di guerra civile, iniziata nel novembre scorso. L’obiettivo era ridurre a più miti consigli la leadership del Tigray, che nei decenni passati aveva governato l’Etiopia. Uno scontro di poteri abbastanza tradizionale in cui si è inserita bellicosamente l’Eritrea, in attesa che altri attori dell’area dicano la loro con i propri eserciti. Accendere i motori di una guerra è facilissimo. Difficilissimo anche solo metterla in folle.

Non riassumo i nove mesi di guerra ora in accelerata ripresa. Una aggiornata cronaca si può trovare nella sempre documentata “Nigrizia  e telegraficamente tramite la sintesi della penna di Dave Lawler.

“Tigray nascosto: silenzioso annientamento di una comunità”.

 

Due temi vorrei sottolineare:

  1. se ti arriva la guerra sotto casa o direttamente dentro cosa fai? Cerchi di scappare. È quello che sta massivamente succedendo. Non bastasse, c’era chi già era fuggito dalla confinante Eritrea e stazionava in campi profughi abbastanza improvvisati. Fuggiva dalla, chiamiamola così, antidemocrazia dell’Eritrea, dai suoi soprusi e dalla povertà, e nella tappa in Tigray ritrovava anche una lingua comune, il tigrino [lingua del ceppo semitico come l’amarico, lingua ufficiale dell’Etiopia, preceduta in quanto a numero di parlanti dall’oromonico della nazionalità oromo]. La partecipazione diretta dell’Eritrea alla guerra a fianco dell’Etiopia ha significato per i rifugiati eritrei dover fare i conti, di nuovo, con l’esercito eritreo che non è noto per il rispetto di alcunché. Non è difficile immaginare il disastro della guerra sui loro volti. I superstiti stanno forse sognando un barcone che attraversi il Mediterraneo e li porti in salvo chissà dove.

È il cinismo della geopolitica, che descrive, ma non può render conto dei moti sotterranei delle vite singole e collettive.

        2. «Non so se si sono accorti che ero una persona»

È la dichiarazione di una donna stuprata dai soldati nel Tigray. È anche il titolo del rapporto di Amnesty International e il contenuto di numerose altre inchieste curate dalla Reuters e del Georgetown Institute for Women, Peace and Security e del Kujenga Amani e nuovamente “Nigrizia” e…

Siamo in tempi di turismo, d’arte e d’altro. Passeggiando per Firenze in piazza san Lorenzo è possibile ammirare il monumento che Baccio Bandinelli scolpì nel 1540 per celebrare il condottiero Giovanni della Bande Nere che oggi verrebbe definito contractor e in tempi meno eleganti mercenario.

Le guide descrivono il bassorilievo del basamento come scene di guerra.  Effettivamente. Si vede la cattura di una donna, preludio al suo uso sessuale, come da sempre le regole belliche hanno decretato e che il Novecento ha visto intensificarsi e proliferare fino a oggi. Una terribile ed efficace forma di deterrenza e di intimidazione che si rivolge alle altre donne e ai loro uomini.

Le donne del Tigray gridano che questa storia non è per niente finita, ma dicono anche che da certe orecchie non ci sentiamo. La loro solitudine continua.

Postilla: Eritrea ed Etiopia sono state due colonie italiane. Una, la primigenia, l’altra, l’ultima a essere aggredita dalle truppe del Regio Esercito. Silenzio desertico dalle nostre parti, orfane anche della memoria storica di Angelo Del Boca.


Il Sudan ha convocato l’ambasciatore etiope a Khartoum per informarlo che i 29 cadaveri trovati sulle rive del fiume Setit, al confine con l’Etiopia, tra il 26 luglio e l’8 agosto, erano cittadini di etnia Tigray; i cadaveri sono stati identificati da cittadini etiopi residenti nella zona di Wad al Hulaywah, nel Sudan orientale. Il 5 settembre un reportage della Cnn ha riacceso i riflettori sul Tekezé e sui corpi mutilati che sussurrano nel suo alveo.

Questo scontro diplomatico avviene dopo il ritrovamento e il sequestro, da parte delle autorità sudanesi, di 72 scatole, contenenti armi e binocoli per la visione notturna, arrivate via aereo dall’Etiopia il 4 settembre. Nella serata del 6 settembre, il Ministero degli Interni sudanese ha affermato che la spedizione, che includeva 290 fucili, apparteneva ad un commerciante autorizzato, Wael Shams Eldin, ed era stata controllata e ritenuta in regola. Anche la compagnia aerea etiope ha confermato che le armi erano pistole da caccia che facevano parte di una spedizione verificata. Le armi erano giunte dalla Russia all’Etiopia nel maggio 2019. Le autorità etiopi le avevano tenute ad Addis Abeba negli ultimi due anni, ma, senza preavviso, il 4 settembre, avevano autorizzato il loro trasporto a Khartoum su un aereo civile. I primi sospetti delle autorità sudanesi si erano indirizzati contro i lealisti del governo dell’ex presidente Omar al-Bashir, accusati dai funzionari del Consiglio di transizione di voler minare la svolta democratica del Paese. Le tensioni tra il Sudan e l’Etiopia sono aumentate da quando il conflitto nella regione settentrionale etiope del Tigray si è intensificato e la disputa sulla costruzione della diga Grand Ethiopian Renaissance Dam (Gerd) non si è ancora risolta.

La guerra si estende e comprende nuovi motivi di astio…

L'articolo E il fiume mormorava in tigrino e amarico proviene da OGzero.

]]>
Terre rare e guerre abbondanti https://ogzero.org/terre-rare-e-guerre-abbondanti/ Thu, 13 May 2021 16:45:36 +0000 https://ogzero.org/?p=3477 Lo stato kachin è una regione settentrionale di Myanmar/Birmania. Due volte la Svizzera, meno di 2 milioni di abitanti. Montagne himalaiane, fiumi solenni, distese vallate. Risorse naturali in eccesso: legname pregiato (teak), giada, oppio, oro. Una storia non placida: già retrovia dei nazionalisti cinesi di Chiang Kai-shek e del suo Kuomingtang, fin dall’indipendenza della Birmania […]

L'articolo Terre rare e guerre abbondanti proviene da OGzero.

]]>
Lo stato kachin è una regione settentrionale di Myanmar/Birmania. Due volte la Svizzera, meno di 2 milioni di abitanti. Montagne himalaiane, fiumi solenni, distese vallate. Risorse naturali in eccesso: legname pregiato (teak), giada, oppio, oro. Una storia non placida: già retrovia dei nazionalisti cinesi di Chiang Kai-shek e del suo Kuomingtang, fin dall’indipendenza della Birmania (1948) conflitti armati delle forze locali indipendentiste contro il governo centrale, popolazioni con culture, lingue e religioni diverse, profughi interni, andirivieni continuo sul lungo confine con la Cina.

terre rare e guerre

Gli stati che compongono il Myanmar e le etnie principali che vi abitano (fonte “Burma Blue”, di Massimo Morello, Rosenberg & Sellier, 2021, elaborazione OGzero).

Un boccone prelibato

Un concentrato genuino di geopolitica.

Le terre rare sono appetitose sostanze che fanno gola ai dispositivi che deliziano la nostra vita tecnologica, microchip, laser, energia solare, industria aerospaziale, militare …Un boccone prelibato. Hanno però un difetto, si trovano solo confuse e avvinghiate ad altri metalli tanto da richiedere enormi sbancamenti e lavorazioni molto elaborate, come si è accennato in un precedente articolo intitolato Materia della rete – rete della materia.

Dopo il colpo di stato del primo febbraio il traffico di autocarri e tir al confine cinese del Kachin si è molto intensificato. La Cina, tra i massimi produttori di terre rare, ne sta riducendo l’esportazione, per porre un limite alle devastazioni ambientali delle sue miniere e, soprattutto, per mettere in crisi l’impiego che ne fanno gli Usa principalmente in campo militare [un F-35 ha bisogno di 417 chilogrammi di terre rare]. Ne deriva che la supply chain – catena di approvvigionamento mondiale di terre rare entra in affanno.

Per le sue necessità la Cina da diversi anni si rivolge a Myanmar che ne è un ottimo produttore.

Da dove la Cina importa terre rare: percentuali per paese.

Gli eserciti etnici contro Tatmadaw

Ma Myanmar è in turbolenza. La feroce repressione della giunta militare non ha messo a tacere le proteste, ha, in qualche modo, addirittura ravvicinato le posizioni tra la maggior parte delle formazioni militari e politiche indipendentiste. Il più importante esercito dello stato kachin [Kia] ha abbattuto il 4 maggio un elicottero del Tatmadaw, l’esercito birmano.

Uno dei risultati del caos militare e politico è che nello stato kachin aumentano le già fiorenti miniere illegali di terre  rare, in una regione sfigurata da giganteschi scavi di altre materie e dalla deforestazione per il legname prezioso.

Miniere illegali a Pangwa, nel Kachin (fonte “Myitkyna Journal” e “The Irrawaddy”).

Il “capitalismo del cessate il fuoco”

Per concludere: nello stato kachin si ha una inequivocabile realizzazione dell’accumulazione per spoliazione attraverso la manipolazione della crisi permanente di una regione di frontiera dotata di risorse, schiacciata da appetiti di potenti apparati di potere (Cina, Myanmar, Signori della guerra locali) e dalla storica disarticolazione sociale prodotta dal colonialismo inglese. La globalizzazione del mercato ha aggravato una condizione già segnata da quello che Kevin Woods definiva dieci anni fa come capitalismo del cessate il fuoco: accordi saltuari di tregua tra militari e leader ribelli per spartirsi risorse e aree di influenza garantendosi reciproca impunità. Le citate miniere illegali sono gestite o direttamente da emissari che fanno riferimento alle aziende di stato cinesi o da milizie di frontiera collaborazioniste con l’esercito birmano. La ripartizione dei profitti ne è l’instabile architrave. Tutti i boss ci guadagnano.

terre rare e guerre

La rete di infrastrutture e le risorse (fonte “Burma Blue”, di Massimo Morello, Rosenberg & Sellier, 2021, elaborazione OGzero).

Non ci guadagnano le popolazioni che qualche volta al momento giusto riescono a reagire. È dal 2011 che la grande diga Myitsone, voluta dalla Cina famelica di energia elettrica, è stata bloccata dalle proteste popolari contro le evacuazioni di moltissimi villaggi, contro la distruzione radicale di un ampio sistema ecologico e, perché no?, contro la profanazione dell’anima idrica del paese, il fiume Irrawaddy.

La ricomposizione degli interessi e dei diritti è di là da venire.

terre rare e guerre

Fonti:

The Irrawaddy”, “S&P Global-Market Intelligence”, “Tea Circle”, “The Rare Earth Observer”, “Asia Times Financial”, “Roskill”.

 

Approfondimenti:

D. Harvey, The ‘new’ imperialism: Accumulation by dispossession, Socialist Register, n. 40, 2004.

K. Woods, Ceasefire Capitalism: Military–Private Partnerships, Resource Concessions and Military – State Building in the Burma – China Borderlands, “The Journal of Peasant Studies”, vol. 38, n. 4.

K. Dean e M. Viirand, Multiple borders and bordering processes in Kachin State, in A. Horstmann, M. Saxer, A. Rippa, Routledge Handbook of Asian Borderlands, Routledge, 2018.

R. Einzenberger, Frontier capitalism and politics of dispossession in Myanmar: The case of the Mwetaung (Gullu Mual) nickel mine in Chin State, “Austrian Journal of South-East Asian Studies”, vol. 11, n. 1.

L'articolo Terre rare e guerre abbondanti proviene da OGzero.

]]>
Materia della rete – rete della Materia https://ogzero.org/la-perenne-trasformazione-della-terra/ Tue, 30 Mar 2021 22:48:19 +0000 https://ogzero.org/?p=2764 Geopolitica materialistica Preludio Intelligenza artificiale, Commercio Elettronico, Smart City, Deep Learning, Clouds… sono tra le più diffuse metafore impiegate nel sistema tecnologico. Impalpabili, eteree, quasi spirituali. Come tutte le metafore un po’ illuminano, un po’ nascondono. Come nella lingua del marketing, sottolineano aspettative e oscurano realtà. È più la nebbia che la trasparenza. Se si […]

L'articolo Materia della rete – rete della Materia proviene da OGzero.

]]>
Geopolitica materialistica

Preludio

Intelligenza artificiale, Commercio Elettronico, Smart City, Deep Learning, Clouds… sono tra le più diffuse metafore impiegate nel sistema tecnologico. Impalpabili, eteree, quasi spirituali. Come tutte le metafore un po’ illuminano, un po’ nascondono. Come nella lingua del marketing, sottolineano aspettative e oscurano realtà. È più la nebbia che la trasparenza. Se si scende dalla metafora per approssimare una definizione attendibile di ciascuna si precipita in un marasma semantico. Se dico tecnologie digitali, mi viene un’immagine che si smaterializza seduta stante. Un mondo virtuale mi appare alla mente, non il potenziale, il possibile, da secoli suggerito dal greco Aristotele, ma l’incorporeo, l’immateriale, ciò che è sconnesso dalla materia (bruta).

Contribuiscono alla dematerializzazione almeno due processi:

1] la miniaturizzazione incalzante dei dispositivi ha cambiato la nostra percezione in modo tale che la materialità o, se vogliamo, la fisicità, è diventa spettrale e i suoi rapporti col potere si sono eclissati. Questo lo sosteneva già trent’anni fa Donna Haraway [pag. 153].

2] mentre noi siamo sempre più tracciati, osservati, analizzati, resi visibili, visitabili e mercanteggiabili, si va esponenzialmente oscurando la tangibile durezza della nascita, vita e morte dei congegni digitali, degli apparati e delle reti.

È un’operazione quasi magica, meraviglia numinosa, che avvicina la tecnica alla religione o, almeno, al vangelo del nostro tempo.

 

Si può rendere riconoscibile il complesso industrial-digitale in cui siamo immersi?

Materie prime e seconde, forza lavoro (corpi, esistenze), produzione, conflitti, politica, economia.

Nelle righe che seguono, qualche spiraglio.

Dalla Terra

Una cosa buona | è che la roccia | può accucciarsi nel palmo | della mano, e sentire | i segni precari | dell’incisione nettissima, |
taglio, abisso, o quel che | costò anche alla roccia la sua | esistenza, come massa, anelante | concentrazione
Douglas Messerli, 1998 [trad. Federica Santini]

È un ciclo dalle molte ramificazioni.

La tecnologia in genere e quella digitale in modo speciale – Internet e web – praticano una dieta onnivora. Si nutrono di molti tipi di minerali, faticano a farsi bastare la tavola periodica degli elementi.

Qui le metafore scarseggiano. La lingua si fa meno evanescente e allusiva:

3TG [Tin/stagno, Tantalio, Tungsteno, Gold/oro], Conflict resources / Strategic minerals,
CRW [Critical Raw Minerals / Materials-Materie Prime critiche], Terre Rare / REE.

Queste ultime non sono per niente rare, soprattutto in Cina, che ne detiene i due terzi mondiali. Si chiamano così perché in passato si pensava fossero presenti solo in pochissimi minerali. Non ci sono però giacimenti di terre r. perché sono “incastonate” in altri minerali a bassissime concentrazioni. A leggere sulla tavola periodica le canoniche 17 terre r. le diresti battezzate dal principe De Curtis alias Totò: Europio, Gadolinio, Promezio, Tulio, Lutezio, Disprosio, Neodimio, Praseodimio

La perenne trasformazione della Terra

La geopolitica degli elementi: Terre rare

I minerali catalogati come conflict/ strategic/ critical vengono affannosamente ricercati per mezzo dell’esplorazione dei territori, che è il primo passo del ciclo. Spesso si traduce nell’esproprio/acquisto di terre e nell’allontanamento di popolazioni. Non semplice perlustrazione. Scavi, sbancamenti, perforazioni, prospezioni, trivellazioni, deforestazioni. Geologia e imperialismo sono sempre andati a braccetto.

Il secondo passo è l’estrazione, impresa molto più complessa di quanto dica la parola. Si tratta di separare gli elementi tra di loro, che mai si presentano allo stadio puro, ma solo come sottoprodotti. E poi raffinarli. Per farlo si richiedono macchinari ad alta tecnologia o il palmo della mano, oltre a solventi di grande potenza che si trasformano in grandi inquinatori dei suoli e delle falde acquifere. I minerali in questione non sono rinnovabili.

Tutta la Terra è una silicon valley, essendo il silicio l’elemento più diffuso, dopo l’ossigeno, ma in sregolata e inquietante riduzione. Prima di diventare il centro operativo di un computer in forma di chip o di cella solare di un pannello fotovoltaico deve tuttavia subire trattamenti molto diversi fra di loro, impegnativi industrialmente ed economicamente.

Dietro al silicio, alla columbite/tantalite nota come coltan, dietro allo stagno, al litio e alle altre sono incastrate:

  • aziende piccole e multinazionali, che raffinano, producono, assemblano, forniscono, distribuiscono;
  • mercati legali, illegali e così così;
  • persone vive, cioè forza lavoro formale, informale, manageriale, a lavoro coatto, indentured dicono gli anglosassoni, a servitù e paraschiavistica;
  • sfruttamenti estremi e ricchezze smisurate;
  • listini di borsa, banche, criptomonete e fondi finanziari;
  • organizzazioni paramilitari di controllo e organismi di tutela;
  • geopolitica spicciola e altolocata, alleanze insospettabili e venti di guerra, supremazia e sudditanza.

Trump voleva comprarsela la Groenlandia.

Tutte le fasi storiche del capitalismo pressate come un sandwich in mala convivenza.

Materia prima indispensabile

1] Materialità a vista del complesso industrial digitale

 

Cava di silicio

Cava di silicio in Australia

 

La perenne trasformazione della Terra

Minatori indiani esposti alla polvere di silicio a Jamshedpur

 

La perenne trasformazione della Terra

Miniera di terre rare a Bayan Obo, nella Mongolia interna

 

La perenne trasformazione della Terra

Evaporazione litio a Salar de Uyuni, Bolivia

 

Con la Terra

Ho ingoiato una luna fatta d’acciaio | ne parlano come se fosse un’unghia
Ho ingoiato queste acque di scolo industriali, | queste carte di disoccupazione
La gioventù chinata sulle macchine muore prima del suo tempo
Ho ingoiato il trambusto e l’indigenza | ingoiato ponti pedonali, vita coperta di ruggine
Non posso ingoiare altro | E tutto ciò che ho ingoiato | ora rigurgita | dalla mia gola
spandendosi sulla terra dei miei avi | in un ignominioso poema
Xu Lizhi, operaio Foxconn, 2013

Il silicio diventa principe dei semiconduttori (e signore della silicosi), il litio re delle batterie, il tantalio il califfo dei condensatori…

È la perenne trasformazione della Terra. Una alchimia materialistica detta anche hardware- dura materia, alla cui realizzazione partecipa una moltitudine di esseri umani, corpi e vite variamente inquadrate in strutture inventate qualche secolo fa durante la rivoluzione industriale: fabbriche e macchine, che via via si sono adeguate ai tempi.

 

Mercato spasmodico. Ragguardevole conflittualità, presente e soprattutto futura, tra Grandi Potenze e Potenze Intermedie. Servitù delle Potenze Nonpotenze.

Dopo il trattamento, dopo l’assemblaggio dei componenti i dispositivi digitali entrano nella supply chaine – la catena distributiva che impiega tutti i mezzi di trasporto immaginabili, terrestri, aerei, marittimi, che si muovono lungo una rete worldwide/mondiale che arriva puntualmente ovunque, addirittura anche a me. Tutto il trasportato e tutti i trasportanti sono composti da peso, massa, spessore, densità, volume, inclusi i numerosi umani che vi si affaccendano allegri o malinconici.

Materia seconda indispensabile.

2] Materialità a vista del complesso industrial-digitale

 

La perenne trasformazione della Terra

Stabilimenti Foxconn in Cina: assemblaggio apparecchi Apple

 

Intel in Hillsboro (Oregon)

Lavoratori impegnati presso Intel di Hillsboro alla produzione del chip D1D/D1X

 

Cargo Charter Transport

 

Il corriere Arvato, Bertelsmann, Duren

Informazione satellitare della disposizione delle imbarcazioni tra il Mediterraneo orientale, il Mar Rosso, il golfo di Oman e il Golfo Persico il 25 marzo 2021, quando la portacontainer Ever Given bloccava il Canale di Suez

Sulla Terra

Soft è soft perché è malleabile. Un programma, un codice, si può correggere e riscrivere. Come qualsiasi cosa nel nostro universo, è limitato dalle condizioni materiali, cioè dall’hard.

In questa fase del ciclo la materia si esprime soprattutto come materia cerebrale. Nugoli di uomini e donne informaticƏ, ingegnerƏ elettronicƏ, programmatorƏ, hackers … costruiscono, inventano, elaborano, aggiornano i programmi che permettono ai dispositivi digitali di funzionare. Procedimento di scrittura logica, l’algoritmo, fatto di istruzioni e comandi che nel gioco input/output consente a me, che sono un mortivo digitale, di scrivere qui sopra, di cercare un’immagine e tutte le altre cose complicate che non so fare. Grazie alle notti in bianco che programmatorƏ hanno passato per montare il codice. Spesso appartenenti al proletariato cognitivo.

Anche in questa fase, apparentemente del tutto virtuale, c’è invece una miriade di esseri umani, qualche milione, che addestrano gli algoritmi per migliorarne la “intelligenza”. Una manovalanza globale di lavoratrici e lavoratori parcellizzati che svezzano le macchine, cioè i programmi di machine learning, di “intelligenza artificiale” e sue applicazioni. A nutrirli ci pensiamo noi attraverso le nostre quotidiane interazioni con le “piattaforme sociali” oppure le vere e proprie fabbriche di click.

Megaziende, come Amazon Mechanical Turk, materialisticamente ci sguazzano.

Viene chiamato digital labor questo lavoro invisibile in cui la manodopera dispiega la sua energia fisica e mentale. È inutile che intraprenda una lunga variazione quasi una fantasia sul tema, dal momento che sta in libreria il testo imprescindibile per chi abbia interesse a questa articolazione del capitalismo contemporaneo: Schiavi del clic. Perché lavoriamo tutti per il nuovo capitalismo? di Antonio Casilli, Feltrinelli, 2020 [ho presentato, si fa per dire, l’edizione originale in francese qui. Qualche osservazione sparsa qui]

Materia evanescente indispensabile.

3] Materialità a vista del complesso industrial-digitale

 

Click Farms. Centinaia di mobile che scaricano applicazioni per migliorare i loro rankings

 

Click Farms. Virtual Stacks System

Microworkers

 

Microlavori

 

Sopra e sotto la Terra

Siete tutti così intelligenti, così attivi. | Qui è scena muta, è scena | da poco. Si depongono |
le attitudini come chi preferisce | mancare lo scopo e ama solo | i tempi morti.
Nicoletta Bidoia, Scena muta, Dueville, Ronzani, 2020

Internet e il web sono una rete di reti con punti nodali di incrocio, di scambio e di immagazzinamento. Reti locali e transcontinentali. Non esistono solo – ontologicamente, si direbbe in filosofia – nella loro architettura logica e informatica. Esistono materialisticamente come ambienti fisici e fasci di cavi. Per la connettività sono fondamentali gli Internet Exchange Point (IXP), o punti di interscambio, che sono ospitati in una struttura edilizia, con personale, hardware, manutenzione, sono sottoposti a logiche di mercato e strategiche, finanziarie e politiche. Così empiricamente esistenti che si possono individuare su una mappa.

Idem per il Content Delivery Network-CND, rete per la distribuzione dei contenuti, ancora più sottoposta al mercato. Qui la mappa della Akamai Technologies, potente società globale tra le tante.

Eccetera eccetera eccetera…

Per fare un cavo ci vuole la fibra di vetro, tra l’altro, per fare la fibra di vetro ci vuole la silice, per la silice il silicio, ognuno lavorato come si deve, così posso connettermi con ogni luogo del pianeta e godermi film e conoscenze. Se esistono è perché qualcuno li costruisce, i cavi. Un comparto industriale di grandissimo rilievo. Cavocrazia è stata definita: 750.000 chilometri di cavi sottomarini, vulnerabili, sabotabili, spiabili, manipolabili, appetibili, guerreggiabili. Cosa ne pensano i pesci non si sa. Cavo rotto, ciao Internet, come dimostra la solita densa mappa.

Il content che trasmettono sono i dati, che poi toccano terra nei Data Centers depositandosi, megacapannoni industriali che consumano più energia di molte città e più acqua di diverse piscine olimpiche, emissioni di C02 che non so dire. Si conosce invece la smisurata produzione che ne fa la blockchain per gestire le criptovalute.

Attraversando terre e oceani i dati riferiscono che cosa ho scritto su questa pagina, con quali caratteri, i siti consultati, le immagini e i video, da quale luogo scrivo, con che aggeggio, a che ora – si scopre che sono un tiratardi, se leggo l’inglese, quanto tempo impiego ad approfondire un sito, con quale sistema operativo, se ho cliccato o respinto qualche pubblicità, se scrivendo ascolto Brahms o Willie Peyote (l’uno e l’altro)…

Miliardi di dati ogni minuto secondo. Sistema di magazzini sempre sull’orlo della saturazione. Occorre costruirne altri. Ma tutto si surriscalda, non basta l’acqua, mettiamoli al fresco sott’acqua, dice Microsoft, facciamoli al Circolo Polare Artico, dice un altro. Detto fatto.

Nuove Frontiere da raggiungere di corsa e valicare con impeto, come ai bei tempi. La Terra è al servizio dello sviluppo a briglia sciolta del genere umano.

Ed ecco tornare imperativa e bugiarda la metafora con M maiuscola. I dati vivono tra le nuvole, clouds, là dove svolazzano cherubini e serafini, non sulla Terra, sporca e materiale, tanto meno sott’acqua, buia e misteriosa.

In base alla millenaria e ferrea accoppiata Cielo e Terra, Spirito e Materia.

 

Immancabile Mappa dei Data Centers.

Materia cablata indispensabile.

4] Materialità a vista del complesso industrial-digitale

 

Milan internet eXchange – Centro elaborazione dati interno al campus di via Caldera (zona Nordovest – Milano)

 

Prysmian’s HD Power Cable plough (built by Soil Machine Dynamics) on Normandy Beach

 

La perenne trasformazione della Terra

Project Natick (7 luglio 2020), Microsoft riporta in superficie il proprio datacenter subacqueo posato a 35 metri nei fondali di Stromness, Orkney nel 2018.

 

Luleå. Data Center di Facebook in Lapponia

Alla Terra

La discarica gli mostrava senza mezzi termini come finiva il torrente dei rifiuti,
dove sfociavano tutti gli appetiti e le brame, i grevi ripensamenti,
le cose che si desideravano ardentemente e poi non si volevano più
Don DeLillo, Underworld, Torino, Einaudi, 1997 [trad. Delfina Vezzoli]

Come ogni sistema industriale anche quello digitale genera scarti e rifiuti, non c’è da stupirsi, sono parte integrante del ciclo produttivo: dalla Terra alla Terra. Molti autorevoli reports dichiarano che all’anno produciamo globalmente quasi 50 milioni di tonnellate di rifiuti “elettronici”, e-waste. Non so come ricavino questa spaventosa cifra. La prendo provvisoriamente per buona. Da questa più che materialistica realtà si sviluppa un consistente e complesso subsistema industriale molto gerarchico: in cima, tecnologiche aziende del riciclo tirate a lucido, da basso, tecnologie corporee fatte di occhi, mani, braccia, respiro. Come già i minerali all’origine, entrambe in lotta con una materia sempre più amalgamata, difficile da disassemblare e scomporre.

Si progetta un prodotto e lo si pensa già come rifiuto. Non succede solo nel comparto industrial-digitale. I dispositivi appena fanno capolino sul mercato risultano ormai “vecchi”, incalzati dal nuovo prototipo che riscalda i muscoli negli stessi ambienti che hanno partorito il precedente. In gergo si dice obsolescenza programmata che, tradotto, significa che devono guastarsi il più presto possibile, che la riparazione sia antieconomica, che vengano sottoposti all’implacabile ciclo della moda / fashion circle, che subiscano un precoce invecchiamento a causa di una incombente “novità” tecnologica, spesso marginale e superflua. La sostituzione è garantita, lo scarto/scoria anche e il mercato sempre su di giri. Ne parlava già Vance Packard ne I persuasori occulti più di sessant’anni fa.

Come ci insegna la storia della medicina, l’analisi delle feci e delle urine è uno strumento diagnostico autorevole per conoscere lo stato di salute di un organismo. L’analisi dei rifiuti, scorie deriva dal greco skṓr/escrementi, non è tanto benevola e rassicurante verso il nostro sistema produttivo e di vita, presente e futuro.

Materia riciclata fatalmente indispensabile.

5] Materialità a vista del complesso industrial-digitale

Il ricondizionamento di apparecchi elettronici anima il mercato del riciclaggio

 

La perenne trasformazione della Terra

Il piano Dell per il recupero di 900 mila tonnellate di scarti tecnologici

 

A Terra

E non soltanto si pretendeva che la terra, nella sua ricchezza, desse messi e alimenti,
ma si discese nelle sue viscere, e ci si mise a scavare i tesori, stimoli al male

 

Ovidio, Metamorfosi, I, 136/38, [trad. Piero Bernardini Mazzolla]

Estrazione non è un simbolo e capitalismo estrattivo non è una metafora. Estrazione dalla Terra, estrazione dai Dati, estrazione dai Corpi. Materia, Conoscenza, Valore. Il Capitalismo è animista, estrae valore da qualsiasi entità, viva o morta.

Riuscire a pensare assieme risorse, dati, lavoro, soft e hard, non è una perdita di tempo, è una conquista. Si guadagna in profondità e in lungimiranza, in senso del limite e della vulnerabilità. Digitale e Media come estensione della Terra e non del soggetto umano (McLuhan).

Questo è il materialismo che mi ha proposto Jussi Parikka [A Geology of Media, Minneapolis, University of Minnesota Press, 2015].

Pacchetto di documentazione:

Per approfondire, qualche suggerimento bibliografico minimale:

in generale

-L. Parks, N. Starosielski [ed.], Signal Traffic. Critical Studies of Media Infrastructures, Illinois Un. Press, 2015

sull’uso delle metafore:

M. Lindh,and J.M.Nolin, GAFA speaks: metaphors in the promotion of cloud technology, “Journal of Documentation”, 2017

geologia e imperialismo:

A (Partial) Reading List of Papers & Perspectives Relevant to Geology & Colonialism, 2020

S. Popperl, Terra Infirma – Dead Sea Sinkholes – A Photo Essay, “Middle East Research and Information Project”, n. 26 (autunno 2020)

minerali critici, Terre Rare…:

Terre rare. Il “nuovo oro” onnipresente e insostituibile;

– G. Pitron, La guerra dei metalli rari. Il lato oscuro della transizione energetica e digitale, Luiss Un. Press, 2019

– D. S. Abraham, The Elements of Power. Gadgets, Guns, and the Struggle for a Sustainable Future in the Rare Metal Age, Yale Un. Press, 2015

– S. Kalantzakos, The Race for Critical Minerals in an Era of Geopolitical Realignments, 2020;
– J. M. Klinger, Rare Earth Frontiers. From Terrestrial Subsoils to Lunar Landscapes,  Ithaca, Cornell Un.Press, 2017

– M. Hall, A new Cold War: mining geopolitics in the Arctic Circle, “Mine”, November 2020
The Geopolitics of Semiconductors, Eurasia Group, September 2020

digital labor:

Oltre al fondamentale testo di A. Casilli citato nel testo:

– U. Huws, Labor in the Global Digital Economy. The Cybertariat Comes of Age, New York Un., 2014;

L’enigma del valore. Il digital Labour e la nuova rivoluzione tecnologica, Effimera, 2019

– M. Gregg and R. Andrijasevic, Virtually Absent: the gendered histories and economies of digital labour, “Feminist Review”, 2019

– A. Gillwald, O. Mothobi, A. Schoentgen, What is the state of microwork in Africa? A view from seven countries, 2017

IXP, cavi, clouds:

– Joerg Bonarius, Internet Exchange Point (IXP) Traffic Continues to Grow, “Extreme”, 2020

Best Content Delivery Network (CDN) Software, 2021

– Nicole Starosielski, The Undersea Network, Duke Un. Press, 2015

– Adam Satariano, How the Internet Travels Across Oceans, “New York Times“, 2019

Doug Brake, Submarine Cables: Critical Infrastructure for Global Communications, 11 marzo, 2019

I cavi sottomarini: infrastruttura chiave per internet e la sicurezza dei dati, “BizDigital”, gennaio 2021

– Jianyin Roachell, Cloud Colonialism: How the U.S. and China are “dual-using” the Cloud for Geopolitical Competition, “China&US Focus”, 20 novembre 2020

rifiuti, e-waste:

The Global E-Waste Monitor, 2020,

Electronic Waste and the Circular Economy Contents, Parliament UK, 2020

L'articolo Materia della rete – rete della Materia proviene da OGzero.

]]>
Tracce della distanza https://ogzero.org/africa-teatro-della-storia/ Sat, 16 Jan 2021 09:11:31 +0000 http://ogzero.org/?p=2221 Una primavera africana d’autunno   The sky carries a boil of anguish | Let burst Let the sky’s boil of anguish burst today | The pain of earth be soothed di Niyi Osundare [Il cielo porta con sé una bolla d’angoscia | Fa’ che scoppi Fa che la bolla d’angoscia nel cielo scoppi oggi | Si plachi […]

L'articolo Tracce della distanza proviene da OGzero.

]]>
Una primavera africana d’autunno

 

The sky carries a boil of anguish | Let burst

Let the sky’s boil of anguish burst today | The pain of earth be soothed

di Niyi Osundare

[Il cielo porta con sé una bolla d’angoscia | Fa’ che scoppi

Fa che la bolla d’angoscia nel cielo scoppi oggi | Si plachi il dolore della terra]

Due mesi di manifestazioni di massa, scontri con la polizia, feriti, morti, arresti, sparizioni. Donne, uomini, giovani, cristiani, musulmani, altri. Un’unica parola d’ordine: End Sars! Che non è un virus, ma un corpo di polizia [SARS Special Anti-Robbery Squad], istituito nel 1992] brutale, assassino, stupratore, torturatore. Parola d’ordine che poi diventa: Vogliamo un cambiamento! Maree di popolo, ora alte ora basse.

Nigeria: tre volte l’Italia, 200 milioni di abitanti, 250 gruppi nazionali/etnici, lingue e pratiche culturali e religiose diverse. È divisa in 36 Stati. La complessità non è a scelta.

Mappa dei 36 stati della Nigeria

I 36 stati della Nigeria con gli aspetti orogeografici

#EndSARS è l’hashtag di twitter che convoca in strada, elabora spostamenti e incontri, informa internazionalmente sugli eventi e le finalità, la Feminist Coalition organizza la campagna di raccolta fondi, l’assistenza medica e la tutela legale.

Il generale in pensione, Muhammadu Buhari (1942), attuale presidente della Nigeria, eletto nel 2015 e nel 2019, già capo di stato col golpe militare del 1983, sostituisce il SARS con uno Special Weapons and Tactics (SWAT) nuovo di zecca.

Negli stati del Nordest e ora anche del Nordovest, Boko Haram con affiliati e concorrenti intensifica la politica del caos con un’orgia di uccisioni, rapimenti, incursioni armate.

In questa occasione non lo si esamina.

Africa vero teatro della storia mondiale

Manifestazioni #EndSARS

Qua

Bisogna essere rabdomanti esperti per trovare nei media nostrani qualche goccia, qualche zampillo informativo. I nostri recettori sono molto selettivi. Black lives matter! Ma qui come fai che le nere vite stanno da entrambe le parti della barricata? Come possiamo sfoggiare il nostro impeccabile antirazzismo prêt-à-porter? Siamo in Africa, dove sono i bambini macilenti dal ventre gonfio? Un “Autunno nigeriano”, dici? Perché sono così complicate le società africane?

Aisha Yesufu

#BringBackOurGirls e #EndSARS sono la stessa faccia della medaglia, quella di Aisha Yesufu

Questa signora dal sorriso soffice e dal pugno energico si chiama Aisha Yesufu, è stata una delle promotrici di Bring Back Our Girls, il gruppo che ha fatto di tutto per riportare a casa le 276 liceali di Chibok rapite il 15 aprile 2014 dai miliziani di Boko Haram, riuscendoci solo parzialmente. Continua a essere molto attiva sia in #EndSARS sia sul piano dei diritti delle donne battibeccando con governo e dintorni.

Il suo dinamismo può scombinare il nostro sguardo cieco cementato duecento anni fa da G.W.F. Hegel, il mago fantasma che ancora ci incanta: «Come abbiamo già detto, il negro incarna l’uomo allo stato di natura in tutta la sua selvatichezza e sfrenatezza … Non è un continente storico, un continente che abbia da esibire un movimento e uno sviluppo … Per Africa in senso vero e proprio intendiamo quel mondo privo di storia, chiuso, che è ancora del tutto prigioniero nello spirito naturale … dopo aver sgombrato il campo dal continente africano, ci troviamo nel vero teatro della storia mondiale».

 

Sokoto Caliphate

Estensione del Califfato sovrapposta alla geografia politica attuale

A metà dicembre il sultano di Sokoto, Nigeria Nordovest, Sa’ad Abubakar ha detto quasi disperato: «Abbiamo perso così tante vite in passato che non siamo neppure in grado di contarle. È diventata una cosa normale, quotidiana. Così normale che è una notizia da raccontare quando non c’è nessun ucciso in qualche parte del nostro Paese».

Il sultano di Sokoto non ha più potere politico, è leader della confraternita (tariqa) sufi Qadiriyya, che risale all’XI secolo, ma resta una guida spirituale dei musulmani della Nigeria.

Mi pare di ricordare che nel XIX secolo anche in Europa diversi stati e staterelli abbiano avviato ingarbugliati processi di unificazione tramite guerre e diplomazia.È discendente di Uthman dan Fodio, filosofo, riformatore islamico, capo sufi, che nel 1804 dà il via a un jihad che rimpiazza i molti piccoli regni e le città-stato che caratterizzavano l’area, portando alla formazione di un Califfato con molti Emirati che, in qualche modo, governa venti milioni di persone. Già nel 1811 dan Fodio si ritira per tornare a studiare e predicare, muore nel 1817, 14 anni prima di Hegel.

A inizio Novecento la presenza inglese in Africa Occidentale si fa conclusiva: nel 1903 il potere politico passa di mano anche nel Sokoto, che diventa “protettorato britannico”.

 

La mia officina storica propone un esperimento minuscolo: si prenda un importante testo di storia della Nigeria (Toyin Falola, Matthew M. Heaton, A History of Nigeria, Cambridge University Press, 2008) e nelle numerose pagine dedicate, come si deve, a dan Fodio e al Califfato di Sokoto si riconosca l’invisibile, un’assenza, un vuoto. Nonostante il nigeriano Toyin Falola, docente negli Usa, sia oggi uno degli africanisti più accreditati con bibliografia da paura, non una riga, neppure in nota, concede in questa pregevole storia della Nigeria a Nana Asma’u.

Nana Asma’u (1793–1864) è figlia di dan Fodio, non è un’ombra molesta. Scrive 9 poemi in arabo, 42 in fulfulde (Fula dicono i linguisti), parlata oggi da 65 milioni persone, 26 in hausa, altra lingua dell’area, oggi usata da 47 milioni di parlanti. Organizza circoli educativi e letterari di donne che chiama Yan Taru [quelle che si riuniscono assieme, in hausa). Ritiene l’educazione delle donne fondamentale: «Donne, un avvertimento: non lasciate la casa senza buone ragioni. Si può uscire per cercare cibo o educazione. Nell’Islam è un dovere religioso cercare la conoscenza. Le donne possono liberamente lasciare la casa con questo scopo».

Le donne del gruppo poi si sparpagliano per formarne altre come educatrici itineranti (jajiis) e come seguaci del sufismo. Anche le sue cinque sorelle saranno molto attive sul piano culturale. Nina Asma’u esercita dunque un ruolo pubblico e avrà per questo una profonda influenza su altre donne, pensatrici e predicatrici, dell’Africa musulmana.

 

Annotava nel 1828 il governatore francese del Senegal, baron Roger, che nel paese «c’erano più neri in grado di scrivere e leggere in arabo, che per loro è una lingua morta e di istruzione, di quanti contadini francesi fossero in grado di leggere e scrivere in francese».

Appendice all’esperimento. G.W.F. Hegel dall’alto dell’Absolute Geist [“Spirito Assoluto”] annuncia urbi et orbi che der Neger ist Geschichtslos [senza storia], dunque Non-Umano. Figuriamoci la “negra”!

A far saltare i nervi al governo coloniale britannico nella seconda metà degli anni Venti del Novecento si erano impegnate molte donne, soprattutto nel Sud/Est della Nigeria. Iniziative di protesta collettive contro una tassazione mirata a loro stesse, che sfociano in un vero e proprio conflitto a fine 1929. Non un riot, un tumulto, ma un movimento sociale e politico con tracce di matriarcato precoloniale, di consolidate pratiche, mikiri, di aggregazione tra donne, di rituali danzanti di sberleffo del maschio – sitting on a man, di forte determinazione a migliorare la propria condizione. Vi partecipano sei diverse nazionalità/etnie, non solo Igbo, come recitano manuali ed enciclopedie. È una mascherata di donne con canti, danze rituali e improvvisate. Inizia al mercato e poi si dirige ai palazzi del potere. Quando non bastano le voci e le gambe, mani e braccia afferrano, spaccano, colpiscono, come storia insegna. Trascrivono in gesti la loro potenza.

Nonostante la feroce repressione e le cinquantatre donne uccise, l’apparato coloniale di governo deve riformarsi in profondità.

Foucault scrive da qualche parte che non ricordo: «ovunque vado, segretamente mi segue sempre Hegel».

Se Hegel fosse più o meno razzista lo decidano gli storici della filosofia, a noi tocca avviare la nostra svestizione dai comodi panni hegeliani.

 

Sud Nigeria, donne di una generazione successiva ricantano e ridanzano ancora contro una arbitraria tassazione imposta dal reuccio locale, Alake, indirect rule, warrant Chief, governatore al servizio degli inglesi: è dalla vagina che vuoi uomini siete nati, usi il tuo pene per sostenere che sei nostro marito | noi oggi usiamo la vagina per agire come tuo marito. Questa lingua sciolta dei loro canti è stata parlata e pensata da una mobilitazione di donne durata anni e culminata nella rivolta di Abeokuta nel 1949. Animatrice e organizzatrice Funmilayo Ransome-Kuti, esemplare modello di femminista del Novecento e madre di Fela Kuti, genio musicale, afrobeat, rivoluzionario, misogino.

[il 18 febbraio 1977, quando mille soldati irrompono nella residenza dell’eversivo Fela, la Kalakuta Republic a Lagos, la madre viene gettata dalla finestra del secondo piano. Muore l’anno dopo per le ferite riportate].

Africa vero teatro della storia mondiale

Educatrice nigeriana, militante politica, suffragista, attivista dei diritti delle donne.

Durante le manifestazioni #EndSARS è di nuovo riecheggiata Beasts of No Nation di Fela Kuti.

Ascolti

e scopri che i commenti ne riconoscono la visionaria attualità.

Nuovissime leve espandono il suono: Fikky

o Jeriq,

altre songs vengono assimilate prima ancora che gli autori prendano posizione,

come Fem di Davido


o Killin Dem di Zlatan X Burna Boy.

Il più direttamente politico This is Nigeria di Falz;

anche la spirituale Asa.


Un vero Sound System che si intreccia con la protesta e la nutre.

È l’audiopolitica che si snoda con le socialità collettive, non sta ai bordi, rinsalda voci, suoni, rumori e silenzio.

L’acustica di uno sbarco di emigranti a Lampedusa, degli slogan di una manifestazione ad Hong Kong, di un ospedale da campo in Libia, degli elicotteri pasciuti che scendono a Davos per resettare il mondo, dei blindati israeliani a Betlemme, dei passi sulla neve sopra Bardonecchia direzione Francia, delle piazze silenziose di certe metropoli in coprifuoco, del canto delle donne argentine dopo la nuova legge sull’aborto, delle voci dei bambini rohingya che scorrazzano sull’isola nell’oceano dove sono stati deportati, del mercato di Kabul, senza esplosioni. La ritmica di un call center, lo scioglimento sincopato dei ghiacciai, il rumore bianco di movida precovid, la polifonia fiamminga di un reparto maternità…

Non l’ho inventata io l’audiopolitica, l’ha concepita un giovinotto di Recanati (ehm!) duecento anni fa: le morte stagioni, la presente e viva e il suon di lei, con cui rivolge un invito a indagare anche il passato. Che suono aveva Auschwitz? Hiroshima? il socialismo reale, il comando coloniale…

Che swing hanno i droni delle neoguerre? Le fibre ottiche del web? Il contrappunto degli high frequency tradings? Qual è il canzoniere del neoliberismo…?

Ragazze liberate a Chibok

Liberate dalla prigionia le studentesse di Chibok, rapite da Boko Haram

[Qui, nel nostro canale linkedin trovate un ragionato apparato bibliografico elaborato da Claudio Canal, che approfondisce le tracce sparse in questo sguardo sulla Nigeria, con il chiaro intento di non essere condizionato dall’etnocentrismo occidentale: https://www.linkedin.com/pulse/tracce-della-distanza-adriano-boano/?trackingId=AvSXQ0pYSAC9eE2DLqIJDQ%3D%3D]

L'articolo Tracce della distanza proviene da OGzero.

]]>